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SECESSIONE
A CHI CONVIENE DIVIDERE
L'ITALIA IN DUE?
Il problema
della secessione sollevato da Bossi ha dato all'Italia, paese emotivo e quindi
incapace di analizzare pragmaticamente i problemi politici, sociali ed
economici, un nuovo motivo di lite. Sul tema non si discute, ci si accapiglia,
si viene alle mani, si agitano i servizi segreti, i "patrioti"
mettono in scena la rappresentazione di un'Italia passata al tritatutto, i
"secessionisti" vedono nello strappo la soluzione di tutti i mali.
Ragionamenti e controragionamenti hanno la solita impostazione
infantil-viscerale a causa della quale l'elettorato italiano va al voto con
idee chiarissimamente confuse. Sul problema della secessione queste idee sono
ancora più nebulose. Per contribuire a chiarirle pubblichiamo questa intervista
al professor Ettore A. Albertoni, professore ordinario di Storia delle dottrine
politiche e delle istituzioni, autore di "Il federalismo nel pensiero
politico e nelle istituzioni", testo notevole, anche dal punto di vista
storico, per conoscere e capire un tema del quale molto si chiacchiera ma poco
si conosce.
Professor Albertoni, da qualche mese i politici dei partiti centralisti hanno
iniziato una preconcetta opera di "demolizione comunicativa" che ha
per oggetto la Padania: il sociologo Ilvo Diamanti continua a ripetere, nei
suoi interventi su il Sole 24 Ore che "la Padania é un'invenzione di
Bossi"; il parlamentare ulivista Furio Colombo ha detto in aula "La
Padania non esiste!"; ultimi in ordine di tempo i Presidenti di Camera e
Senato, Luciano Violante e Nicola Mancino, hanno ufficialmente bandito il
termine "Padania" dai verbali delle sedute, vietandone la
trascrizione.
Tuttavia risulta evidente che tali interventi sono la dimostrazione di una
tremenda paura da parte dello Stato verso le istanze di libertá e di identitá
della nostra terra, una paura malamente dissimulata dai tentativi di
minimizzare il fenomeno. Secondo lei la Padania é una realtá virtuale o
storicamente esistente?
ALBERTONI: "Innanzitutto bisogna partire
da una considerazione storica ovvia. I popoli padani e alpini che sono
collocati territorialmente nelle attuali Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia
Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta,
Veneto e, in parte, Marche da secoli costituiscono, pur con le innegabili
diversitá esistenti, una comunitá naturale fondata su un condiviso patrimonio
di valori e di cultura. In secondo luogo é certo che l'analisi economica e
sociale piú aggiornata ed attendibile ha da tempo individuato nella mappa delle
"regioni economiche d'Europa" una ben esistente e reale Padania (come
si evince infatti dallo studio della Fondazione Agnelli pubblicato nel 1992 e
significativamente intitolato "La Padania, una regione italiana in Europa").
La Padania, quindi, esiste eccome!
Va anche ricordato che alcune Regioni del Centro-Nord sin dalla metá degli anni
'70, come ha dichiarato pubblicamente e recentemente Guido Fanti, diedero vita
ad iniziative di studio e di approfondimento proprio di quella precisa e
vivente realtá che é la Padania. E' piuttosto singolare che si voglia
affrontare oggi il federalismo che é, per una parte considerevole, problema
territoriale, negando validitá ad una posizione come quella della Lega Nord,
che ha il merito di reintrodurre nel dibattito sulla riforma costituzionale
(sia in ambito italiano che europeo), il tema della Padania; tema che é,
stranamente, considerato valido ed elogiato solo se studiato da Fondazioni
legate al potere economico o da politici ed amministratori emiliani
appartenenti all'ex partito comunista. Occorre, perció, parlare sempre di piú
di Padania perché é un modo assai pragmatico, democratico e coinvolgente di
affrontare il presente e il futuro".
In tutti i casi di indipendenza acquisita da noi esaminati, una delle ragioni
principali della lotta per l'autogoverno é stata quella della provenienza
territoriale prevalente dei dipendenti pubblici da una sola area dello Stato.
Che significato istituzionale ha questa motivazione centrale e così importante
e quali considerazioni si possono fare sul caso padano?
ALBERTONI: "Il problema della burocrazia é cruciale, in particolare nel
nostro caso. Nello Stato Italiano vi sono circa 4/5 milioni di funzionari
pubblici (non si sa bene neppure quanti) e si parla di oltre 200 mila leggi.
Questa pesantissima realtá burocratica e normativa blocca un processo che parte
dal basso, perché alla base territoriale e sociale non ci sono forze adeguate
per poter avviare processi di cambiam 121i83b ento incisivo: la struttura statale é enorme,
pachidermica e fondata sull'esasperazione predatoria del fiscalismo rapace
dello Stato centralista. Ecco dunque che nasce la necessitá urgente di avere
dei nuovi quadri concettuali ed operativi di riferimento (e in questo caso la
Padania é un quadro di riferimento molto importante) per una significativa
azione. Non possiamo, infatti, pensare a microsoggetti istituzionali e a
microentitá giuridico-politiche. Nel processo di federalizzazione "per
separazione" proposto dalla Lega Nord vi devono essere delle strutture
autosufficienti a tutti i livelli (partendo dai comuni, passando attraverso le
associazioni di comuni, o ex province, e le regioni economiche), fino ad
arrivare all'Europa, in una dinamica che deve comunque partire dal basso, dalla
base naturale che sono i popoli con i loro bisogni, interessi ed ideali. E'
evidente quindi che il problema delle burocrazie non territoriali ma reclutate
altrove genera enormi scompensi a danno di tutti.
"Nel caso italiano il problema non é tanto quello di una semplice dualitá
fra Nord e Sud, ma piuttosto quello di una differenziazione fra le diverse
grandi aree che compongono lo Stato (aree insulari, area padana, area toscana,
ecc., ciascuna con proprie caratteristiche). L'elemento paradossalmente
unificante l'attuale Repubblica centralista, uniformatrice e, tendenzialmente,
illiberale ed autoritaria (nel senso dell'autoritarismo poliziesco), é una
classe politica che ha ormai un peso sempre piú ridotto e una burocrazia che ne
ha uno sempre maggiore.
La burocrazia poi ha due strati: da un lato
i "peones", che provengono prevalentemente dal Sud, dove si é
sviluppata come naturale sbocco lavorativo una classe di funz"ionari di
bassa qualifica, di scarso peso, ma di grande fedeltá centralista; dall'altro
il grande "generone alto-burocratico romano", che é il vero problema
della democrazia italiana. Quest'ultimo strato ha un peso specifico enorme a
livello di direzioni generali di ministeri, di alti comandi, di strutture
tecnico-amministrative, bancarie e, soprattutto, dell'economia diretta dallo
Stato. Esso costituisce l'elemento cementificatore piú consistente della nostra
fatiscente ed arcaica organizzazione pubblica.
