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LA DISCIPLINA DEL PROCESSO DI COGNIZIONE E SUOI ASPETTI GENERALI

diritto



LA DISCIPLINA DEL PROCESSO DI COGNIZIONE E SUOI ASPETTI GENERALI

1. Orientamenti generali e schema della disciplina del processo di cognizione.

Il 2° libro del codice di procedura civile disciplina e descrive la serie degli atti del processo di cognizione assumendo come paradigma il processo di primo grado davanti al tribunale per integrare poi tale disciplina con gli adattamenti relativi sia ai processi innanzi al giudice di pace e sia al processo di appello disciplinando poi autonomamente i giudizi innanzi alla corte di cassazione nonchè il processo del lavoro e, in certa misura, i procedimenti speciali trai quali alcuni disciplinati in leggi speciali. Tra gli argomenti che ispirano le modifiche degli anni '90: disciplina più rigorosa delle preclusioni, scelta di fondo per il sistema imperniato sul giudice unico anche innanzi al tribunale, provvedimenti anticipatori di condanna, l'efficacia esecutiva le sentenze di primo grado, attribuzione alla corte di cassazione del potere di giudicare anche sul rescissorio.


CAPITOLO II: LA FASE INTRODUTTIVA DEL PROCESSO



2. Schema della disciplina del processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale.

Il processo di cognizione viene di solito ripartito convenzionalmente in tre fasi: 1. Introduzione 2. Istruzione in senso ampio, comprensiva della trattazione e della istruzione in senso stretto 3. Decisione.

L'introduzione della causa consiste in una serie di atti qualificati, con la funzione di introdurre la causa ossia di instaurare il processo. Nella fase di introduzione predomina l'iniziativa di parte.

3. L'atto di citazione e i suoi requisiti.

L'atto di citazione: è un atto scritto doppiamente recettizio (sia nei confronti del giudice sia del convenuto) con la duplice funzione della vocatio in ius (chiamata della controparte in giudizio), e dell'editio actionis (domanda al giudice con la conseguente determinazione dell'oggetto del processo). Per assolvere a queste due funzioni l'articolo 163, 3° comma c.p.c. individua i requisiti dell'atto di citazione, ossia con riguardo all'editio actionis: 1) indicazione del tribunale davanti al quale la causa proposta 2) indicazione delle parti (il nome, il cognome e la residenza dell'attore e del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono) 3) indicazione del petitum (mediato: oggetto della domanda, immediato: provvedimento) 4) causa petendi (l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni) 5) indicazione dei mezzi di prova (dei quali l'attore intende valersi) e dei documenti. 6) indicazione del procuratore e della procura. I numeri 4 e 5 rappresentano la prima barriera preclusiva per l'attore. Requisiti della vocatio in ius: 7) indicazione del giorno dell'udienza, citazione per quel giorno con i relativi inviti e gli avvertimenti circa le conseguenze della loro mancata osservanza. La legge 80/2005 prevede la possibilità che l'atto di citazione contenga un invito al convenuto che, se accolto da tutti convenuti, dà luogo all'opzione di prosecuzione della causa con le forme del rito societario.

4. Termini per comparire

Nell'indicazione del giorno dell'udienza, l'attore deve rispettare i termini a comparire: 60 (o 120 se all'estero) giorni liberi tra la data della notificazione della citazione e quella dell'udienza (art.163bis c.p.c.) che costituiscono il limite minimo. Se il termine è troppo lungo, il convenuto può chiedere al presidente l'anticipazione della prima udienza, con ricorso in calce al quale il presidente provvede con decreto che va comunicato alle parti costituite e notificato personalmente alle altre parti in un congruo termine. Per ragioni di urgenza il presidente del tribunale può disporre l'abbreviazione dei termini fino alla metà.

5. Notificazione dell'atto di citazione.

L' atto di citazione non produce effetti se non è sottoscritto dal difensore e notificato dall'ufficiale giudiziario su richiesta della parte o del suo procuratore. La notificazione della citazione dà vita al processo realizzando la proposizione della domanda con tutti i suoi specifici effetti: sia processuali (litispendentia, perpetuatio jurisdictionis e relative conseguenze) e sia sostanziali come l'interruzione della prescrizione e l'impedimento della decadenza ed altri effetti.

6. Nullità della citazione

Come per ogni atto processuale la nullità va pronunciata quando l'atto manca dei requisiti indispensabili per il raggiungimento del suo scopo obiettivo (art.156, 2° comma c.p.c.). L'articolo 164 distingue i vizi che investono la vocatio in ius e i vizi che investono l'editio actionis. I vizi della vocatio in ius, elencati nel 1° comma, producono le conseguenze di cui al 2° e al 3° comma. Dedicato l'uno (2°comma) all'ipotesi della mancata costituzione del convenuto (nel qual caso il giudice ordina d'ufficio la rinnovazione della citazione che, se avviene, opera ex tunc, e se non avviene, il processo si estingue ) e l'altro (3°comma) all'ipotesi della costituzione del convenuto, che sana il vizio (salva l'eventuale fissazione di altra udienza). I vizi che investono l'editio actionis sono specificati nel 4°comma e producono le conseguenze di cui al 5° comma, ossia: a) nel caso di mancata costituzione del convenuto, l'ordine d'ufficio di rinnovazione della citazione (che se avviene, lascia ferme le decadenze eventualmente maturate, e se non avviene dà luogo all'estinzione); b) nel caso di costituzione del convenuto, l'ordine d'ufficio di integrazione della citazione, che, se avviene, opera ex nunc e lascia ferme le eventuali decadenze e, se non avviene fonda una dichiarazione di nullità della citazione. Nel caso di vizi di inesistenza (è inesistente l'atto che manchi di quel minimo di elementi necessari perché possa essere riconosciuto come tale) non è possibile alcuna sanatoria.

7. La costituzione dell'attore.

La portata recettizia della citazione nei confronti del giudice si concreta nella costituzione dell'attore (art.165 c.p.c.) che in pratica consiste nel deposito in cancelleria -entro 10 gg. dalla notificazione della citazione- di un fascicolo di parte contenente l'originale della citazione con la relazione di notifica, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Il significato giuridico è l'auto-presentazione della parte al giudice a mezzo di difensore. La costituzione attribuisce la presenza formale nel processo per tutto il grado introdotto con la citazione, mentre la sua mancanza fonda una dichiarazione di contumacia. Fenomeno diverso è l'effettiva comparizione -a mezzo di difensore- della parte costituita alle singole udienza e la cui mancanza da luogo all'assenza.



8. La costituzione del convenuto e comparsa di risposta

La costituzione del convenuto (art.166 c.p.c.) è l'atto col quale questo assumerà partecipazione attiva processo depositando in cancelleria il proprio fascicolo con la copia notificata dell'atto di citazione, la procura, i documenti che produce e la comparsa di risposta, e così effettuando a sua volta l'autopresentazione al giudice a mezzo del difensore almeno 20 giorni (10 in caso di premiazione dei termini) prima dell'udienza, salva l'ipotesi del differimento. La comparsa di risposta (art.167 c.p.c.) è l'atto difensivo del convenuto, omologo e contrapposto all'atto di citazione, con la domanda riferita alla domanda dell'attore e con tutti gli elementi della citazione (tranne la vocatio in ius) nell'ambito dell'oggetto del giudizio già determinato dell'attore,e salvo l'allargamento dell'eventuale domanda riconvenzionale. Con la comparsa di risposta, il convenuto è pure onerato a prendere posizione sulle domande dell'attore; ciò che va posto in relazione alla possibilità di pronuncia di ordinanza di condanna anticipatoria sulle somme non contestate (art.186bis c.p.c.). La barriera preclusiva a carico del convenuto con riguardo alla comparsa di risposta, riguarda non solo le eventuali domande riconvenzionali e la dichiarazione di voler chiamare in causa un terzo, ma nuovamente anche le eccezioni non rilevabili d'ufficio, mentre per le modificazioni, le allegazioni e le istanze istruttorie la preclusione scatta, come per l'attore, alla prima udienza e successivi eventuali termini.

9. L'iscrizione della causa a ruolo (art. 168 c.p.c.).

All'atto della costituzione della parte che si costituisce per prima, il cancelliere iscrive la causa a ruolo su istanza, cosiddetta nota, della parte stessa. L'iscrizione a ruolo è l'atto con cui il cancelliere iscrive la causa nel "ruolo generale degli affari contenziosi civili", con una specificazione degli elementi individuatori della causa. La nota non va inserita nel fascicolo della parte, ma nel fascicolo d'ufficio, predisposto dal cancelliere, e che include le copie degli atti delle parti, il verbale dell'udienza, degli atti istruttori e dei provvedimenti del giudice. Poiché, con la costituzione, le parti hanno assunto la presenza ufficiale nel processo, tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno presso il difensore-procuratore costituito, mentre se le parti si sono costituite personalmente -ove possibile- si fanno nella residenza o domicilio dichiarato.

10. Designazione 333i87d e immutabilità del giudice istruttore. Differimento d'ufficio della prima udienza.

Il presidente del tribunale, o della sezione, al quale il cancelliere ha presentato il fascicolo d'ufficio, designa il giudice istruttore con decreto in calce alla nota di iscrizione a ruolo (art.168bis c.p.c.). La designazione del giudice istruttore avviene prescindendo dai giorni in cui il giudice prescelto tiene udienza: sicchè se esso non tiene udienza nel giorno indicato dall'attore nell'atto di citazione,la prima comparizione è  differita all'udienza immediatamente successiva (art.168bis 4°comma). Diverso è il differimento della prima udienza previsto dal 5° comma e che può essere effettuato dal giudice istruttore già designato per non più di 45 giorni, per esigenze del suo ruolo. Di questo ultimo differimento -a differenza di in quello di cui all'art.168bis 4°comma- si tiene conto agli effetti del termine di costituzione del convenuto (20 giorni prima dell'udienza differita) il giudice istruttore può essere sostituito solo per assoluto impedimento o per gravi esigenze di servizio (art.174 c.p.c.).

11. Ritardata o mancata costituzione di entrambe le parti o di una di esse (art. 171 c.p.c.)

La parte che non si è costituita nel suo termine può farlo nella prima udienza, purché l'altra parte si sia costituita nel suo termine e abbia iscritto la causa al ruolo (ferma la preclusione a carico del convenuto che non si è costituito nel suo termine circa la proposizione di domande riconvenzionali, richiesta di chiamare un terzo e la proposizione di eccezioni non rilevabili d'ufficio). La parte che non si costituisce neppure alla prima udienza è dichiarata contumace. Se nessuna delle parti non si è costituita neppure tardivamente, la causa non è neppure iscritto a ruolo ed è avviata all'estinzione, salva riassunzione entro il periodo di quiescenza. Anche se una sola parte si è costituita tardivamente, il giudice istruttore ordina la cancellazione della causa dal ruolo. In taluni casi (mancata iscrizione o cancellazione) la causa entra in un periodo di quiescenza di un anno, entro il quale può essere riassunta, altrimenti si estingue.

























CAPITOLO III: LA FASE DI ISTRUZIONE

SEZIONE PRIMA: l'istruzione in senso ampio

12. L' istruzione in senso ampio e le sue sotto-fasi

La fase di istruzione in senso ampio adempie alla funzione di rendere la causa matura per la decisione e comprende tutte le attività tra l'introduzione e la decisione. Sotto il profilo della struttura, si caratterizza per essere imperniata sull'attività del giudice istruttore. Si articola in tre sotto fasi: 1. Trattazione: ha la funzione dell'individuazione, delimitazione e trattazione dei problemi per la programmazione del giudizio; 2. istruzione in senso stretto ossia l'eventuale introduzione di prove; 3. rimessione in decisione: funge da ponte verso la decisione.

13. Il giudice-ufficio giudiziario e i suoi organi: giudice istruttore, collegio e presidente

Con la parola giudice si intende talora l'ufficio giudiziario e talora il giudice istruttore che è uno degli organi, come anche il collegio e il presidente, nei quali si articola l'ufficio giudiziario. Nell'ampio dibattito che si svolse prima della codificazione del 1940 circa i vantaggi e gli svantaggi della soluzione del giudizio collegiale o del giudice monocratico prevalse la soluzione del compromesso che attribuisce al giudice unico (g.i.) l'istruzione della causa e al collegio la decisione assicurando l'indispensabile coordinazione tra due organi attraverso l'espediente dell'inserimento del giudice istruttore nel collegio come uno dei suoi membri con la funzione di relatore. La riforma degli anni '90 accentua l'orientamento verso il giudice unico, mantenendo il sistema del doppio organo soltanto per taluni materie specificamente individuate e ritenute più delicate e, in tutte le altre, attribuendo anche le funzioni decisorie allo stesso giudice istruttore in funzione di giudice unico.

15. Il giudice istruttore al centro del processo di cognizione. Suoi poteri e suoi provvedimenti

Il giudice istruttore è l'organo propulsore del processo di cognizione: fissa le udienze successive alla prima ed assegna i termini per compiere gli atti processuali (art. 175 c.p.c.), con provvedimenti aventi la forma, per lo più dell'ordinanza da pronunciarsi in udienza, oppure fuori udienza previa riserva e con successiva comunicazione ai procuratori delle parti in causa a cura del cancelliere (art. 176 c.p.c.). L' art. 177 c.p.c. 1° e 2° comma afferma che le ordinanze del giudice istruttore non pregiudicano mai la decisione della causa, in quanto possono essere modificate e revocate, tranne che nei casi specificamente indicati dall'art. 177, 3° comma c.p.c.

SEZIONE SECONDA: la comparizione e la trattazone

16. La trattazione in generale, la comparizione, l'assenza e relative conseguenze.

La prima udienza torna unica per la comparizione e prima di trattazione restando eliminato anche il termine previsto dall'art.180 c.p.c. La comparizione alla quale si riferiscono gli artt. 181 e 183 è un fenomeno diverso rispetto a quello della costituzione delle parti in quanto si riferisce all'effettiva presenza della parte (già costituita) a mezzo del suo difensore-procuratore.

