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PARTE QUARTA: L'ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
CAPITOLO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
SEZIONE : PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
La Costituzione dedica numerosi articoli alla Pubblica Amministrazione ma i più importanti sono il 97 e il 98 nel titolo riservato al Governo, con l'intenzione di comprendere l'amministrazione nell'attività esecutiva in senso lato: essa non può essere intesa come un corpo separato nell'ambito dell'organizzazione statale, poiché, attraverso di essa, si concretano le finalità dello Stato.
Definizione: in senso oggettivo, la pubblica amministrazione è l'attività svolta dagli organi della p.a. per provvedere alla cura degli interessi concreti ad essi affidati attraverso gli strumenti del diritto pubblico. In senso soggettivo invece, la pubblica Amministrazione è costituita dal complesso di organi ed enti che esercitano l'attività amministrativa appena definita.
Art.97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge (a), in modo che siano assicurati il buon andamento (b) e l'imparzialità dell'amministrazione (c).
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
F a) riserva di legge nell'organizzazione dei pubblici uffici: si tratta di riserva relativa, ammettendo l'esigenza di consentire a fonti di grado secondario di disciplinare l'organizzazione di dettaglio dei pubblici uffici. Subordinando l'organizzazione amministrativa al Parlamento, si riconduce la p.a. alla volontà popolare.
F b) principio del buona andamento della p.a.: il concetto di buona amministrazione mira ad assicurare l'efficienza, la rapidità, la correttezza, la congruità dell'azione amministrativa in riferimento ai fini di interesse pubblico che con essa devono essere perseguiti.
F c) imparzialità della p.a.: l'intendimento del costituente era non nel senso di non essere parte (la sua posizione parziale nei rapporti giuridici dovrebbe essere la regola), quanto nel significato di garantire l'indipendenza della p.a. da influenze politiche, nel duplice senso, attivo e passivo. L'imparzialità si concreta nel dovere di usare parità di trattamento per tutte le situazioni.
Art.98 Cost.: i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.
Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero.
SEZIONE : L'ATTIVITA' AMMINISTRATIVA:
Funzione amministrativa: la funzione amministrativa, che consiste nel perseguimento degli scopi di pubblico interesse che l'ordinamento assegna all'apparato amministrativo, è caratterizzata dalla concretezza e dalla variabilità nel corso del tempo. L'attività amministrativa si presenta complementare all'attività normativa, trasformando il precetto astratto in imperativo concreto.
Soggetti amministrativi pubblici: la p.a. comprende tutti i soggetti pubblici, competenti a porre in essere attività ammin.; il più importante di essi è lo Stato, per gli altri c'è incertezza classificatoria.
La p.a. può compiere attività di diritto privato ed attività di diritto pubblico. La prima deriva dal fatto che le persone giuridiche godono della stessa capacità giuridica delle persone fisiche, sicché esse possono compiere tutte le attività che rientrino nella capacità di queste ultime e che siano compatibili con la peculiare natura delle persone giuridiche. L'attività di diritto pubblico della p.a. si realizza nella generalità dei casi mediante atti amministrativi, che vengono considerati nel complesso 313b18d degli atti dei pubblici poteri, per sottolineare il carattere di espressione della amministrazione autoritativa che ad esso compete quando assume la veste di provvedimento, conseguendo il massimo di forza giuridica.
Elementi essenziali dell'atto amministrativo: gli elementi di cui si compone un atto amministrativo possono essere essenziali o eventuali. Elementi essenziali di ogni atto amministrativo sono:
il soggetto: deve essere, di regola, un organo della p.a., competente ad adottare l'atto;
l'oggetto: è il termine passivo nei cui confronti opera la vicenda giuridica cui l'atto rivolge i propri effetti (ad esempio il terreno espropriato, il pubblico impiegato promosso..);
il contenuto: è quanto l'atto dispone. Il contenuto necessario corrisponde alla finalità concreta perseguita, ma accanto a questo può ammettersi un contenuto eventuale (ad esempio clausole);
la causa: consiste nella funzione istituzionale che con l'atto si persegue o anche nello scopo tipico dell'atto. Accanto ad essa si collocano i motivi;
la forma (talora): non con finalità probatorie o di validità, bensì elemento essenziale in quanto esternazione dell'amministrazione. Solitamente è la forma scritta.
Elementi eventuali dell'atto amministrativo: essi vengono considerati clausole accessorie:
la condizione: è l'avvenimento futuro e incerto al cui verificarsi è subordinato l'inizio (condizione sospensiva) o la cessazione dell'efficacia dell'atto (condizione risolutiva);
il termine: è il momento a partire dal quale, o fino al quale, l'atto ha efficacia;
il modo: è l'onere cui può essere assoggettato il destinatario (beneficiario) dell'atto.
Il silenzio della p.a.: in diritto amministrativo il silenzio viene considerato, più spesso, come silenzio-rifiuto, e, più raramente, come silenzio-accoglimento.
Procedimento amministrativo: esso si compone di tre fasi che godono di relativa autonomia e spesso sono attribuite ad organi diversi. La prima fase è la fase preparatoria, nella quale si avvia il procedimento, si compiono le eventuali operazioni necessarie, si acquisiscono pareri, ecc..; la seconda è la fase costitutiva (talora definita essenziale), nella quale sulla base dell'accertamento e della valutazione dei presupposti viene emanato l'atto che esprime la statuizione dell'autorità amministrativa. Segue, infine, la fase integrativa dell'efficacia, nella quale si acquisiscono quegli ulteriori elementi che sono necessari perché l'atto possa produrre l'effetto giuridico che gli è proprio. L'atto è perfetto a conclusione della fase costitutiva, per essere efficace deve completarsi la fase integrativa dell'efficacia. L'amministrazione ha inoltre il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso,entro un termine certo, che se non è altrimenti fissato è di 30 giorni.
Invalidità dell'atto: l'invalidità dell'atto può consistere nella sua difformità da una norma (vizio di legittimità), oppure da un regola di buona amministrazione o di opportunità amministrativa (vizio di merito). I vizi di legittimità possono comportare la nullità o l'annullabilità dell'atto, i vizi di merito soltanto la annullabilità e nei soli casi previsti dalla legge.
Nullità dell'atto amministrativo: un atto amm. È nullo quando in esso manca un elemento essenziale; se contrario a norme imperative di legge, non è nullo ma soltanto annullabile per violazione di legge. Cause di nullità dell'atto amministrativo:
a) mancanza del soggetto: quando un atto non è stato posto in essere da un organo della p.a. oppure è stato emanato sì da una pubblica autorità, ma assolutamente incompetente;
b) mancanza dell'oggetto: quando non esiste il bene o il rapporto che l'atto contempla, tanto materialmente quanto giuridicamente;
c) mancanza della forma: quanto manca del tutto qualsiasi tipo di esternazione.
Annullabilità dell'atto amministrativo: l'atto amm. è invalido e annullabile quando viziato da:
incompetenza: quando l'autorità che ha emanato l'atto non ne aveva la legittima potestà o per ragioni di materia, o di territorio, o di grado;
violazione di legge: quando si registra una violazione di una disposizione normativa cui l'amministrazione doveva invece attenersi;
eccesso di potere: le più rilevanti figure sintomatiche di eccesso di potere possono indicarsi nella insufficiente o incongrua motivazione, nell'ingiustizia grave e manifesta, nella disparità di trattamento, nella contraddittorietà fra provvedimenti dell'amministrazione, nel travisamento o nell'erronea rappresentazione dei fatti, nella illogicità dei criteri di valutazione.
Annullabilità dell'atto viziato nel merito: l'atto viziato nel merito può essere annullato e revocato, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Sanatoria degli atti amministrativi invalidi: l'atto amministrativo nullo non produce effetti validi e la nullità tanto dell'atto quanto dei suoi effetti può essere fatta valere in qualunque tempo. L'atto viziato, invece, deve essere impugnato entro termini perentori, a pena di divenire inoppugnabile, consolidandosi dunque, nonostante i suoi vizi e salva sempre la facoltà di autotutela della amministrazione. La sanatoria può riguardare solo i vizi di legittimità, posto la difficoltà logica di sanare vizi di merito. Può avvenire mediante convalida, cioè rimozione da parte della stessa autorità che ha adottato l'atto, di quei difetti di legittimità che viziavano l'atto, mediante ratifica dell'organo competente, oppure mediante conversione in forza della quale si attribuiscono all'atto invalido gli effetti di altro atto del quale possiede i requisiti.
SEZIONE : I RICORSI AMMINISTRATIVI:
Se l'atto viziato viola situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela, può essere impugnato, per farne valere la nullità o l'annullabilità, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale. Quanto ai ricorsi in via giurisdizionali, la relativa cognizione è rimessa a giudici speciali (vedi pag. 37). I procedimenti in via amministrativa sono caratterizzati dall'essere rimessi alla stessa amministrazione che, appunto, attraverso un riesame del provvedimento oggetto del ricorso, ne decide il mantenimento (respingendo il ricorso)o l'annullamento (accogliendo il ricorso).
ricorso in opposizione: è diretto alla stessa autorità che ha emanato l'atto, solo nei casi espressamente previsti dalla legge. E' sempre facoltativo ed è considerato strumento di collaborazione del privato per ottenere la rettifica del provvedimento verso cui è preposto.
ricorso gerarchico: è rimedio a carattere generale avverso gli atti emanati da un'autorità amministrativa, che non siano definitivi e si pretendano lesivi di un diritto o di un interesse, per motivi di legittimità o di merito. Deve esistere un rapporto di sovra e sotto ordinazione tra l'organo al quale viene presentato il ricorso e l'organo che ha emanato l'atto. Il ricorso gerarchico può essere inoltre proposto "in un'unica istanza", cioè una sola volta.