L'attuale squilibrio territoriale si é sempre basato sul vecchio principio
"al Nord gli affari, e a tutto il resto d'Italia, Sud e Roma cioé, la
Pubblica Amministrazione". Cosi oggi é pacifico che la Padania si trovi in
una condizione di inferioritá, direi senz'altro di tipo coloniale. Certo la
Padania, popoli ed élites, ha le sue responsabilitá, poiché ha abdicato
completamente alla guida della Repubblica per anni, pensando che fosse
sufficiente sviluppare la propria vocazione economica, imprenditoriale e
commerciale e che tutto il resto sarebbe automaticamente seguito. Anche la
politica ha comunque una grandissima colpa, perché non é mai stato affrontato
seriamente (diversamente da altri Paesi) il tema della cultura della Pubblica
Amministrazione, che dovrebbe oggi piú che mai basarsi sui risultati,
l'efficienza e la responsabilitá nei confronti dei cittadini. In ogni caso
anche il problema del "corpo burocratico" dello Stato va letto in una
nuova ottica; é necessario ragionare in termini di precisa localizzazione
ambientale e territoriale (guardando alla dimensione padana, sarda, siciliana,
ecc.) e di contesto europeo. A identitá precise e consapevoli di popoli,
territori ed istituzioni deve corrispondere un funzionariato adeguato ed in
sintonia".
Nella sua risposta ha accennato al "federalismo per separazione". Giá
in altri interventi scientifici e culturali ha avuto modo di sviluppare questo
concetto; che cosa intende esattamente con tale espressione? E come si concilia
il suddetto percorso giuridico e politico con il diritto di secessione e il
principio di autodeterminazione?
ALBERTONI: "Per poter capire appieno il significato dell'espressione
"federalismo per separazione" é prima indispensabile analizzare
storicamente e comparativamente i diversi fenomeni di federalizzazione. In
passato il federalismo é sempre stato una formula di unione; gli esempi al
riguardo sono evidenti. Il caso peculiare dell'epoca moderna é quello delle 13
colonie dell'America del Nord di lingua inglese che diventano 13 Stati, si
confederano tra loro e poi danno vita ad una federazione (e pluribus unum).
Anche la vicenda della Svizzera é significativa, poiché fino al 1848 ebbe un
assetto altamente confederativo, e successivamente passó ad una pur moderata
centralizzazione federalistica dei poteri. Sono esperienze queste di
"federalismo per aggregazione", cioé formule politico-istituzionali
che portano alla sintesi di quel ricordato principio tipico americano che dice
"e pluribus unum".
"Oggi peró i processi di federalizzazione non sono piú improntati al
raggiungimento di una unitá e omogeneitá sedicente "nazionale"; al
contrario essi si basano sulla tutela e sulla coesistenza delle diversitá
("ex uno plures"). Le radici di questa inversione di tendenza si
possono cogliere giá nella nascita dello Stato tedesco del secondo dopoguerra.
La Germania del 1949 era un paese lacerato per gli eventi della seconda guerra
mondiale e che usciva dalla esperienza totalitaria e centralista in massimo
grado del nazismo; il nuovo Stato non elaboró una costituzione federale ma una
legge suprema, il Grundgesetz (peraltro mai accettata dal Land piú grande, la
Baviera), che incominció a separare tra loro delle entitá istituzionali reali
che erano state concentrate coattivamente nella struttura monolitica e statuale
del nazionalsocialismo: la logica dei Lander si contrappose palesemente al
principio nazional-centralista:
"Un Führer, un Reich, un popolo". E' altrettanto importante il
recente caso della federalizzazione belga, frutto di un lavoro progettuale
durato oltre 20 anni, che ha prodotto una divisione netta fra le due aree
etnico-linguistiche, con l'organizzazione ordinata in cinque livelli di potere
istituzionale retto dalla sussidiarietá.
Questi nuovi processi istituzionali dimostrano che, piú si procede verso quella
che io chiamo la "societá plurale", la "societá multipla",
dove il grado di complessitá sociale aumenta, piú i passaggi di separazione,
delimitazione e nuova articolazione territoriale dei poteri di governo e
gestione si fanno complessi, difficili e non schematizzabili "a
priori". D'altronde l'elemento determinante nella destrutturazione degli
Stati nazionali é stata ed é l'Europa.
Infatti appare ormai chiaro che l'Europa sta
nascendo come aggregazione non di realtá statuali classiche, ma di entitá in
cui, su una storia comune, una geografia e una economia accomunanti, uno
scambio culturale e sociale continuo, si inseriscono dei processi di alto
sviluppo socio-economico e di nuove integrazioni, tali da generare, come giá
avviene, la nascita di veri e propri soggetti istituzionali (come la Padania,
la Catalogna, la regione Rhones-Alpes, il Baden-Wurttemberg e altre).
"In questo quadro dunque si puó piú che legittimamente parlare di
"federalismo per separazione", e cioé di un percorso che afferma come
prioritaria e preliminare per la costruzione federale l'autonomia e l'identitá
delle comunitá che dovranno, successivamente, federarsi in una prospettiva che,
peró, non é piú quella dello Stato-nazione ma dell'Europa-continente. Si tratta
di una strada che ha al tempo stesso un notevole valore di innovazione nei
processi riaggregativi in ambito italiano ed europeo, e che si basa sul
principio internazionalmente riconosciuto dell'autodeterminazione dei popoli.
La fase che stiamo vivendo presenta quindi caratteristiche di novitá assolute
rispetto al passato, soprattutto per i fenomeni di mutamento che sono
velocissimi e in corso nelle strutture economiche e sociali. Abbiamo la
stupefacente possibilitá di assistere ad una globalizzazione dei rapporti umani
che procede su due gradi: da un lato la ricordata integrazione fra territori,
al di lá delle frontiere statuali classiche, fondata sullo scambio e sui
rapporti culturali e commerciali; dall'altro l'impoverimento del concetto
portante degli Stati nazionali, cioé la caduta della sovranitá. Se combiniamo
assieme questi due fattori di libertá e di identitá otteniamo appunto come
risultato politico-istituzionale quello che io chiamo "federalismo per
separazione". Esso comporta anzitutto una scomposizione degli Stati
nazionali tradizionali e contemporaneamente una riaggregazione regionale a livello
europeo e, auspicabilmente, in futuro, mondiale. Questo processo, a mio parere,
coinvolge pienamente la Padania, che ora deve solo assumere coscienza del suo
ruolo e della sua forza".
Lo scenario che ha disegnato si basa, come detto, sul declino dello Stato nazionale
cosi come lo abbiamo conosciuto. Ma con la fine degli Stati di ispirazione
filosofica giacobina vengono messi in discussione soprattutto i concetti di
sovranitá e di nazione, fulcro dell'ideologia nazionalista che ha causato circa
100 milioni di morti nelle grandi guerre europee e mondiali. Come vede il
passaggio al mondo nuovo?
