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Comunione legale (Diritto di Famiglia 06-12-2001)

giurisprudenza



Comunione legale


(Diritto di Famiglia  06-12-2001)


Quando si parla della comunione legale tra coniugi prima si dice che è un regime patrimoniale della famiglia e poi si dice che esistono due tipi di comunione. Esiste la comunione immediata per cui ci sono dei beni che cadono immediatamente in 747d39h comunione, questo significa che appena vengono ad esistenza certi beni, questi beni immediatamente cadono in comunione; invece poi c'è un'altra categoria di beni che invece cadono in comunione soltanto se sussistono (se ancora ci sono) ancora al momento dello scioglimento della comunione, per questo tale tipo di comunione si chiama comunione de residuo, comunione residuale o comunione eventuale.

Poi ci sono dei beni, come vedremo dopo, che non cadono in nessun caso in comunione di alcun tipo.

Art. 177 b) Costituiscono oggetto della comunione residuale i frutti dei beni che appartengono a ciascun coniuge. Cioè quei beni che sono di proprietà del coniuge, perciò che non sono caduti in comunione perché fanno parte del patrimonio personale del coniuge, possono produrre dei frutti.



Per esempio un bene che non è entrato in comunione può essere dato in locazione e può produrre dei frutti (canone di locazione). Questi frutti cadono nella comunione residuale. Se questi frutti ci sono ancora al momento dello scioglimento della comunione essi cadranno in comunione residuale. Infatti la norma dice (art. 177 lettera b) [vedi art.]. Altri beni che cadono in comunione residuale sono i proventi della attività lavorativa di ciascun coniuge. Ciò che ogni coniuge guadagna in forza del proprio lavoro non cade in comunione immediata, ma cade in comunione residuale. Comunque sia questi proventi cadono in comunione residuale se ancora sussistono al momento dello scioglimento della comunione. L'istituto della comunione è nato per tutelare il coniuge più debole, che nel 1975 era la donna., poiché non aveva un lavoro o un lavoro remunerativo come quello dell'uomo. Al momento dello scioglimento della comunione (soprattutto occorso a causa di separazione dei coniugi) la donna, che generalmente aveva  un lavoro meno remunerativo rispetto a quello dell'uomo poteva chiedere di avere la parte dei frutti lavorativi di suo marito (la metà). Altra categoria di beni che cade in comunione. La norma di riferimento è l'Art. 178: [vedi art.]. Si fa riferimento all'impresa che è gestita da un solo coniuge. La regola è: per l'impresa che è costituita dopo il matrimonio ed è gestita da un coniuge soltanto, cadono in comunione residuale solo i beni che il coniuge gestore destina all'esercizio dell'impresa. Ovviamente questi beni cadranno in comunione solo se al momento dello scioglimento della comunione essi ci sono ancora.

In sintesi: Un altro caso di comunione residuale riguarda le imprese che si sono costituite dopo il matrimonio, riferendosi alle imprese che sono gestite da un coniuge soltanto. In questo caso cadono in comunione residuale i beni che vengono destinati all'esercizio dell'impresa costituita dopo il matrimonio.

Inoltre cadono in comunione residuale anche gli incrementi dell'impresa, costituita ANCHE precedentemente il matrimonio, non solo dopo il matrimonio.

Qui si accenna ad una dottrina, che da molti è ritenuta scorretta, ma la tratteremo al fine di aumentare la conoscenza di questa materia. Ci sono degli autori che hanno avuto questa idea:


►Dalla comunione residuale abbiamo ricavato questo: ci sono dei beni che cadono in comunione residuale, per cui se al momento dello scioglimento ancora ci sono, di questi beni spetta 50% ad un coniuge e 50% all'altro. Ora, la norma quando spiega la comunione residuale si esprime dicendo che ci sono dei beni che cadono in comunione residuale. Se ci sono ancora dopo lo scioglimento cadono in comunione, se non ci sono (pazienza!) non cadono. Secondo la dottrina che ci apprestiamo ad illustrare non è così. Il coniuge ha un'aspettativa giuridica sui beni che cadranno in comunione del residuo. Detta così, lascia intendere che questi beni in comunione del residuo ci devono cadere per forza; il coniuge ha una ASPETTATIVA di DIRITTO ad ottenere una parte del valore dei beni che cadono in comunione del residuo.(Per ASPETTATIVA si intende una situazione giuridica che consente di tutelare un diritto che il soggetto non ha ancora acquisito. Ci sono delle fattispecie che sono dette a formazione progressiva, ciò vuol dire che della fattispecie che porta alla nascita di un diritto se ne è verificata soltanto un parte. Per il fatto che si è verificata soltanto una parte, l'ordinamento dà una ASPETTATIVA dicendo che il soggetto, siccome ha interesse al completamento della fattispecie poiché da essa nascerà un diritto, viene tutelato affinché la suddetta fattispecie si completi. In sostanza: Tizio ha interesse che una particolare fattispecie si completi, facendo sì che dalla fattispecie completa nasca un diritto. Allora l'ordinamento dà a Tizio una tutela per far sì che la fattispecie giuridica, in essere soltanto per una parte, si completi).