L'articolo 181 c.p.c. tratta della mancata comparizione dispone che: a) se nessuna delle parti (costituite entrambi o una sola) è presente alla prima udienza, il giudice istruttore fissa altra udienza, da comunicarsi alle parti, nella quale, in caso di rinnovata assenza di entrambe, dispone la cancellazione dal ruolo (art.181,1°comma c.p.c.); b) se è presente solo il convenuto e non l'attore costituito, il giudice istruttore fissa un'altra udienza (da comunicarsi all'attore) ed in caso di sua assenza anche in questa, ordina la cancellazione e l'immediata estinzione, a meno che il convenuto chieda che si proceda in assenza dell'attore; c) se è presente solo l'attore (e non il convenuto costituito) la situazione è priva di specifico rilievo.

17. La prima udienza. Le verifiche di regolarità di costituzione e del contraddittorio.

Particolare rilievo presenta la verifica della regolarità della costituzione delle parti, di cui l'art.182 c.p.c., poiché consente al giudice di ovviare anche a vizi che pregiudicherebbero la validità dello svolgimento del processo, compresa l'eventuale assegnazione di termini per ovviare a difetti di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, salve le decadenze. In tal modo si consente la sanatoria che assolve indirettamente alla funzione della non prevista ratifica. Le verifiche di regolarità del contraddittorio (integrazione etc.): quando il giudice emette provvedimenti, stabilisce una nuova udienza (art. 183, 1° e 2° comma c.p.c.).

18. La prima udienza. La comparizione personale (art. 183, 3° comma).

L'ulteriore diversa possibilità di comparizione personale delle parti in funzione dell'interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione. La conciliazione giudiziale alla quale è finalizzato il tentativo è più che una transazione perchè produce effetti anche processuali sia con riguardo al processo in corso e sia con riguardo al fatto che la legge attribuisce efficacia di titolo esecutivo al documento di conciliazione.

19. La prima udienza. Modificazione delle domande e eccezioni (art. 183, 4° comma e ss.).

La funzionalità della trattazione presuppone la reciproca conoscenza ed immutabilità delle domande, eccezioni, e istanze istruttorie delle parti e la loro conoscenza da parte del giudice. Questo necessario presupposto che nel sistema previgente non era conseguibile fino alla precisazione delle conclusioni, viene ora conseguito dopo l'esaurimento delle eventuali concessioni di termini. Questa concessioni di termini che la riforma del 1995 aveva diluito e reiterato nella disciplina dell'art.183 e 184 è ora concentrata nel disposto dell'art.183. Alla suddetta disciplina dell'art.183 premette l'attribuzione al g.i. del potere di chiedere alle parti chiarimenti di questioni rilevabili d'ufficio, ma solo sulla base dei fatti allegati. La nuova disciplina configura dapprima i termini e le autorizzazioni per le nuove allegazioni (precisazioni e modificazioni) e in successione logica, i termini e le autorizzazioni relative alle istanze istruttorie e alle produzioni.

A)Il sistema delle preclusioni nelle allegazioni. Le precisazioni e le modificazioni possono essere compiute alla prima udienza di trattazione e nelle memorie di cui all'art. 183, 6° comma c.p.c. (I parte) e relative repliche. Sempre alla prima udienza di trattazione l'attore può proporre le domande che sono conseguenza della domande riconvenzionali, o delle eccezioni del convenuto e può chiedere l'autorizzazione a chiamare un terzo se l'esigenza è sorta dalla difesa del convenuto. Il convenuto può in questa fase proporre solo eccezioni rilevabili d'ufficio e quelle che conseguono alle allegazioni dell'attore (art.183, 5° comma). La chiusura relativa alle allegazioni può subire eccezioni nelle ipotesi di ius superveniens (modificazioni del diritto in corso di giudizio) e di fatti sopravvenuti .

B) Il sistema delle preclusioni nelle istanze istruttorie e nelle produzioni. Alla prima udienza si chiude la barriera delle istanze istruttorie sulle quali il giudice si riserva di provvedere entro 30 giorni a fissare l'udienza per l'assunzione dei mezzi che ritiene ammissibili (art. 183, 6° comma c.p.c.(II parte)). La relativa ordinanza è comunicata a cura del cancelliere entro i 3 giorni successivi al deposito, anche a mezzo di fax o e-mail. Rimane salva la possibilità di concessione di altro termine, nell'ipotesi di disposizione di prova d'ufficio (art. 184 c.p.c.). L'art. 184bis prevede per le ipotesi di decadenza dalle barriere preclusive della fase di trattazione la rimessione in termini se la parte decaduta dimostra che la decadenza è dovuta a causa ad essa non imputabile. Sull'istanza il giudice provvede applicando la norma che disciplina la remissione in termini del contumace.

20. La trattazione nei suoi aspetti concreti

A) le questioni pregiudiziali di rito e preliminari di diritto.

Il primo eventuale ostacolo che può delinearsi nella trattazione è quello dell'eventuale sorgere di questioni pregiudiziali di rito (concernono i requisiti del processo: giurisdizione, competenza, capacità o legittimazione processuale, validità atti processuali.) o preliminari di merito (investono il merito con carattere preliminare rispetto all'oggetto specifico della domanda: prescrizione), poiché entrambi questi tipi di questioni possono condizionare anche il se dell'ulteriore trattazione. Il problema si pone specialmente nelle cause da decidersi dal collegio e consiste nella necessità di rispettare l'autonomia e indipendenza sia del giudice istruttore che del collegio. Il codice del 1940 -che su questo punto non è stato modificato- ha risolto questo problema affidando al giudice istruttore il potere di compiere, sulla questione, una valutazione provvisoria non esplicita, ma implicita nella scelta tra il proseguire nella trattazione e all' istruzione o rimettere della causa al collegio.  Tale scelta infatti è imperniata sul quesito se la questione è o non è suscettibile di definire giudizio (ossia, in pratica sul se la questione vada o meno risolta in senso ostativo, poiché solo in quest'ultimo caso l'istruttore deve rimettere la causa collegio) (art. 187, 2° e 3°comma c.p.c.). Nelle cause da decidersi dal tribunale in composizione monocratica, il problema è praticamente superato dall' identità dell'istruttore e dell'organo decidente nella stessa persona.

21. B) L'ammissione dei mezzi di prova

Il secondo tipo di ostacolo che può sorgere sulla via della trattazione e dell'istruzione è quello dell'accoglimento o meno delle istanze istruttorie relative alle prove cosiddette costituende, che cioè abbisognano, per la produzione dei loro effetti, di una specifica attività procedimentale. Il problema è valutare la possibile l'utilità dell'eventuale ammissione, ossia la loro ammissibilità (in base a norme contenute perlopiù, ma non soltanto) nel codice civile e la loro rilevanza per il giudizio, immaginando gli effetti della eventuale esito positivo. Anche questo problema, come quello delle questioni pregiudiziali e preliminari (col quale ha in comune anche il suo particolare modo di presentarsi nelle cause da decidersi ad dal collegio ), investe l' autonomia dell'organo istruttorio da quello decisorio ed è risolto dal codice in maniera analoga, ossia con l'attribuzione all'istruttore del potere di compiere una decisione provvisoria che questa volta è, o può essere, esplicita in quanto espressa in un'ordinanza, ciò che è compatibile con la sua provvisorietà per la caratteristica revocabilità modificabilità delle ordinanze dell'istruttore, che non possono mai pregiudicare la decisione della causa (art.177, 1° e 2° comma c.p.c.). La riforma del 1990  ha eliminato il preesistente istituto del controllo immediato del collegio sulle istanze istruttorie a mezzo di reclamo al collegio peraltro mantenendo reclamo al collegio solo come strumento di impugnazione dei provvedimenti (da parte del giudice istruttore) sull'estinzione del processo (art. 178 c.p.c.).

22. L'ordinanza di pagamento di somme non contestate, l'ordinanza di ingiunzione e l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione.

I provvedimenti anticipatori di condanna hanno la funzione di soddisfare "esigenze immediate di tutela".

L'ordinanza di pagamento delle somme non contestate (art186bis c.p.c.) -pronunciabile a istanza di parte fino alla precisazione delle conclusioni- è limitata al pagamento di somme presuppone la non contestazione nell'ambito di una difesa attiva come consapevole rinuncia contestare; è un provvedimento anticipatorio nel senso che anticipa il probabile contenuto della sentenza e provvisorio nel senso che è revocabile e modificabile con la sentenza; costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia esecutiva in caso di estinzione processo con un ultra-attività che non implica il giudicato. L'ordinanza di ingiunzione di pagamento o di consegna non può essere pronunciata a istanza di parte: fino alla precisazione delle conclusioni e se non sussistano i presupposti che consentirebbero la pronuncia del decreto ingiuntivo (di cui ha lo stesso contenuto compresa la pronuncia sulle spese): diritto di credito + prova scritta (art.186ter,1° comma) sia che l'altra parte sia rimasta contumace, sia che si sia costituita. Nel primo caso (controparte contumace) l'ordinanza è dichiarata provvisoriamente esecutiva quando sussistono i requisiti per tale concessione al decreto ingiuntivo di cui all'art. 64 c.p.c. (art. 186 ter, 2° comma); nel secondo caso (controparte costituita) l'esecuzione provvisoria è concessa anche nei casi di cui all'art. 648 c.p.c., ossia nei casi in cui il, nel procedimento ingiuntivo il debitore abbia proposto eccezioni non fondate su prova scritta. Inoltre, soltanto nel primo caso (controparte contumace),la legge dispone la notifica dell'ordinanza entro 60 giorni a pena di inefficacia, con l'avvertimento che se l'intimato non si costituirà entro 20 giorni, l'ordinanza acquisirà l' efficacia di cui all'art.647 c.p.c. (art. 186 ter, 5°comma). L'ordinanza è revocabile modificabile dal giudice istruttore fino alla pronuncia della sentenza che la sostituirà (art.186 ter, 3° comma); è perciò provvisoria e anticipatoria (art. 186ter, 4° comma). In caso di estinzione del processo, l'ordinanza conserva la sua efficacia esecutiva, con una ultra-attività che non implica il giudicato, tranne che nei casi in cui la parte ingiunta contumace non si sia costituita neppure a seguito dell'avvertimento di cui all'art.186ter, 5° comma.

L'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione, che è pure un provvedimento provvisorio e anticipatorio, può essere pronunciata, a istanza di parte, solo dopo la chiusura dell'istruzione e può avere ad oggetto soltanto la condanna al pagamento di somme o alla consegna o rilascio di beni (186 quater, 1° comma) con pronuncia anche sulle spese. La limitazione alla condanna esclude pronunce costitutive pregiudiziali salve solo le pronunce incidenter tantum, ove possibili. L'ordinanza è titolo esecutivo ed è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio (art. 186quater 2° comma). Se dopo la pronuncia dell'ordinanza il processo si estingue l'ordinanza acquista l'efficacia di sentenza impugnabile (art. 186quater, 3°comma). La parte intimata può ottenere subito l'efficacia di sentenza per l'impugnazione immediata, notificando e depositando l'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza (art.186 quater 4°comma). Se permangono altre domande il giudizio procede con riguarda ad esse, analogamente a quanto accade nella previsione di cui all'art. 129 disp.att.c.p.c.

SEZIONE TERZA: l'intervento dei terzi

23. Le modalità dell'intervento dei terzi nelle sue diverse forme.

L'intervento volontario avviene col deposito di una comparsa in udienza o in cancelleria; nel quale l'ultimo caso il cancelliere ne dà notizia alle parti costituite (art.267 1° e 2° comma c.p.c.). L'intervento è consentito fino alla precisazione delle conclusioni, ma il terzo non può compiere atti che non sono più consentite le altre parti (art.268 c.p.c.) sicchè l'attività del terzo sarà assoggettata le preclusioni di cui agli articoli 183 184 salvo il caso che l'intervento avvenga per attuare il litisconsorzio necessario. L'intervento coatto è tale solo nel caso che il terzo entra nel processo perché citato per udienza fissata al luogo dal g.i. a) a istanza di parte (art. 269, 1° comma) e cioè ad iniziativa della parte interessata; se richiedente è il convenuto, questo avrà dovuto previamente farne richiesta della comparsa di risposta, chiedendo lo spostamento della prima udienza (art. 269,2° comma); il convenuto dovrà poi citare il terzo per l'udienza così spostata, con i conseguenti oneri di costituzione. Se invece chi vuol chiamare il terzo è l'attore occorre che l'interesse alla chiamata emerga dalla comparsa di risposta, sicchè la richiesta di autorizzazione potrà avvenire solo alla prima udienza con la conseguente fissazione di altra udienza (art. 269,3° comma). b) se l'intervento coatto è per ordine del giudice (art. 270 c.p.c.) l'ordine suddetto (con la forma dell'ordinanza revocabile) è rivolto non al terzo, ma alle parti già costituite e, in pratica, alla parte che ha interesse alla prosecuzione del processo.

24. La risoluzione delle questioni relative all'intervento.

Le questioni relative all'intervento concernono la legittimazione, attiva e passiva, del terzo alla partecipazione al giudizio e sorgono, di solito, dopo l'intervento o in sede di richiesta di autorizzazione alla chiamata; sono decise dall'organo decidente insieme col merito, salvo l'opportunità che di esse l'organo decidente venga investito subito, quando appaiono decisive per l'intero giudizio sul merito (art. 272 c.p.c.).


