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SET-ASIDE
Le politiche agricole comunitarie penalizzano sempre di più le produzioni
mediterranee a favore di quelle continentali, colpendo le zone più deboli: la
collina e la montagna.
Questa politica è il fr 727c28h utto di scelte che intervengono,
con misure di incentivi, a premiare la rendita improduttiva, favorendo la grande
proprietà speculativa e spingendo i paesi del bacino mediterraneo non
comunitario a produrre per il mercato del nord-Europa a prezzi sempre più bassi,
perché le condizioni di lavoro di queste popolazioni permettono uno sfruttamento
maggiore a vantaggio delle multinazionali, della ricerca e della
commercializzazione che permette loro di realizzare profitti maggiori.
Il problema delle scarse risorse alimentari, che colpisce già fortemente questi
popoli, evidenzia ormai con chiarezza che le politiche agro-alimentari della
Comunità, con l'introduzioni delle quote produttive su quasi tutte le produzioni
agricole, vengono determinate da due parametri: quello della disponibilità
finanziaria dell'Ue e quello dei possibili consumi delle popolazioni ricche.
Occorre aprire una seria verifica con l'Ue perché si chiuda la fase della
politica dei prezzi, introducendo vincoli e misure legate a parametri per la
tutela delle piccole e medie aziende agricole e dei lavoratori, per garantire
produzioni di qualità che tutelino i consumatori.
C'è bisogno di attivare politiche agro-alimentari legando gli incentivi
finanziari alla quantità di lavoro per unità di prodotto, contribuendo a
scoraggiare la rendita parassitaria, a premiare il lavoro, l'impresa produttiva
e le produzioni tipiche mediterranee. Dal quadro della spesa comunitaria, dal
'92 al '96, per i prodotti vegetali, si evince che essa è aumentata di quasi
5.927.000 di ecu, i seminativi di questo aumento hanno assorbito 5.891.000 di
ecu. Per i prodotti animali, negli stessi anni, l'aumento è stato di 1.492.000
ecu, per il comparto della carne bovina di 2.273.000. Da queste cifre emerge la
forte penalizzazione delle produzioni tipiche del sud-Europa, che vedono ridotte
le quote di finanziamento per queste produzioni.
L'aumento della spesa ha favorito quindi le produzioni del nord-Europa,
contribuendo di fatto all'abbandono dell'attività agricola da parte di centinaia
di migliaia di lavoratori, aumentando così in queste aree il già elevato numero
di disoccupati.
Perché si verifichi un'inversione di tendenza, è necessario che gli aiuti
comunitari alla produzione agricola siano erogati in relazione alle giornate
effettivamente svolte dal lavoro dipendente e da quello autonomo, con la
certificazione ed il controllo dell'avvenuto rispetto dei contratti nazionali e
dei versamenti dei contributi.
Il governo italiano deve attivarsi affinché l'Unione europea si doti di una
capacità di ricerca alternativa a quella delle multinazionali, con progetti
legati al territorio ed alla valorizzazione delle colture eco-compatibili, con
produzioni che salvaguardino i consumatori. Per il latte, i cereali, la carne e
la bieticoltura, è necessario che vengano rideterminati in sede europea le
politiche delle quote di produzione. Il sud-Italia è diventato un campionario di
contraddizioni dovuto alle molte miopie della politica agricola europea.
Per tanti produttori è difficile trovare appezzamenti di terreno da affittare:
il set-aside, l'incentivo per la messa a riposo dei terreni, consente al
proprietario un vantaggio economico così elevato da far diventare poco
conveniente la locazione. Per avere diritto al premio del set-aside non è
obbligatorio essere coltivatori diretti ed ecco che quello che doveva essere un
metodo per evitare l'eccesso di produzione ed eventualmente permettere il
recupero ambientale dei terreni, si traduce in una nuova rendita improduttiva
per i grandi proprietari.
Un Paese come il nostro non si può permettere di mandare allo sfascio il settore
primario con le sue infinite ricchezze.
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