L'organo decidente sovraordinato, esaurita l'istruttoria, può: a) dichiarare il ricorso inammissibile se non poteva essere proposto; b) respingere il ricorso se lo riconosce infondato; c) accogliere il ricorso per motivi di legittimità o di merito, annullando o riformando l'atto, salvo il rinvio dell'affare all'organo che lo ha emanato. La decisione deve essere motivata e comunicata all'organo che ha emanato l'atto, al ricorrente e agli altri interessati.
In talune ipotesi, previste tassativamente dalla legge, è ammesso ricorso contro atti di autorità che non hanno un superiore gerarchico (secondo il d.p.r. 1199/71, verso gli atti amministrativi di ministri, di enti pubblici, di organi collegiali).
ricorso straordinario al presidente della Repubblica: il ricorso al capo dello Stato è ammesso soltanto contro gli atti amministrativi definitivi. Può essere proposto per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi ma soltanto per motivi di legittimità, con l'esclusione di censure di merito. Il ricorso straordinario è alternativo al ricorso giurisdizionale, sicché chi lo abbia proposto non può, anche se ancora in termini, proporre ricorso al TAR avverso lo stesso provvedimento.
Il ricorso straordinario deve essere presentato presso il Ministero competente per materia o presso l'autorità amministrativa che ha emanato l'atto impugnato. Il ministero competente deve poi trasmettere il ricorso al Consiglio di Stato per il previsto parere, che nei confronti del capo dello Stato è "relativamente vincolante": è vincolante cioè fino a che non intervenga una dichiarazione difforme del Consiglio dei Ministri. La decisione è assunta con decreto del presidente della Repubblica, controfirmato dal Ministero proponente e, se vi è stata deliberazione del Consiglio dei Ministri, anche del presidente del Consiglio.
PARTE QUINTA: LE AUTONOMIE LOCALI. LE REGIONI
CAPITOLO 1: LE AUTONOMIE LOCALI NELLA COSTITUZIONE:
La prospettiva regionale: dopo le tendenze federaliste postunitarie, i provvedimenti fascisti contro le autonomie infrastatali, coloro che prepararono il nuovo ordinamento democratico e poi la nuova Costituzione guardarono alle autonomie locali, alla loro rinascita e al loro potenziamento, come uno dei punti fermi del nuovo Stato, libero e fondato sulla partecipazione popolare.
Senza dubbio il rilievo concesso a tali autonomie era anche legato alle aspirazioni di una civiltà contadina che stava per subire,in quegli anni,il più forte ridimensionamento degli ultimi secoli e che concepiva la contrapposizione, e non la necessaria collaborazione,tra potere centrale e potere locale. Tuttavia alla fine della guerra e nel periodo di preparazione della nuova Costituzione, era ben chiara agli osservatori più attenti la necessità di ridare vigore alle pubbliche istituzioni con una ripresa di efficienza e di velocità della pubblica Amministrazione. Era necessario cercare di trovare un corretto punto di equilibrio tra le esigenze dello Stato e dell'Amministrazione centrale e quelle delle autonomie locali, spesso eccessivamente frammentate, anche in prospettiva di programmazione economica: la dimensione regionale divenne così la dimensione ottimale della nuova organizzazione amministrativa. La "Commissione Forti" condusse tra il 1945 e il 1946 una serie di studi importanti sulla riorganizzazione dello Stato.
Motivazioni importanti, che prevalsero, favorevoli alle autonomie locali, furono il valore dell'auto governo ("Non si tratta solo di portare il governo alla porta degli amministrati, con un decentramento burocratico e amminisrtativo.si tratta di porre gli amministrati nel governo di sé medesimi"), e il tema della crescita delle libertà ("Senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo spirito della libertà").
In conclusione, l'Assemblea costituente adottò una disposizione a carattere generale, inserita tra i principi fondamentali (art.5) con l'esplicito riconoscimento delle autonomie locali, e dedicò il titolo V della parte II agli enti locali territoriali, introducendo nel nostro ordinamento, accanto ai Comuni e alle Province, le Regioni, quali enti autonomi dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione. La norma chiave è:
Art.5: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; si attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
Il pluralismo giuridico non deve comunque trasformarsi in separazione politica. Qualunque iniziativa assunta nel campo delle autonomie locali dovrà essere valutata alla stregua di questo limite e sarà conforme a Costituzione solo se non comprometterà l'unità e indivisibilità della Repubblica. Altri principi importanti sono dettati dagli artt 119 ("autonomia finanz."),115,116,128.
Ordinamenti degli enti locali: in generale, le autonomie locali hanno la possibilità di creare diritto non solo nell'ambito dell'ordinamento statale, ma dando vita ad ordinamenti particolari ricompresi nell'ordinamento generale. Sicuramente la Regione ha comunque un'autonomia più ampia, perché nella creazione del suo ordinamento incontra solo i limiti direttamente o indirettamente derivanti dalla Costituzione, mentre i Comuni e le Province devono contenersi, in più, nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica. Tanto le Regioni quanto i Comuni e le Province hanno però titolo a creare un proprio ordinamento giuridico, derivato da quello statale, e nel quale entrano, in un incontro talora non semplice, norme statali e norme poste dall'ente locale in una articolazione di competenze che trova nella Costituzione il suo punto di riferimento, la sua giustificazione e anche i criteri per il superamento delle possibili antinomie.
Autonomia politica degli enti locali:tale autonomia consiste nel potere di darsi un indirizzo politico.
A livello di comunità più ristrette dello Stato, quali Regioni, Province, Comuni, costituzionalmente disciplinate e garantite, può ammettersi l'esistenza di un indirizzo variamente circoscritto, ma pur sempre suscettibile di uniformarsi a valutazioni politiche e che potrà essere definito secondario o minore, o politico-amministrativo, ma che comunque non può essere negato o contestato, quando resti nei limiti indicati da Costituzione. Si rileva anzi posizione di reciprocità tra Stato e Regione, poiché non solo lo Stato può contrastare le scelte regionali che superino i limiti costituzionali, ma anche la Regione può opporsi a quegli atti statali che invadano la sua sfera di competenza.
Tale attività politica della Regione con cui essa può darsi un indirizzo politico non è originaria come quella statale, ma derivata ed appunto per ciò la si definisce autonoma. Analogamente può parlarsi di autonomia politico-amministrativa per gli enti locali subregionali.
Né questo, di per sé, compromette l'unità statale o incrina il principio dell'indivisibilità della Repubblica, perché l'autonomia politico-organizzativa tanto delle Regioni quanto degli enti locali infraregionali deve contenersi nei limiti stabiliti dall'ordinamento e vi sono strumenti idonei per garantire il rispetto di tali limiti.
CAPITOLO 2: LA REGIONE:
SEZIONE : PROBLEMI GENERALI. L'ISTITUZIONE DELLE REGIONI.
Art. 115 Cost.: le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Distinzioni tra Regioni: la Costituzione differenzia dalle Regioni ad autonomia ordinaria cinque Regioni alle quali, secondo l'art.116, sono attribuite "forme e condizioni particolari di autonomia" (ovvero dove più forte è il problema delle minoranze linguistiche: Sicilia, Sardegna, Trentino - Alto Adige, , Valle d'Aosta, istituite nel 1948, e Friuli - Venezia Giulia, istituita nel 1963). Gli statuti speciali sono considerati atti dello Stato e non della Regione, e tali Regioni non godono quindi di potestà statutaria, ma d'altra parte esse godono di più ampi poteri proprio in forza degli statuti che, essendo leggi costituzionali dello Stato, ben possono derogare alle prescrizioni generali in materia di regioni fissate dalla Costituzione.
Evoluzione storica: dopo numerose peripezie i consigli regionali furono effettivamente eletti solo il 7-8 giugno 1970, i decreti delegati, per il trasferimento da parte del Governo delle funzioni amministrativi, furono emanati nel gennaio 1972 e il concreto esercizio di tali funzioni iniziò il 1° aprile 1972. Più volte, e in ultimo nel 1998, sono stati innovati i trasferimenti delle materie e la loro distribuzione tra regioni ed enti locali infraregionali. I blocchi di materie trasferite sono stati identificati nello sviluppo economico e attività produttive; nel territorio, ambiente e infrastrutture; nei servizi alla persona e alla comunità e nella polizia amministrativa e regime autorizzatorio.
Più di recente è stata istituito un organismo denominato Conferenza Stato-Regioni.
SEZIONE : GLI STATUTI REGIONALI:
L'organizzazione regionale è delineata nei suoi aspetti essenziali dalla Costituzione ma la stessa Costituzione attribuisce alle sole Regioni ad autonomia ordinaria la potestà statutaria, nell'art.123, affidando la competenza a regolare l'organizzazione interna delle Regioni ad appositi statuti.