SEZIONE QUARTA: la rimessione della causa al collegio o in decisione

25. La rimessione totale della causa al collegio o in decisione. Le diverse ipotesi di rimessione totale

La rimessione totale in decisione ha la funzione di ponte di passaggio alla fase di decisione, col passaggio di tutti i poteri della causa all'organo decidente, sia esso il collegio o il giudice istruttore in funzione di giudice monocratico. La rimessione totale -che sempre investe l'organo decidente di tutta la causa (art. 189, 2° comma, c.p.c.)- avviene: 1. Quando l'istruttore ritiene che non occorra l'istruzione probatoria (art. 187, 1° comma c.p.c.); 2. quando l'istruttore ritiene che eventuali questioni preliminari o pregiudiziali siano idonee a definire giudizio (art. 187, 2°e 3° comma); 3. Terminata l'istruzione probatoria (art. 188 c.p.c.).

26. Le modalità della rimessione totale. a) la precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.).

La precisazione delle conclusioni (per la quale non è richiesta la fissazione di un'apposita udienza, peraltro consueta) consiste nella formulazione ultima e definitiva -nei limiti delle preclusioni maturate- delle domande di merito e istruttorie di ciascuna parte da formularsi comunque, interamente, anche nelle ipotesi di rimessione per questioni pregiudiziale o preliminari. L'importanza della precisazione delle conclusioni consiste nell'esigenza di ciascuna parte di conoscere la formulazione definitiva e non più mutabile delle domande dell'altra parte. Le domande non riproposte in sede di precisazione si intendono abbandonate. L'assenza all'udienza di precisazione o la mancata formulazione comporta il richiamo alle precedenti formulazioni.

27. b)Le comparse conclusionali e le memorie di replica.

Nel termine di 60 giorni dalla precisazione delle conclusioni le parti sono onerate al deposito delle comparse conclusionali (art. 190 c.p.c.) che costituiscono, per ciascuna parte, l'atto difensivo scritto nel quale si concreta l'assistenza del difensore che in tale atto riassume e coordina le proprie difese. Entro 20 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali le parti possono depositare brevi memorie di replica (art. 190 c.p.c.).

28. La rimessione parziale della causa al collegio

Nel quadro (e con le modalità) della rimessione totale, la legge configura due ipotesi di rimessione all'organo decidente, detta rimessione parziale, perché, pur implicando l' attribuzione di tutti poteri, riguardano due questioni specifiche cioè: 1. la querela di falso proposta in via incidentale e 2. la verificazione della scrittura privata pure proposta in via incidentale (entrambe sospendono l'ordinanza di ingiunzione).

SEZIONE QUINTA: le cause riservate alla decisione collegiale, il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e i rapporti tra collegio e giudice monocratico

29. Le cause riservate alla decisione collegiale.

Nell'articolo 50 bis c.p.c. è ora contenuto l'elenco delle cause riservate alla decisione collegiale: 1. Causa nelle quali obbligatorie l'intervento del pm, salvo che sia altrimenti disposto; 2. e 4. Alcuni tipi di cause appartenenti alla materia fallimentare; 3. Cause devolute alle sezioni specializzate; nonché (per il 2° comma dell'art. 50bis) i giudizi in camera di consiglio di cui agli articoli 737 e seguenti c.p.c.; 5. Alcuni i casi in materia societaria; 6. Alcuni casi in materia di successioni; 7. Cause sulla responsabilità dei giudici. Al di fuori delle materie elencate nell'articolo 50 bis, il tribunale giudica in composizione monocratica.

30. Il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica.

La disciplina del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica si sostanzia in un richiamo alla disciplina genericamente dedicata procedimento davanti al tribunale (art. 281bis c.p.c.) salvo la specifica disposizione (art. 281ter) che attribuisce al giudice la facoltà di disporre d'ufficio la prova testimoniale, quando le parti si sono riferite a persone che appaiono a conoscenza della verità. E salvo le particolari modalità della fase di decisione affidata al giudice monocratico (art.281quater c.p.c.) che può scegliere tra due alternative:a) quella (normale) della trattazione scritta o mista, ossia con normale scambio delle comparse conclusionali e delle memorie, salvo che una delle parti richieda la discussione orale che, in questo caso, si sostituisce allo scambio delle memorie (art. 281quinquies); b) oppure quella della trattazione orale, che si sostanzia nella sola discussione dopo la precisazione delle conclusioni, seguita dall'immediata lettura del dispositivo e della succinta  motivazione della sentenza, ciò che vale come pubblicazione (art. 281sexies c.p.c.).

31. Rapporti tra collegio giudice monocratico e conseguenze della violazione delle regole di ripartizione.

Se il collegio, anche d'ufficio, rileva che la causa appartiene al giudice monocratico, rimette la causa a quest'ultimo (art. 281septies c.p.c.). Nell' ipotesi opposta, è il giudice monocratico che rimette la causa al collegio (art. 281octies c.p.c.). L'inosservanza di queste disposizioni è causa di nullità, che rimane sanata solo se non fatta oggetto di impugnazione.























































CAPITOLO IV: l'istruzione in senso stretto o istruzione probatoria

SEZIONE PRIMA: La prova generale

32. La prova in generale.

Le prove sono gli strumenti processuali per la formazione del convincimento del giudice circa i fatti della causa. Le prove precostituite sono quelle che si formano fuori,e di solito, prima del processo, come tipicamente i documenti che entrano nel processo con la loro produzione. Le prove costituende sono quelle che si formano nel processo, come risultato di attività istruttorie in senso stretto, come le prove orali. Il meccanismo dell'ingresso nel processo delle prove costituende si articola: 1. In un'istanza di parte (salvo casi in cui il giudice può provvedere d'ufficio). 2. In un provvedimento di ammissione, come risultato della valutazione di ammissibilità e rilevanza; 3. L'esperimento della prova (ossia il suo costituirsi). Il cosiddetto diritto alla prova si sostanzia nell'esigenza di adeguamento della disciplina delle prove al diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale.

33. Le norme sull'assunzione delle prove (c.p.c.) nel quadro unitario della disciplina comprendente anche l'ammissibilità e l'efficacia (c.c.).

Le regole che concernono l'ammissibilità delle prove sono perlopiù il risultato di massime d'esperienza. Queste regole in quanto destinate ad operare nel processo, hanno natura processuale, sebbene contenute nel codice civile. I mezzi di prova sono soltanto quelli che la legge configura espressamente come tali. È questa la cosiddetta tipicità dei mezzi di prova, con la quale non contrasta peraltro il rilievo che altri strumenti (detti impropriamente prove atipiche) possono avere una efficacia probatoria sussidiaria, fornendo indizi o argomenti di prova.

34. Le regole generali sulle e sua valutazione delle prove.

Con riguardo all'efficacia le prove legali sono quelle che, ad eccezionale deroga della libera valutazione di cui all'articolo 116 c.p.c., vincolano il giudice alle loro risultanze (prove liberamente apprezzabili). Con riguardo all'oggetto sono prove dirette quelle che fanno conoscere immediatamente il fatto da provarsi. Sono indirette quelle che fanno conoscere uno più fatti diversi (indizi) dalla conoscenza dei quali si può risalire al fatto da provare, con un'operazione logica (presunzione semplice artt. 2727 e 2729 c.c.).Con riguardo all'intensità dell'efficacia alla prova piena si contrappone la prova di verosimiglianza, che talvolta è ritenuta sufficiente dalla legge (c.d. fumus boni juris). L'argomento di prova costituisce un semplice supporto per la risultanza di altre prove ed è quello che si desume dal contegno delle parti nel processo (ad es. il comportamento delle parti in sede di interrogatorio formale).

35. L'onere della prova

Poiché il giudice deve giudicare sempre anche in mancanza di prove con provvedimento suscettibile di divenire definitivo, occorre una regola che stabilisca quale delle due parti deve subire le conseguenze dell'eventuale mancanza (o insuccesso) di prove ossia quale delle parti è gravata dal cosiddetto onere della prova. La regola è enunciata dall'articolo 2697c.c. nel senso che "onus probandi incumbus ei qui dicit": chi vuol far valere il diritto onerato alla prova dei fatti costitutivi di quel diritto, sicchè se non li prova soccombe; mentre chi eccepisce l'inefficacia, la modificazione o l'estinzione di diritto è onerato alla prova dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi sicchè se non li prova la sua eccezione non può essere accolta. Rimane poi da vedere, in concreto, quando i fatti rilevano sotto il profilo del loro accadimento e quando sotto il profilo opposto. In taluni casi la legge influisce direttamente sulla ripartizione dell'onere della prova, attraverso le presunzioni legali, che dispensano dalla prova coloro a favore dei quali sono stabilite (art. 2728 c.c.) e che si dividono in juris tantum (relative) o juris et de jure (assolute) a seconda che consentano o meno la prova contraria. E' anche possibile -limitatamente diritti disponibili- una preventiva regolamentazione pattizia dell'onere della prova. La prova, una volta acquisita,opera a prescindere da quale parte l'abbia offerta. L'onere della prova è superato nei casi in cui giudice dispone la prova d'ufficio (ispezione giudiziale, interrogatorio libero) e nei casi di fatti notori (fatti che rientrano nella comune esperienza e che sono a conoscenza del giudice in quanto uomo).

SEZIONE SECONDA: i procedimenti istruttori di integrazione

36. La consulenza tecnica l'esame contabile.

La consulenza tecnica non è un mezzo di prova, ma di supporto al giudice sugli aspetti tecnici del giudizio sia in via diretta, offrendo elementi diretti per il giudizio sia in via indiretta offrendo elementi per valutare le risultanze di determinate prove. La consulenza tecnica è disposta, a richiesta di parte e anche d'ufficio, dal giudice istruttore o dall'organo decidente con ordinanza, con la quale nomina il consulente e fissa l'udienza per la comparizione, per la prestazione del giuramento da parte del consulente d'ufficio (C.T.U.) e per l'inizio dell'attività (artt. 191,193 c.p.c.); a tale attività possono assistere le parti che potranno avvalersi anche di consulenti tecnici di parte. Se il C.T.U. non esegue le indagini davanti al giudice istruttore deposita in cancelleria la relazione nel termine assegnatogli. L'esame contabile di cui agli articoli 198-200 c.p.c., è una figura particolare di consulenza tecnica. Al consulente contabile sono attribuiti infatti poteri più ampi (il tentativo di conciliazione e l'esame di documenti anche non prodotti in casa).

SEZIONE TERZA: le regole generali sull'assunzione dei mezzi di prova

38. Le regole generali sull'assunzione dei mezzi di prova.

Le regole generali sull'assunzione dei mezzi di prova (artt. 202-204 c.p.c.) riguardano le prove costituende e concernono, tra l'altro, la facoltà delle parti di assistere personalmente l'assunzione; l'onere della parte richiedente di presenziare all'assunzione (a mezzo del difensore) a pena di decadenza (art. 208 c.p.c.); nonché la possibilità di assunzione fuori della circoscrizione con delega al giudice del luogo (art. 203 c.p.c.), e eventualmente anche all'estero (c.d. rogatoria (art. 204, 1° comma c.p.c.) o c.d. assunzione parte del console se il mezzo di prova riguarda cittadini italiani (art. 204, 2° comma c.p.c.)).

SEZIONE QUARTA: le prove precostituite o documenti

39. I documenti generale e le sue diverse funzioni.

In generale documento è ogni oggetto materiale idoneo a rappresentare o a dare conoscenza di un fatto. Il documento di gran lunga più frequente è uno scritto che rileva per il suo contenuto intrinseco (fatti e dichiarazioni in esso rappresentati), ma prima di tutto per quello estrinseco (sua provenienza) che di solito risulta dalla sottoscrizione (con la quale sottoscrivente fa proprio il contenuto dell'atto) e che non è necessaria quando non è contestata la provenienza dello scritto. La data colloca il documento nello spazio nel tempo. Mentre nella scrittura privata la provenienza risulta dalla sottoscrizione o da altri elementi meno sicuri (sicchè occorrono altri espedienti integrativi) nell'atto pubblico la provenienza è attestata da notaio o altro pubblico ufficiale. Oltre che alla funzione probatoria il documento assolve prima ancora alla funzione di realizzare l'estrinsecazione dell'atto in quella particolare forma che è la forma scritta richiesta talora solo ad probationem, ma talora ad substantiam, (ossia a pena di nullità).

40. L'efficacia probatoria del documento: a) dell'atto pubblico.

Il documento rileva per la sua efficacia probatoria che nell'atto pubblico è piena circa la provenienza dell'atto e di altri elementi estrinseci (data, luogo) rispetto ai quali opera come prova legale (art. 2700 c.c.) fino a querela di falso. La veridicità del suo contenuto intrinseco è lasciata alla libera valutazione del giudice.

41. b) della scrittura privata.

Anche nella scrittura privata (che vale come prova se proviene dall'altra parte, mentre se proviene da un terzo può offrire solo indizi), l'efficacia fino a querela di falso riguarda solo l'estrinseco; non solo, ma perché sussista questa efficacia piena sulla provenienza, occorre un altro espediente integrativo, e cioè il riconoscimento della sottoscrizione o della provenienza (esplicito o implicito) o, in mancanza, l'autenticazione della sottoscrizione da parte del notaio o altro pubblico ufficiale di cui all'articolo 2703 c.c. La scrittura privata riconosciuta o autenticata è equiparata, con riguardo alla prova della provenienza, all'atto pubblico. Il riconoscimento della scrittura privata, quando non esplicito, è implicito nel caso di mancato disconoscimento nei modi e termini che la legge prevede per il disconoscimento stesso, ad opera dell'altra parte (contro la quale la scrittura privata è prodotta) che pertanto è gravata dall'onere di negare formalmente la propria sottoscrizione o la propria scrittura (di dichiarare di non conoscerla, se si tratta di erede o di avente causa) (art. 214 c.p.c.). Ciò deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione della scrittura (art. 215 c.p.c.), mentre se contumace, può disconoscerla solo se e quando si costituisce (art. 293, 3° comma c.p.c.) a pena di riconoscimento implicito irretrattabile. Se il disconoscimento avviene, la parte che ha prodotto la scrittura ha l'alternativa tra rinunciare ad avvarlesene o chiederne la verificazione producendo mezzi di prova e scritture di comparazione (art. 216 c.p.c.). Il giudizio di verificazione -che può essere proposta in via principale se il richiedente dimostra di avervi interesse (art. 216, 2° comma)- è imperniato sulla comparazione con altre scritture di sicura provenienza della parte disconoscente. Su di esso si pronuncia l'organo giudicante (art. 220 c.p.c.) riconoscendo o negando la provenienza. L'efficacia della scrittura privata (o delle sue riproduzioni) è riconosciuta al documento informatico e, ha efficacia intensa se il documento è sottoscritto con firma elettronica e ancora più intensa se è sottoscritto con firma digitale o altro tipo di firma elettronica avanzata.