ALBERTONI: "Lo Stato, cosi come si é formato e si é sviluppato dal '500 in
poi, ha avuto come suo connotato essenziale la sovranitá, sempre piú invadente
e ramificata del potere pubblico. I dati propri della sovranitá sono la
legislazione uniformante e centralizzante, la forza armata, la moneta, il
mercato diretto e chiuso, la burocrazia. Le sovranitá nazionali, dopo la
seconda guerra mondiale, si sono ridotte notevolmente, perché con il Patto
Atlantico ( 1949) é stata limitata completamente la sovranitá dal punto di
vista militare; lo sviluppo delle istituzioni comunitarie ha diminuito i poteri
dei singoli governi, cosi come ha fatto la creazione di un mercato prima comune
e poi unico. Il colpo finale verrá tra breve dalla moneta europea. Perció
quando Umberto Bossi parla di doppia legalitá dice una cosa vera, perché se é
innegabile l'esistenza della legalitá dello Stato Italiano, é altrettanto certo
che i processi di aggregazione europea sono tali per cui le dinamiche sociali,
economiche e culturali portano a cercare altre e ben diverse dimensioni
istituzionali. La Padania é, quindi, molto piú di un'ipotesi politica, é una
via di salvezza al disastro italico.
Tengo molto a sottolineare questo aspetto spontaneistico e volontaristico
perché, secondo me, la visione puramente normativa di un secessionismo, ma
anche di un "federalismo per separazione", che si cerca in ogni modo
di giustificare con le leggi non é sempre applicabile. Puó avere un senso in
casi come quello della ex Cecoslovacchia o, forse in futuro, del Belgio, dove
si hanno situazioni fortemente duali; in societá invece come la nostra, di tipo
molto articolato e complesso, i procedimenti di separazione seguono vie che
prescindono dal giá conosciuto. Occorre perció che si individuino mezzi e
procedure efficaci e democratici al riguardo anche per il rapporto
Padania-Europa.
Venendo alla "nazione", bisogna dire che si tratta di un concetto in termini giuridico-politici fortemente datato, elaborato a partire dalla Rivoluzione Francese e sviluppatosi soprattutto nell'Ottocento. Si tratta di una autentica invenzione, di una ideologia molto coinvolgente ed emotiva per tenere insieme le parti e gli interessi spesso eterogenei dello Stato. Questo é un elemento importantissimo, perché la crisi seguita alla esasperazione nazionalista sia del nazifascismo che del comunismo sovietico porta oggi a fare considerazioni ben precise; assistiamo infatti a.l declino di quelle strutture (gli Stati), che avrebbero dovuto contenere le nazioni, e che invece non sono piú in grado di rispondere alla nuova dialettica economica, sociale e culturale che investe ormai le nazioni stesse. Basta guardare alla realtá italica: circa 5 milioni di imprese economiche, che corrispondono ad un rapporto di una impresa ogni dieci-undici abitanti, formano un tessuto sociale impossibile da controllare da parte di uno Stato nazionale centralista ed omologante classicamente inteso, e da noi purtroppo ancora dominante. Le imprese economiche in un mercato chiuso vivono e muoiono d'autarchia, mentre in un mercato europeo unico e aperto, con rapporti globali con il resto del pianeta, hanno una possibilitá di moltiplicazione e insediamento che prescinde completamente dalla logica delle frontiere. E' questa l'autentica ed inedita frontiera delle "regioni economiche" che non corrisponde ormai piú a quella degli Stati nazionali. In questo senso io vedo una federalizzazione che é lontana dal provincialismo italico e che é, invece, prima di tutto europea. In questo ambito gli Stati devono chiudere la loro esperienza di tipo nazionale (e quindi tendenzialmente sempre centralistica), e devono ricomporsi in un processo che vede come protagoniste nuove entitá e nuove aggregazioni. Le regioni economiche sono e sempre piú saranno i soggetti attivi della nuova frontiera del federalismo interno ed europeo, poiché esse seguono l'indicazione naturale dell'economia e dello sviluppo, di una nuova ed inedita cultura civile, di un'etica individuale e comunitaria assai profonda. Certamente si tratta di un processo piuttosto complesso dal punto di vista giuridico, perché parte dal basso ed é attraversato da una forte dinamica revisionistica delle strutture esistenti. Ma é il solo processo vitale perché l'Europa effettivamente viva e noi con lei".
Continua la pubblicazione da parte de la Padania delle bozze dei testi che stabiliscono i principi fondamentali e la forma e l'organizzazione dello Stato padano, e che il Parlamento di Chignolo Po inizierà a discutere domenica prossima.Ieri è stato pubblicato il Patto d'Unione, redatto dalla Commissione tecnico scientifica, che enuncia i principi generali dello Stato padano. Oggi, viene pubblicato il testo attinente la prima delle due proposte, alternative tra loro e da sottoporre alla volontà popolare mediante referendum, su quale tipo di organizzazione statale scegliere per il nuovo Stato: confederazione o federazione. Ecco dunque di seguito la proposta di costituzione della Repubblica confederale padana, così come redatta dal Primo comitato permanente per l'autodeterminazione e i diritti delle comunità e dei cittadini, presso il Parlamento della Padania. La presente proposta di Costituzione confederale è stata elaborata dal deputato Alessandro Storti (gruppo Padania liberale e libertaria) sulla base dell'incarico conferitogli il 21 aprile 1998 dal Presidente del Comitato Ivo Papadia, di comune accordo con i Presidenti dei sottocomitati territoriali, Tiziano Gastaldi (Ovest), Alberto Cantù (Centro) e Carmen Rossetto (Est). Il 22 maggio scorso il progetto è stato presentato al Comitato, che lo ha esaminato articolo per articolo e il progetto del relatore lo ha approvato in via definitiva nella versione che qui è riprodotta. Il testo è stato quindi rivisto in via definitiva dalla Commissione Tecnico-Scientifica il 15 giugno scorso. Domani sarà pubblicata la proposta di Costituzione federale dello Stato padano.COSTITUZIONE DELLA CONFEDERAZIONE DELLE COMUNITA' PADANEArt. 1 - La Confederazione Padana è un'unione volontaria di Comunità libere e indipendenti.Art. 2 - La Confederazione Padana si compone delle Comunità aderenti al presente patto costituzionale. Esse sono (...).Art. 3 - La Confederazione Padana garantisce la difesa delle Comunità e delle loro libertà, tutelando la civile convivenza fra le stesse. La Confederazione ha inoltre competenza nelle seguenti materie:a) rapporti esteri generalib) ammissione, censura, espulsione delle comunitàc) bilancio confederaleLa Confederazione ha competenza in tutte le altre materie stabilite dal Consiglio con voto unanime e sottoposto a referendum confermativo in ogni singola comunità.La Confederazione non potrà godere di una tassazione propria, né diretta né indiretta.Art. 4 - L'esercizio dei poteri non delegati dalla Costituzione alla Confederazione Padana è riservato alle rispettive comunità politiche associate; l'esercizio dei poteri non delegati a queste ultime dalle Carte costituzionali locali è riservato ai soggetti comunitari inferiori e, in definitiva, ai singoli individui.Art. 5 - Ogni Comunità può esercitare il diritto di