Secondo l'art. 123 Cost., ogni statuto ordinario è deliberato dal Consiglio regionale (entro 120 giorni dalla prima convocazione) a maggioranza assoluta dei suoi componenti ed è approvato con legge della Repubblica. Il Consiglio regionale trasmette lo statuto deliberato al presidente del Consiglio dei ministri, il quale provvede a presentarlo entro 15 giorni al Parlamento.
Imputazione dello statuto: lo statuto, nonostante la successiva approvazione statale, è e resta atto della Regione e va attribuito alla sola volontà regionale.
Lo statuto nel sistema delle fonti: si è spesso sostenuto che lo statuto vada considerato in posizione sovraordinato alla legge regionale; tuttavia deve comunque escludersi che il legislatore regionale debba sottostare, per obbligo giuridico, alle indicazioni programmatiche degli statuti.
Contenuto degli statuti regionali: ai sensi del solito art. 123 Cost. lo statuto, "in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica stabilisce le norme relative all'organizzazione interna della Regione". Inoltre "lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali". Apparentemente lo spazio che concretamente residua agli statuti è piuttosto modesto, si è così pensato di interpretare in modo più ampio il riferimento all'organizzazione interna regionale.
L' "armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica" non deve essere considerata limite degli statuti, o semplice e piatta conformità. Essa esprime infatti l'esigenza di un collegamento logico con il sistema generale che, proprio per essere unitario, non potrebbe tollerare contrapposizioni organizzative così rilevanti da compromettere il quadro logico dell'ordinamento.
Revisione degli statuti: la revisione degli statuti si opera mediante legge costituzionale per le Regioni ad autonomia speciale e mediante procedimento identico all'adozione di testi statutari per le Regioni ordinarie. La deliberazione di revisione statutaria dovrà essere adottata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta e sottoposta ad approvazione da fare con legge della Repubblica.
SEZIONE : GLI ORGANI DELLE REGIONI:
La stessa Costituzione, all'art.121, indica quali organi della Regione il Consiglio regionale, la giunta e il suo presidente, definibili organi necessari alla Regione e organi istituzionali, cioè organi che corrispondono alla struttura organizzativa fondamentale dell'ente. Per la maggior parte la materia dell'organizzazione dei massimi organi regionali è comunque da ritenersi rimessa all'autonomia statuaria di ogni Regione, ovvero a statuti regionali e a regolamenti interni.
IL CONSIGLIO REGIONALE.
Il Consiglio regionale è rappresentante in via diretta della volontà popolare ed ha importanti poteri di decisione. Alcuni principi riguardo alla sua organizzazione sono dettati dalla Cost., ma la maggior parte dalla legge statale: il numero di consiglieri regionali è compreso tra 30 e 80; sono eleggibili e elettori sostanzialmente tutti i maggiorenni; il sistema elettorale regionale combina sistema maggioritario e proporzionale; i Consigli regionali durano in carica 5 anni.
Come per i parlamentari, esistono diverse cause di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri regionali, che non sono tenuti a giurare, godono di insindacabilità per gli atti compiuti nell'esercizio delle loro funzioni, rappresentano l'intera Regione e godono di un'indennità di carica. I consiglieri regionali sono proclamati eletti dal presidente dell'ufficio centrale circoscrizionale: tale elezione deve però essere convalidata dallo stesso Consiglio regionale che incarica un'apposita Commissione di scovare eventuali cause di ineleggibilità.
Secondo l'art. 122 Cost., il Consiglio regionale "elegge in suo seno un presidente e un ufficio di presidenza per i propri lavori". Il presidente viene eletto a scrutinio segreto, talora con particolari maggioranze; l'ufficio di presidenza, eletto dal Consiglio, si compone del presidente, dei vice presidenti, dei segretari. Altri organi spesso specificati dagli statuti sono i gruppi consiliari, la conferenza dei capigruppo, le commissioni consiliari (con il compito di esaminare preliminarmente i progetti di legge e le altre deliberazioni consiliari, non dotate di competenza deliberante).
Attribuzioni del Consiglio regionale: secondo Costituzione, il Consiglio regionale "esercita le potestà legislative e regolamentari attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi". Inoltre "può fare proposte di legge alle Camere".
Appare dunque evidente che il Consiglio è il massimo organo deliberativo della Regione.
Le norme sul funzionamento dei Consigli regionali sono contenute negli statuti che rinviano a loro volta ai regolamenti consiliari. Spesso i lavori consiliari vengono divisi in sessioni e programmati.
LA GIUNTA REGIONALE E IL SUO PRESIDENTE.
Composizione: La Giunta regionale, organo esecutivo della Regione, viene eletta dal consiglio regionale tra i suoi componenti, solitamente a scrutinio palese per appello nominale. Tra Consiglio regionale e Giunta si instaura un rapporto fiduciario simile a quello Parlamento - Governo. La Giunta compone del presidente, che "rappresenta la Regione", e dei membri della Giunta, spesso definiti "assessori". Il numero di assessori è fissato dagli statuti; quando essi agiscono come componenti della Giunta, non godono dell'immunità di cui godono i consiglieri regionali.
Compiti: compiti principali attribuiti alla Giunta sono quelli di attuare i programmi approvati dal Consiglio regionale, conformarsi agli indirizzi politici e amministrativi deliberati dal Consiglio, proporre al Consiglio regionale i provvedimenti da valutare ed eventualmente deliberare.
La Giunta regionale ha l'iniziativa delle leggi regionali e degli altri atti normativi la cui adozione spetta al Consiglio. Spetta anche alla Giunta deliberare di ricorrere alla Corte Costituzionale.
Bisogna escludere invece che la Giunta regionale possa adottare in via d'urgenza, in mancanza di disposizioni statutarie che lo consentano, deliberazioni o atti di competenza del Consiglio.
Posizione del presidente: per espressa disposizione costituzionale spetta al presidente rappresentare la Regione; promulgare le leggi e i regolamenti; dirigere le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale. La sua posizione è simile a quella del presidente del Consiglio dei ministri per il compito di dirigere e coordinare l'attività della Giunta e di mantenere l'unità di indirizzo della Giunta medesima. Il presidente può essere coadiuvato da un vice presidente che lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento.
Principio della collegialità: si ritiene che sia necessario privilegiare ed evidenziare l'attività della Giunta con limitazione dell'attività individuale dei suoi componenti. In pratica, il principio risulta spesso disatteso con notevole incremento delle attività individuali degli assessori.
LA FUNZIONE LEGISLATIVA.
La funzione legislativa è la competenza di porre norme costitutive di diritto obiettivo e poste in posizione equiordinata con la legge statale ordinaria (non così per gli altri enti locali).
Esistono diversi tipi di legislazione regionale: a)legislazione esclusiva, compete alle sole Regioni ad autonomia speciale ed "esclude" la competenza statale; b) legislazione concorrente, compete a tutte le Regioni e comporta concorso di norme statali e regionali, su una data materia; c) legislazione integrativa o di attuazione, compete a tutte le Regioni.
Le leggi regionali possono sottostare a limiti di legittimità o di merito. Limiti di legittimità:
limite costituzionale: le Regioni non possono porre disposizioni contrastanti con la Costituzione;
limite territoriale: le Regioni non possono adottare disposizioni legislative destinate a valere oltre il proprio territorio;
limite dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato
limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica: per la necessità di omogeneità dell'indirizzo generale economico-sociale dello Stato;
limite degli obblighi internazionali dello Stato: è un'esigenza derivante direttamente dal carattere unitario del nostro Stato. Le Regioni non hanno competenza in politica estera;
limite delle materie: le regioni possono legiferare attenendosi alle enumerazioni (tassative) delle materie di competenza legislativa regionale;
limite dei principi fondamentali della legislazione statale: tale limite vale solo per la legislazione regionale concorrente. La soluzione migliore sarebbe stata richiedere leggi-cornice.
Limiti di merito: le norme legislative regionali non devono essere in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni. In caso di controversie, se il limite è di legittimità, la competenza è attribuita alla Corte Costituzionale, se il limite è di merito la competenza è invece attribuita alle Camere.
Procedimento di formazione delle leggi regionali: le leggi regionali sono deliberate dal Consiglio regionale. Le procedure sono disciplinate da statuti e regolamenti interni, e sono ispirate alle procedure di approvazione delle leggi del Parlamento. E' previsto l'esame da parte di commissioni permanenti del Consiglio con competenza referente e al controllo, di legittimità e di merito, del Governo nazionale, attraverso il visto del Commissario del Governo. Se il Governo ritiene che la legge ecceda la competenza o incontri dei limiti, può "rinviare" la legge al Consiglio regionale.
Il Consiglio regionale può modificare la legge o riapprovarla nello stesso testo: il Governo potrà in questo caso promuovere la questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale o alle Camere.
Posizione della legge regionale: la legge regionale è dunque equiparata alla legge statale, nel senso che anche la legge statale deve cedere alla legge regionale, quando quest'ultima disciplini una materia attribuita alla legislazione regionale. Nell'incontro sulla stessa materia, la prevalenza dovrà essere riconosciuta alla fonte competente, statale o regionale che sia.
LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA.
