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CONCETTO, NOZIONE E DEFINIZIONE DI STATO - ELEMENTI COSTITUTIVI DELLO STATO

diritto




CONCETTO, NOZIONE E DEFINIZIONE DI STATO



Stato è l'organizzazione territoriale alla quale è riconosciuto, dentro e fuori i confini, il potere non dipendente da altri di stabilire le regole per il suo territorio, per la popolazione ivi stanziata e per tutti coloro che in esso si trovano ad operare.

Il concetto di stato da un punto di vista giuridico- costituzionale esiste nel momento in cui sono presenti i tre elementi costitutivi dello stato, e cioè il popolo, il territorio e la sovranità.


Nel Medioevo si ha una maggiore confusione tra l'elemento pubblico e l'elemento privato; è presente uno stato come cosa pubblica che però viene gestito come se fosse una cosa privata del sovrano. Da qui la confusione tra pubblico e privato e il rapporto frazionato a proposito della costituzione, con patti di vassallaggio: lo stato inteso come sovrano fa dei singoli patti e delle singole convenzioni con i privati. 727d31h

Il concetto di stato si viene poi a realizzare maggiormente nel periodo moderno dell'Evo, distinguendo in questo il periodo rinascimentale da quello successivo alla Rivoluzione Francese.



Nel periodo rinascimentale il principio di stato viene a coincidere con le grandi monarchie nazionali che non sono strutture rappresentative, agiscono attraverso il popolo, e tentano di interpretarne la volontà.

La situazione cambia una volta che si giunge alla Rivoluzione Francese e alle creazioni degli stati successivi al periodo rivoluzionario. La Rivoluzione Francese pone un principio d'estremo valore che tutti gli stati moderni, in misura più o meno piena, hanno attuato nelle loro costituzioni; si tratta del principio della divisione dei poteri realizzato a seguito di moti rivoluzionari. Questo principio parte dal presupposto che la realizzazione di un'idea democratica deve partire dall'evitare la concentrazione di tutti i poteri in una sola figura e dalla possibilità di un controllo reciproco di limitazione da parte dei diversi poteri dello stato.


Nascono così il potere giudiziario, il potere esecutivo e il potere legislativo.

Il potere legislativo è il potere di fissare le regole giuridiche che costituiscono il nucleo centrale dell'ordinamento giuridico statale. Questo potere, proprio perché centrale, va normalmente attribuito all'organo direttamente rappresentativo della massa popolare, in altre parole alle camere.

Accanto al potere legislativo vi è il potere esecutivo ovvero la funzione di dare esecuzione alle regole giuridiche fissate in parlamento. Il potere esecutivo negli stati moderni vede al vertice il governo che è l'espressione della maggioranza del parlamento e che presenta a livello di applicazione burocratica, gli organi della pubblica amministrazione.

Il potere giudiziario spetta ad organi particolari dello stato che sono i giudici, i quali hanno il compito di far rispettare le regole; sono subordinati alla legge, devono applicarla e provvedere ad emanare sanzioni nel caso in cui essa non sia rispettata.

ELEMENTI COSTITUTIVI DELLO STATO



Essi, come già detto in precedenza, sono la sovranità, il territorio e il popolo

L'elemento della sovranità è molto astratto ed esprime il concetto di libertà nella decisione di istituire l'ordinamento giuridico statale, in altre parole di stabilire il tipo di stato che si intende realizzare.

Per rispondere a questa domanda bisogna sapere a quali scopi miri lo stato stesso e proprio gli scopi qualificheranno lo stato in un senso o in un altro. La sovranità si esprime nella possibilità di valutare e di individuare al proprio interno, senza ricorrere a soggetti esterni allo stato, i soggetti che devono garantire l'opera e la realizzazione effettiva delle regole giuridiche. La sovranità può essere intesa anche come la proprietà che ha lo stato di essere titolare di un potere che non riconosce al di sopra di sé alcun altro potere, in altre parole di un potere che è costitutivo di ogni altro potere inferiore.