secessione dalla Confederazione Padana. La deliberazione necessaria per il distacco dalla Confederazione Padana non richiede una procedura rinforzata o aggravata. Il diritto di secessione non può essere sottoposto ad alcuna restrizione o limitazione.Art. 6 - I diritti naturali individuali dei cittadini padani sono la vita, la libertà di espressione in ogni sua forma, la proprietà, l'autodifesa e la ricerca della felicità.Gli atti delle Comunità confederate non possono essere in contrasto con le garanzie individuali tutelate dal presente articolo.Art. 7 - Sono titolari della cittadinanza padana tutti i cittadini residenti e riconosciuti tali nelle Comunità confederate che abbiano sottoscritto la presente Costituzione.Art. 8 - Sono organi della Confederazione il Consiglio, l'Assemblea dei Delegati e la Corte Costituzionale.Art. 9 - Il Consiglio è l'organismo direttivo della Confederazione e si compone dei Governatori e dei Presidenti di tutte le Comunità confederate. La carica di membro del Consiglio si acquista automaticamente, con l'elezione a Governatore o a Presidente di una comunità. Il Consiglio non ha pertanto una durata specifica prefissata.Le funzioni del Consiglio sono le seguenti:a) difesa verso l'esternob) rapporti esteri generalic) ammissione, censura, espulsione delle comunitàd) bilancio confederalee) modifiche costituzionali.Il Consiglio delibera in tutti i casi suddetti all'unanimità, ad eccezione di quanto alla lettera b), se la ratifica di trattati o l'assunzione di obblighi internazionali non comporta modifiche costituzionali. Gli atti di cui alle lettere c), d) ed e) non hanno natura di legge; essi sono classificabili come contratti.Nei casi di aggressione dall'esterno il mancato raggiungimento dell'unanimità sul punto a) non pregiudica la possibilità delle singole Comunità di organizzarsi autonomamente.Art. 10 - Il Consiglio nomina al suo interno un Presidente della Confederazione, scegliendolo fra i Governatori e i Presidenti delle Comunità. La carica di Presidente ha durata biennale. Il Presidente ha le seguenti funzioni:a) presiede il Consiglio b) rappresenta la Confederazione in ogni sedeArt. 11 L'Assemblea dei Delegati si compone di (...) rappresentanti nominati dalle Camere delle singole Comunità in numero di cinque per ognuna di esse. La carica di Delegato è vincolata alla volontà delle Camere locali; in caso di rinnovo di queste ultime o di revoca del mandato il Delegato decade dalla carica. L'Assemblea non ha pertanto una durata prefissata. L'Assemblea si riunisce il 15 settembre per la sessione autunnale e il 15 marzo per quella primaverile. Le sessioni ordinarie si protraggono per sessanta giorni.L'Assemblea ha la funzione di emanare regolamenti in ordine all'attuazione delle funzioni di competenza confederale.L'Assemblea ha inoltre il diritto di votare risoluzioni sul merito degli atti di competenza del Consiglio. L'Assemblea ha egualmente il diritto di emettere documenti di indirizzo in ordine a qualsiasi argomento. Risoluzioni e documenti di indirizzo non hanno forza vincolante per alcun organismo della Confederazione né per alcuna Comunità.Art. 12 - La Corte Costituzionale è l'organismo competente a giudicare in ordine alle questioni di costituzionalità di leggi e provvedimenti. La legge istitutiva della Corte Costituzionale viene adottata dall'Assemblea nella prima sessione.La Corte interviene su istanza di ogni cittadino, di ogni gruppo di individui, di ogni Comunità.Art. 13 - Il Consiglio si riunisce a Venezia.L'Assemblea si riunisce a Pavia nella sessione autunnale e a Mantova in quella primaverile.Il Sigillo della Confederazione è il Sole delle Alpi.La Bandiera Ordinaria è il Sole delle Alpi verde in campo bianco, la Bandiera Marittima è formata dall'unione degli stendardi di San Giorgio e di San Marco, la Bandiera Storica è la Croce di San Giorgio caricata nel primo quadrante del Sole delle Alpi rosso. Venezia, 22 maggio 1998 Relatore, ALESSANDRO STORTIPresidente, IVO PAPADIAVicepresidenti, CARMEN ROSSETTO, ALBERTO CANTÙ, TIZIANO GASTALDI
La Secessione e Gustav Klimt
La Secessione
Fenomeno di scissione di gruppi artistici
dalle tendenze e organizzazioni ufficiali che ebbe particolare importanza nei
paesi tedeschi nella seconda metà dell'Ottocento e all'inizio del Novecento.
Non si trattò in effetti di un movimento unitario con precisi indirizzi, ma
piuttosto di una corrente di rinnovamento del gusto artistico, aperta a
problematiche di ordine generale. Tra gli elementi comuni dei gruppi sorti a
Monaco, Berlino e Vienna, la tendenza al superamento delle istanze
naturalistiche e realistiche, la polemica contro l'accademismo della cultura
ufficiale, attraverso la presa di contatto con le nuove tendenze
internazionali, l'adesione al gusto intellettuale ed elegante del simbolismo,
l'esigenza di allargare il discorso artistico ai campi della decorazione e
delle arti applicate. Quest'ultimo aspetto è particolarmente evidente nella
Secessione di Monaco (1892), ove l'interesse per l'artigianato, l'arte
decorativa e la grafica porta alla creazione di quello Jugendstil di raffinata
eleganza, che è la versione tedesca dell'art noveau. Mentre la Secessione di
Berlino (1898) svolse un ruolo soprattutto importante per la formazione
dell'espressionismo, la Secessione di Vienna (1897) presenta aspetti
particolari. Da un lato, attraverso l'opera pittorica di Klimt, fornì la più
elegante e raffinata versione del simbolismo, dall'altro nei campi della
decorazione e dell'architettura elaborò una tendenza al geometrismo lineare e
alla essenzialità strutturale che anticipa le successive soluzioni
dell'architettura razionale.
Gustav Klimt (1862-1918),
pittore e incisore austriaco, fu figlio di un orafo e cesellatore originario
della Boemia. Frequentò dal 1873 al 1883 la Scuola statale d'arte e mestieri di
Vienna. In seguito, con Franz Matsch e con il fratello minore di Ernst, aprì un
atelier di pittura decorativa, eseguendo, tra l'altro, il sipario del teatro di
Carlsbad e il soffitto delle scale laterali del Burgtheater di Vienna. Alla
morte del fratello la società si sciolse e Klimt per circa cinque anni, si
dedicò quasi esclusivamente allo studio. Nel 1897 partecipò alla fondazione
dell'associazione degli artisti austriaci, nota come Secessione viennese. A
partire da quegli anni iniziò la sua attività più importante, con le allegorie
della filosofia, della medicina e della giurisprudenza destinate al soffitto
dell'aula magna dell'università di Vienna. Carattere peculiare del suo stile è
la tendenza al simbolismo e ad evocare piuttosto che a rappresentare la realtà.
Gustav Klimt rappresenta quasi l'anima della
Secessione, movimento che si proponeva di riportare l'arte austriaca al livello
della grande Europa. La sua arte, di cui oggi colpisce la ridondanza
decorativa, è, a suo modo, per i tempi, rivoluzionaria.
Klimt nasce di fatto come grande decoratore. Insieme a Kolo Moser sarà uno dei
più grandi collaboratori di architetti come Olbrich, Hoffman, Wagner.
Collaborò, inoltre, a "Ver Sacrum", la rivista della Secessione, con
immagini che sono spesso da mettere in relazione con la sua pittura.