42. La data della scrittura privata. Scritture private particolari.

La data certa della scrittura privata risulta dall'eventuale sua notificazione o dalla registrazione o da altri eventi idonei a rendere noti circa l'anteriorità (art. 2704 c.c.). L'efficacia probatoria del telegramma è basata sulla presunzione di conformità all'originale, salva prova contraria. In taluni casi possono avere efficacia probatoria anche le carte o i registri domestici contro chi li ha scritti. La stessa efficacia spetta le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione che eccezionalmente possono fornire prove anche a favore del loro autore (artt. 2705-2708 c.c.).

43. La falsità dei documenti e la querela di falso.

La falsità del documento è la discordanza tra la realtà e ciò che appare nel documento. La falsità del documento è materiale quando consiste in una contraffazione; è invece di logica se la falsità riguarda il contenuto della dichiarazione. Ricordato che l'attitudine alla piena prova sull' estrinseco (provenienza) -che compete sia l'atto pubblico sia alla scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata- sussiste fino a querela di falso, ne consegue che questo è l'unico strumento per contestare tale efficacia. La querela di falso può investire anche la falsità ideologica (sempre solo sull' estrinseco) e riguardare anche la scrittura privata già fatta oggetto del giudizio di verificazione con riguardo ad altre falsità. La querela di falso può proporsi tanto in via principale  quanto in corso di causa in qualunque stato e grado del giudizio fino al giudicato sulla verità del documento (art. 221 c.p.c.). Il giudizio sulla querela di falso è riservato alla competenza esclusiva del tribunale con la partecipazione del pm; la domanda va proposta dalla parte personalmente a mezzo di procuratore speciale con atto di citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale di causa(art. 221, 2° comma c.p.c.), previo interpello dell'altra parte che ha prodotto il documento, se intende valersene in giudizio. Il documento viene depositato con le formalità di cui all'articolo 223 c.p.c. Sulla querela di falso pronuncia sempre e solo il collegio, la cui pronuncia viene fatta risultare sul documento solo dopo il giudicato.

44. Le copie degli atti e delle scritture (artt. 2714-2719 c.c.).

Le copie autenticate da pubblico ufficiale hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale. Le copie fotografiche hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale anche quando tale conformità non sia espressamente disconosciuta.

45. Produzione e esibizione dei documenti delle scritture contabili.

Il documento entra nel processo con la produzione, che di solito è atto spontaneo della parte che ne in possesso. Se è in possesso dell'altra parte o di un terzo, il giudice può ordinarne l'esibizione previa valutazione discrezionale circa la sua necessità e purché sussistano i requisiti dell'articolo 118. L'ordine di esibizione non può essere eseguito coattivamente, ma la sua inosservanza è valutabile ai sensi dell'articolo 116, 2° comma c.p.c. Talora all'esibizione delle scritture contabili è richiesta dalla natura della controversia. Il giudice può richiedere, anche d'ufficio informazioni alla pubblica amministrazione (art. 213 c.p.c.).

SEZIONE QUINTA: le prove costituende e il rendimento dei conti

46. La confessione (art. 2730 c.c.).

La confessione è la dichiarazione della parte della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte. La sua efficacia probatoria si fonda sulla massima di esperienza secondo la quale "nessuno riconosce fatti che gli nuocciono se non sono veri". La confessione giudiziale (ossia resa in giudizio) viene in essere come già provata, se è invece stragiudiziale deve essere a sua volta provata con prova scritta o anche testimoniale (art. 2735, 2° comma c.c.). Oggetto di confessione possono essere soltanto i fatti della causa (art. 2734 c.c.). Se include anche fatti che ne modificano la portata, l'efficacia probatoria è quella della dichiarazione nella sua integrità; ma se ci sono contestazioni, il giudice valuta liberamente. La confessione può provenire soltanto dalla parte personalmente. L'efficacia probatoria della confessione è quella di prova legale purché verta su diritti disponibili (art. 2733, 2° comma c.c.). Non è efficace se non proviene da parte capace di disporre del diritto (art. 2731, 1° comma c.c.); se fatta da un rappresentante è efficace nei limiti dei poteri di questo (art. 2731, 2° comma c.c.); ma nonostante questi riferimenti al potere di disporre, la confessione non è dichiarazione di volontà ma dichiarazione di scienza; deve essere consapevolmente voluta esclusa la volontà degli effetti.

47. La confessione giudiziale l'interrogatorio di parte.

La confessione giudiziale (art. 228 c.p.c.) può essere: spontanea (art. 229 c.p.c.), nel qual caso può essere contenuta in qualsiasi atto sottoscritto dalla parte personalmente (esclusa la portata confessione dell'interrogatorio libero) o provocata dall'interrogatorio formale su istanza di parte. L'interrogatorio formale deve essere prodotto per articoli specifici; se ammesso, è assunto dal giudice istruttore (art. 230 c.p.c.), al quale la parte interrogata deve rispondere personalmente (art. 231 c.p.c.). Se la parte da interrogarsi non si presenta o rifiuta di rispondere, l'organo giudicante può ritenere come ammessi i fatti (art. 232 c.p.c.). Diverso dall'interrogatorio formale è l'interrogatorio libero delle parti, che rientra tra i poteri del giudice il quale può, in qualunque stato grado del processo, ordinare la comparizione personale delle parti per interrogarle liberamente sui fatti della causa (art. 117 c.p.c.). Le dichiarazioni rese delle parti non possono assumere valore confessorio, ma il giudice se ne può avvalere come argomenti di prova, ad integrazione delle risultanze di altre prove.

48. Il giuramento della parte.

Può essere solo reso in giudizio. Il giuramento della parte è sempre e solo prova costituenda e può essere decisorio o suppleorio. Il giuramento decisorio (art. 2736 n.1 c.c.) consiste in una dichiarazione sui fatti della causa, della parte alla quale il fatto giova e perciò può verificarsi solo se deferito dall'altra parte che assumerà l'iniziativa se e in quanto confida sulla lealtà del deferito e/o sulla gravità delle sanzioni a carico di chi giura il falso. È ammissibile solo se può dipenderne la decisione totale o parziale della causa; la parte alla quale è stato deferito può riferirlo all'altra parte (art. 234 c.p.c.), ossia ribaltarlo su questa, ovviamente in senso contrario. Il giuramento suppletorio (art. 2736 n.2 c.c.)  differisce da quello decisorio perchè è deferito a una delle parti dal giudice in sede decidente per integrare la semiplena probatio o per stabilire il valore di una cosa (giuramento estimatorio di cui all'art. 241 c.p.c.). L'efficacia probatoria del giuramento decisorio è vincolante per il giudice che deve dichiarare vittoriosa la parte che ha giurato (o l'altra in caso di rifiuto) (artt. 2738 c.c. e 239 c.p.c.). L'eventuale falsità della giuramento non inficia in giudizio, ma può solo, se riscontrata, fondare il diritto al risarcimento (art. 2738, 2° comma c.c.). L'articolo 2737c.c. richiede per l'atto del differire (o del riferire) il giuramento la capacità di disporre del diritto. Il giuramento prestato non è revocabile, ma, se non ancora prestato, è revocabile il suo deferimento o il suo riferimento finchè l'altra parte non si sia dichiarata pronta a giurare (artt. 235 e 236 c.p.c.). Oggetto del giuramento sono solo i fatti propri della parte o la conoscenza di un fatto altrui. L'ammissibilità del giuramento non è impedita dalle risultanze probatorie già acquisite (anche in senso contrario).

49. Deferimento, ammissione prestazione del giuramento.

Il deferimento del giuramento decisorio può avvenire in ogni stato della causa, ma prima della rimessione in decisione, con dichiarazione in udienza della parte personalmente o del suo procuratore munito di mandato speciale, e deve essere formulato in articoli separati in modo chiaro e specifico(art. 233 c.p.c.). La parte alla quale il giuramento è stato deferito può fino a quando non abbia dichiarato di essere pronta a giurare riferirlo all'altra parte (articolo 284 c.p.c.). Sull'istanza di differimento o di riferimento si pronuncia il giudice istruttore con ordinanza revocabile. Le eventuali contestazioni vanno risolte dall' organo decidente con ordinanza che, se ammette giuramento, va notificata personalmente alla parte (art. 237 c.p.c.). Il giuramento è prestato personalmente all'udienza previe le ammonizioni e con le formalità di cui all'artico 138 c.p.c. Il rifiuto di giurare con la mancata comparizione all'udienza fissata per la sua prestazione dà luogo alla soccombenza, salva la giustificazione della mancata comparizione (art. 239 c.p.c.). Nel giuramento suppletorio non è ovviamente possibile il riferimento.

50. La prova per testimoni. Nozione limiti dalla sua ammissibilità.

La testimonianza consiste nella narrazione al giudice di fatti della causa da parte di persone imparziali. L'attendibilità della prova testimoniale si fonda sull'imparzialità del testimone e sulla sua memoria spesso lacunosa e perciò la legge ne condiziona l'ammissibilità a un sistema di limiti. Quando la forma scritta è richiesta ad substantiam, la prova testimoniale è ammissibile solo in caso di perdita inconsapevole dello scritto (art. 2725 c.c.). Il limite di valore ormai anacronistico di cui all'art. 2721 c.c., è superato dagli ampi poteri discrezionali del giudice. I patti aggiunti o contrari allo scritto possono essere provati per testimoni solo se se ne allega la stipulazione successiva (art. 2723 c.c.). La prova testimoniale è sempre ammessa, secondo l'art 2724 c.c.: 1) se c'è un principio di prova scritta; 2) se lo scritto è stato impedito da violenza morale o materiale; 3) se il documento è stato smarrito senza colpa.

51. L'ammissione e l'assunzione della prova per testimoni.

La prova testimoniale va dedotta, con istanza di parte, in articoli specifici e con l'indicazione dei testimoni (art. 244 c.p.c.). L'altra parte può opporsi e offrire la prova contraria indicando testimoni. Il giudice istruttore (o l'organo decidente) provvede con ordinanza, con eventuale riduzione delle liste dei testi (art. 245 c.p.c.). La rinunzia all'audizione dei testi non ha effetto se non è accettata dall'altra parte e se il giudice non vi consente. Il testimone ha il dovere di deporre, salvi i casi in cui è consentita l'astensione (art. 249 c.p.c.). Il teste non può deporre quando a un interesse che potrebbe legittimare alla partecipazione giudizio (art. 246 c.p.c.). Non può testimoniare la parte rappresentata nè colui che, nel processo stesso agisce come rappresentante. La parte interessata alla deposizione intima la comparizione al teste a mezzo di ufficiale giudiziario (art. 250 c.p.c.) ed è onerata alla presenza all'udienza per l'assunzione. Le contestazioni sulla legittimazione del teste a deporre vanno sollevate subito a pena di decadenza e sono risolte dal giudice con ordinanza.

52. L'ispezione giudiziale

L'ispezione giudiziale (artt. 258-262 c.p.c.) è lo strumento col quale si acquisisce l'efficacia probatoria di cose, corpi o luoghi (che non essendo acquisibili al processo possono solo essere osservati)e del quale il giudice può avvalersi d'ufficio. La legge contempera le esigenze probatorie con quelle della riservatezza. Le modalità dell'assunzione (da documentarsi nel processo verbale) vengono stabilite dal giudice istruttore. Il giudice istruttore può anche determinare l'esperimento giudiziale e la riproduzione dinamica del fatto rilevante per la causa.

53. Il rendimento dei conti.

Il rendimento dei conti (artt. 263-266 c.p.c.) è una prova costituenda strutturata come un procedimento speciale che può assolvere ad una funzione di tutela. L'esigenza di tutela a cui l'istituto assolve è quella che concerne il diritto al rendimento del conto, sia in corso di giudizio e sia come oggetto di giudizio ad hoc, nella prospettiva della condanna al pagamento del saldo. A domanda, il giudice ordina la presentazione del conto, che va depositato in cancelleria (art. 263 c.p.c.). Se il conto è depositato e accettato dalla parte richiedente, il giudice ordina il pagamento del saldo (art. 263, 2° comma c.p.c.). Se contestato (con necessaria specificazione delle parti contestate), può occorrere il ricorso a mezzi istruttori, salvo accordo parziale con l'ordine del giudice di pagare il sopravanzo (art. 264 c.p.c.). Se la parte onerata non deposita il conto o resta contumace, il giudice (in sede di decisione) può disporre il giuramento estimatorio (art. 265 c.p.c.). La parte che ha approvato il conto, ha la possibilità di chiederne la revisione, anche in separato processo, ma solo in caso di errore materiale, omissione, falsità, o duplicazione di partite (art. 266 c.p.c.).














































CAPITOLO V: LA FASE DI DECISIONE

54. Funzione e struttura.

In correlazione con la funzione decisoria, che propria di questa fase, sta la struttura caratteristica dell'attività del decidere, che qui viene in rilievo specialmente come attività del collegio. L'attività di cognizione tende tipicamente alla decisione, cioè al provvedimento decisorio. Il collegio è composto da tre giudici, tra i quali il presidente e il giudice che ha svolto le funzioni di istruttore e che assume ora quella di relatore. Il passaggio alla fase di decisione si concreta nella rimessione al collegio, ma l'udienza innanzi al collegio decidente è prevista solo quando sia chiesta la discussione.

