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Demografia celeste - 7La santità canonizzata, Le evoluzioni storiche

diritto



Demografia celeste


La santità canonizzata

Con il termine "santità canonizzata" si indica la solenne proclamazione, da parte della competente autorità ecclesiastica, che determinati fedeli, nel corso della loro vita terrena, hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio. Il Concilio Vaticano II afferma che nella vita di quelli perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo, Dio manifesta la sua presenza. La santità canonizzata è una delle espressioni più singolari della solidarietà e del rapporto esistenti tra la realtà misterica della Chiesa e la sua espressione sociale ed istituzionale, nel senso che attraverso atti giuridici si attinge la Chiesa di coloro che sono già nella visione beatifica di Dio. Tutti i battezzati sono chiamati alla santità ma non tutti sono destinati alla santità canonizzata. Esiste un'unità sostanziale della santità, una profonda identità tra santità comune e santità canonizzata, perciò si può parlare per entrambe di un'unità nell'unica santità ontologica, anche se esistono delle differenze. Il santo canonizzabile deve essere portatore di un messaggio divino all'umanità, collaudatore e maestro di un itinerario spirituale di perfezione, testimone peculiare delle realtà soprannaturali, modello di vita cristiana, pedagogo sapiente e stimolante a cammini di santità. Gli atti che strutturano e costituiscono i processi di beatificazione e canonizzazione si trovano nella cosiddetta "demografia celeste". Non sono provvedimenti giuridici costitutivi di uno stato, non creano un santo, ma la loro funzione è meramente dichiarativa ed i loro effetti non si producono sui fedeli ma su coloro che sono ancora pellegrini sulla terra, legittimandone il culto (promotio ad cultum). Il provvedimento che conclude il processo di canonizzazione ne proclama solennemente le virtù e lo propone ai fedeli come esempio. Oggetto dei processi di beatificazione e canonizzazione è l'accertamento di quell'amore eroico, di quella pietas verso Dio e verso gli uomini, indice di una perfezione superiore, l'accertamento dell'esercizio in grado eroico delle virtù teologali o morali di una persona, del martirio eventualmente sofferto per amore di Dio, dei miracoli operati da Dio per sua intercessione, della fama di santità in vita o dopo la morte. La beatificazione è un provvedimento della suprema autorità della Chiesa, con il quale viene permesso il culto pubblico di un fedele che visse e morì in concetto di santità e viene perciò indicato come "servo di Dio". E' un provvedimento preparatorio e non definitivo, limitato nel tempo e territorialmente. La 616c23g canonizzazione è il provvedimento col quale la stessa suprema autorità decreta che un servo di Dio venga iscritto nell'elenco dei santi e sia venerato in tutta la Chiesa. Entrambi i provvedimenti vengono emanati a conclusione di un complesso di operazioni dirette all'accertamento della santità e strutturate in forma processuale. Solo la canonizzazione è un atto definitivo, irrevocabile, infallibile. La santità canonizzata non può essere teologicamente definita come oggetto di fede divina ma solo come oggetto di fede ecclesiastica. Anche se il Concilio Vaticano I non ricomprese la canonizzazione come oggetto dell'infallibilità pontificia, per dottrina comune il Pontefice gode veramente di infallibilità. La beatificazione è carente del carattere di definitività ed è destinata al perfezionamento; ciò non significa che possa essere messo in dubbio il principio di non erranza della suprema autorità ecclesiastica. Esistono delle differenze anche sul piano giuridico, infatti l'atto di beatificazione ha un carattere permissivo o concessivo presentandosi come un indulto, cioè un provvedimento canonico che esime i fedeli dall'obbligo di osservare la norma che vieta atti di culto ecclesiastico e pubblico a persone (can. 1187). Viceversa l'atto di canonizzazione ha carattere precettivo, nel senso che ascrive il fedele nel catalogo dei santi e ne promuove il culto nell'intero orbe cattolico, per far sì che i fedeli seguano il suo esempio e siano sostenuti dalla sua intercessione (can. 1186). L'atto pontificio concessivo del culto pubblico (beatificazione) o dichiarativo della santità (canonizzazione) costituisce esercizio della potestà di giurisdizione o potestas regiminis. Più precisamente si tratta di un atto che è espressione della potestà legislativa e non giudiziale, per la ricorrenza di quegli elementi (generalità, astrattezza, novità) caratterizzanti la funzione legislativa, anche se il procedimento assume la forma del processo. Si tratta di un caso singolare in cui non esiste separazione di poteri e la giurisdizione è unitaria. Nel diritto canonico esistono casi nei quali l'esercizio della funzione legislativa o di quella amministrativa presuppone accertamenti di fatti, per i quali si utilizzano strumenti tipicamente processuali. La disciplina della beatificazione e canonizzazione esprime un interessante caso di bilanciamento fra poteri: da un lato quello del popolo cristiano, che ha il compito di esprimere un giudizio, giacché nessuna causa può essere introdotta senza la cosiddetta "fama di santità", cioè la profonda, spontanea, genuina convinzione diffusa tra molti fedeli che una persona defunta vive nella Chiesa celeste; dall'altro lato quello della istituzione, con la funzione di controllare, verificare e confermare il giudizio popolare espresso. La canonizzazione non è mai espressione del potere ecclesiastico, nel senso che non ha mai origine dalla potestà pontificia, ma è sempre espressione del populus fidelis, che discerne la santità con la formazione della fama sanctitatis e ne promuove il riconoscimento ufficiale.




