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Mediazione familiare: dal codice civile al diritto sociale

diritto



Mediazione familiare:

dal codice civile al diritto sociale



Nonostante la mediazione familiare sia diffusa in Italia dagli anni '80, più per geminazione di attività esistenti (es. consultorio familiare) che per mutuazione da esperienze straniere, manca a tutt'oggi una disciplina e un'univocità di pensiero sulla defin 131e45b izione, sulle modalità, sui limiti, sulla figura professionale del mediatore familiare.

Si può tentare di dissolvere alcune ombre partendo da una rilettura sistematica ed evolutiva del nostro codice civile.

Le principali innovazioni normative del codice del 1942 rispetto al codice previgente del 1865 furono: la centralità della persona e non più della proprietà (basti pensare alla struttura stessa del codice civile e alla tutela dei diritti della personalità), il fenomeno associativo, l'autonomia privata in genere (di cui l'autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. è solo una delle manifestazioni), la centralità della famiglia (in cui si ebbe un timido miglioramento per "spirito di compromesso" della tutela della donna e dei figli nati fuori del matrimonio).



Questi elementi, insieme ai doveri di correttezza e buona fede, alla composizione dei conflitti d'interesse, all'equità, senza dimenticare i principi costituzionali, fanno parte di quei principi generali dell'ordinamento giuridico (art. 12 Preleggi) la cui indicazione costituì un'altra novità dell'allora nuovo codice civile. I suddetti principi non debbono ispirare solo l'interpretazione, ma ogni attività giuridica essendo principi fondamentali che assicurano l'intima coerenza dell'ordinamento complessivamente considerato.

Orbene la mediazione familiare, pur non essendo disciplinata nel codice civile, si armonizza con i principi che reggono il nostro sistema di diritto privato come configurato dal codice del 1942, a cominciare dalla centralità della persona. Si tratta di un servizio d'aiuto alla persona che ridimensionando la conflittualità tra le parti, esacerbata invece nel sistema giudiziario, mira alla valorizzazione dei diritti soggettivi nel gruppo familiare, come discende dall'interpretazione dell'art.2 Costituzione. L'attività mediativa dà impulso al fenomeno associativo, infatti, la prima forma organizzata di mediazione familiare si è avuta grazie all'associazione GeA (Genitori Ancora) a Milano. È certamente un aspetto dell'autonomia privata nel diritto di famiglia, autonomia che dopo tante querelles è riconosciuta a pieno titolo (anche perché trova conferma nella Costituzione) e non deve confondersi con l'autonomia negoziale che ne è una species. Inoltre essa, proprio per la sua natura, concorre a realizzare, o per lo meno a recuperare, la centralità della famiglia e per le sue modalità di svolgimento si basa sui principi tipici dei rapporti privati (non solo quelli patrimoniali) quali correttezza, composizione dei conflitti, equità.

Oltre a ciò la mediazione familiare risulta uniformarsi ancor di più ai principi della riforma del diritto di famiglia, legge 19 maggio 1975 n. 151, con la quale si è avuta la costituzionalizzazione del diritto di famiglia. Adottando la tecnica della novella, dopo anni di discussione nella faticosa ricerca d'appaganti soluzioni di compromesso come sta accadendo per la regolamentazione legislativa della mediazione familiare, agli articoli 143 e ss. del codice civile è stato introdotto, tra le più qualificanti novità, il principio di parità dei coniugi unitamente alla regola dell'accordo (o ricerca del consenso), che del suddetto principio generale è l'espressione. Principio che si estrinseca, per es., nell'automediazione di cui all'art. 144 cod. civ. e nell'eteromediazione di cui all'art. 145 cod. civ. e che ha ispirato la legge 8 febbraio 2006 n. 54 "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli". Guarda caso, proprio quattro anni dopo la riforma del diritto di famiglia e cioè nel 1979, si è avuta una primordiale teorizzazione della mediazione familiare per merito di Fulvio Scaparro ed altri; così grazie alla sensibilità d'alcuni operatori in diversi settori si contribuiva ad un concreto processo attuativo dei principi introdotti dal riformatore del 1975.