55. L'eventuale udienza di discussione davanti al collegio, deliberazione e pubblicazione della sentenza.

Se non c'è stata richiesta di discussione, la decisione viene assunta senza contatti con le parti, con deliberazione in camera di consiglio secondo le modalità di cui all'articolo 276 c.p.c. (con decisione graduale delle questioni in base a rotazione) e deposito della sentenza entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica (art. 275 c.p.c.). Se c'è stata richiesta di discussione, il presidente fissa, con decreto, la data dell'udienza, da tenersi entro 60 giorni e nella quale, dopo la relazione avviene la discussione e, subito, la deliberazione in camera di consiglio (artt. 275 e 276 c.p.c.).La disciplina della deliberazione (per ogni caso di decisione collegiale, con o senza discussione) configura la decisione graduale delle questioni e la votazione; poi la stesura e la sottoscrizione del dispositivo; mentre la stesura della sentenza, con la motivazione, è effettuata in seguito dall'estensore (perlopiù, il relatore) in una minuta che, previa rilettura collegiale, è sottoscritta dal presidente e dall'estensore. Segue poi il deposito in cancelleria con la pubblicazione, nel termine di 60 giorni.

56. I diversi provvedimenti dell'organo giudicante in relazione al loro contenuto. A) sentenze definitive e non definitive.

L'organo decidente -che è investito di tutta la causa- incomincia la sua attività decisoria con l'esame delle questioni pregiudiziali di rito e di merito e quindi passando al merito in senso proprio, previo riesame della valutazione del giudice istruttore circa la maturità della causa per la decisione (con eventuale rimessione l'istruttore con ordinanza) e alla decisione del merito con la pronuncia sulle spese. L'organo deve, tendenzialmente, definire il giudizio pronunciando sentenza definitiva (art. 277, 1° comma c.p.c.), ma può limitare la pronuncia ad alcune domande (art. 277, 2° comma) come anche decidere sul solo "an"(condanna generica) ai sensi dell'articolo 278 c.p.c. così pronunciando sentenza non definitiva. Più precisamente l'organo decidente pronuncia sentenza definitiva nei casi di cui all'articolo 279, comma, n.1 (quando si pronuncia in senso ostativo su questioni pregiudizi di rito),2 (quando si pronuncia in senso ostativo su questioni preliminari di merito),3 (quando pronuncia su tutto il merito); mentre pronuncia sentenza non definitiva nei casi di cui all'articolo 279,2° comma, n.4 (quando dispone la prosecuzione dell'istruttoria) e n°5 (quando decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite: ma se c'è provvedimento di separazione ex articolo 103, 2° comma o 104, 2° comma o la pronuncia sulle spese, la sentenza è -sulla causa separata e decisa- definitiva).

57. B) Le ordinanze dell'organo giudicante. Rinnovazione di prove.

I provvedimenti per l'eventuale ulteriore istruzione sono dati dall'organo giudicante con separata ordinanza (art. 279, 3° comma c.p.c.)che è revocabile e non può pregiudicare l'esito della causa (art. 279, 4° comma c.p.c.); la suddetta ordinanza è immediatamente efficace ma se è proposto l' appello immediato contro la sentenza non definitiva, il giudice istruttore può, su istanza concorde le parti, sospendere l'istruttoria (art. 279, 4° comma c.p.c.).

58. L'efficacia della sentenza e presupposti per efficacia.

Con la pubblicazione la sentenza acquista piena efficacia ufficiale, con l'esaurimento di poteri del giudice sulla causa e con l'acquisizione dell'attitudine all'impugnazione; mentre la sua incontrovertibilità avviene soltanto col suo passaggio in giudicato. Qualora si tratti di sentenza costitutiva, solo col passaggio in giudicato produrrà il suo effetto costitutivo, modificativo o estintivo; così come la sentenza di accertamento con riguardo all'effetto suo proprio. Ma l'efficacia esecutiva (propria in primo luogo, della condanna) spetta già per legge, alla sentenza di primo grado, che è quindi provvisoriamente esecutiva (art. 282 c.p.c.) salva la sospensione dell'esecutività (dell'esecuzione eventualmente iniziata), da parte del giudice di appello quando ricorrano gravi motivi (art. 283 c.p.c.) e salvi patti di astensione temporanea dall'esecuzione (pactum de non eseguendo). Il termine per l'eventuale impugnazione (la cui perdurante possibilità impedisce giudicato) decorre dalla sua notificazione a cura della parte a cui interessa il passaggio in giudicato (salvo il c.d. termine lungo, che, in assenza di notificazione decorre dalla pubblicazione).

59. La correzione delle sentenze e delle ordinanze.

La correzione delle omissioni e degli errori materiali o di calcolo è uno strumento abbreviato di tipo amministrativo per eliminare errori che non investono il giudizio, ma solo la sua estrinsecazione. Il potere di questa correzione, secondo l'art. 287 c.p.c.) appartiene allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza se non è appellata (giacché altrimenti il potere spetterebbe al giudice dell'appello) a istanza di tutte le parti (nel qual caso il giudice provvede senz'altro con decreto: art. 288, 1° comma c.p.c.) o di una sola parte, nel qual caso occorre l'istallazione del contraddittorio, a mezzo di decreto del presidente (o del giudice unico che fissa l'udienza). All'udienza l'organo decidente, nel contraddittorio delle parti, provvede con ordinanza, la cui notificazione fa decorrere un nuovo termine per l'impugnazione delle sole parti corrette (art. 288, 2° e 4° comma).










CAPITOLO VI: LE VICENDE ANORMALI DEL PROCESSO

60. Riunione, separazione e trasferimento dei procedimenti.

Se per la stessa causa pendono diversi procedimenti davanti allo stesso giudice istruttore o davanti allo stesso ufficio giudiziario, l'istruttore (o il presidente) provvedono alla riunione dei procedimenti (art. 273 c.p.c.). Se pendono cause connesse davanti allo stesso istruttore o allo stesso ufficio giudiziario, provvedono ugualmente l'istruttore o il presidente; ma qui la legge non impone la riunione, ma prevede soltanto i provvedimenti opportuni, con riferimento all'opportunità (o meno) della riunione (art. 174 c.p.c.) restando comunque salva la possibilità della successiva separazione ex articolo 103, 2° comma e 104, 2° comma c.p.c. La separazione delle azioni, cumulate nello stesso processo, può essere disposta dal giudice istruttore o dal collegio: quando v'è istanza di tutte le parti o quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe gravoso il processo.

61. Il processo in contumacia.

Ricordando che le parti sono già tali, l'una per aver proposto la domanda e l'altra per essere stata regolarmente citata, ricordiamo che esse non sono obbligate ma solo onerate alla partecipazione attiva al processo che si concreta nella loro costituzione, e che può anche non avvenire. La mancata costituzione di una delle parti, come sua inattività unilaterale, dà luogo alla contumacia che va dichiarata previa verifica dei suoi presupposti. La contumacia è una situazione di fatto che diviene di diritto con la dichiarazione di contumacia, la cui mancanza non è, per se stessa, motivo di nullità. La disciplina del processo in contumacia è ispirata dalla funzione di limitare il pregiudizio che il contumace subisce per effetto della sua assenza. I presupposti per la dichiarazione di contumacia sono: a) in caso di mancata costituzione dell'attore la dichiarazione del convenuto, di voler continuare nel processo; mancando questa dichiarazione, la causa va cancellata (art. 290 c.p.c.); b) in caso di mancata costituzione del convenuto, il giudice all'udienza di prima comparizione verifica d'ufficio la regolarità della notificazione della citazione e, se rileva un vizio, ne dispone la rinnovazione (art. 291 c.p.c.) per un'udienza successiva nella quale, in caso di protratta mancata costituzione, dichiarerà la contumacia. Al contumace vanno notificati personalmente l'ordinanza che ammette l'interrogatorio formale o il giuramento nonchè gli atti contenenti domande nuove o riconvenzionali, se ammissibili (art. 292 c.p.c.). Il contumace può costituirsi tardivamente fino all'udienza di rimessione in decisione (art. 293, 1° e 2° comma c.p.c.) può disconoscere le scritture private prodotte contro di lui (art. 293,3° comma c.p.c.), mentre, con riguardo alle preclusioni maturate nei suoi confronti, può chiedere la rimessione in termini, se dimostra la nullità della notificazione o altra causa di impedimento a lui non imputabile; il giudice provvede con ordinanza, eventualmente previe prove sulla non imputabilità dell'impedimento (art. 294 c.p.c.). Gli effetti della dichiarazione di contumacia sono limitati al grado.

62. La sospensione del processo (artt. 295-298 c.p.c.).

La sospensione è una arresto temporaneo, ma totale dell'iter processuale; a seguito di un provvedimento idoneo la sospensione può essere: a) volontaria, su istanza concorde delle parti, per non più di quattro mesi (art. 296 c.p.c.); b) oppure necessaria per pregiudizialità, quando la decisione della causa dipende dalla soluzione di altra controversia che pende davanti allo stesso o ad altro giudice (art. 295 c.p.c.). La sospensione è necessaria nel senso che non presuppone alcuna valutazione di opportunità, ma solo la sussistenza del rapporto di pregiudizialità. Dal che consegue l'estraneità al sistema della sospensione facoltativa. Può essere evitata nei limiti in cui è possibile decisione della pregiudiziale incidenter tantum o quando sia possibile la riunione che, tra l'altro, non è più impedita dall'eventuale differenza di riti. La sospensione è disposta dall'organo decidente (ma la cassazione è possibilista anche rispetto a provvedimenti dell'istruttore) con provvedimento che, secondo la cassazione, è un'ordinanza e che è impugnabile col regolamento di competenza (art. 42 c.p.c.) se dispone la sospensione. Se sulla questione pregiudiziale è già intervenuta una sentenza (che, se non è passata in giudicato, non è vincolante), il giudice può anche non sospendere, giudicando liberamente (art. 337, 2° comma c.p.c.). Durante la sospensione non possono compiersi atti del processo tranne quelli urgenti. Una figura particolare di sospensione è prevista per l'ipotesi che venga sollevata (anche d'ufficio) una questione di illegittimità costituzionale, che il giudice ritenga non manifestamente infondata, con valutazione che spetta all'organo che dovrebbe applicare la norma sospetta. L'eventuale sospensione (con rimessione degli atti alla corte costituzionale) durerà fino alla pronuncia di quest'ultima; la quale pronuncia, se è di accoglimento, rende inapplicabile la norma in qualsiasi giudizio dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della corte; e se è di rigetto esaurisce i suoi effetti nel processo in corso. Per la ripresa dopo sospensione, se non c'è udienza previamente fissata, la parte interessata alla prosecuzione è onerata a proporre, non oltre 10 giorni prima della scadenza dei termini di sospensione (sei mesi dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione), ricorso al presidente della fissazione dell'udienza. Il decreto, steso in calce al ricorso, è notificato alle altre parti.

63. L'interruzione del processo la sua riassunzione (artt. 299-305 c.p.c.).

L'interruzione del processo consiste, come la sospensione, nell'arresto dell'iter processuale ma sono diverse le cause (eventi che compromettano l'effettività del contraddittorio) e diversa la funzione (evitare pregiudizi che potrebbero derivarne per la parte colpita dall'evento). Gli eventi interruttivi possono riguardare la parte o il difensore. Gli eventi che possono colpire la parte (elencati nell'art. 299 c.p.c.) sono: 1. La morte della parte; 2. La perdita della capacità processuale della parte; 3. La morte o la perdita della capacità processuale del rappresentante legale (ma non di quello volontario); 4. La cessazione della rappresentanza legale. Gli eventi che colpiscono il difensore, elencati nell'art. 301 c.p.c., sono: la sua morte, radiazione o sospensione dall'albo (esclusa la revoca della procura, la rinuncia o la cancellazione volontaria dall'albo).

A) se l'evento colpisce la parte: a) prima della sua costituzione, l'interruzione è automatica (salva la costituzione spontanea o la citazione in riassunzione di coloro ai quali spetta proseguire il giudizio) (art. 299 c.p.c.); sicchè il provvedimento del giudice ha portata solo dichiarativa; b) dopo la costituzione mezzo di difensore-procuratore, l'interruzione si verifica solo se e quando questo lo dichiara in udienza o lo notifica, salva costituzione spontanea o la riassunzione di coloro ai quali spetta proseguire il processo (art. 300 c.p.c.); in mancanza di tale dichiarazione o notifica il processo prosegue nei confronti della parte che ha subito l'evento, ancorchè defunta o estinta, ma processualmente ancora in vita (se invece la parte si fosse costituita personalmente, l'interruzione sarebbe automatica). Se l'evento si verifica dopo che, avvenuta la rimessione in decisione, siano scaduti termini per il deposito delle memorie di replica, rimane privo di effetti salvo il caso della riapertura dell'istruzione (art. 300, 5° comma c.p.c.). Se si verifica durante il termine per impugnare interrompe detto termine (art. 328 c.p.c.).

B) se l'evento colpisce il difensore-procuratore, l'interruzione è automatica (art. 301 c.p.c.) e la prosecuzione del processo avviene solo con la costituzione in udienza delle persone alle quali spetta proseguire il giudizio o con la loro citazione riassunzione. Se non è fissata alcuna udienza, la parte interessata è onerata a chiedere la fissazione con ricorso al giudice al presidente, che fissa l'udienza con decreto in calce al ricorso, da notificarsi personalmente a coloro che debbono costituirsi per la prosecuzione; ciò nel termine perentorio, a pena di decadenza, di 6 mesi dalla conoscenza dell'interruzione.