Criterio del parallelismo delle funzioni: la Regione ha competenza amministrativa negli stessi settori nei quali le è attribuita competenza legislativa, ma non viceversa (art.118 Cost.).
Le leggi della Repubblica possono anche attribuire, in tali settori, le competenze amministrative di interesse esclusivamente locale alle province, ai comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può anche, con legge, delegare alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative.
Trasferimento delle funzioni: l'art.17 della l.1970,n.271, ha delegato il Governo ad emanare 11 decreti legislativi per regolare il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alla Regione dall'art.117 Cost. e del relativo personale dipendente dallo Stato. Con la l.22 luglio 1975, n.382 è stata conferita al Governo una nuova delega e con il d.p.r. 24 luglio 1977 si è completato il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni.
Dopo la l.15/3/97, n.59 e il decreto lgs.31/3/98,n.112, il conferimento delle funzioni, comprendente le funzioni di organizzazione e le attività connesse, è operato in blocco alle Regioni le quali poi debbono provvedere entro sei mesi a conferire agli enti locali subregionali le funzioni amministrative che non richiedono il loro unitario esercizio a livello regionale.
Ai sensi dell'art.118 Cost., le Regioni dovrebbero delegare agli enti subregionali l'amministrazione, mantenendo prevalenti compiti legislativi, di programmazione e di indirizzo dell'attività amministrativa. In realtà il quadro dell'amministrazione è molto accentrato e nelle stesse materie resta riservata allo Stato la funzione di indirizzo e di coordinamento per esigenze di unitarietà, così come le leggi cornice statali delimitano la legislazione regionale.
Controllo sugli atti amministrativi regionali: il controllo di legittimità e talora anche di merito dei regolamenti di competenza del Consiglio regionale viene esercitato da una Commissione statale sedente nel capoluogo regionale, che può annullare l'atto, prevista dall'art.125 Cost.
I RAPPORTI DELLA REGIONE CON GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI.
Principio di sussidiarietà: il trasferimento di funzioni sia da Stato a Regioni sia da Regioni a altri enti locali si è ispirato al principio di sussidiarietà, attribuendo cioè le funzioni in discorso all'autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini, con esclusione delle sole funzioni che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale. Il conferimento di compiti e funzioni agli enti locali è stato effettuato con legge regionale, antecedente il 30 settembre 1998, con la quale la Regione ha attribuito agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti.
Controllo sugli atti degli enti locali. Ai sensi dell'art.130 Cost., spetta alla regione esercitare il controllo di legittimità e di merito sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali, attraverso un Comitato regionale di controllo.
SEZIONE : L'AUTONOMIA FINANZIARIA REGIONALE.
La limitatezza di adeguati mezzi finanziari a disposizione delle Regioni è stata una delle cause del ritardato decollo dell'ordinamento regionale.
Autonomia finanziaria delle regioni: secondo l'art.119 Cost., alla Regione sono assegnati:
a) tributi propri e quote di tributi erariali in relazione ai bisogni regionali per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali, comunque troppo bassi per le esigenze regionali. Alle Regioni viene in pratica impedita la potestà impositiva regionale, potendo soltanto determinare aliquote di tributi già disciplinati dal legislatore italiano.
b) contributi speciali per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Sud.
c) un demanio (che comprende i beni indicati dall'art.822 c.c., e che godono di inalienabilità, incommerciabilità, imprescrittibilità) e un patrimonio regionale (che comprende gli altri beni appartenenti alla regione).
Secondo la l.158/1990 i tributi erariali del punto a) vengono accorpati in un fondo comune distribuito proporzionalmente alle regioni, e in un altro fondo sono raggruppati trasferimenti dallo Stato per gli investimenti. L'autonomia finanziaria è garantita anche dalla possibilità di ricorrere all'indebitamento. La l..281/1970 prevede inoltre l'istituzione di un fondo diretto al finanziamento dei programmi regionali di sviluppo, composto di una quota variabile e di una fissa, e di un fondo sanitario nazionale, con la finalità di garantire i livelli sanitari in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ogni Regione adotta con legge, ogni anno, un bilancio annuale e un bilancio pluriennale, seguendo i principi fondamentali e le norme in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni fissati dalla l.19 maggio 1976, n.335.
SEZIONE : I CONTROLLI SULLE REGIONI.
Organi di controllo: il controllo dello Stato sugli organi e sulle attività regionali costituisce lo strumento per garantire il rispetto delle esigenze unitarie e del quadro costituzionale complessivo.
Gli organi statali cui compete esercitare il controllo sull'attività e sugli organi delle regioni sono:
il Governo della repubblica: ad esso compete il controllo di legittimità e di merito sulle leggi regionali, nonché il controllo sugli organi regionali.
il Commissario del Governo nella Regione: soprintende alle funzioni amministrative esercitate dallo stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione. Raccorda lo Stato e le Regioni, vistando le leggi regionali o rifiutando il visto, rinviando le leggi al Consiglio.
la Commissione statale di controllo: vedi pag.51
la Commissione interparlamentare per le questioni regionali : interviene nel procedimento di controllo per l'eventuale scioglimento del Consiglio, formula proposte al Governo per la concessione di contributi speciali alle Regioni e fornisce pareri di merito.
Controllo sugli organi regionali: il controllo su presidente della Giunta, Giunta e Consiglio è esercitato dal Governo nei seguenti casi: A) sulla Giunta e/o sul suo presidente quando compiano atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, invitando il Consiglio a sostituire la Giunta o il presidente; B) sul Consiglio regionale qualora questo organo: a) compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge; b) non corrisponda all'invito del Governo di sostituire la Giunta o il presidente; c) non sia in grado di funzionare, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza; d) per ragioni di sicurezza nazionale. La sanzione è lo scioglimento del Consiglio stesso.
Scioglimento automatico: la durata del Consiglio regionale è ridotta a un biennio se nel corso di ventiquattro mesi il rapporto fiduciario tra Consiglio e Giunta è comunque posto in crisi. Non sarà comunque difficile al Consiglio dissenziente porre in difficoltà la Giunta senza porre formalmente in crisi il rapporto fiduciario, evitando così la sanzione dello scioglimento anticipato.
CAPITOLO 3: GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI:
l'Art.5 Cost. afferma che la Repubblica "riconosce e promuove le autonomie locali", riferendosi a Province e Comuni. La legge fissa poi i principi all'interno dei quali si esplica l'autonomia comunale e provinciale, impedendo così anche interferenze delle Regioni.
Organi del Comune: gli organi di governo del Comune sono il sindaco, la giunta municipale e il Consiglio comunale. Il Consiglio dura in carica quattro anni ed è composto dal sindaco e dai consiglieri; la Giunta comunale è composto dagli assessori nominati dal sindaco. Le cariche di consigliere e assessore sono incompatibili. Tra il sindaco e il Consiglio si instaura una sorte di rapporto fiduciario
Competenze degli organi del Comune: il sindaco, "ufficiale del Governo", ha importanti compiti di responsabilità e di supervisione, di sicurezza e ordina pubblico, di polizia e di sanità. La giunta collabora con il sindaco nell'amministrazione del Comune. Il Consiglio, organo di indirizzo e di controllo politico- amministrativo, decide riguardo gli "atti fondamentali del comune".
Funzioni del Comune: spettano al Comune tutte le funzioni amministrative ce riguardino la popolazione e il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico. Gestisce inoltre i servizi elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica e di leva militare. Sono previste diverse forme di gestione da parte del Comune.
La Provincia: la Provincia è l'ente locale intermedio tra Comuni e Regione. Essa comprende il territorio di più comuni, ma la sua rilevanza operativa è assai inferiore a quella dei Comuni.
Gli organi istituzionali della provincia sono il presidente, la Giunta, il Consiglio provinciale.
Competono alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale in settori determinati e rilevanti. Le spettano inoltre importanti compiti di programmazione e la predisposizione e l'adozione del piano territoriale di coordinamento.
Nelle nove "aree metropolitane" la Provincia si configura come autorità metropolitana ed assume la denominazione di "città metropolitana". Le funzioni di questa città metropolitana sono anche più ampie di quelle attribuite alla Provincia.
Controlli sui comuni e sulle Province: il controllo di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali è esercitato, come detto a pag.51, dal Comitato di controllo. Riguardo il controllo sugli organi degli enti locali, i Consigli comunali e provinciali possono essere sciolti con decreto del presidente della repubblica, su proposta del ministro dell'interno; i controlli "atipici" (autorizzazioni, approvazioni, visti e simili) sono invece a competenza prevalentemente regionale, senza escludere quella statale.
Altri enti locali infraregionali: tra i numerosi enti locali infraregionali possono essere ricordati i consorzi e le comunità montane, che hanno personalità giuridica, e le esperienze comprensoriali.
Il tema delle libertà si collega a una lunga lotta per la loro conquista e per l'affermazione di un'importante posizione del singolo e delle formazioni sociali nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale, durata centinaia di anni. Bisogna considerare le libertà come diritti, con tutto ciò di positivo che questo implica, ma anche e soprattutto come elementi di partecipazione e non di contrapposizione, proprio per superare una concezione dello Stato costituzionale valida agli inizi dell'Ottocento, ma ormai logorata.