Le evoluzioni storiche

La venerazione dei fedeli è presente sin dai primi tempi della Chiesa, viceversa la disciplina di particolari forme processuali comincia a svilupparsi solo agli albori del secondo millennio: nel tempo si giunge da forme più semplici ad un complesso e articolato sistema processuale. Si possono distinguere sei grandi periodi.

Il primo periodo va dalle origini al V secolo, è caratterizzato dal culto dei martiri, cioè coloro che avevano reso testimonianza a Cristo con la propria vita. E' un culto che nasce spontaneamente e non è sottoposto ad autorizzazioni dell'autorità ecclesiastica, dal momento che il martirio era un fatto di dominio pubblico. Insieme a questo culto nascono i martirologi, cioè i cataloghi dei martiri, dove si annotava il nome, la data del martirio o dies natalis (giorno della nascita al Paradiso), il luogo della sepoltura, il culto presso il sepolcro. Finita l'età delle persecuzioni con la pace costantiniana (313) e divenuto il cristianesimo religione ufficiale dell'impero (380), si aggiunse il culto dei confessori, cioè quei fedeli che avevano patito la violenza delle persecuzioni senza arrivare alla morte o quei fedeli che si erano assolutamente distinti per la conformazione a Cristo della propria vita terrena: per le esperienze di penitenza, di ascesi, di fuga dal mondo, di lotta contro gli errori e le eresie. Si trattava di esperienze che avevano provato quanti le avevano sperimentate ad una sorta di incruento martirio. Anche questo culto nasce da spontanei moti del popolo e non si danno ancora interventi dell'autorità ecclesiastica poiché anche qui si trattava di esperienze di dominio pubblico. Dunque nel primo periodo non vi sono ancora formalizzazioni processuali poiché manca la necessità di un accertamento pubblico ed autorevole di santità.

Un secondo periodo va dal VI all'XI secolo, comincia a formarsi progressivamente l'istituto della canonizzazione come atto formale di autorizzazione al culto di nuovi santi posto dal Vescovo locale, previo accertamento. Si parla di "canonizzazione vescovile" perché la legittimità viene legata ad un previo atto autorizzativi del Vescovo diocesano che segue ad un'inchiesta ed alla redazione della Vita del santo. Tra il popolo si avvia un fenomeno di peculiare considerazione delle doti taumaturgiche dei santi, considerati come intercessori di grazie, nasce cioè quell'assoluta rilevanza del miracolo che diviene prova per eccellenza della santità ed esprime gli orientamenti di una cultura popolare che cerca la via semplice e facile per ottenere i favori divini. La canonizzazione è anche espressione di collegialità dell'episcopato locale riunito in un sinodo o in un concilio; a volte è particolarmente qualificata per autorevolezza e solennità dalla presenza del Pontefice alla elevatio del corpo del canonizzato dal luogo della sepoltura ed alla sua traslatio in una chiesa, che diventerà la sede di celebrazione della festa liturgica annuale del nuovo santo. Gli elementi essenziali della procedura vengono stabiliti dall'età merovingica e carolingia: la fissazione del requisito della pubblica fama di santità e della sussistenza di miracoli, o del martirio; la stesura di una vita del canonizzando; la presentazione di questa composizione al giudizio del Vescovo diocesano o del sinodo; la loro approvazione del culto pubblico.