Tornando al nostro caso: il coniuge ha una aspettativa di diritto. Si aspetta, legittimamente, una parte dei beni che sarebbero dovuti cadere in comunione. Per esempio: il coniuge comincia a dilapidare i frutti della propria attività (che sarebbero dovuti cadere in comunione residuale) oppure a dilapidare i beni acquistati con i frutti della propria attività. Per assurdo l'altro coniuge potrebbe agire con azione revocatoria (Art. 2901 ss.)[l'azione revocatoria consiste in questo: il creditore può agire con azione revocatoria quando il debitore compie un atto in pregiudizio delle sue ragioni, diminuendo la garanzia patrimoniale verso il creditore. Se il debitore lo fa intenzionalmente (ex. dilapidando tutto il suo patrimonio personale per far sì che il creditore non abbia più modo di rivalervisi) il creditore può agire in azione revocatoria per recuperare questi beni]. Tuttavia è piuttosto complessa la dimostrazione dell'aspettativa di diritto. Infatti, per l'ordinamento, l'aspettativa di fatto non ha rilevanza alcuna.

In sintesi: ci sono dei beni che cadono in comunione residuale. Questo significa che tali beni cadono in comunione soltanto al momento dello scioglimento. Ciò lascerebbe intendere che se quei beni al momento dello scioglimento non ci sono essi, ovviamente, non cadono in comunione. Per cui la cosa apparirebbe semplice. Tuttavia una parte della dottrina ha cominciato a studiare questa norma e ha detto che non è vero che se non ci sono non importa; in realtà il coniuge, secondo suddetta dottrina, durante il matrimonio, matura una aspettativa di diritto sui beni che cadranno in comunione. Per cui potrebbe agire con azione revocatoria per quanto riguarda i beni che sono stati sperperati e che invece dovrebbero essere caduti in comunione.



Amministrazione dei beni che cadono in comunione


Art. 180 - 181 - 182 - 183:


ART. 180: dalla lettura del articolo si ricava questo: poiché l'art.180 2° comma fa riferimento agli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, il 1° comma fa riferimento agli atti di ordinaria amministrazione; quindi quando si parla del tema dell'amministrazione dei beni di comunione noi dobbiamo distinguere tra amministrazione ordinaria, 1° comma, e amministrazione straordinaria. La regola per poter porre in essere atti di amministrazione ordinaria è "tutti gli atti di amministrazione ordinaria possono essere compiuti separatamente dai coniugi", ovvero l'uno all'insaputa dell'altro.

La regola invece è diversa per il compimento di atti eccedenti ordinaria amministrazione e per il compimento atti che consistono nella stipulazione di contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento (locazione .). Il coniuge deve chiedere il consenso dell'altro coniuge per poterlo porre in essere. Per cui tali atti possono essere compiuti congiuntamente dai coniugi.

L'art.180 2° comma va integrato. Infatti l'art. fa riferimento solo ad atti che eccedono l'ordinaria amministrazione e contratti con i quali si concedono o si acquisiscono diritti personali di godimento. Ma se io volessi COSTITUIRE un diritto reale di godimento faccio da solo? La Cassazione ha detto "no". Se io volessi, per esempio, costituire un diritto reale di garanzia devo agire congiuntamente col mio coniuge. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 9909 del 1998. Per cui, secondo la sentenza, l'art. 180 va letto così:

"ci vuole il consenso di entrambi i coniugi non solo quando si tratta di contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, ma anche quando si costituiscono diritti reali di godimento oppure diritti reali di garanzia".

Poi ci sono delle eccezioni al principio indicato dall'art.180 2° comma, e le eccezioni sono 3: esse sono rappresentate dall'art. 181, 182, 183. Se per esempio succede che (art. 181) il coniuge si rifiuta di darmi il consenso per l'articolazione di uno dei casi di cui al 180, 2° comma, cosa succede? L'altro coniuge può rivolgersi al giudice per chiedergli autorizzazione a compiere quell'atto, e il giudice darà autorizzazione solo se il compimento di quell'atto si giustifica nell'interesse della famiglia o dell'azienda che a norma dell'art. 177 d) cade in comunione e questa è l'azienda che è costituita dopo il matrimonio ed è gestita da entrambi i coniugi (l'azienda costituita dopo il matrimonio cade in comunione immediata art 177-d). Allora l'altro coniuge potrebbe anche impedire al coniuge, che cercava di compiere l'atto col consenso congiunto, di porre in essere l'atto in questione. Il coniuge primo allora si può rivolgere al giudice e domandargli di dargli autorizzazione a compiere quell'atto. Se il giudice ritiene necessario quell'atto ai fini dello svolgimento dell'azienda in comunione, oppure ai fini del benessere familiare, può decidere di dare il consenso lui stesso al coniuge.