Le funzioni che lo stato svolge mediante l'esercizio del potere sovrano sono due: la produzione di norme aventi lo scopo di promuovere nei cittadini comportamenti considerati vantaggiosi alla comunità, o di rimuovere comportamenti considerati nocivi e la produzione di servizi pubblici che i detentori del potere ritengono inopportuno affidare alla libera iniziativa privata.

Elemento più concreto, anche se ovviamente impersonale, è il territorio, considerato elemento costitutivo dello stato in quanto è in relazione con l'elemento della sovranità, possibilità da parte di uno stato di fissare delle regole giuridiche che devono valere solo per un determinato territorio (in pratica per quello spazio geografico in cui lo stato esercita la propria sovranità).


Il fenomeno del territorio come elemento costitutivo dello stato trova due eccezioni nella ultraterritorialità e nella extraterritorialità: vi sono delle zone in cui, in deroga al principio generale secondo cui lo stato esercita la sovranità nell'ambito di un determinato territorio, eccezionalmente lo stato può andare oltre o può essere limitato; va oltre nella situazione della ultraterritorialità, viene limitato nella situazione della extraterritorialità.

Nella situazione della ultraterritorialità lo stato viene ad esercitare la propria sovranità anche fuori del proprio territorio e lo può fare solo ed esclusivamente in conformità a trattati internazionali; questo perché sulla base della reciproca riconoscenza di sovranità, è necessario che ci sia uno specifico trattato che deroga a questo principio. L'extraterritorialità rappresenta invece, sempre sulla base di trattati, il fenomeno opposto; parti del territorio nazionale godono di una situazione di zona franca, cioè sono zone nelle quali non viene esercitata la sovranità statale






Il popolo, se si legge la nostra costituzione, è un soggetto che riveste un'importanza decisiva nel nostro ordinamento. Soprattutto lo stato democratico trova la sua caratterizzazione principale nel fondarsi sul principio della sovranità popolare, quindi il concetto di popolo assume nel nostro ordinamento un ruolo centrale. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme previste dalla costituzione. Analizzando la tripartizione dei poteri, si nota che tutte le tre facoltà tradizionali in cui si divide lo stato, vengono esercitati per nome e per conto del popolo. Nella costituzione, il parlamentare (che detiene il potere legislativo) rappresenta il popolo ed è al servizio di esso; i funzionari della pubblica amministrazione (rappresentante il potere esecutivo) sono al servizio del popolo e si muovono secondo un principio di imparzialità; infine la giustizia (potere giudiziario) è amministrata in nome del popolo italiano.



STATO COMUNITA' E STATO PERSONA


Lo stato è una unità che non si identifica con nessuno degli elementi costitutivi di una collettività umana, ma li riassume tutti in un unico astratto rappresentante.

A questo rappresentante, l'ordinamento può attribuire una posizione giuridica diversa da quella degli altri soggetti; in questo caso si dice che l'ordinamento attribuisce una personalità giuridica allo stato e che lo stato diventa un soggetto dell'ordinamento.

La costruzione dello stato come persona giuridica corrisponde al momento storico conseguente alla scomparsa della persona del sovrano che nello stato assoluto rappresentava l'unità dello stato. In quel momento ci fu la necessità di conservare l'unità dello stato oltre la persona del sovrano e a tale scopo si costruì la persona giuridica dello stato come elemento unificatore dei vari elementi appartenenti  alla comunità statuale. In quegli ordinamenti che attribuiscono allo stato la personalità giuridica, l'autorità sovrana spetta solamente allo stato- persona che la esercita attraverso i suoi organi.


La distinzione tra stato comunità e stato persona è facilmente individuabile sotto l'aspetto della sovranità.

Quando la società è espressa solamente da uno stato persona, è lo stato persona che è titolare della sovranità e ad esso vengono imputate le singole posizioni giuridiche corrispondenti all'esercizio della sovranità.