Classificazione dei diritti pubblici soggettivi: secondo lo Jellinek, i diritti pubblici soggettivi sono le pretese giuridiche che derivano dai rapporti tra cittadini e Stato.
F Status subiectionis: indica la mancanza di diritti pubblici soggettivi, e la soggezione totale degli individui (qualificati appunto "sudditi") al potere sovrano.
F Status libertatis (status negativo): al sorgere del regime costituzionale, si afferma la garanzia di sfere di libertà, sottratte all'influenza del potere pubblico. Si afferma la pretesa giuridica, ma non i diritti di libertà.
F Status civitatis (status positivo): vengono a coincidere interesse pubblico e individuale. Lo Stato riconosce all'individuo pretese giuridiche verso l'attività statale, attribuendogli strumenti giuridici per realizzarle.
F Status activae civitatis (status attivo): viene attribuita non una pretesa giuridica, ma la possibilità di agire come titolare di un organo dello Stato, cioè come membro dell'ordinamento.
Dichiarazioni dei diritti: le prime dichiarazioni di diritti, rilevanti e significative, si hanno in Inghilterra (Magna Charta 1215, Petition of Rights 1628, Bill of Rights 1689).Larga risonanza ebbe la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", deliberata dall'Assemblea francese il 26 agosto 1789, con la quale si affermarono i diritti dell'uomo in quanto tale, come preesistenti allo Stato e quindi da garantirsi e non da concedersi da parte dello Stato medesimo. Da quel momento seguirono numerose dichiarazioni dei diritti, anche molto diverse tra loro, tra le quali si ricorda la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Assemblea generale delle nazioni Unite, 1948).
Esclusione di una dichiarazione programmatica dei diritti nella Cost.italiana: il Costituente italiano ha preferito escludere un preambolo contenente una dichiarazione astratta di diritti, disciplinandoli ampiamente nella parte prima della Costituzione (Diritti e doveri dei cittadini).
Non si volle infatti creare una graduatoria tra le norme del preambolo e quelle del testo costituzionale, e soprattutto si volle sottrarre le disposizioni più rilevanti per la vita del Paese ad improvvise modificazioni, collocandole nella "rocca" della Costituzione e sottoponendo la loro eventuale revisione a più caute procedure.
Art.2 Cost.: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia coma singolo, sia nella formazione sociale, ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
viene così introdotto il principio personalistico, ovvero l'affermazione della supremazia della persona umana sullo Stato medesimo. La Repubblica "riconosce" i diritti inviolabili: riconoscere non vuol dire attribuire, quindi tali diritti appartengono all'uomo in quanto tale, prima e indipendentemente da ogni intervento statale, che ha solo significato ricognitivo e di garanzia.
si introduce il pluralismo sociale: contrapponendosi all'esperienza fascista, il pluralismo sociale, sostanzialmente ineliminabile, viene ad assumere il ruolo di pluralismo istituzionale, strumento essenziale dell'organizzazione democratica della Repubblica e condizione essenziale per il pieno esplicarsi della persona umana.
viene posta l'attenzione sui doveri e sul principio di solidarietà: non la contrapposizione ma la composizione degli interessi deve divenire la regola e le posizioni soggettive vanno coordinate in un quadro di solidarietà non solo politica, ma economica e sociale, che conferisca alla Repubblica la capacità di essere realmente il punto di incontro di tutti i componenti della comunità nazionale.
Condizione giuridica dello straniero e dell'apolide: in teoria, la parte della Costituzione dedicata ai diritti e doveri, è riservata ai cittadini. Per quanto riguarda gli stranieri, l'art.10 Cost. afferma che:
a) la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali; b) lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge (non occorre dunque essere perseguitato politico). Secondo la l.40/1998 sono riconosciuti allo straniero i diritti fondamentali della persona umana e i diritti in materia civile se regolarmente soggiornante, compresa la parità di trattamento con il cittadino. L'estradizione dello straniero per reati politici non è ammessa.
Per quanto riguarda l'apolide, il principio ispiratore è che, per quanto riguarda i diritti civili, l'apolide è assimilato al cittadino mentre, per quanto riguarda i diritti politici, è assimilato allo straniero.
CAPITOLO 2: IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA:
La nostra Costituzione afferma il principio dell'eguaglianza, che si affermò con lo Stato costituzionale, non solo in termini di eguaglianza formale, ma anche di eguaglianza sostanziale.
Art.3 Cost.: (1° comma) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (2° comma). E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
l'eguaglianza formale si esprime, per lunga tradizione, nell'uguaglianza dinanzi alla legge.
La parità di trattamento va naturalmente garantita per situazioni eguali, mentre situazioni differenziate devono essere trattate in modo differenziato. L'eguaglianza dinanzi alla legge richiede l'eguaglianza di forza giuridica della legge per tutti i cittadini.
Le specificazioni rispetto a situazioni differenziate (sesso, razza,..) sono dovute agli ingiustificati trattamenti differenziati del passato. Alcune deroghe sono previste e giustificate da ostacoli biologici o naturali, o di ordine morale, per le quali in non pochi casi la diversità di sesso può determinare una disparità di trattamento senza violare il principio di eguaglianza (agente di custodia in un carcere maschile, vigilatrice di scuola materna,..)
l'eguaglianza sostanziale implica la possibilità di conseguire il pieno sviluppo della propria personalità e di partecipare, con pari opportunità, alla vita politica, civile ed economica del Paese.
E' una linea di sviluppo che dovrà essere ancora in gran parte essere realizzata concretamente dal legislatore ordinario.
Molto deve essere fatto dallo Stato e dagli altri enti pubblici per attuare il precetto costituzionale. Attraverso una decisa programmazione economica; attraverso la rivendicazione prioritaria della funzione sociale della proprietà che va resa accessibile a tutti; attraverso interventi che, restituita serietà alla scuola, garantiscano concretamente ai capaci e meritevoli la possibilità di raggiungere i più alti gradi degli studi; e così via.
CAPITOLO 3: I DIRITTI DI LIBERTA' CIVILE:
La Costituzione tratta dei diritti e doveri nella parte prima (artt. 13-54), distinguendo in rapporti civili, etico-sociali, economici e politici.
La libertà personale: l'art.13 Cost. garantisce e disciplina la libertà personale, dichiarata "inviolabile". Senza la garanzia della libertà personale tutte le altre libertà potrebbero vanificarsi e divenire semplici espressioni verbali. La libertà personale indica la libera disponibilità della propria persona fisica (garantita dagli habeas corpus), ma sono ricompresi nella libertà personale anche gli aspetti psichici e morali. In senso attivo, la libertà personale è la disponibilità nel poter fare, e in senso passivo nello escludere interferenze nella sfera della personalità, verso il pubblico e verso il privato. Sempre secondo l'art.13, non è ammessa "forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale".
Tutela delle persone e trattamento dei dati personali: la protezione della privacy da intrusioni e utilizzazioni è volta a impedire quella violazione che potrebbe recar danno o limitare comunque il libero dispiegamento della libertà personale, nei limiti consentiti dalla legge. Non tutti, naturalmente, possono richiedere la stessa protezione.
L'aumento vertiginoso di questo problema ha portato a nuove leggi: la legge 31 dicembre 196, n. 675 definisce i dati personali protetti come ogni informazione relativa a persona fisica, giuridico, ente od associazione, identificati o identificabili anche indirettamente. Particolare tutela è riservata ai "dati sensibili". Il trattamento dei dati personali deve svolgersi nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all'identità personale. Per garantire la corretta applicazione della legge e per rilasciare le prescritte autorizzazioni è istituito un "Garante" avente carattere collegiale, composto da quattro membri eletti dalle Camere, tra i quali viene eletto un presidente, il cui voto prevale in caso di parità.
Limitazioni della libertà personale: la Costituzione, all'art.13, prevede ed ammette la possibilità di limitazioni o restrizioni della libertà personale, subordinatamente al verificarsi si due condizioni:
a) che la limitazione o restrizione sia disposta con "atto motivato dell'autorità giudiziaria"
riserva di giurisdizione) e b) che ciò avvenga "nei soli modi e casi previsti dalla legge" ( riserva assoluta di legge). In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti, se pur provvisori, limitativi della libertà personale.
L'attuazione della libertà personale non è così facili: la legge stabilisce casi in cui possono essere adottate misure di prevenzione, adottate per prevenire la commissione di reati anche contro incensurati, e misure di sicurezza, disposte a carico di abbia commesso un delitto.
Posizione dell'imputato: lo stesso art.13 punisce ogni violenza fisica sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, e demanda alla legge la fissazione dei limiti massimi della carcerazione preventiva (secondo il C.p.p. varia da tre mesi a un anno).
Altre disposizioni in materia penale sono stabilite dagli artt. 25 e 26 Cost.: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Sul punto il C.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella più favorevole al reo. L'art. 27 Cost. statuisce che la responsabilità penale è personale, e che l'imputato non è da considerarsi colpevole fino alla sentenza definitiva ("presunzione di non colpevolezza").