64. L'estinzione del processo.

Funzione dell'estinzione del processo è quella di evitare la sua prosecuzione quando l'accordo delle parti o la loro inerzia o il loro comportamento concludente ne rivela l'inutilità. a) L'estinzione per rinuncia agli atti (art. 306 c.p.c.)presuppone che questa sia accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione. L dichiarazioni di rinuncia e di accettazione vanno compiute dalle parti personalmente (o da loro mandatari speciali) all'udienza o con atti sottoscritti dalle parti e notificati. b) l'estinzione per inattività delle parti (art. 307 c.p.c.) opera in applicazione del principio dell'impulso di parte attraverso la tecnica di termini acceleratori perentori. Se nessuna delle parti si è costituita (sicchè la causa non è mai stata iscritta), o se il giudice ha ordinato la cancellazione dal ruolo l'estinzione si verifica se la causa non è riassunta nel termine perentorio di un anno, durante il quale la causa resta in quiescenza. La riassunzione avviene con la comparsa di cui all'articolo 125 disp.att., che ha le caratteristiche della citazione, da notificarsi al procuratore costituito o altrimenti alla parte personalmente. L'estinzione si verifica, invece immediatamente nei casi di cui all'articolo 181, 2° comma (assenza alla prima udienza dell'attore costituito in mancanza di richiesta del convenuto di procedere e previa fissazione di altra udienza) e all'articolo 290 (contumacia dell'attore senza richiesta del convenuto di procedere) nonché nei casi richiamati dall'articolo 307, 3° comma (mancata osservanza dei termini perentori specificamente previsti).

65. Dichiarazione di effetti dell'estinzione.

L'estinzione opera di diritto, ma non è rilevabile d'ufficio e deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa (art. 307, 4° comma c.p.c.): il che significa che, fermo l'operare di diritto, il processo rivive se l'eccezione non è proposta tempestivamente. L'estinzione è dichiarata con sentenza se pronunciata dal organo decidente collegiale; se invece è pronunciata dal istruttore, assume la forma dell'ordinanza reclamabile al collegio. Se invece è dichiarata dal giudice monocratico è, in quanto avente natura di sentenza, appellabile o, se dichiarata in sede di appello, ricorribile in cassazione. Il collegio, previo eventuale scambio di memoria, si pronuncia in camera di consiglio. L'estinzione del processo non estingue l'azione (art. 310, 1° comma), che può essere riproposta purché non sia già stata pronunciata sentenza sul merito, che passerebbe in giudicato, anche se non definitiva. Le sentenze eventualmente pronunciate sul rito restano inefficaci in futuri giudizi, comprese quelle sulla competenza, salvo che siano state pronunciate dalla cassazione in sede di regolamento di competenza (art. 310, 2° comma) nel qual caso manterrebbero la loro efficacia in un'altro eventuale giudizio. Le prove raccolte nel processo estinto sono valutate dal giudice di un eventuale altro processo ai sensi dell'articolo 116, 2° comma c.p.c. La cessazione della materia del contendere -per la quale non è prevista una autonoma via processuale per la fine del processo- è solo il riflesso processuale del mutamento della situazione sostanziale nel senso del venir meno della ragione del giudizio; del che la sentenza può dare atto.




























CAPITOLO VII: PARTICOLARITA' DEL PROCESSO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE

66. La soppressione dell'ufficio del pretore e l'eliminazione delle disposizioni comuni ai procedimenti davanti al pretore e al giudice di pace.

67. La disciplina del procedimento davanti al giudice di pace.

L'articolo 311 c.p.c. compie un generale richiamo alla disciplina del procedimento davanti al tribunale per tutto ciò che non è espressamente regolato dal presente titolo o in altre disposizioni. Il giudice di pace ha ancora le funzioni non contenziose che in precedenza appartenevano al conciliatore ora previste dall'articolo 322 c.p.c. e che si esercitano a seguito di un'istanza al giudice di pace competente per territorio in funzione della conciliazione. Se la conciliazione riesce, il relativo verbale costituisce titolo esecutivo, ma solo se la controversia appartiene alla competenza del giudice di pace (art. 322, 2° comma c.p.c.). Il che implica la possibilità di richiedere la sola conciliazione anche al giudice di pace non competente per il merito (attività conciliativa extragiudiziale). Le norme dedicate alle funzioni contenziose del giudice di pace, in deroga alla disciplina del procedimento davanti al tribunale, sono (oltre all'articolo 313 c.p.c., riguarda la sospensione nel caso della proposizione della querela di falso): l'articolo 316 (che riguarda la proponibilità della domanda in forma orale); l'articolo 317 (che riguarda la facoltà della parte di farsi rappresentare da persona anche non rappresentante volontario nel campo sostanziale, in deroga all'articolo 77 c.p.c.); l'articolo 318, 1° comma (che configura la citazione con forme semplificate); l'articolo 318, 2° comma (che prevede la riduzione a metà dei termini a comparire); l'articolo 319 (che prevede che entrambe le parti si costituiscano col deposito in cancelleria (oppure in udienza) della citazione con la relazione di notifica e la procura); l'articolo 320 (in cui è disciplinata la trattazione in modo più rapido, con l' invito a precisare subito i fatti, le allegazioni, le eccezioni e le istanze istruttorie, con l'eventuale rinvio per una sola volta); articolo 321 (che disciplina la fase decisoria con l'invito alla precisazione delle conclusioni e alla discussione orale senza scambi di scritture defensionali). Le sentenze del giudice di pace nelle cause di valore inferiore a 1100 euro sono inappellabili (ma ricorribili per cassazione in via straordinaria); sono invece appellabili al tribunale in composizione monocratica nel caso di valore superiore.











































CAPITOLO VIII: LE IMPUGNAZIONI

SEZIONE PRIMA: le impugnazioni in generale

68. Nozione e funzione dell'azione in generale.

La funzione dell'impugnazione di un provvedimento di un giudice in generale è quella di eliminarlo, sostituirlo o modificarlo. Con l'espressione impugnazione si intende sia l'atto introduttivo della nuova fase di giudizio e sia la fase stessa. Con questo significato si intendono le impugnazioni elencate nell'articolo 323 c.p.c. Le impugnazioni sono dette necessarie quando loro mancata proposizione nei modi e termini di legge e rende provvedimenti incontrovertibile: tali sono le impugnazioni elencate nell'articolo 324 c.p.c. il cui esaurimento da luogo alla cosa giudicata formale che a sua volta introduce il giudicato in senso sostanziale ma ferma la sufficienza, agli effetti dell'efficacia esecutiva, del livello di accertamento offerto dalla sentenza di primo grado (artt. 282 e 337, 1° comma c.p.c.).

69. Condizioni delle impugnazioni contro le sentenze.

Quelle che, in primo grado, sono le condizioni dell'azione si specificano, in sede di impugnazione come segue: a) interesse a impugnare, determinato dalla soccombenza, quale divergenza tra il chiesto e l'ottenuto ma incluso l'eventuale ulteriore margine di vantaggio obiettivo ottenibile; b) legittimazione ad impugnare, che presuppone la qualità di parte nella fase pregressa (anche il successore e l'interventore che può in via eventuale all'opposizione di terzo); c) possibilità giuridica di impugnare, ossia l'obiettiva impugnabilità del provvedimento che di regola va riferita alla sua forma o a quella che esso avrebbe dovuto assumere e che non ha assunto per errore nell'impiego delle forme. Nel quadro del normale riferimento dell'impugnabilità alla forma del provvedimento, eccezionalmente la legge attribuisce rilievo alla sostanza del provvedimento, come nel caso del ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Cost. La giurisprudenza considera determinante, agli effetti dell'individuazione del mezzo di impugnazione, la qualificazione del provvedimento, eventualmente effettuata dal giudice. Se manca una delle condizioni dell'impugnazione questa è inammissibile. Sul piano logico (talora anche sul piano pratico) il giudizio di impugnazione si scinde tra una fase rescindente e una fase rescissoria.

70. Classificazione e tipologia dell'impugnazione contro le sentenze.

A) Con riguardo alla ragione dell'impugnazione: impugnazioni di legalità (rescindenti o a critica vincolata) sono quelle concesse per fare valere errori o vizi (come ad esempio ricorso per cassazione) e impugnazioni di giustizia (devolutive o sostitutive) sono quelle con le quali si può far valere anche la semplice ingiustizia (come ad esempio l'appello).

B) Il vizio di nullità come ragione dell'impugnazione: con riguardo in particolare vizi di nullità opera la regola del loro assorbimento dei motivi di impugnazione con l'implicita portata della sanatoria dei vizi non fatti valere nei modi e nei tempi delle impugnazioni (art. 161 c.p.c.) e salvi casi di inesistenza (art. 161, 2° comma c.p.c.)

C) Con riguardo all'attitudine determinare la cosa giudicata: mezzi di impugnazione ordinari sono quelli che condizionano il passaggio in giudicato della sentenza; sono invece straordinari quelli proponibili indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza.

D) Con riguardo alla struttura del giudizio di impugnazione: nei mezzi di impugnazione per far valere vizi si può distinguere tra momento rescindente (annullamento sentenza) e momento rescissorio (sostituzione sentenza), anche se non sempre la distinzione si concreta nella ripartizione in fasi (e talora giudizi) diverse; non sono tali le impugnazioni sostitutive (appello).

E) con riguardo al giudice dell'impugnazione: le impugnazioni sono perlopiù proponibili davanti a un giudice diverso da quello che pronunciate provvedimenti impugnato; e solo eccezionalmente sono previsti impugnazioni davanti allo stesso giudice (revocazione). Nessun mezzo di impugnazione è dotato, ora, di efficacia sospensiva automatica.

71. Termini e decadenza dall'impugnazione.

I termini per proporre le impugnazioni sono perentori perché proprio sulla perentorietà dei termini è imperniata la tecnica del conseguimento dell'incontrovertibilità. Tali termini (30 giorni per l'appello, la revocazione opposizione di terzo (art. 325, 1°comma c.p.c.) e 60 giorni per il ricorso per cassazione (art. 325, 2°comma c.p.c.)) decorrono dalla notifica della sentenza (mentre per il regolamento di competenza decorrono dalla comunicazione): notifica che è effettuata ad istanza di parte che è interessata al passaggio in giudicato, al procuratore costituito per l'altra parte. Nelle impugnazioni straordinarie, invece, il termine o manca del tutto (come nel caso dell'opposizione di terzo semplice) o decorre dal momento in cui si sia verificato un determinato evento (art. 326 c.p.c.). Se durante la decorrenza del termine, si verifica un evento che potrebbe fondare l'interruzione del processo, il termine è interrotto e il nuovo termine decorre dalla rinnovazione della notificazione (art. 328 c.p.c.). Indipendentemente dalla notificazione decorre comunque un termine (c.d. lungo) di un anno (oltre al periodo di sospensione feriale) che decorre dalla pubblicazione (art. 327, 1° comma c.p.c.). L'atto da compiersi nei suddetti termini per evitare la decadenza è la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione nel domicilio eventualmente eletto nell'atto di notificazione della sentenza o altrimenti presso il procuratore costituito nel giudizio pregresso o nel domicilio eletto per quel giudizio (art. 330, 1° comma c.p.c.). Alla parte contumace l'impugnazione va notificata personalmente. Se la parte vittoriosa è defunta dopo la notificazione della sentenza, l'impugnazione può essere notificata collettivamente in personalmente agli eredi (art. 330,2° comma). Dall'impugnazione si decade anche per effetto dell'acquiescenza (art. 329 c.p.c.), ossia dell'accettazione espressa della sentenza o dell'accettazione che è implicita nel compimento di atti incompatibili con la volontà di impugnare, come anche nell'impugnazione parziale rispetto alle parti non impugnate. La decadenza dà luogo all'inammissibilità dell'impugnazione, che se, ed in quanto, dichiarata, determina la consumazione, ossia la non riproponibilità, dell'impugnazione (artt. 358 e 387 c.p.c.). L'omissione di atti di impulso successivi alla notificazione dell'impugnazione può dar luogo all'improcedibilità dell'impugnazione.

72. Pluralità di parti e pluralità di impugnazioni.

Premesso che la legge vuole tendenzialmente, che al giudizio di impugnazione partecipino tutte le parti della fase pregressa e che le impugnazioni dello stesso tipo e contro la stessa sentenza siano proposte nello stesso processo, l'articolo 331 c.p.c. dispone che nelle cause cumulate inscindibili o tra loro dipendenti sussista litisconsorzio necessario, anche se non sussisteva nel grado precedente: con la conseguenza che se l'impugnazione non è stata proposta contro tutte le parti, il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio, fissando all'uopo un termine perentorio la cui mancata osservanza da luogo all'inammissibilità dell'impugnazione; nelle cause scindibili, nelle quali litisconsorzio era e resta facoltativo la legge consente che il giudicato scenda su una o alcuna delle cause cumulate non su tutte, solo disponendo che le eventuali altri impugnazioni siano proposte nello stesso processo. Perciò l'articolo 332, 1° comma si limita a disporre che l'impugnazione sia notificata alle parti nei cui confronti l'impugnazione stessa non sia già preclusa con la sospensione del processo fino a quando tutte le parti siano decadute. In ogni caso (sia nelle cause scindibili che in quelle inscindibili) le parti chiamate o provocate in giudizio, sono onerate a proporre l'eventuale impugnazione nello stesso processo, con una impugnazione incidentale, e comunque con la riunione nello stesso processo dell'impugnazione eventualmente proposte separatamente (art. 335 c.p.c.). La regola è comunque nel senso che ogni impugnazione delle parti (destinatarie dell'impugnazione o chiamate o solo provocate) va proposta in via incidentale, a pena di decadenza, col primo atto d'ingresso nel giudizio di impugnazione (art. 333 c.p.c.). L'articolo 334 c.p.c., consente che l'impugnazione incidentale, se è proposta nei suddetti tempi e modi, possa essere proposta anche se è decorso il termine di impugnazione o se c'è stata acquiescenza (c.d. impugnazione incidentale tardive) peraltro ritenuta ammissibile solo nei confronti dell'impugnante principale. Le sentenze non definitive possono essere impugnate immediatamente, oppure, a scelta, insieme con le sentenze definitive, previa riserva. La riforma o la cassazione parziale della sentenza ha effetto anche verso i capi della sentenza non espressamente investiti da essa (art. 336, 1° comma c.p.c.): è questo l'effetto espansivo interno; così come la riforma o la cassazione estende i suoi effetti a provvedimenti e agli atti che ne sono dipendenti (art. 336, 2° comma c.p.c.); è questo l'effetto espansivo esterno.