Un terzo periodo va dal XII secolo al XVI secolo, la canonizzazione viene progressivamente attratta nelle causae maiores Ecclesiae, cioè quelle cause riservate alla competenza dell'autorità pontificia. Il pontificato di Urbano II (1088 - 1099) pose le premesse per l'elaborazione di questa disciplina disponendo un'accurata investigazione dei fatti anche attraverso l'assunzione di prove testimoniali come condizione per poter procedere alla canonizzazione da parte del Pontefice. Con la decretale "Audivimus" del 1170, Papa Alessandro III affermò il principio per cui le cause di canonizzazione erano riservate al Pontefice (riserva papale); la decretale era in realtà un provvedimento singolare, ma la sua successiva inserzione nelle "Decretales Gregorii IX" e quindi nel Corpus Iuris Canonici ne farà un testo normativo. Con la riserva alla Santa Sede, il processo di canonizzazione inizia a formarsi come processo canonico speciale. E' caratterizzato dall'integrazione di forme processuali canoniche comuni e forme processuali peculiari, che nel tempo si arricchisce di nuove figure come il Promotor fidei, istituito da Leone X (1513 - 1521) per garantire una migliore tutela degli interessi della fede e dell'osservanza del diritto. La traduzione della canonizzazione a fatto giuridico e quindi ai formalismi del processo giudiziario, risponde all'esigenza di evitare i sempre più frequenti abusi, caratterizzati dall'abbandono del culto dei santi più antichi, dei martiri e dei confessori, a vantaggio del culto dei santi nuovi. Alla Santa Sede premeva recuperare l'equilibrio tra il modello di santità taumaturgica ed il modello della santità come esempio di virtù e condotta di vita. Lo sviluppo rigoglioso della scienza canonistica, anche grazie alla nascita delle Università, ha avuto un ruolo importante visto che, davanti alla necessità di accertamento dei fatti dai quali evincere la santità (fama di santità, virtù, miracoli), solo il diritto poteva fornire strumenti adeguati per l'acquisizione della documentazione necessaria e per la sua analisi.

Il quarto periodo va dal XVII al XIX secolo, a livello istituzionale nasce la sacra Congregazione dei riti ad opera di Sisto V con la costituzione "Immensa" del 1588; a livello normativo, gli interventi di Urbano VIII contenuti nel "Coelestis Hierusalem cives" del 1634 resero più rigorosa la procedura. Papa Barberini distingue tra beatificazione e canonizzazione in due diverse procedure: la beatificazione nella diocesi del Vescovo, la canonizzazione dal Sommo Pontefice. Inoltre impone il divieto del culto pubblico previo all'intervento pontificio, la cui violazione comporta un impedimento all'introduzione della causa. La beatificazione fu definita più precisamente da Alessandro VII con il "Decretum super cultu beatis non canonizatis praestando" del 1659. Benedetto XIV (1740 - 1758) scrisse un'importante opera dottrinale sulla beatificazione e canonizzazione, il "De servorum Dei", in materia probatoria e di miracoli.

Il quinto periodo è costituito dal XX secolo. Le disposizioni dettate nel tempo rimasero fino alla codificazione del 1917, nella quale furono trasfuse nei canoni 1999 - 2141. In questi 142 canoni la distinzione tra beati e santi è assolutamente chiara, come anche i ruoli e le competenze in ogni parte del processo, processo sull'effettiva esistenza di una fama sanctitalis e sul riconoscimento del grado eroico delle virtù e dell'autenticità dei miracoli. Con il codice piano-benedettino troviamo una sorta di positivismo giuridico, temperato sotto il pontificato di Pio XI dall'erezione presso la Congregazione dei riti di una Sezione storica (1930) e sotto il pontificato di Pio XII di una Consulta medica (1948). L'utilizzo della metodologia storica e della scienza medica tende a ridurre il ruolo del diritto, segnando l'inizio di un'evoluzione. Il ricorso al metodo storico-critico fu limitato alle cause storiche, per cui non poteva costituirsi un apparato probatorio con i tradizionali mezzi processuali. Successivamente venne adottato sempre più ampiamente al punto da essere oggi la base del procedimento.