Regime delle pene:l'art.27 Cost., che riguarda le pene limitative della libertà personale, afferma che esse non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbono tendere alla rieducazione del condannato. Non è inoltre ammessa la pena di morte. E' stata invece dichiarata costituzionale dalla Corte, la pena dell'ergastolo: gli ergastolani possono essere posti in libertà condizionale dopo aver scontato 25 anni di reclusione e purché abbiano tenuto buona condotta.
Secondo la legge 354/1975 "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona", ma nella pratica il problema è consistente.
Amnistia e indulto (l.cost. 6 marzo 1992, n.1): il potere di esercitare clemenza nei confronti dei responsabili di reati o dei condannati a pene detentive, spetta alle Camere che vi provvedono con legge, che deve essere approvata a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
La clemenza non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. Le modalità di concessione e di applicazione di tale potere sono stabilite dalla legge.
Estradizione: l'estradizione è l'istituto di collaborazione penale internazionale per il quale uno Stato consegna ad un altro Stato un individuo accusato o condannato, al fine della sottoposizione del processo o all'espiazione della pena. L'estradizione dello straniero non è ammessa per reati politici (art.10 Cost.); e non può essere concessa quando vi è ragione di ritenere che l'imputata verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene e trattamenti crudeli (art.698 C.p.p.).
L'estradizione del cittadino invece non solo non può essere in alcun caso ammessa per reati politici ma anche per i reati comuni può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Prestazioni personali: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge (art.23 Cost., riserva di legge relativa). In base all'art.32 Cost., premesso il dovere della Repubblica di tutelare la salute,si aggiunge che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale non può comunque in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L'art.22 Cost. afferma che nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.
Libertà di domicilio: l'art.14 Cost. disciplina la libertà di domicilio. Nel domicilio è ricompreso l'abitazione altrui o altro luogo di privata dimora. Anche il domicilio è dichiarato "inviolabile" e le eventuali limitazioni o restrizioni di tale libertà (quali ispezioni, perquisizioni o sequestri) sono consentite soltanto con le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, e cioè nei casi e modi stabiliti dalla legge e mediante atto motivato dell'autorità giudiziaria. In casi eccezionali di necessità e urgenza (ad esempio flagranza di reato), l'autorità di pubblica sicurezza può procedere a ispezioni, perquisizioni o sequestri, ma deve comunicarlo entro 48 ore all'autorità giudiziaria.
Libertà di corrispondenza: fra le libertà "inviolabili", la Costituzione comprende anche la libertà di corrispondenza e di comunicazione. L'art.15 afferma che la limitazione dell'inviolabilità e della segretezza della corrispondenza può avvenire solo con atto motivato dell'autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge (tale divieto viene esteso anche alla pubblica autorità con l'art.15). Non sono previste limitazioni da parte dell'autorità di pubblica sicurezza. Eccezioni all'inviolabilità e alla segretezza sono ammesse a favore degli ufficiali di polizia giudiziaria e nei confronti di soggetti che si trovino in particolari situazioni previste dalla legge.
Libertà di circolazione e di soggiorno: ogni cittadino, come dispone l'art.16 Cost., può soggiornare e circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza (e quindi senza intervento dell'autorità giudiziaria). Nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche.
stranieri e apolidi potranno dunque essere assoggettati a limitazioni senza poter invocare le garanzie dell'art.16. Unica eccezione alla libertà di soggiorno è prevista per Casa Savoia.
Libertà di espatrio: allo stesso art.16, la Costituzione garantisce anche la libertà di espatrio, intesa come libertà dei cittadini di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi. Sono fatti salvi gli "obblighi di legge" oneri o condizioni cui è subordinato il documento autorizzativo.
Diritto di emigrazione: secondo l'art.35 la libertà di emigrazione è subordinata al rispetto degli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale.
Libertà di riunione: accanto ai diritti di libertà che sono riconosciuti all'uomo, o al cittadino in quanto tale, la Costituzione disciplina i diritti di libertà che spettano all'uomo in quanto appartenente a formazioni sociali, secondo il principio affermato dall'art.2.
La distinzione tra riunioni ed associazioni si fonda sul carattere temporaneo delle prime e sul vincolo più saldo delle seconde; mentre la distinzione tra riunioni e assembramenti sta nella casualità degli assembramenti, mentre la riunione è il preordinato convenire di più persone in un medesimo luogo per uno scopo prefissato.
La libertà di riunione è disciplinata dall'art.12 che la riconosce ai soli cittadini (degli assembramenti la Costituzione non parla, e per essi non può invocarsi garanzia costituzionale). Le riunioni possono svolgersi in luogo privato, in luogo aperto al pubblico o in luogo pubblico. Tutte le riunioni debbono svolgersi pacificamente e senza armi (vietate "armi improprie" e mascheramenti).
Solo per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, oppure per ragioni di ordina pubblico, di moralità o di sanità pubblica. I cortei sono stati definiti "riunioni in movimento" , e serve quindi preavviso alle pubbliche autorità. L'art.19 garantisce invece a tutti il diritto di esercitare il culto religioso "in pubblico", senza prescrivere obblighi di preavviso.
Libertà di associazione: la disposizione dell'art.18 Cost. garantisce il diritto di associazione in termini assai ampi, escludendo ogni forma di autorizzazione, e ponendo come unico limite il perseguimento di fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale. Sono inoltre proibite, per esigenza di lealtà da parte dei cittadini, le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Le associazioni segrete sono state disciplinate con la legge 25 gennaio 1982, n.17.
La libertà di associazione implica, in certi casi,anche la libertà di non associarsi (libertà "negativa").
Libertà religiosa: la libertà religiosa, conquista fondamentale dello Stato moderno, è la libertà per ognuno di poter pensare e dire ciò che vuole anche in materia religiosa. Art.19 Cost.: "tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume". Viene così garantita la libertà di coscienza, intesa come libertà di avere una fede o di non averne, e appunto la libertà religiosa, che si concreta non solo nell'adesione a una religione ma anche nella possibilità di esercitare liberamente la propria fede.
Per quanto riguarda la religione cattolica, essa non è in oggi la sola religione di Stato, ma dato che la stragrande maggioranza degli italiani sono cattolici, non è possibile escludere, in taluni casi, disposizioni differenziate in suo favore (ad esempio in materia di vilipendio della religione). Più problematica è la questione della compatibilità tra le formule del giuramento con la libertà religiosa.
Per l'art.20 Cost., il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività.
Libertà di manifestazione del pensiero: la libertà di manifestazione del pensiero acquista crescente importanza con lo sviluppo dei mass media, per la necessità di impedire degenerazioni attraverso la creazione di situazioni monopolistiche che potrebbero impedire di fatto la circolazione delle idee.
L'art.21 Cost. garantisce a tutti (e quindi non ai soli cittadini) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Lo strumento di diffusione che il legislatore ha più ampiamente disciplinato è la stampa.
Libertà di stampa: l'art.21 Cost. è integrato dalla legge sulla stampa (l. 2 febbraio 1948, n.47).
La regola fondamentale è che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si esclude, cioè, ogni possibilità del potere pubblico di intervenire sull'esercizio della libertà o di limitare libertà mediante controlli sul contenuto l'esercizio di tale degli stampati. Seguono poi disposizioni che prevedono il "sequestro preventivo" degli stampati nel caso di delitti per i quali la legge espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per l'indicazione dei responsabili (nome e domicilio stampatore, luogo e anno di pubblicazione, ecc..). La stampa periodica deve avere un direttore responsabile il quale può essere perseguito, qualora non eserciti il controllo necessario per evitare la commissione di reati con la pubblicazione.
Secondo l'art.21 sono inoltre vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge può anche stabilire che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica la l.5 agosto 1988, n.338, detta disposizioni dirette ad impedire la concentrazione della stampa quotidiana in poche mani, prevede l'istituzione di un registro nazionale della stampa, una miglior trasparenza della pubblicità sui giornali e sui periodici, nonché la pubblicità dei bilanci delle imprese editoriali.
Teatro e cinematografo: per gli spettacoli teatrali,, la vigente legislazione si limita a prescrivere la licenza del questore. Quanto alle rappresentazioni cinematografiche, la legge 161 dispone che la proiezione in pubblico dei film è soggetta a nulla osta che va rilasciato dal ministro del turismo e spettacolo su parere conforma di speciali commissioni di primo grado e di appello.
Disciplina della radio e della televisione: il d.lgs. 3 aprile 1947, n.428, concedeva in via esclusiva alla RAI il servizio delle radio audizioni circolari e il servizio di televisione circolare; affermando che la maggioranza assoluta delle azioni RAI doveva passare in titolarità all'IRI.
Successivamente, di fronte alle continue critiche del monopolio statale, fu approvata la l.14 aprile 1975, n.103, contenente "nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva", e infine la l.6 agosto 1990, n.223, più volte integrata. Secondo tale legge l'esercizio della radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi è subordinato a una concessione a una società per azioni a totale partecipazione pubblica o a soggetti privati. La RAI è una società per azioni "di interesse nazionale" e il suo C.d.A. è nominato d'intesa fra i presidenti di Camera e Senato.
E' istituita una Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che assorbe le funzioni già attribuite al Garante per la radio diffusione e l'editoria, le cui competenze sono elencate dalla legge 249/97.
Tale legge vieta sostanzialmente posizioni dominanti nei settori delle comunicazioni sonore e televisive, anche nelle forme evolutive.