SEZIONE II: l'appello

73. Nozione funzione dell'appello. Le sentenze appellabili. L'appello contro le sentenze non definitive

L' appello è mezzo di impugnazione che introduce il giudizio di secondo grado, come nuovo esame della causa, nei limiti della domanda di appello e, nei suddetti limiti, con la portata sostitutiva della sentenza impugnata. L'articolo 339 c.p.c. dispone che sono appellabili le sentenze pronunciate in primo grado rispetto alle quali l'appello non sia escluso dalla legge (come ad esempio le sentenze ex articolo 114 c.p.c.) o dall'accordo delle parti (come ad esempio il ricorso per cassazione omisso medio ex articolo 360, 2° comma c.p.c.). Le sentenze non definitive possono essere appellate immediatamente nei consueti termini, oppure in via differita, previa riserva da compiersi entro il termine per appellare e comunque non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza (art. 340 c.p.c.).

74. L'oggetto del giudizio d'appello (effetto devolutivo e nuovo in appello). Il non più esistente effetto sospensivo.

L'oggetto del giudizio di appello è quello stesso del giudizio di primo grado, ma nei limiti delle domande di appello, principale e incidentale e tenendo presente che le domande non riproposte si intendono abbandonate (art. 346 c.p.c.). La cosiddetta reformatio in pejus non è configurabile se non per effetto dell'appello incidentale. L'oggetto del giudizio d'appello può essere tendenzialmente tutto quello del giudizio di primo grado (l'appello infatti ha natura di gravame: riesame), ma comunque è solo quello di detto giudizio non essendo ammissibili domande nuove (cosiddetto divieto del "nuovo" in appello). Neppure sono ammissibili domande riconvenzionali, nè nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio nè nuovi mezzi di prova, salvo il giuramento decisorio, salva la valutazione di indispensabilità da parte dell'organo decidente, e salvo dimostrazione che la mancata proposizione nel giudizio di primo grado è dovuta a causa non alla parte imputabile (art. 245 c.p.c.). E' salva pure la produzione di documenti.

75. Il procedimento d'appello: parti, giudice competente, fase introduttiva, fase di trattazione

Il giudizio di appello è, davanti alla corte d'appello, interamente collegiale e davanti al tribunale, interamente monocratico, con esclusione, comunque, della fase affidata all'istruttore. Davanti alla corte è eliminata anche la figura dell'istruttore. Le parti sono l'appellante, l'appellato (eventualmente appellante in via incidentale) mentre l'interveniente può configurarsi solo ipoteticamente legittimato all'opposizione di terzo (art. 344 c.p.c.). Competente per l'appello è la corte d'appello rispetto le sentenze del tribunale e il tribunale in composizione monocratica rispetto alle sentenze del giudice di pace nelle cause di valore superiore a 2 milioni (art. 341 c.p.c.). L'atto introduttivo è all'atto di appello, che è un atto di citazione con tutti i suoi requisiti, oltre al requisito proprio dell'indicazione dei motivi specifici di impugnazione (art. 342 c.p.c.), come aspetto particolare della causa petendi. L'atto di appello va notificato nel termine dell'appello. Il primo atto difensivo dell'appellato è la comparsa di risposta, che deve contenere a pena di decadenza l'eventuale appello incidentale (ciò che postula la costituzione tempestiva) e può essere anche tardivo e/o condizionato. Le modalità di costituzione sono le stesse del giudizio di primo grado. La costituzione dell'appellato sana i vizi della notificazione (ex tunc) e della citazione (ex nunc). Alla prima udienza il collegio provvede agli incombenti propri di questa udienza, disponendo la comparizione personale delle parti solo quando occorre. L'inammissibilità e l'improcedibilità dell'appello vanno pronunciate con sentenza. L'inammissibilità consegue alla decorrenza dei termini, all'aquiescenza, al difetto delle condizioni di impugnare, all'inottemperanza all'ordine di integrazione del contraddittorio, alla presenza di domande nuove. L'improcedibilità consegue alla mancata costituzione dell'appellante,e alla sua mancata comparizione alla prima udienza, ma previa fissazione di altra udienza (art. 348, 1° comma c.p.c.). L'appellante è anche onerato alla produzione della sentenza impugnata, ma non più a pena di improcedibilità (se non nel caso che la mancanza renda impossibile il giudizio). Alla prima udienza il collegio provvede, con ordinanza non impugnabile, sull' istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione, e pronuncia che, in caso di giusti motivi di urgenza, può essere anticipata provvisoriamente, prima della prima udienza, ad opera del presidente, salva conferma, modifica o revoca da parte del collegio (art. 351, 2 e 3° comma c.p.c.).

76. La decisione. La sentenza e i suoi possibili contenuti.

La rimessione in decisione avviene con le stesse modalità del giudizio di primo grado, con l'invito alla precisazione delle conclusioni con l'eventuale fissazione, su richiesta, dell'udienza di discussione: la quale discussione, nel giudizio davanti alla corte, deve essere nuovamente richiesta al presidente alla scadenza dei termini per le memorie (art. 352, 2° comma) mentre, nei giudizi davanti al tribunale, è alternativa alle memorie. L'eventuale ammissione di prova costituenda è disposta con ordinanza dell'organo decidente, che poi provvederà all'assunzione (art. 356, 1° comma). La sentenza del giudizio d'appello è di secondo grado, anche se pronuncia la nullità del giudizio di primo grado, salvi casi eccezionali nei quali il giudice di appello deve rimettere la causa giudice di primo grado, elencati nell'articolo 354 e cioè: inesistenza del giudizio di primo grado; nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado; mancata integrazione del contraddittorio; mancata estromissione oltre all'ipotesi dell'articolo 353, 1° comma: sussistenza della giurisdizione negata dal primo giudice. L'attuazione della rimessione al primo giudice è affidata all'iniziativa della parte che vi ha interesse, con la notifica della comparsa di riassunzione nel termine perentorio di 6 mesi dalla notificazione della sentenza. Se viene proposta querela di falso alla corte d'appello, questa sospende il giudizio fissando il termine perentorio per la riassunzione innanzi al tribunale competente in via esclusiva (art. 355 c.p.c.). La rinuncia agli atti (come anche l'estinzione) in appello danno luogo al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

SEZIONE III: il ricorso per Cassazione e il giudizio di rinvio

77. Ricorso funzione del ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è un'impugnazione ordinaria, di solito senza effetto devolutivo, a critica vincolata dai motivi, per vizi di giudizio (rimedio di legalità). Il giudizio di cassazione è di solito limitato alla fase rescindente (cassazione). I vizi denunciabili sono errores in procedendo o in judicando o nell'iter logico. Il ricorso non ha effetto sospensivo, salva sospensione da parte del giudice a quo, ai sensi dell'articolo 373 c.p.c. Il giudizio è affidato alla Corte di cassazione -unica nello Stato- con la funzione di assicurare l'esatta uniforme interpretazione della legge (cosiddetta nomofilachia). Perciò le decisioni della corte di cassazione vengono massimate, con l'enucleazione della ratio decidendi, in via ufficiale e, pur non essendo vincolanti in altri giudizi, godono di un prestigio che rende probabile l'adeguamento ad esse, in altri giudizi.

78. Provvedimenti impugnabili con il ricorso per cassazione e motivi di ricorso.

Sono impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze pronunciate in primo grado di appello(1) o in unico grado(2) (art. 360 c.p.c.) la quale ultima ipotesi può verificarsi per la particolare struttura del giudizio o perché l'appello è escluso per legge(2a) o per accordi di ricorso omisso medio(2b). Il ricorso per cassazione è, d'altra parte, permesso in via straordinaria in forza dell'articolo 111 Cost., nei confronti anche dei provvedimenti emessi in forma diversa da sentenza, ma idonei al giudicato con portata decisoria e non altrimenti impugnabili (ordinanza di convalida di sfratto); ciò peraltro solo per violazione di legge ed esclusi vizi di motivazione (salvo che la motivazione sia addirittura inesistente). Sono ricorribili le sentenze definitive e quelle non definitive (queste in via immediata oppure differita previa riserva) (art. 361, 1° comma c.p.c.). Sono ricorribili anche le decisioni dei giudici speciali(3), ma solo per motivi attinenti alla giurisdizione (art. 362, 1° comma c.p.c.): in ogni tempo possono essere denunciati conflitti di giurisdizione(4)(sia tra giudice ordinario e giudici speciali (art. 362 n.1 c.p.c.) e sia tra pubblica amministrazione e giudice ordinario (art. 362 n.2 c.p.c.)). L'articolo 368 c.p.c. disciplina le modalità del particolare tipo di regolamento di giurisdizione(5), (che è configurato dall'articolo 41, 2° comma c.p.c).

L'ammissibilità del ricorso per cassazione dipende dalla sussistenza dei motivi di ricorso, la cui assenza fonda il rigetto (che avviene in camera di consiglio). I motivi possono essere di due tipi:

A) vizi di attività (errores in procedendo): errori di carattere procedurale nella osservanza delle norme che regolano lo svolgimento del processo. Sono: nullità della sentenza del procedimento; motivi attinenti alla giurisdizione o alla competenza; vizi di motivazione. (art. 360 n°1,2,4,5 c.p.c.). Il vizio di motivazione (o vizio logico) è rilevante se riguarda un punto decisivo della controversia. Rispetto ai vizi di attività la cassazione è giudice anche dei fatti (ma solo procedimentali).

B) vizi di giudizio (errores in judicando): errori in cui è incorso il giudice nel giudizio di diritto, cioè nell'individuazione e nell'applicazione delle norme che regolano il rapporto giurdico sostanziale dedotto in giudizio (art. 360, n°3 c.p.c.). L'articolo 363 c.p.c. prevede una particolare figura di "ricorso nell'interesse della legge", proponibile dal Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini o vi hanno rinunciato.

79. Il procedimento davanti a corte di cassazione.

Le parti nel giudizio di cassazione sono il ricorrente, il resistente (eventualmente ricorrente incidentale), escluso l'intervento di terzi. Non c'è istruzione e non c'è altro organo operante che il collegio. Il ricorso è rivolto alla corte, non contiene la vocatio in jus (perché l'unica udienza sarà fissata dal presidente) ed è notificato nei termini di legge e successivamente depositato. Il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c.): 1. L'indicazione delle parti; 2. L'indicazione della sentenza impugnata; 3. Esposizione sommaria dei fatti della causa; 4. I motivi di ricorso, con funzione determinativa limitativa dell'oggetto del giudizio, con implicita limitazione anche della regola jura novit curia, e con l'onere di censurare tutte le ragioni autonomamente idonee sorreggere la pronuncia; 5. L'indicazione della procura speciale, se conferita con atto separato e del decreto con il quale è ammesso il gratuito patrocinio. L'elezione di domicilio in Roma è necessario per evitare che le notifiche vengano effettuate in cancelleria (art. 366, 2°comma c.p.c.). Il ricorso va sottoscritto,a pena di inammissibilità, dall'avvocato iscritto nell'apposito albo (art. 365 c.p.c.). Dopo la notifica (a istanza della parte o del suo difensore nei modi dell'articolo 330 c.p.c.), il ricorso va depositato nella cancelleria della corte nel termine di 20 giorni dall'ultima notificazione, a pena di improcedibilità (art. 369 c.p.c.) insieme con copia autentica della sentenza impugnata (1), la procura speciale (2), i documenti e il fascicolo relativo alle fasi di merito(3). Il procedimento in cassazione non ammette istruttoria tranne la produzione di documenti che concernono la nullità della sentenza impugnata o l'ammissibilità del ricorso: questi ultimi producibili anche dopo il deposito, ma previa notifica del relativo elenco (art. 372 c.p.c.). La parte resistente può non replicare al ricorso (nel qual caso può solo partecipare alla discussione orale), ma può resistere -e di solito resiste- in maniera attiva, notificando il controricorso (art. 370, 1° comma c.p.c.) (col quale chiede il rigetto del ricorso) alla parte ricorrente nel suo domicilio eletto, entro 20 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso (e così 40 giorni dalla notificazione del ricorso). Anche il controricorso va depositato in cancelleria, insieme col fascicolo, la procura e documenti, entro 20 giorni dalla sua notificazione (art. 370, 2° comma c.p.c.). L'eventuale ricorso incidentale (col quale il resistente chiede la cassazione della sentenza o di parte di essa per altri motivi) eventualmente tardivo, va proposto insieme col controricorso (art. 371, 1° comma c.p.c.), mentre il ricorrente può a sua volta notificare controricorso al ricorso incidentale (art. 371, 4° comma c.p.c.): si sanano in questo caso gli eventuali vizi del controricorso e del ricorso in via incidentale. All'eventuale ordine di integrazione del contraddittorio si deve ottemperare con la notifica di atto secondo le modalità dell'articolo 371bis entro il termine perentorio assegnato e da depositarsi entro 20 giorni dalla scadenza del suddetto termine. Il ricorso incidentale può essere condizionato all'accoglimento del ricorso principale, ma son quando ci sia state effettiva soccombenza, della parte vittoriosa, su questioni pregiudiziali di rito o preliminari (e non nelle situazioni di semplice soccombenza teorica). Il ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata, tranne quando per la parte possa derivare un danno grave e irreparabile (art. 373 c.p.c.).