È probabile che l'esuberanza decorativa di Klimt e di altri secessionisti
finisse per sottolineare l'importanza di certi motivi astratti, influenzando
forse, nella non lontana Monaco, un grande pittore come Kandiskij. È un fatto
che, in molte opere, l'impianto decorativo entra di prepotenza nella
composizione del dipinto, Klimt sottolinea il realismo (si vedano certi effetti
di vene o di couperose sui suoi nudi) quasi per aumentare l'attrito tra le due
dimensioni. In realtà l'estrema eleganza del suo disegno impedisce sempre che
vi sia un vero dissidio tra impianto naturalistico e decorazione. Vediamo oggi
come quello che poteva sembrare allora un atto di coraggio costruiva, invece,
un'immagine in perfetta sintonia col gusto del tempo. Non va dimenticata una
parte più propriamente naturalistica dell'attività di Klimt come pittore di
paesaggi, e in qualche ritratto. Anche qui Klimt privilegia un'eleganza
finemente estetizzante, tentando una trascrizione del tutto ornamentale (ma non
priva di efficacia pittorica) del pointilisme francese e scegliendo spesso il
formato quadrato, perfettamente bilanciato. Nel ritratto, dove non indulge al
solito smaterializzante incontro tra decorazione e figura (prediligendo colori
chiari mescolati con l'oro) Klimt sembra, in alcuni casi, preferire un
linguaggio più asciutto, quasi alla Lautrec, indulgendo allora in forti
contrasti tra colori chiari e scuri.
La Secessione Viennese
movimenti conosciuti globalmente come Art
Nouveau, sono un fenomeno strettamente europeo e rappresentano la frattura
definitiva fra le arti antiche e le arti moderne.
Per tutto il XIX secolo l'arte è stata insegnata dalle Accademie, i linguaggi e
le teorie estetiche si elaborano in ambito accademico, pittura, scultura ed
architettura sono considerate Arte, l'editoria, la scenografia, l'arredamento
la grafica il design non hanno rilevanza per gli artisti dell'Accademia.
L'Eclettismo è l'espressione dell'arte imbrigliata, perché costringe le nuove
tecniche e i nuovi materiali ad adeguarsi a strutture compositive e formalismi
derivati dalle esperienze del passato. Tuttavia a Parigi i pittori prima di
altri artisti trasformano la pittura con i "movimenti
impressionisti", e benché ad un certo punto l'impressionismo diventi
"accademico", tracciano la via a tutti i fenomeni artistici del 1900.
Alla fine del 1800, la contrapposizione fra arte, artigianato e produzione
industriale permette la nascita di movimenti artistici regionali accomunati da
forme e stilemi, che contemporaneamente sono adottate dagli artisti. Il
Modernismo di Gaudì in Spagna, deve rappresentare la nuova nazione Catalana.
L'Art Nouveau di Guimard a Parigi ruota intorno alla realizazione delle
stazioni della metropolitana. In Inghilterra Mckintosh, è legato alle
Arts&Crafts. La Secessione Viennese a differenza degli altri fenomeni si
distingue perché nasce all'interno del mondo accademico e per questo produce
risultati qualitativamente alti.
Le origini della Secessione Viennese
"Se l'opera d'arte è valutabile solo nei suoi valori visivi, se ogni linea, ogni colore ha un significato intrinseco, cade naturalmente ogni distinzione fra arte pura o di concetto e arte decorativa o applicata. La ricerca estetica appartiene a tutti gli elementi della produzione."
L'introduzione di questi nuovi concetti
nella cultura del XIX secolo, segna l'improvviso crollo dei valori e degli
insegnamenti accademici che per tutto l'800 avevano guidato la produzione
artistica. L'accademismo aveva rappresentato per tutto il secolo i fasti
dell'aristocrazia, soprattutto nell'Europa centrale dove era più forte la
tradizione monarchica.
Lo sviluppo industriale in Germania e in Austria favorì la nascita di un
sistema sociale basato sulla borghesia imprenditoriale che ben presto avrebbe
sostituito l'ormai vecchia e logora aristocrazia. La borghesia liberale che
aderisce alle idee socialiste attira le simpatie dei ceti meno abbienti, è il
primo segno della fine delle monarchie.
Vienna sul finire del 1800 è la capitale dell'Impero Austro-ungarico. Dopo i
moti della metà del secolo sedati da Francesco Giuseppe e il decollo
dell'economia industriale si vive un periodo di relativa calma politica. La
città si appresta a diventare una metropoli, centro di un Impero formato da
popoli diversi, per cui disposta ad accettare tutti gli stili anche quelli
regionali. Vienna dev'essere adeguata a servire i bisogni della nuova
borghesia. Si abbattono le mura della città antica, e si espande il raggio
urbano. La zona d'espansione è chiamata Ring (Anello). Gli edifici, abitazioni
e commerci della nuova borghesia, che prospettano sul Ring sono in stile
eclettico, hanno strutture moderne e innovative in acciaio e cemento ma sono
ricoperti da apparati decorativi in stile neogotico, neoclassico,
rinascimentale e così via, con citazioni di singoli episodi dell'arte del
passato. Nel Ring si costruiscono anche teatri, musei e strutture pubbliche per
soddisfare le esigenze della mondanità borghese.
In questo clima di rinnovamento sociale ed economico un gruppo di artisti nel
1881 comincia a riunirsi regolarmente in un caffè, per esporre nuove idee in
merito all'arte, alla produzione industriale all'estetica.
Nel 1896 quaranta artisti capeggiati dal pittore Gustav Klimt dichiara la
scissione dalla Künsterhaus, la potente associazione ufficiale degli artisti
viennesi, che non riconosce il nuovo gruppo. Nel maggio 1897 Klimt insieme ad
altri 17 membri dichiara la Secessione dalla Künsterhaus. Joseph Hoffman
aderisce alla secessione nel 1898 e Otto Wagner nel 1899. A ruota anche un
altro gruppo si stacca dalla Künsterhaus senza raggiungere esiti da esser presi
in considerazione dalla critica storica.
Con la costituzione della Secessione gli artisti viennesi riescono scuotere le
fondamenta dell'accademismo e acquisiscono popolarità presso i nuovi borghesi
che saranno i committenti principali.
Il merito principale del movimento secessionista non è quello di essere
precursore del movimento moderno, ma di aver combattuto la falsità dello stile
eclettico. È logico che la Secessione così come lo Jugendstil, l'Art Nouveau,
il Modernismo ed il Liberty, non potesse essere diventare il nuovo stile del
'900 sia per la rapidità del fenomeno, sia per i profondi legami con la
borghesia capitalistica.
Il periodo di maggior affermazione della Secessione dura circa sei anni, poi le
dure critiche che arrivano da più parti esauriscono naturalmente il movimento.
Nei sei anni di attività del gruppo
secessionista resta un bilancio positivo, la costruzione dell'edificio della
Secessione, venti esposizioni, la pubblicazione di Ver Sacrum (Primavera
Sacra), sono i risultati tangibili, ma al di là di questo c'è la consapevolezza
di esser diventati caposcuola dello stile floreale in Europa.
L'ispiratore della secessione è Gustav Klimt pittore e decoratore, vero
riformatore delle arti applicate in Austria, oltre a lui i principali
protagonisti sono Olbrich, Wagner, Hoffman.