Il sesto periodo parte dal Concilio Vaticano II. Tre sembravano essere le caratteristiche negative del codice del 1917: la riduzione in minimi termini del ruolo dei vescovi diocesani; l'assenza di sinodalità nella formazione del giudizio da sottoporre al Papa; l'eccessiva lunghezza e complessità delle procedure. Per queste ragioni il Concilio propone una riforma radicale. A seguito del Concilio, da un punto di vista istituzionale arrivano le riforme di Paolo VI, con il motu proprio "Sacra Rituum Congregatio" del 1969 viene creata la s. Congregazione per le cause dei santi creando un distacco dalla s. Congregazione dei riti. Da un punto di vista processuale, con il m.p. "Sanctitas clarior" del 1969 si ha una riforma delle procedure: si semplifica il processo riducendolo ad uno articolato in due fasi, una istruttoria a livello locale, una dibattimentale a livello romano. In questo modo si recupera un significativo ruolo del Vescovo locale e della dimensione sinodale. Giovanni Paolo II, con la costituzione apostolica "Divinus Perfectionis Magister" del 1983, detta le regole generali, rafforza quei ruoli mettendo in luce i fondamenti teologici affermando che ogni fedele è chiamato alla santità. Ricordiamo il "Congressus peculiaris", un canone che rimanda ad una legge speciale, riguardante il grado eroico delle virtù e la fama signorum. Si aggiungono poi le "Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis", date dalla Congregazione per le cause dei santi nel 1983, che forniscono maggiori dettagli su tutta la materia. Il codice di diritto canonico del 1983 rinvia alla legge speciale costituita dal provvedimento di Giovanni Paolo II; quindi abbandona la pretesa di vedere nel codice un'unica legge ma rinvia in più punti al diritto speciale ed a quello particolare. Questo favorisce il formarsi di una cultura nuova che pensa alle investigazioni sulla santità canonizzata in termini teologici, storici e medico-scientifici. Allo straordinario crescere del numero di beatificazioni e canonizzazioni sembra rispondere la progressiva riduzione dell'utilizzo dello strumento giuridico.


Peculiarità del processo di beatificazione e canonizzazione

Alcuni elementi del diritto secolare entrano a comporre le procedure canoniche, come elementi canonistici vengono ceduti al diritto secolare. In particolare ha contribuito il diritto romano, infatti il processo canonico si costruisce, in età medievale, sulla struttura dell'ordo giustinianeo. Contribuisce inoltre il diritto germanico per quanto attiene al regime delle prove e a certe inflessioni inquisitoriali del processo. Il processo di canonizzazione assume elementi del processo canonico ordinario e del processo canonico criminale, ma al tempo stesso influisce sull'evoluzione di entrambi. Anche il processo penale delle società secolarizzate è stato influenzato dal processo di canonizzazione, basti pensare alle procedure inquisitoriali del S. Uffizio quando venivano ad essere la controfaccia delle procedure davanti alla Congregazione dei riti. Il moderno diritto secolare ha un'influenza sul processo di canonizzazione per l'incidenza dell'ideologia illuministica della codificazione sulla dimensione dell'esperienza giuridica canonistica. Nel tempo il processo di beatificazione e canonizzazione viene a configurarsi con un centro indice di particolarità.