Un'altra eccezione la troviamo nell'art. 182: l'amministrazione viene affidata ad un coniuge soltanto in casi particolari (in caso di lontananza o di impedimento dell'altro coniuge). Per cui l'altro coniuge può, da solo, compiere gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Se manca una procura da parte di un coniuge, la norma dice che è richiesta previa autorizzazione dal giudice per permettere all'altro coniuge di porre in essere l'atto.

ART. 183: Esclusione di uno dei coniugi dall'amministrazione: se uno dei coniugi è minore, o non può amministrare, o ha mal amministrato, un coniuge può chiedere al giudice di esonerare l'altro coniuge dall'amministrazione. Nel comma 3° dell'art. 183 si fa riferimento all'esclusione di un coniuge dall'amministrazione a causa di interdizione. In tal caso l'esclusione dell'altro coniuge opera di diritto. Per cui, per il semplice fatto che è stata pronunciata una sentenza di interdizione dell'altro coniuge, esso è automaticamente escluso dall'amministrazione dei beni di comunione.

Cosa succede se non vengono rispettate le regole sull'amministrazione della comunione dei beni? Ammettiamo che un coniuge pone in essere un atto o un contratto eccedente l'ordinaria amministrazione senza il consenso del coniuge. Risponde l'art. 184: La norma differenzia beni immobili o mobili registrati e beni mobili non registrati. Il 184 1° comma dice che gli atti compiuti senza il consenso dell'altro coniuge, e da lui non convalidati sono annullabili se però sono beni immobili o mobili elencati nell'art. 2683. Nel caso di beni mobili non registrati (184 comma 3) l'atto non è annullabile. Però o il coniuge ripristina lo stato della comunione ricomprando quell'eventuale oggetto che ha venduto oppure, qualora ciò non sia possibile, reintegra la comunione in danaro in misura del valore del mobile oggetto dell'atto. L'azione di annullamento dell'atto è soggetta ad un termine di prescrizione indicato nel comma 2 dell'art. 184.



Beni personali


Bisogna dire che ci sono dei beni che proprio non cadono in comunione (né comunione semplice né residuale). Art. 179 [vedi art.].

b) i beni che si acquistano per donazione o successione non costituiscono oggetto di comunione, a meno che nell'atto non sia specificato che quei beni debbano entrare in comunione.

c) sui beni strettamente personali.

d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge.

e) [vedi art.]

f) [vedi art.] ovvero: ciò che si è acquistato con i soldi ricavati dalla vendita di un bene personale, o con lo scambio di esso, non cade in comunione, a patto che esso sia espressamente dichiarato nell'atto dell'acquisto. Se l'acquisto riguarda beni immobili, o beni mobili registrati (comma 2°), e si vuole che ciò che io acquisto non cada in comunione (ai sensi dell'art. 179 f) si deve:

1) espressamente dichiarare che lo si sta acquistando con soldi o .. [vedi spiegazione lettera f)]

2) avere la certificazione da parte dell'altro coniuge che i soldi (o il bene) siano ricavati da vendita di oggetto personale.

Tutto ciò vale per le lettere c), d) ed f).


Obbligazioni sulla comunione


Art. 186: obbligazioni che gravano sui beni della comunione. [vedi art. 186]

b) amministrazione (della casa, per esempio).

c)mantenimento della famiglia, istruzione dei figli, etc. etc. Ed inoltre la comunione risponde anche delle obbligazioni contratte separatamente dai coniugi nell'interesse della famiglia (sono di ordinaria amministrazione, perché di straordinaria amministrazione ci vuole l'accordo tra i coniugi, sotto pena di annullabilità). Se anche l'altro coniuge non agisce per l'annullamento , il regime è quello della responsabilità sussidiaria della comunione. La norma (art. 189)mi dice che per le obbligazioni sorte in base al compimento di un atto eccedente l'ordinaria amministrazione, senza il consenso dell'altro coniuge, risponde, onde l'altro coniuge non abbia agito per l'annullamento, prima il patrimonio personale del coniuge, poi, in via sussidiaria, i beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge della comunione. Ma se viene posto in essere un atto di ordinaria amministrazione non nell'interesse della famiglia, da un coniuge soltanto, risponde dell'obbligazione, in primo luogo, il patrimonio personale del coniuge. Se esso non basta allora rispondono, in via sussidiaria, i beni della comunione fino al valore corrispondente alla parte della comunione del coniuge (cioè il 50%).




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