Klimt esordisce come decoratore ma ben presto spinto dalla cerchia di amici che
frequenta passa alla pittura. Le sue opere sono caratterizzate dalla linea
scattante, gli accostamenti di colore che agiscono come piani cromatici. La
linea contiene tutto nello stesso tempo determina l'apparato decorativo. I
personaggi assumono complesse posizioni forzate e quasi vegetali, anche i
cromatismi riconducono a temi floreali, i tessuti sono decorati con temi
assiro-persiani. Dai volti ambigui dei suoi personaggi traspare una forte
carica erotica ora perversa ora innocente, che trascende il valore intrinseco
della pittura per trasmettere un messaggio di trasgressione ed essoterismo
(droghe, cerimonie magiche e sessuali, della sono tipiche dell'ambiente e del
periodo, e Freud negli stessi anni introduce la psicanalisi).
Gli stessi elementi con cui Klimt caratterizza i suoi dipinti, li utilizza per
dare corpo alla Secessione. Klimt fornisce grandi quantità di idee che poi ogni
artista secessionista approfondirà e trasferirà nel suo campo.
Iraq, lo spettro della secessione |
La testimonianza del generale Faisal al Faisal e dello sceicco Taleb Harbi Al- Muzel, leader della tribù sciita di Nassiryia. Nelle loro parole la preoccupazione di una divisione del paese su basi etniche |
Due punti di vista, due voci che fuori dalle urgenze della cronaca permettono di inquadrare la drammatica situazione dell'Iraq. L'incontro Iraqi Situation, organizzato da Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica presso la facoltà di Scienze linguistiche dell'Università Cattolica, ha ospitato due testimoni del nuovo Iraq, il generale Faisal al Faisal ex vicepresidente del Consiglio di Sicurezza nazionale, e lo sceicco Taleb Harbi Al- Muzel leader della tribù sciita di Nassiryia.
Faisal e Al- Muzel sono esponenti dell'establishment iracheno. Entrambi contrari a una divisione del Paese su basi etniche tra sciiti, sunniti e curdi, si sono soffermati su problemi specifici, a partire dalla sicurezza compromessa da attentati ormai quotidiani, come spiegato da Redaelli. «Nonostante il nuovo piano per la sicurezza varato dagli Stati Uniti, la situazione resta disastrosa - ha detto il docente -. Gli attentati degli ultimi giorni aumentano le difficoltà del governo di Al Maliki, mentre la regione è resa sempre più instabile dalla questione del nucleare iraniano». Ma le cause della guerra civile irachena risalgono al 2003, appena dopo la caduta di Saddam Hussein. «Smantellando l'esercito iracheno gli Usa hanno commesso un errore gravissimo - ha spiegato Faisal -. Non è rimasto nessuno a mantenere l'ordine, e si è lasciato spazio al terrorismo». Le forze militari irachene, sciolte dagli Usa perché giudicate troppo vicine all'ex dittatore, sono state ricostituite con elementi estranei al vecchio regime. «Ma il nuovo esercito è stato organizzato secondo strategie americane, senza attenzione per la situazione specifica del Paese - ha aggiunto il generale - E ora a pagare sono i civili». Per Faisal occorre definire un piano d'intervento che veda il contributo delle forze irachene, più capaci di studiare strategie per contendere ai ribelli il controllo del territorio. Senza dimenticare gli aspetti politici. Secondo il generale bisogna ricostruire la fiducia reciproca di leader e cittadini. «Dividere il Paese non ha senso, serve un forte governo di unità nazionale». Al di là dei giochi di potere. «Faisal punta sull'unità del governo e ha poca fiducia nei partiti - ha commentato Redaelli -. Questo è tipico delle forze armate irachene, che mettono la stabilità al primo posto».
Viene dall'establishment anche lo sceicco sciita Al- Muzel. Profondo conoscitore dell'Islam, lo sceicco ha risposto a una questione chiave, che sembra spazzar via ogni dubbio sul tema dello scontro di civiltà. «In Iraq non si sta combattendo una guerra santa - ha detto Al- Muzel -. Secondo la tradizione musulmana, la jihad è una guerra difensiva, ma non può essere combattuta tra musulmani e nemmeno contro cristiani e ebrei. Ora in Iraq non ci sono jihadisti, ma terroristi». Lo sceicco vive in modo ortodosso il proprio credo. Una fede capace di scandire la vita quotidiana e sociale: niente di più diverso dalle derive radicali alla radice dell'instabilità del Paese. La questione-sicurezza è anche alla base della missione civile italiana, con una Task Force creata nel 2003 dal Ministero degli Esteri per occuparsi dell'addestramento di truppe locali nella regione di Nassiryia. Ma non solo. «Abbiamo speso 230 milioni di euro per ricostituire la pubblica amministrazione irachena e per la formazione di tecnici industriali - ha detto Stefano Stucci, vice coordinatore della Task Force -. Abbiamo ricostruito le infrastrutture nella zona di Nassiryia e il Museo Archeologico di Baghdad». E il ritiro militare non ha significato un disimpegno dell'Italia, che continua a sostenere la causa irachena con Stati Uniti e Gran Bretagna, e mantiene forti rapporti di cooperazione con il governo iracheno.
L'ITALIA FEDERALE MA SOLIDALE |
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Incontro del 6 dicembre '02 sul tema: "Devoluzione: federalismo solidale o secessione?" "Devoluzione: l'Italia è in pericolo?" "Di fronte ai regionalisti massimalisti,
la cui posizione può essere in realtà pericolosa per l'unità nazionale, il
Movimento Comunità intende la regione anzitutto come strumento di
decentramento statale e di autonomia e non di arbitrario particolarismo. Gli
statuti regionali devono essere anzitutto uniformi allo scopo di ricondurre
attraverso la pluralità di organismi periferici alla unità dello Stato". Dopo aver data lettura pubblica dell'appello
contro la devoluzione, firmato da rinomati intellettuali, il senatore Petrini
interviene, sostenendo che il federalismo è un mezzo per la democrazia, non
un fine:"Il sistema federale garantisce una migliore soluzione delle
questioni sociali e garantisce i diritti civili ed individuali". Benni, il secondo relatore presente,
inizia il suo intervento delineando la tragica situazione economia in cui
imperversa il Paese:"Vi è un debito pubblico che ammonta a 50 miliardi di
euro e il governo tenterà di truccare le cifre per poter rientrare nei
parametri di Maastricht; l'inflazione aumenta, i prodotti di prima necessità
costano maggiormente, lo scudo fiscale garantisce gli interessi di coloro che
possono speculare sugli immobili e sui beni di lusso, mentre la competitività
dei nostri prodotti diminuisce esponenzialmente, considerando il fatto che la
svalutazione della lira non è possibile" ed aggiunge "in questo momento è
assurdo parlare di devoluzione, di rottura dello stato: ci vuole maggiormente
l'unità". Benni considera, poi, il caso siciliano, dove il governo regionale
di destra ha dissipato ricchezze e fondi per inutili interventi:" come
mandare a casa coloro che si sono candidati al parlamento siciliano, se le
loro candidature sono bloccate da listini preconfezionati? La magistratura
potrà garantire il ripristino della legalità e della giustizia per un
riequilibrio democratico e sociale". Il senatore Petrini ha sottolineato la
grave difficoltà in cui imperversa il Parlamento, dove la maggioranza
sottopone arrogantemente le proprie decisioni e delegittima il ruolo della
minoranza. Avverte l'esigenza di un'apertura dei partiti al movimentismo
civile e sociale e considera, infine, il fatto che la scorsa legislatura la
maggioranza di centrosinistra ha commesso errori da non ripetere in
futuro:"Qualcuno credeva, ha sostenuto, che Berlusconi, indebolito dalla
sconfitta del 96, potesse essere battuto istituzionalmente richiamandolo ad
assumere una responsabilità istituzionale; il progetto è fallito. |
"Fermare i conati di secessione"
Giorgio Napolitano, quirinale.it, 04-11-2006
La storia cui oggi ci richiamiamo è una
storia di dure prove e di eroici, dolorosi sacrifici, da quelli che segnarono
la grande guerra del 1914-1918 a quelli più recenti ben impressi nella nostra
memoria, che sollecitano tutti il nostro commosso reverente omaggio.