L'odierna disciplina

Tutto il procedimento assume carattere inquisitorio; tende alla valutazione della vita e delle virtù, o del martirio, del servo di Dio, all'esame dei suoi scritti per la loro coerenza col dogma e con la morale, all'accertamento dei miracoli. Vengono suddivise le cause "recenti" da quelle "antiche". La distinzione è data dalla possibilità di provare l'esercizio in grado eroico delle virtù o il martirio attraverso testimoni oculari o testimoni de auditu a videntibus, oppure soltanto a fonti scritte. Nel primo caso il procedimento avverrà secondo le regole processuali, nel secondo caso l'accertamento dei fatti avverrà con l'utilizzo delle più moderne metodologie della critica storica. Competente ad istruire il processo è l'Ordinario diocesano, della diocesi in cui il servo di Dio è deceduto, oppure previa autorizzazione della Congregazione per le cause dei santi un altro Ordinario locale. L'istruttoria sui miracoli è fatta invece dall'Ordinario del luogo in cui il fatto miracoloso è avvenuto. Quindi la prima fase del processo, la raccolta delle prove, spetta alla Diocesi. Alla Congregazione per le cause dei santi spetta la seconda fase, cioè lo studio del materiale e il dibattimento sugli atti di causa per l'accoglimento dell'istanza o per la sua archiviazione. Al Pontefice spetta di pronunciare la decisione definitiva. Gli attori della causa, cioè i soggetti privati del processo, possono essere singoli fedeli, associazioni, persone giuridiche ecclesiastiche o civili, autorizzati dalla competente autorità ecclesiastica (l'Ordinario diocesano). A loro spetta l'onere di sostenere le spese della causa e possono agire soltanto attraverso un procuratore denominato "postulatore", anch'esso approvato dall'Ordinario diocesano. Il postulatore ha la rappresentanza processuale degli attori e svolge le funzioni di avvocato della causa. Nel processo interviene anche una parte pubblica, nel senso che la sua funzione è posta a tutela del bene pubblico, ed è il Promotore di giustizia nel tribunale diocesano e il Promotore della fede presso la Congregazione per le cause dei santi; essi intervengono nel processo pro rei veritate, cioè per l'accertamento del vero. In particolare devono tutelare i diritti della fede e l'osservanza delle norme processuali. Un ruolo importante è svolto dai testimoni, addotti dagli attori o d'ufficio. Tra i testimoni vengono compresi coloro che fossero eventualmente contrari alla causa o avessero a deporre contro. Ampio spazio è dato all'ausilio dei periti: i censori teologi, che debbono valutare che negli scritti del servo di Dio non ricorrano errori; i periti in ricerche storico - archivistiche, che devono raccogliere e valutare tutto il materiale; i periti medici, che devono valutare i miracoli.

Il processo si svolge in due fasi: la fase istruttoria a livello locale, la fase dibattimentale e decisionale presso la Congregazione per le cause dei santi. Il procedimento è aperto dal supplex libellus, cioè l'istanza rivolta dall'attore tramite il postulatore perché si inizi il giudizio e si istruisca la causa. Accolta l'istanza, il Vescovo diocesano consulta la Conferenza episcopale e notifica a tutti i fedeli la petizione. Questa fase si può chiudere con il rigetto dell'istanza o con l'accoglimento, in quest'ultimo caso inizia la fase istruttoria vera e propria in cui vengono valutati gli scritti del servo di Dio, raccolte le deposizioni testimoniali sulle virtù o sul martirio, si apre l'inchiesta sui miracoli, si verifica che non vi siano segni di culto in onore del servo di Dio. Finita l'istruttoria diocesana, i relativi atti (detti transunto) sono trasmessi in duplice copia autenticata alla Congregazione per le cause dei santi e gli originali restano nell'archivio della curia diocesana. La fase dibattimentale e decisionale si apre con un previo controllo di legittimità da parte del sottosegretario del dicastero e con la nomina di un relatore, un sacerdote che prepara la positio sulle virtù o sul martirio (positio super virtutibus vel super martyrio) cioè la raccolta delle prove documentali e testimoniale e degli atti del processo. Intervengono poi i consultori teologi e il promotore della fede che si pronunciano sulla causa, cioè se esiste o meno una fama di santità e se questa è sostanziale. I loro voti sono sottoposti al collegio dei cardinali e dei vescovi della Congregazione a cui è rimessa la decisione. I miracoli sono oggetto di una specifica procedura in cui intervengono periti e teologi, prima di essere portati in discussione. Le sentenze pronunciate sono rimesse al Pontefice, cui unicamente spetta di decretare il culto pubblico ecclesiastico. Perciò le conclusioni del processo di beatificazione e canonizzazione costituiscono il presupposto del successivo provvedimento pontificio che investe il munus regendi e il munus docendi del Pontefice, essendo insieme atto di governo ed atto di magistero.





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