Quando invece la società è espressa da uno stato comunità, è ad esso che spetta la sovranità. Lo stato comunità però non ha personalità giuridica ed esso non può essere considerato come soggetto cui possano essere attribuite le singole posizioni giuridiche. La titolarità della sovranità spetta allo stato comunità, l'attribuzione delle posizioni giuridiche spetta allo stato persona o a quei soggetti cui vengono attribuiti poteri sovrani. In un ordinamento comunitario, la sovranità dello stato persona ha un valore solo formale in quanto esso si limita ad essere il piano su cui si manifesta concretamente la sovranità comunitaria.


DEFINIZIONE DI FORMA DI STATO



Forma di stato è la risultante dei modi e degli aspetti in cui si manifestano le tre funzioni del diritto: la repressione dei comportamenti socialmente pericolosi, la distribuzione di beni e servizi, l'istituzione e la distribuzione dei pubblici poteri.

Ciascun tipo di forma di stato può nascere solo dalla storia, e acquista quindi la sua fisionomia attraverso di essa.

Il concetto di forma di stato serve per vedere il modo in cui si combinano tra loro gli elementi costitutivi dello stato. Il vario modo in cui gli elementi costitutivi dello stato possono combinarsi tra loro secondo una serie di criteri, costituisce la definizione di stato. A seconda quindi di come popolo e territorio si combinano, a seconda di come sovranità e governo si combinano con il popolo avremo una serie di forme di stato.




LO STATO UNITARIO



E' lo stato nel quale si ha un unico centro di indirizzo politico: questo non significa che non preveda necessariamente al suo interno anche enti territoriali minori.

Quando ci si riferisce ad un'unitarietà di indirizzo pubblico non ci si riferisce ad una forma di stato che non abbia un pluralismo sia istituzionale sia territoriale.

Quello che è tipico di una forma di stato unitario è il fatto che vi è un solo centro di indirizzo politico; anche se esistono delle articolazioni territoriali minori, questi enti non godono di un loro autonomo indirizzo politico. Se a livello centrale è predominante un determinato partito politico, una determinata coalizione politica che riesce ad imporre la propria ideologia, gli enti minori non trovano lo spazio per proporre un loro diverso indirizzo politico.

Lo stato unitario viene inteso tale principalmente dal punto di vista amministrativo, secondo il modello continentale europeo.

Bisogna tenere presente che il mezzo principale attraverso il quale si riesce ad imporre un autonomo indirizzo politico è quello della legittimazione democratica derivante da una rappresentativa democratica.











LO STATO FEDERALE E CONFEDERALE


La forma di stato federale è quella che prevede, contrariamente alla forma di stato unitaria, una pluralità di enti, ciascuno dei quali è dotato di una capacità di esprimere un indirizzo politico ed una propria amministrazione.

Nello stato federale esiste si uno stato centrale (la federazione), ma esistono anche degli enti territoriali che hanno una serie di poteri particolarmente vincolanti e che si esprimono anche nella possibilità di seguire un autonomo indirizzo politico.

La distinzione tra stati federali, confederali e regionali speso non è una distinzione di carattere qualitativo, ma quantitativo.

Quando ci si trova di fronte ad una forma di stato che conosce al proprio interno enti territoriali dotati di un'ampia sfera di autonomia e di indirizzo, non si è sempre in grado di individuare se la forma di stato è federale o regionale.

Lo stato federale va distinto da quello confederale; l'elemento più importante per distinguere l'una dall'altra forma di stato, attiene alla maggiore o minore presenza, in capo allo stato centrale, di una serie più o meno ampia di poteri.

All'interno di una struttura federale o confederale possono esserci casi in cui è prevalente il potere affidato allo stato centrale e casi in cui prevale la situazione opposta; il problema maggiore è quindi cercare di ricavare come i singoli testi costituzionali degli stati prevedono questa ripartizione di poteri e di competenze tra lo stato centrale e gli stati federali o confederali.



LO STATO REGIONALE


Esso si caratterizza perché al proprio interno lo stato prevede organi territoriali  chiamati regioni a cui corrispondono un certo tipo di autonomia e di potere.