Disciplina delle pubblicità: la l.223/90, dopo aver premesso che la pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non deve offendere condizioni religiose e ideali, non deve indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l'ambiente, non deve arrecare pregiudizio morale e fisico ai minorenni, stabilisce i limiti temporali massimi della durata dei messaggi pubblicitari. E' inoltre disciplinata la sponsorizzazione e l'inserimento di spots all'interno de programmi radiofonici o televisivi.
Disciplina dell'informazione e disposizioni rilevanti: i concessionari privati hanno l'obbligo di trasmettere programmi per un numero di ore giornaliere e settimanali fissate dalla legge, e programmi di informazione, statale o locale. Il Governo, le Amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono chiedere ai concessionari privati o alla concessionaria pubblica la trasmissione di brevi comunicati, da trasmettere immediatamente.
E' vietata la trasmissione di messaggi cifrati o di carattere subliminale; è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
I film vietati ai minori di anni 18 non possono essere trasmessi, i film vietati ai minori di anni 14 possono invece essere trasmessi tra le 22.30 e le 7.
La pianificazione delle radiofrequenze deve constare di un piano nazionale di ripartizione, aggiornato di regola ogni cinque anni, e di un piano nazionale di assegnazione.
CAPITOLO 4: I DIRITTI CIVICI. RAPPORTI ETICO- SOCIALI:
Concetto di diritti civici: i "diritti civici" o "di prestazione", che sorgono superata la prima fase dello Stato costituzionale, sono quei diritti per i quali il soggetto ha diritto non già ad un'astensione della pubblica autorità (come nei diritti di libertà), ma ad un suo intervento attivo per assicurare il conseguimento di quei fini di interesse generale che corrispondono alla progressiva evoluzione dello Stato moderno.
La famiglia nella Costituzione: l'art.29, riferendosi alla famiglia come all'insieme di coniugi e figli, afferma che "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". E' la positiva affermazione che la famiglia ha diritti che preesistono allo Stato e che da esso non possono essere menomati né mutati. Unioni di fatto non hanno dunque riconoscimento costituzionale, ma questo non significa che esse non siano situazioni giuridicamente rilevanti.
Il matrimonio: secondo il 2° comma dell'art.29 "il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità famigliare". La famiglia legittima dunque si fonda sul matrimonio, ed anzi sorge con esso. Nel nostro vigente ordinamento sono possibili tre tipi di matrimonio: a) matrimonio civile, celebrato di fronte ad un ufficiale di Stato; b) matrimonio concordatario, che si concreta nel riconoscere effetti civili al matrimonio canonico; c) matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro di culto ammesso nello Stato, che acquista effetti civili qualora siano osservate le formalità e le prescrizioni dettate dalla l.24/6/1929.
Il principio dell'incostituzionalità del matrimonio non è costituzionalizzato, e anzi la legge 1°dicembre 1970, n.898, ha introdotto il divorzio, pur con molte tesi contrarie.
I rapporti tra i coniugi e nei confronti dei figli: le disposizioni degli art.29 e 30 Cost. riguardo all'ordinamento interno della famiglia hanno avuto ampia e importante attuazione grazie alla l.19 maggio 1975,n. 151, intitolata alla "Riforma del diritto di famiglia": tale legge ad esempio detta norme riguardo all'eguaglianza dei coniugi (proclamata dalla Costituzione), che raccoglie le legittime aspirazioni della donna e ne garantiscono la posizione nella famiglia.
Anche nei confronti dei figli la legge del 1975 stabilisce una posizione di eguaglianza da parte dei coniugi, non più di patria potestà, ma di potestà dei genitori. Alla parità di diritti nei confronti dei figli corrisponde parità di doveri: ad entrambi i genitori spetta infatti l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, anche se nata fuori del matrimonio, come secondo Costituzione, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Nuovo orientamento della legge del 1975 anche verso il regime patrimoniale del matrimonio: mentre prima la regola era la separazione dei beni, ora la regola è la comunione dei beni, dando quindi maggior considerazione all'apporto del lavoro casalingo. E' stata inoltre abolita la dote.
L'art.30 Cost., aggiunge che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti (si richiede dunque riserva di legge e accertamento oggettivo e certo).
Tutela dei figli illegittimi: come detto, la Costituzione afferma il diritto- dovere, per i genitori, di uguale trattamento sia verso i figli legittimi sia verso i figli nati fuori del matrimonio. Essi godono infatti di ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La Costituzione prevede inoltre che disposizioni di legge fissino i criteri e i limiti per la ricerca della paternità.
Doveri della Repubblica nei confronti della famiglia: l'art.31 Cost. indica i compiti attivi, di prestazione, dello Stato nei confronti della famiglia, affermando che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Inoltre, protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
E' dunque un "favor familiae, intesa come più importante formazione sociale in cui si svolge la personalità dell'uomo. Rilevanti in questo contesto sono i provvedimenti nei confronti delle lavoratrici e specialmente verso le lavoratici madri o per l'attribuzione di assegni famigliari.
Disciplina dell'aborto: fino al 1978 l'aborto (o "interruzione volontaria della gravidanza") era considerato un delitto, e dunque perseguibile in sede penale.
Con la legge 22 maggio 1978, n.194 viene invece consentito alla donna, anche se minorenne, nei primi novanta giorni della gestazione, piena e assoluta libertà di decisione sull'interruzione della gravidanza, subito o al più tardi dopo sette giorni dalla richiesta. Tale legge riconosce inoltre al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, di poter compiere "obiezione di coscienza", potendo quindi decidere di non prendere parte agli interventi abortivi e alle relative procedure.
Tutela della salute: l'art.32 Cost. afferma la tutela della salute da parte della Repubblica "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", garantendo cure gratuite agli indigenti. Questo articolo e l'art.38, relativo a lavoratori inabili, infortunati, minorati, ecc.., postulano l'introduzione delle necessarie riforme con la relativa provvista di mezzi finanziari, senza precisarne le modalità. Va segnalato che la maggior parte delle funzioni relative alla "assistenza sanitaria e ospedaliera" sono state trasferite alle Regioni e che con la l.23 dicembre 1978, n.833, è stato istituito il"Servizio sanitario nazionale",la cui attuazione ha comunque registrato molte lacune.
Trattamenti sanitari obbligatori: ai sensi dell'art.32 Cost. "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". In forza di tale norma, viene quindi istituita riserva di legge assoluta ed è stato possibile dichiarare incostituzionale il test del DNA, se non effettuato con il consenso dell'interessato. Unica ipotesi nella quale può ammettersi un intervento medico senza il previo consenso del malato, si ha qualora si versi in una condizione di pericolo o di urgenza. Non sembrano ammissibili trattamenti obbligatori a fini eugenetici, quali la visita prematrimoniale e l'eventuale sterilizzazione, con il fine di prevenire o evitare la nascita di soggetti malati.
Diritto all'ambiente: è un diritto dei singoli determinato da una progressiva presa di coscienza dei problemi ambientali, caratterizzato dall'istituzione nel 1986 del Ministero dell'ambiente.
Libertà dell'arte e della scienza: tale libertà, affermata dall'art.33 Cost., è determinata e resa indispensabile dalle finalità di progresso che l'arte, ma soprattutto la scienza, perseguono, e si afferma quindi nell'interesse non solo del singolo artista o ricercatore, ma dell'intera società, come condizione vitale per il suo sviluppo e per il suo avanzamento.
Libertà di insegnamento: la libertà di insegnamento discende dalla libertà dell'arte e della scienza.
In quanto libertà nell'insegnamento, pur non significando anarchia, garantisce ad ogni docente la possibilità di esercitare le sue funzioni di insegnante in conformità alle proprie convinzioni in ordine alla disciplina che insegna, senza essere condizionato o costretto da una verità ufficiale alla quale adeguarsi. Ma la libertà di insegnamento si concreta anche nella possibilità di istituire scuole.
Il primo punto fermo che risulta dalla Costituzione (art.33) è la preminenza della posizione statale nell'organizzazione scolastica: spetta infatti alla Repubblica non solo istituire proprie scuole per tutti gli ordini e gradi, ma anche dettare le norme generali sull'istruzione, secondo un diritto civico (di prestazione) dei cittadini nei confronti dello Stato.
Gli enti e i privati hanno comunque il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione, senza oneri per lo Stato. Le scuole paritarie si distinguono per l'intervento pubblico che ha legittimato la loro apertura. Tale intervento, trattasi di concessione o autorizzazione, è diretto a garantire la serietà dell'iniziativa e ad evitare che si carpisca la buona fede di coloro che si propongono di seguire l'insegnamento impartito in una scuola privata. Gli esami di maturità e di abilitazione, come prescritto dalla Costituzione, sono comunque riservati allo Stato.
Sempre l'art.33 dispone che "le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato". Il principio di libertà di insegnamento è naturalmente valido anche per l'insegnamento universitario, e non si esclude comunque la possibilità di università non statali.
Libertà di istruzione: ai sensi dell'art.34 Cost. "la scuola è aperta a tutti" e non sono quindi ammissibili selezioni fondate su valutazioni non rispondenti al principio generale di uguaglianza.