80. La fase decisione.

Dopo la fase introduttiva, il presidente fissa l'udienza per la discussione (innanzi al collegio composto da cinque giudici), con provvedimento che contiene la designazione del relatore e che va comunicato alle parti almeno 20 giorni prima. Gli avvocati delle parti possono depositare una memoria scritta (senza nuovi motivi) entro 5 giorni dalla prima udienza. All'udienza, dopo la relazione, le parti discutono e il PM espone oralmente le sue conclusioni. La corte decide in camera di consiglio. La rinuncia al ricorso va sottoscritta dalla parte personalmente o dal suo avvocato e presentata prima dell'inizio della relazione all'udienza. La Corte di cassazione pronuncia a sezioni unite (ossia con un collegio più ampio) nei casi dell'art. 374 c.p.c.: in materia di giurisdizione(1), nonché per eventuale disposizione del primo presidente(2) (eventualmente richiesta di parte) se si tratta di decidere su questioni già decise in senso difforme dalle sezioni semplici, oppure su questioni di particolare importanza(3). D'altra parte, la Corte sia a sezioni unite sia a sezioni semplici, pronuncia in camera di consiglio (ossia senza previa discussione) su richiesta del pm oppure d'ufficio: a) con ordinanza (art.375, 1° comma c.p.c.) quando: dichiara l'inammissibilità del ricorso principale e incidentale; ordina l'integrazione del contraddittorio o ne dispone la notificazione; dichiara l'estinzione del processo per avvenuta rinuncia; pronuncia sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione. b) con sentenza (art. 375, 2° comma c.p.c.) quando: uno o entrambi iono manifestamente fondati, e vanno quindi accolti; quando vanno rigettati entrambi (per mancanza di motivi dell'art. 360 c.p.c. o per manifesta infondatezza degli stessi). Se la Corte, in camera di consiglio, riscontra l'insussistenza delle ipotesi che consentono questo tipo di pronuncia semplificata  la corte rinvia la causa alla pubblica udienza (art. 375, 3° comma c.p.c.). Salve, dunque, le ipotesi di decisione in camera di consiglio, la decisione della cassazione avviene di solito previa in udienza e con sentenza.

Le decisioni della corte possono avere il seguente contenuto: 1) pronunce di inammissibilità o di improcedibilità o rigetto del ricorso o dichiarazione di estinzione del giudizio, la sentenza impugnata passa in giudicato 2) nel caso di cessazione della materia del contendere, la Corte cassa senza rinvio dichiarando l'improcedibilità. 3) pronunce di rettificazione quando la Corte si limita a correggere la motivazione (art. 384, 2° comma c.p.c.). 4) pronunce di accoglimento quando la corte cassa la sentenza impugnata:

A) Casi in cui la Corte cassa senza rinvio: 1) quando, risolvendo una questione di giurisdizione o competenza, riconosce che il giudice, del quale è impugnato il provvedimento, ed ogni altro, difettano di giurisdizione. 2) quando ritiene che, per qualsiasi motivo, la causa non poteva, davanti al giudice di merito, essere proposta o il processo proseguito. (art. 382, 3° comma c.p.c.); 3) quando, accogliendo il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, cassa con decisione sul merito (così, in questo solo caso, decidendo il rescissorio insieme col rescindente) quando non siano necessari nuovi accertamenti di fatto. (art. 384 c.p.c.) 4) quando cassa il provvedimento impugnato statuendo sulla competenza (art. 382, 2° comma c.p.c.);

B) Casi in cui la Corte cassa con rinvio: quando giudica sul rescindente accogliendo (in tutto o in parte) il ricorso e rimette il rescissorio ad un giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la sentenza cassata (art. 383, 1° comma). La corte invece rimette la causa al giudice di primo grado quando riscontra una nullità nel giudizio di primo grado, per la quale il giudice d'appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice(art. 383, 3° comma c.p.c.). In questo il giudizio prosegue mezzo di riassunzione. In funzione di questo giudizio rescissorio con portata prosecutoria, la cassazione (in sede rescindente), ove si tratti di error in judicando, enuncia il principio di diritto al quale il giudice di rinvio si deve uniformare, nel giudicare in sede rescissoria. Quando invece si tratta di error in procedendo o di nullità per la quale il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere la causa primo giudice, il rinvio ha portata restitutoria. Sulle restituzioni e rimessioni in pristino provvede il giudice di rinvio. Le sentenze della corte di cassazione non sono impugnabili, salva l'opposizione di terzo o la revocazione ai sensi dell'articolo 395, n.4 c.p.c. (art. 391bis) con ricorso nel termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione della sentenza (o, in mancanza di notificazione, di un anno). La cassazione decide in camera di consiglio. Lo stesso articolo 391bis disciplina anche la correzione degli errori materiali e di calcolo, a seguito di ricorso senza termine. La cassazione decide in camera di consiglio. La pendenza del termine per la revocazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata col ricorso respinto (art. 391bis, 3° comma).

81. Il giudizio di rinvio.

Il giudizio di rinvio proprio (o prosecutorio) è la fase rescissoria del processo, che si svolge innanzi al giudice designato dalla cassazione. L' introduzione di questa fase avviene con la citazione in riassunzione da notificarsi alle altre parti personalmente, nel termine perentorio di un anno dalla pubblicazione della sentenza della cassazione (art. 392 c.p.c.). In caso di mancata tempestiva riassunzione, l'intero giudizio si estingue restando ferme soltanto le pronunce eventualmente già passate in giudicato e restando fermo, in un eventuale nuovo giudizio, il principio di diritto enunciato dalla cassazione (art. 393 c.p.c.). Se la riassunzione avviene tempestivamente, il giudizio di rinvio -che non è rinnovazione, ma prosecuzione, del giudizio sfociato nella sentenza cassata- sostituisce, nella sentenza cassata, solo le pronunce risultate errate, in applicazione del principio enunciato dalla cassazione. Davanti al giudice di rinvio le parti conservano la loro posizione e non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel precedente giudizio salvo che la loro necessità emerga dalla sentenza della cassazione (art. 394 c.p.c., 2° e 3° comma). Sono escluse anche nuove istanze istruttorie, salvo il potere di deferire il giuramento è sempre salva l'ipotesi che la loro necessità emerga dalla sentenza della cassazione. Sono comunque proponibili le domande di restituzione e di rimessione in pristino rispetto a quanto eventualmente eseguito in forza della sentenza cassata. Davanti al giudice di rinvio sono proponibili le domande assorbite nonchè le eccezioni basate su fatti nuovi e che potrebbero fondare la revocazione. Quanto ai poteri del giudice di rinvio nulla dice la legge ma possono valere le seguenti considerazioni: l'esame del giudice è limitato alle parti della sentenza che sono state cassate (entro tali limiti è autonomo, limitazioni della sentenza stessa); il giudice ha il potere di interpretare la sentenza della Corte; la sentenza del giudice di rinvio può essere uguale a quella cassata.

SEZIONE QUARTA: la revocazione

82. Nozione funzione.

La revocazione è un'impugnazione talora ordinaria (quando impedisce il passaggio in giudicato, essendo proponibile entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza) e talora straordinaria (quando è proponibile anche dopo il passaggio in giudicato). E' inoltre un'impugnazione a critica vincolata, e, perlopiù, di giustizia. Sono impugnabili con la revocazione le sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado, nonché quelle della corte di cassazione. a) La revocazione nei confronti delle sentenze di appello (in sede di rinvio) concorre col ricorso per cassazione; b) nei confronti della sentenza di primo grado non più appellabile solo in determinati casi. Quando i due mezzi concorrono, la domanda di revocazione non sospende automaticamente il termine per proporre ricorso per cassazione o il procedimento relativo; tale sospensione può essere disposta dal giudice della revocazione quando ritiene questo mezzo non manifestamente infondato e pertanto i due procedimenti possono pendere contemporaneamente (art. 398, 4° comma c.p.c.). Le sentenze pronunciate in unico grado sono, qui, anche quelle appellabili e non appellate (art. 395, 1° comma c.p.c.). La revocazione è straordinaria (casi di cui all'art. 395 n.1,2,3,6) quando il vizio che la fonda non è rilevabile dalla sentenza e perciò il termine di proposizione (che è sempre di 30 giorni tranne che nei confronti delle sentenze di cassazione) decorre dal momento in cui viene scoperta la circostanza eccezionale su cui si fonda la revocazione. È invece ordinaria (casi di cui all'art. 395 n.4 e 5) quando il vizio è rilevabile dalla sentenza, sicchè il termine decorre dalla sua notificazione. I motivi di revocazione straordinaria sono quelli elencati all'articolo 395 n.1,2,3,6 c.p.c.: dolo della parte, prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza, scoperta documenti decisivi non prodotti per fatto dell'avversario o forza maggiore, dolo del giudice.

I motivi di revocazione ordinaria sono quelli elencati all'articolo 395 n.4 e 5 c.p.c.: errore di fatto risultante dagli atti, sentenza contraria ad altra passata in giudicato. La revocazione oltre da parte del soccombente è inoltre proponibile dal PM se la sentenza è stata pronunciata senza che sia stato sentito il PM ove necessario (art. 397 n.1 c.p.c.) o quando la sentenza sia effetto della collusione delle parti per frodare la legge (c'è la violazione di un interesse pubblico) (art. 397 n.2 c.p.c.).

83. Il procedimento di revocazione.

Per la revocazione è competente lo stesso giudice (inteso come stesso ufficio giudiziario) che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 398, 1° comma c.p.c.). Si propone con citazione (salvo che si tratti di sentenza della cassazione in cui si propone con ricorso) sottoscritta dal difensore munito del mandato speciale (art. 398,3° comma c.p.c.) e deve contenere,a pena di inammissibilità, l'indicazione del motivo di revocazione, del giorno in cui è stato scoperto l'evento che fonda la revocazione solo quando questa è straordinaria (art. 398,2° comma). Il termine di costituzione è di 20 giorni anziché di 10 (art. 399 c.p.c.). La pronuncia può essere di inammissibilità, improcedibilità o rigetto; se è di accoglimento, contiene la revocazione della sentenza (rescindente) e quindi la pronuncia anche sul rescissorio (art. 402, 1° comma c.p.c.). Se occorrono altri elementi di fatto l'organo decidente pronuncia la revocazione con sentenza e, con ordinanza, rimette le parti in istruttoria (art. 402, 2° comma c.p.c.). La sentenza si sostituisce a quella revocata ed è impugnabile con i mezzi che sarebbero ammissibili contro la sentenza revocata (art. 403 c.p.c.).

SEZIONE QUINTA: l'opposizione di terzo

84. Nozione funzione.

L'opposizione di terzo è un'impugnazione straordinaria (senza termine nel caso dell'articolo 404, 1° comma c.p.c. e con dies a quo indeterminato nel caso dell'articolo 404, 2° comma c.p.c.) caratterizzata dal fatto che ad esso è legittimato chi non fu parte nel giudizio che diede luogo alla sentenza impugnata. È un rimedio detto facoltativo nel senso che le ragioni dell'impugnazione potevano essere fatte valere altrimenti (eccezione di inopponibilità della sentenza oppure con autonoma azione di accertamento) sulla base del principio per cui la sentenza ha effetto tra le parti ("res inter alios acta tertiis non nocet"). Poiché tuttavia l'articolo 404, 1° comma c.p.c.(opposizione di terzo cosiddetta ordinaria) fa dipendere la proponibilità del mezzo dal fatto che la sentenza pregiudichi i diritti del terzo, si deve ritenere che questo pregiudizio sia un pregiudizio riflesso (da connessione più o meno contestata). Le ragioni dell'opposizione di terzo sono in sostanza quelle stesse che avrebbero  legittimato il terzo ad intervenire, sicchè si tratta di una sorta di intervento tardivo. In sostanza, con l'opposizione di terzo semplice, il terzo fa valere la non estensione dell'efficacia della sentenza contro di lui e perciò chiede la rinnovazione del giudizio con la sua partecipazione. L'opposizione di terzo (revocatoria) di cui all'articolo 404,2° comma c.p.c., è esperibile dai creditori e dagli aventi causa della parte, i quali, in quanto assoggettati all'efficacia della sentenza in forza dell'articolo 2909 c.c., sono esclusi dall'opposizione di terzo semplice. Tuttavia, se accadesse che, proprio in vista di questa esclusione, le parti avessero tra loro colluso per frodare i diritti (subordinati) dei terzi,o se comunque la sentenza fosse effetto di dolo, sorgerebbe una straordinaria esigenza di tutela contro questa collusione; alla quale viene incontro l'articolo 404, 2° comma c.p.c. col consentire ai creditori e agli aventi causa di far valere la collusione o il dolo a loro danno. L'opposizione di terzo, in entrambe le due ipotesi, è proponibile solo contro le sentenze passate in giudicato o comunque esecutive. La competenza spetta allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. L'opposizione si propone con citazione che deve contenere l'indicazione della sentenza impugnata, e che, nel caso dell'opposizione revocatoria, deve indicare il giorno della scoperta del dolo o della collusione (art. 405 c.p.c.), perché da quel giorno decorre il termine (di 30 giorni) al quale è assoggettata questa impugnazione straordinaria (art. 326,1° comma c.p.c.). La sentenza che pronuncia sull'opposizione di terzo decide insieme rescindente e rescissorio. La proposizione di questo mezzo non ha effetto sospensivo, ma il giudice può provvedere alla sospensione nei casi in modi di cui all'articolo 373 (art. 407 c.p.c.). La sentenza ha effetto relativo lasciando integro il giudicato formatosi tra le parti. La sentenza è impugnabile con i mezzi che sarebbero ammissibili contro la sentenza opposta.A




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