Viceversa, quando si è di fronte ad uno stato federale si è normalmente di fronte ad una federazione di più stati, ovvero di fronte ad uno stato che ha al proprio interno altri stati legati tra loro in un patto federale.

Non sempre però i poteri e l'autonomia di cui sono dotati gli stati federali sono superiori rispetto ai poteri dei quali possono, per esempio, godere le regioni all'interno di uno stato regionale.

Non basta una prima definizione per dirci con sicurezza quali sono i poteri e il grado di autonomia posseduti da questi enti territoriali minori: la nostra forma di stato si presenta come uno stato regionale, sicuramente non federale o confederale, però è uno stato con caratteri di unitarietà che riconosce al proprio interno una serie di autonomie.

Quello che ci consente di dire che si è di fronte ad una forma di stato regionale, è il fatto che addirittura le regioni siano dotate di una sfera di autonomia che si esprime ai più alti livelli, ossia nella possibilità di fare leggi. Nel nostro sistema la regione gode infatti, oltre della potestà amministrativa, anche di una specifica potestà legislativa.

La potestà di fare leggi è però differenziata: non tutte le regioni italiane hanno la stessa potestà normativa; essa è diversa per le regioni a statuto speciale.

LO STATO ASSOLUTO


In questo particolare caso, il sovrano è sciolto, libero dalle leggi (legibus solutus) a differenza di ciò che accadeva nel medioevo dove il re era sottoposto alle leggi (sublegge).

La forma di stato assolutistica è l'espressione statale a cui conduce la comune tendenza dei sovrani ad accentrare il potere. Attorno ad essa si sviluppa una cultura politica che teorizza il diritto del sovrano a fare tutto ciò, libero dalle regole feudali: negli stati assoluti non ci sono organi supremi dello stato diversi dalla Corona.

In termini istituzionali ciò da luogo ad una forma di stato caratterizzata dalla distruzione dei poteri intermedi (i feudatari, il clero, le corporazioni dei mercanti); l'assoggettamento della società ad un potere centrale dà luogo ad una totale razionalizzazione dei rapporti sociali, prima segnati dalle incoerenze del sistema feudale. Questa razionalizzazione era funzionale ai bisogni del capitalismo commerciale ed industriale che si andava affermando.


LO STATO DI POLIZIA


E' una forma di stato con una finalità razionalizzatrice, diversa da quella dello stato assoluto: la sua fase è il tardo Settecento e le sue vicende sono quelle relative principalmente alle monarchie austriaca e prussiana. Lo stato di polizia ha diversi elementi di differenza da quello assoluto: dal punto di vista teorico (cioè delle dottrine in cui si riconosce), non si fonda più su una ragione di stato autosufficiente, ma sui fini di benessere collettivo che è dovere del sovrano perseguire. Il sovrano, di conseguenza, non è titolare di una signoria assoluta sui beni e sul popolo, ma è egli stesso un funzionario dello stato; dal punto di vista politico istituzionale, lo stato di polizia si delinea in un assetto che è innovativo rispetto ai residui feudali: fa pesare sulla proprietà terriera oneri e doveri di varia natura, semplificando così il regime dello stato stesso.

Vieta al sovrano la vendita dei beni patrimoniali dello stato e offre tutela giurisdizionale ai cittadini contro gli atti di gestione dello stato (comprensivi di tutte le violazioni dei diritti patrimoniali); inoltre regola le attività economiche ed industriali sulla base delle proprie esigenze finanziarie e sulla base delle corporazioni mercantili e dei compiti che queste gli assegnano.


In pratica questa forma di stato passa dal modo assolutistico e verticistico dello stato assoluto, ad una gestione attraverso un corpo di funzionari scelti da parte del sovrano che sono una entità staccata da esso, che quindi creano una sorta di filtro dando luogo a quella che oggigiorno viene definita la burocrazia amministrativa.