"L'istruzione inferiore, della durata di otto anni è obbligatoria e gratuita": la gratuità rende concreto il diritto allo studio.. Per quanto riguarda la scuola non obbligatoria, la Costituzione limita il diritto (che non comporta gratuità) a raggiungere i più alti gradi degli studi ai "capaci e meritevoli".
CAPITOLO 5. I RAPPORTI ECONOMICI:
La nostra Costituzione sottolinea in misura rilevante il carattere sociale di un nuovo tipo di Stato che ha tra i suoi fini fondamentali quello di intervenire nei rapporti sociali per modificarne gli effetti a favore di determinati gruppi e categorie, e segnatamente a favore dei gruppi e delle categorie economicamente più deboli.
Il diritto al lavoro: la Costituzione, all'art.4 introduce il diritto (considerato anche un dovere) al lavoro, ponendolo tra i principi fondamentali dell'ordinamento.
Esso si pone come diritto di libertà, nel senso che ogni cittadino deve essere libero di scegliere l'attività più congeniale alle proprie possibilità e alle proprie preferenze, e come diritto civico, in quanto attribuisce al cittadino la pretesa a un "facere" da parte della Repubblica per promuovere, come precisa l'art.4, le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Nella realtà, preoccupanti problemi di disoccupazione e sottoccupazione frustrano non solo il diritto al lavoro come diritto civico, ma anche come diritto di libertà posto che le possibilità di scelta dei singoli lavoratori ne sono gravemente limitate o addirittura escluse.
La tutela del lavoro nella Costituzione: il principio fondamentale in materia di tutela del lavoro è proclamato dal 1° comma dell'art.35, per il quale la Repubblica assume a suo compito la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Si prevedono inoltre accordi internazionali per affermare e regolare i diritti del lavoratore e si riconosce la libertà di emigrazione con conseguente tutela del lavoro italiano all'estero.
L'art.36 stabilisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro (principio della giusta retribuzione) e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione familiare). La retribuzione non è la sola corrisposta durante il rapporto di lavoro, ma anche quella differita. Quanto all'orario di lavoro, l'articolo riserva alla legge la competenza a stabilire la durata massima della giornata lavorativa, e infine, stabilisce il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, cui il lavoratore non può rinunciare.
L'art.37 tutela in particolare la posizione della donna, il cui trattamento nel rapporto di lavoro deve essere equiparato a quello dell'uomo, e privilegia, giustamente, la lavoratrice in relazione alla sua essenziale funzione familiare, più rilevante in presenza di figli piccoli. Per quanto riguarda il lavoro minorile, la Costituzione rimanda alla legge per stabilire il limite minimo d'età per il lavoro salariato (fissato in 15 anni), e tutela la posizione del minore nell'attività lavorativa.
Lo Statuto dei lavoratori: ampia tutela, tanto sul piano sostanziale tanto su quello processuale, alla libertà e dignità del lavoratore e della libertà sindacale, viene attuata dalla l.20 maggio 1970, n.300, il cosiddetto Statuto dei lavoratori. Tralasciando il piano sostanziale, per il quale vengono enunciati numerosi diritti dei lavoratori, sotto il profilo processuale viene prevista una speciale procedura dinanzi al pretore per la repressione della condotta antisindacale nonché la legittimazione delle organizzazioni sindacali a promuovere il procedimento giudiziario di che trattasi. Giudice del lavoro di primo grado è in ogni caso il pretore e contro le sue sentenze è ammesso ricorso al tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro. La sentenza del tribunale è ricorribile alla Corte di Cassazione, secondo il rito ordinario.
Collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende: in forza dell'art.46 Cost., la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La disposizione mira a elevare il lavoratore da strumento a collaboratore della produzione, ma in quanto norma programmatica e diretta quindi al legislatore non ha potuto essere applicata non essendo intervenute le necessarie disposizioni legislative (tranne Olivetti e Ilva).
Il sindacato: lo strumento più efficace per la tutela del lavoratore, e particolarmente del lavoratore subordinato, è il sindacato. L'art.39 Cost. sancisce anzitutto il principio fondamentale della libertà dell'organizzazione sindacale. Questo significa libertà di costituzione di uno o più sindacati e libertà per ogni lavoratore di aderire o meno al sindacato. L'unico obbligo che può essere imposto ai sindacati, a norma dell'art.39, è la loro registrazione presso uffici centrali e locali, alla sola condizione che gli statuti dei sindacati che chiedono la registrazione sanciscano un ordinamento interno a base democratica. Con la registrazione, i sindacati acquistano personalità giuridica.
Tale registrazione, ai sensi di Costituzione, deve avvenire però in base a norme da stabilirsi con legge ordinaria (legge sindacale) e poiché tale legge non è intervenuta, fino ad oggi, anche a causa della netta opposizione dei sindacati all'adozione delle necessarie disposizioni legislative, le norme costituzionali non possono trovare attuazione. La mancanza di registrazione rende dunque impossibile la stipulazione di contratti collettivi di lavoro di diritto pubblico (previsti dall'art.39), sicché accanto ai contratti individuali di lavoro sono possibili solo i contratti collettivi di lavoro di diritto privato o di diritto comune.
Il diritto di sciopero e i suoi limiti: lo sciopero è un'astensione dalla prestazione del lavoro effettuata da una pluralità di lavoratori e che non dà luogo a una violazione del contratto di lavoro, sicché il datore di lavoro può solo non corrispondere la retribuzione.
Lo sciopero, fondamentale strumento di autotutela dei lavoratori, vietato dal codice penale fascista, è stato dichiarato dall'art.40 Cost. un diritto, anche se viene operato un rinvio alla legge ordinaria per la determinazione delle modalità (e quindi anche dei limiti) per l'esercizio di tale diritto.
Più di recente, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità non solo dello sciopero rivolto a conseguire fini di carattere economico, ma anche di scioperi politici, di solidarietà, di pressione.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: la l.12 giugno 1990, n.146, contiene norme importanti riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quelli cioè volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati. Nei servizi pubblici essenziali stabiliti dalla legge, il diritto di sciopero non può esercitarsi se non : a) con un preavviso di almeno 10 giorni; b) con la predisposizione di prestazioni indispensabili; c)con l'indicazione della durata della astensione dal lavoro; d) con comunicazioni adeguate agli utenti. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il prefetto,in caso di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, possono adottare un'ordinanza diretta a garantire le prestazioni indispensabili.
E' stata inoltre istituita una Commissione di garanzia per l'attuazione della legge 146.
La serrata: la Costituzione non disciplina la serrata, ovvero la sospensione totale o parziale della attività da parte del datore di lavoro per finalità collegate o meno al contratto di lavoro. Si ritiene che essa non possa più essere considerata un delitto, mentre può concretare un illecito civile.
Nazionalizzazione delle imprese: strumento rilevante di intervento pubblico nell'economia è la nazionalizzazione delle imprese, che oggi ha perduto buona parte della sua efficacia. L'art.43 ha introdotto il principio della possibile nazionalizzazione delle imprese, circondandolo di cautele.
Innanzitutto l'atto a disporre la nazionalizzazione è la legge. Poi deve esistere un fine di utilità generale, deve trattarsi di imprese, aventi carattere di preminente interesse generale, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. Qualora ricorrano queste condizioni, tali imprese possono essere riservate originariamente o trasferite, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o i utenti. Il caso più rilevante di nazionalizzazione si è avuto con l'ENEL (1962).
Il diritto di proprietà e i suoi limiti: nel Codice del 1942 e nella Costituzione il diritto di proprietà viene riconosciuto, ma rispetto al passato viene circondato da limiti. L'art.42 Cost., riconoscendo il diritto di proprietà, ne sottolinea la funzione sociale, affidando alla legge il compito di renderla accessibile a tutti. Come afferma l'art.42, la proprietà è pubblica e privata e i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
Espropriazione per pubblico interesse: ai sensi dello stesso art.42, la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge ( riserva di legge assoluta) e salvo indennizzo che, secondo il parere della Corte Costituzionale, deve consistere in un "serio ristoro del pregiudizio economico risultante dall'espropriazione".
Disciplina della proprietà terriera privata: disposizioni particolari, legate ad un antica battaglia contro il latifondo, sono dettate dall'art.44 Cost. in materia di proprietà terriera privata, al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.
La Costituzione rinvia alla legge per stabilire le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Altre disposizioni costituzionali in materia economica: altre disposizioni costituzionali sono dettate in materia di cooperazione, a favore dell'artigianato, di incoraggiamento al risparmio, e in materia di credito.
Assistenza e sicurezza sociale: l'art.38 Cost. introduce il principio della sicurezza sociale, affermando che ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. Viene inoltre affermato il diritto di lavoratori infortunati, malati, invalidi, anziani, ecc..di godere un sistema di assistenza e di previdenza, che si concreta attraverso le assicurazioni sociali. Il relativo finanziamento è oggi in larga misura a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori con la necessità, però, di massicci interventi pubblici.
Un serio sistema di sicurezza sociale non potrà non accompagnarsi a profonde revisioni dell'attuale struttura previdenziale e assistenziale pubblica per evitare che finalità giuste e doverose siano compromesse da oneri economici ingiustificati ed eccessivi, capaci di determinare il dissesto della finanza pubblica e dell'economia del Paese.
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