Celebriamo qui anche quest'anno la triplice ricorrenza del 4 novembre:
l'anniversario di una Vittoria che segnò il conclusivo ricongiungimento con
l'Italia di ogni sua parte, il giorno dell'Unità nazionale così pienamente
conseguita e consolidata, e la Festa delle Forze Armate, che sono state
protagoniste del formarsi dell'Italia unita e ne presidiano oggi le conquiste
storiche e il nuovo ruolo nel mondo.
Gli obbiettivi e i valori dell'unità nazionale e dell'indipendenza hanno
rappresentato il filo conduttore delle fondamentali esperienze vissute dal
nostro popolo in un periodo più che secolare: dal Risorgimento alla Grande
Guerra, dalla Liberazione alla Ricostruzione. Fu necessario, oltre sessant'anni
fa, uno sforzo straordinario per riscattare l'Italia da una rovinosa impresa
bellica sfociata nella disfatta e da una nuova occupazione straniera,
riconquistando alla patria indipendenza, dignità e libertà e scongiurando
possibili lacerazioni del tessuto unitario. Oggi, deve sempre considerarsi
bene prezioso e imperativo supremo l'unità nazionale, che va preservata - anche
in una possibile articolazione federale - dall'insidia di contrapposizioni
fuorvianti e di antistorici conati di secessione.
E' solo rafforzando la comune identità e l'effettiva coesione del paese, che
l'Italia può mettere a frutto le sue potenzialità e far valere - nel nuovo
contesto globale - il suo contributo di nazione indipendente e pienamente
partecipe del concerto delle nazioni europee.
Di questa visione e di questo impegno le Forze Armate costituiscono una delle
più importanti e innovative espressioni nel presente. Sulla base dei compiti
loro attribuiti nel seno delle grandi organizzazioni internazionali e in primo
luogo dell'Unione Europea, di cui l'Italia è partner consapevole e attivo, esse
sono protagoniste di una strategia di sicurezza fattasi sempre più aperta alle
esigenze di un mondo investito da profondi mutamenti. Si tratta di una
strategia inclusiva, che tende ad allargare l'area di un impegno comune in
funzione di obbiettivi di pace, di democrazia e di sviluppo da perseguire ben
oltre i confini nazionali e gli stessi confini dell'Europa. Solo così si
possono ormai proteggere gli interessi dell'Italia e dell'Europa, e il nostro
diritto a vivere nella sicurezza e nella libertà. Ciò richiede anche interventi
concertati in situazioni di crisi, che vanno affrontate con strumenti
molteplici, compreso, e non da ultimo, quello della presenza militare. Di qui
il ruolo nuovo ed essenziale delle nostre Forze Armate, che fin dai primi anni
novanta del secolo da poco conclusosi hanno concorso a importanti missioni,
sotto l'egida delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della NATO.
Le linee essenziali della strategia di sicurezza europea sono state per la
prima volta elaborate in modo compiuto nel 2003, con una dichiarazione di
straordinario valore: e ad essa occorre attenersi, cogliendone tutta la
complessità e la ricchezza. Mi piace a questo proposito richiamare le
considerazioni e le precise formulazioni espresse nel più recente discorso
dell'Alto Rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera e di
sicurezza, signor Javier Solana.
Quel che deve guidarci è il senso di una identità europea formata da un nucleo
essenziale - egli ha detto - di "valori, convinzioni ed esperienze".
Tra gli elementi principali che ci vengono riconosciuti nel mondo ci sono - ha
affermato Solana - "la vicinanza a coloro che soffrono; la pace e la
riconciliazione attraverso l'integrazione; un forte attaccamento ai diritti
umani, alla democrazia e all'imperio del diritto"; l'attitudine al
negoziato e alla ricerca del compromesso, "l'impegno a promuovere con
pragmatismo un sistema internazionale basato su regole condivise". E
infine, un alto senso del ruolo della storia e della cultura.
A questi concetti e a questi valori - che pienamente corrispondono ai motivi
ispiratori della Costituzione repubblicana - può ben ricondursi, io credo, il
modo di essere e di operare delle nostre nuove Forze Armate. Vi si può
ricondurre in particolare la partecipazione a quelle missioni all'estero che ho
già ricordato, e che discendono dalla lungimirante impostazione dell'articolo
11 della Carta costituzionale; oggi, più che mai, la partecipazione, anche con
ruoli di leadership, alla cruciale missione in Libano.
Sulla base dell'accresciuta e sempre più accentuata professionalità delle Forze
Armate, cui è dedicata questa Festa, si deve e si può puntare su strutture
razionali e al passo con i tempi, anche attraverso verifiche e revisioni di
moduli organizzativi e amministrativi, e conseguire così il più efficiente
impiego delle risorse disponibili, nella difficile condizione del bilancio e
dell'assetto complessivo dello Stato.
Mi propongo di chiamare il Consiglio Supremo di Difesa, nella piena
valorizzazione del mandato costituzionale e nel rispetto dei suoi limiti, a
fare ancor meglio la propria parte nel contesto appena richiamato.
Sono certo che le Forze Armate, in virtù della loro consolidata tradizione e
apertura all'innovazione, sapranno concorrere in modo decisivo, in sinergia con
le altre componenti funzionali dello Stato, all'esercizio di un ruolo primario
dell'Italia nell'ambito del sistema di sicurezza internazionale e nel processo
di crescita del nostro paese.
In questo spirito, rivolgo il più alto compiacimento e le più vive
felicitazioni ai nuovi decorati dell'Ordine Militare d'Italia, magnificamente
distintisi in difficili operazioni anche nei teatri lontani dai confini
nazionali.
Viva le Forze Armate, viva la Repubblica, viva l'Italia.
Bossi:"Non Secessione ma LIBERTA'"
La svolta di Bossi: «Mai più secessione»
di Adalberto Signore da Il Giornale
Un sorso di Coca-Cola e via, l'ennesima spipacchiata di toscano. Se la gode
Umberto Bossi, che più passano i giorni da quel lontano 11 marzo del 2004 e più
migliora. Non solo nei movimenti e nel fisico, ma pure nell'umore e nel tono
della voce. Il comizio a passo Ca' San Marco, il valico a 1.850 metri di
altezza che divide la Val Brembana dalla Valtellina, è finito da una mezz'ora e
il Senatùr si concede un po' di relax al «Ristorante del Sole».