 Che la figura mediativa in esame s'incardini nel sistema del codice civile e che sia un corollario del summenzionato principio generale paritario si arguisce anche dal fatto che, quando con la legge n. 154 del 2001 "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari" si è avuta un'altra novella additiva, la mediazione familiare è ivi menzionata quale strumento agevolativo della ricostituzione dell'equilibrio familiare e della parità dei coniugi, equilibrio e parità perduti o mai raggiunti a causa di situazioni di abuso. L'art. 342 ter c. 2 cod. civ. così inserito recita: "Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare". Non solo. L'ulteriore novella additiva della legge 54/2006 sull'affidamento condiviso ha introdotto nell'art. 155 sexies c.2 cod. civ. un ulteriore riferimento codicistico esplicito alla mediazione, seppure non aggettivata, nel procedimento di separazione dei coniugi ".per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo". Da questi scarni riferimenti normativi si ricavano alcuni punti tenuti fermi dal legislatore italiano: la preferenza per la mediazione (o meglio la comediazione) anziché per il mediatore, per la mediazione globale e non per quella parziale (che si occupa solo dell'affidamento dei figli) e per la facoltatività del ricorso alla mediazione (a differenza di quanto avviene nell'ordinamento inglese).

Inoltre alla mediazione familiare si possono applicare, in via analogica, i principi della mediazione commerciale. Anzi dalla lettura dei relativi articoli (artt. 1754 e ss. cod. civ.) si può abbozzare una definizione della mediazione in ambito familiare: un intervento (nel senso letterale dal latino inter  e venire) per mettere in relazione due o più familiari in conflitto, attuale o potenziale, per la conclusione di un "progetto". A cominciare dal "progetto figlio", visto che molte coppie entrano in conflitto per i figli, anzi la maggior parte delle giovani coppie va in crisi per la nascita del primo figlio, crisi spesso determinata da famiglie d'origine "a relazione chiasmatica" o  dalla depressione post partum della puerpera.

Alla luce di quanto esposto, non sarebbe pertanto fondato temere che la futura disciplina della mediazione familiare possa essere un aspetto della tanto declamata o deprecata decodificazione, anzi la risposta «è nel segno di una positiva valutazione del codice italiano, una "fonte" che conserva una funzione indeclinabile nel regime degli interessi e dei rapporti privati, un'opera sostanzialmente immune da contaminazioni politiche» (così parafrasando il pensiero di Pietro Rescigno).

Così come non è assolutamente fondato sostenere che con la mediazione familiare si verifica la degiuridificazione (variamente definita dalla dottrina) della materia familiare per varie ragioni:

- essa in realtà, come il diritto, svolge una "giuridicizzazione" in senso etimologico (il vocabolo diritto deriva dal latino jus che a sua volta viene dal verbo jungo = congiungere);

- nel diritto di famiglia vi è comunque una disciplina positiva, prioritaria e imprescindibile, che è quella dettata dalla Costituzione;

- l'unica degiuridificazione che in concreto si realizza è quella del conflitto familiare e non del rapporto, come richiesto nel Preambolo della Raccomandazione R (98) 1 del Consiglio d'Europa "notando le conseguenze pregiudizievoli dei conflitti per le famiglie e il costo sociale ed economico elevato per gli Stati";

- l'attività mediativa è un'estrinsecazione dell'autonomia privata (potere normativo privato riconosciuto e garantito dall'ordinamento giuridico) ed è anche definita modalità autonoma di regolazione dei conflitti;

- essa è espressione del "diritto mite" (locuzione coniata nel 1992 dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky) di un diritto cioè inteso propriamente come mero sistema di regole di comunicazione, di un diritto che si basa sulla logica dell'et - et e non dell'aut - aut;

- facendo un volo pindarico, la mediazione familiare può essere messa in parallelo con le finalità del diritto internazionale di guerra e cioè essa mira a far litigare ma nel rispetto di alcune regole, tra cui innanzitutto la tutela dei deboli, nel caso della lite familiare, i figli.

Tutt'al più si può parlare di delegificazione in senso atecnico intesa come sottrazione di una parte della materia familiare, data la sua particolare natura, al legislatore, o d'inerzia legislativa come si è avuta per la tardiva disciplina della figura e dell'attività degli psicologi e degli assistenti sociali.

In definitiva la funzione mediativa è una nuova e diversa modalità di regolazione dei rapporti tra gli individui, ma anche dei rapporti tra lo Stato e la società civile, non è altro che una concretizzazione del principio di sussidiarietà in senso verticale.

E' la consacrazione del diritto sociale (da tempo preconizzato da giuristi tedeschi e che costituisce un'intersezione tra il diritto privato ed il diritto pubblico) sfera dei diritti relazionali di nuovo conio; ed è anche l'istanza di un nuovo compito del giurista che non si deve più porre come "ingegnere sociale" privo di una propria etica, pronto a servire indifferentemente scopi diversi ed a manipolare anche il diritto con lo strumentario dello specialista (come si assiste soprattutto nelle beghe familiari), ma come "promotore sociale" a baluardo di quella socialità umana che fece il suo ingresso giuridico nella nostra Costituzione del 1948 e che trova la sua più completa realizzazione nella formazione sociale basilare, la famiglia





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