La Lega si prepara a una nuova stagione di lotta. E tra i militanti presenti al
raduno più d'una volta s'è alzato il grido «secessione». Crede sia una strada
ancora percorribile?
«"Secessione" è una parola di cui sono nemico. Prima di tutto bisogna
cominciare a essere padroni a casa nostra, altro che secessione. Sbagliano quei
militanti che ancora la invocano, non ci crede più nessuno. Posso capire che
nel cuore di tutti c'è l'indipendenza, ma ora servono proposte ragionate,
strade democratiche. Poi, se davvero lo Stato centralista continuerà a tenerci
schiavi, allora rialzeremo la bandiera dell'indipendenza. Indipendenza, non
secessione».
E la base più «di lotta»? Non c'è rischio che resti delusa?
«A chi pensa di conquistare qualcosa facendo casino sa cosa dico?».
Prego.
«Dico "tanti saluti". Se ci fosse un'altra via l'avrei già battuta, ma la
verità è che non c'è e con le chiacchiere non si conquista la libertà. Noi
siamo democratici, mica musulmani. Le scorciatoie portano al dirupo. Io non
grido "secessione", io grido "libertà"».
Dunque si riparte da Lombardia e Veneto?
«Saranno due armi potentissime. A settembre le regioni della Cdl chiederanno
allo Stato quei soldi che ci vengono rastrellati sul territorio. È per questo
che a quei militanti che hanno qualche perplessità sulla nostra permanenza
nell'alleanza dico di essere più cauti. Perché la Cdl e Berlusconi hanno sempre
mantenuto gli impegni, hanno sempre votato tutto. Ed è con loro che si può
arrivare davvero al federalismo attraverso l'azione di Lombardia e Veneto. Lo
faremo applicando la Costituzione che c'è, quella voluta dalla sinistra che
prevede che le Regioni possano chiedere al Parlamento più autonomia su alcune
materie specifiche. Insomma, in questo momento le Regioni come istituzioni
possono ottenere molti più risultati di quanti ne possa portare a casa Bossi o
la Lega».
Non teme che Formigoni possa scavalcarvi? In Lega c'è più d'un malumore per
quello che molti considerano un eccessivo attivismo...
«Meglio che il federalismo diventi la bandiera di tutti, vuol dire che
finalmente si realizzerà. Poi gli storici scriveranno che il merito è della
Lega. E la gente lo sa bene».
Oltre a Lombardia e Veneto è ipotizzabile che questa richiesta arrivi anche
dalle province, per esempio da quelle del Piemonte che hanno votato sì al
referendum?
«La Costituzione vigente, che è un'ottima Costituzione, prevede che lo possano
fare solo le Regioni. Ma visto che Lombardia e Veneto mantengono in piedi il
bilancio dello Stato, è prevedibile che poi ci sia un effetto a catena.
Insomma, non credo che le altre Regioni possano permettersi di rimanere inerti
senza che i cittadini a cui devono rendere conto non si facciano sentire».
Calderoli ha proposto di reinsediare il Parlamento del Nord. Che ne pensa?
«Un'ottima cosa, abbiamo bisogno di un laboratorio che rastrelli idee da tradurre
poi in azione politica».
Dei tanti giovani leghisti arrivati in Parlamento c'è qualcuno che se la sta
cavando meglio?
«Sono tutti bravissimi».
Qualche nome?
«Giorgetti, come sempre. O Cota, che siccome è avvocato si occupa della miriade
di processi che ho a carico».
La Lega è l'unico partito che in Commissione ha scelto di astenersi sul voto
della missione in Libano. Quando il decreto arriverà in Aula come vi
comporterete?
«Voteremo a favore, non possiamo certo andare contro l'Onu. Eppoi bisogna cercare
di mettere un po' d'ordine in Medio Oriente perché quando ci sono le guerre
scappano milioni di persone e poi ce le ritroviamo tutte qui».
Come valuta la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo?
«Una è di Milano, l'altra di Torino. Finalmente hanno fatto una grande banca
del Nord che avrà a cuore gli interessi delle nostre imprese».
Quello che aveva auspicato il Carroccio con l'Opa di Bpi su Antonveneta?
«Sono andati a finire dove noi avevamo iniziato».
Delle liberalizzazioni di Bersani cosa ne pensa?
«Mi sembra che questo governo manchi di saggezza. Ad esempio con i tassisti.
Hanno in mano le città, le bloccano quando vogliono e sono andati a toccare
proprio loro. E per cosa? Cosa ci guadagna la gente comune se liberalizzano le
licenze?».
E le nuove iniziative fiscali di Visco?
«In un modo o nell'altro la sinistra è sempre il partito delle tasse e della
poca libertà. Sono riusciti a fare incazzare tutti, se ci fossero ora le
elezioni andrebbero sotto. La marcia della pace ad Assisi lo dimostra. Per la
prima volta non si sono schierati contro l'intervento ma con l'Onu. E l'hanno
fatto solo per tenere in piedi un governo amico. I sondaggi li hanno anche loro
e sanno che uno strappo ora potrebbe essere fatale. Ma fra poco arriverà il
momento di mettere mano alla Finanziaria. E di lì non ne usciranno vivi».
Bossi: "Mai più secessione"
Il leader leghista detta la nuova linea
"Non parleremo mai più di secessione". Il leader della Lega, Umberto
Bossi, intervistato da Il Giornale, dice ufficialmente addio alla secessione.
"E' una parola di cui sono nemico. Sbagliano quei militanti che ancora la
invocano", taglia corto il numero uno del Carroccio. Ma Bossi mette in
guardia il governo di centrosinistra: "Lombardia e Veneto chiederanno allo
Stato quei soldi che ci rastrellano sul territorio".
Il grido "secessione" rischia di non essere più ascoltato nei raduni
della Lega. Di certo, il suo leader Umberto Bossi non pronuncerà più quella
parola. Si metta l'anima in pace anche la base del partito: "A chi pensa
di conquistare qualcosa facendo questo casino dico tanti saluti".
Nuova linea politica per il Carroccio. Si riparte da Lombardia e Veneto:
"A settembre le regioni guidate dalla Casa delle Libertà chiederanno quei
soldi che ci vengono rastrellati sul territorio". Le azioni delle due
regioni del Nord, secondo Bossi, delinearanno la strada verso il federalismo.
"Faremo attuare la Costituzione che c'è, quella voluta dalla sinistra che
prevede che le Regioni possano chiedere al Parlamento più autonomia su alcune materie
specifiche".
In quanto al federalismo, nella Lega non c'è alcun timore di essere scavalcati
dal Governatore lombardo Roberto Formigoni: "Meglio che il federalismo
diventi bandiera di tutti, vuol dire che finalmente si realizzerà".
Il leader leghista non si ferma qui e dice la sua anche su Libano e fusione
Intesa-San Paolo: "Voteremo a favore per il decreto che autorizzerà
l'invio delle nostre truppe. Bisogna cercare di mettere un po' d'ordine in
Medio Oriente". Sul matrimonio Intesa-San Paolo: "Una è di Milano,
l'altra è di Torino. Finalmente hanno fatto una grande banca del Nord che avrà
a cuore gli interessi delle nostre imprese".
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