La creazione di un organo, di un insieme di funzionari, fa si che si crei un patrimonio pubblico che viene distinto dal patrimonio personale del sovrano; si crea così una distinzione tra quella che è la Corona (in altre parole il patrimonio personale del sovrano) e il Fisco (che è invece l'insieme dei beni patrimoniali che sono dello stato, ma non di proprietà e gestione personale del sovrano).

LO STATO DEMOCRATICO



E' caratterizzato da un elemento che è dato dall'esercizio della sovranità da parte del popolo; quando in altre parole si realizza il principio della sovranità popolare, ci si trova nell'ambito di uno stato democratico. Il punto di svolta che porta alla nascita dello stato democratico, si identifica nell'estensione del suffragio universale.

Quando la sovranità, in altre parole l'incidenza sulla politica nazionale e quindi sull'indirizzo pubblico, non spetta al popolo, ma ad altri soggetti che si avvalgono del diritto di decisione in nome e per conto del popolo, ci si trova invece nell'ambito di uno stato totalitario.


La democrazia, per essere considerata tale, deve presentare i seguenti requisiti minimi:

a)  deve dare la possibilità per gruppi politici diversi di competere  liberamente tra loro per il governo dello stato;

b)  deve garantire il totale rispetto delle minoranze;

c)  deve operare l'adozione delle sole decisioni che dispongano di un

verificato consenso maggioritario;

d)  deve garantire che la loro adozione ed esecuzione avvenga sotto il

controllo delle minoranze


All'interno di uno stato democratico esistono essenzialmente tre tipi di sovranità popolare: si parla di democrazia diretta, indiretta o partecipativa.

La democrazia diretta si ha quando è il popolo stesso attraverso il corpo elettorale a decidere: si tratta di un intervento diretto eseguito esclusivamente dal corpo elettorale. Un esempio chiaro è il referendum, ossia quando si chiede al popolo di voler abrogare o meno una certa legge oppure di voler o meno approvare una legge. Quando si verifica il caso che la legge viene abrogata con la maggioranza dei si, ci si trova di fronte ad una esperienza di democrazia diretta, perché il popolo esercita le sue scelte senza intermediari.

La democrazia indiretta rappresenta negli stati contemporanei la regola in base alla quale è il corpo elettorale che invece di decidere direttamente, elegge dei rappresentanti che hanno il compito di agire in nome e per conto della rappresentanza politica cui fanno capo. L'esempio più chiaro è quello del "voto" (nel caso delle elezioni politiche o amministrative), nell'ambito del quale il corpo elettorale indica, in base alle personali preferenze, i propri rappresentanti.

La democrazia partecipativa è in una posizione intermedia che si realizza quando il corpo elettorale interviene direttamente, ma il suo intervento produce solo una piccola parte di un provvedimento, per il compimento del quale è necessaria la presenza di altri soggetti. L'esempio più tipico è quello dell'iniziativa legislativa popolare: la proposta viene fatta pervenire al parlamento (redatta in articoli), il quale deve provvedere o meno all'approvazione del progetto stesso inviato dal corpo elettorale.

LO STATO LIBERALE


Lo stato liberale moderno è caratterizzato da un comportamento di apparente neutralità, cioè esso funziona come un soggetto che attraverso l'esercizio dei pubblici poteri si colloca in una posizione esterna rispetto a quello che succede; si impegna a garantire l'ordine pubblico, il rispetto delle regole e garantisce uno spazio nel quale i cittadini si muovono per realizzare determinati e specifici loro obiettivi. Questa neutralità è più apparente che reale, è un principio di uguaglianza formale che tende a mantenere la situazione così come meglio si adatta alle esigenze del substrato sociale.


Lo stato liberale ottocentesco possiede un modello statuale molto definito. Esso è costituito da:

a)  il substrato sociale portante, costituito dalle borghesie nazionali;

b)  una nuova legittimazione del potere statale, che diviene ora

rappresentativo e in funzione di questo ha derivazione elettorale;

c)  il principio di libertà riferito non più a gruppi sociali, ma ai singoli,

liberi dallo stato e liberi dai ceti e dalle corporazioni.


Con queste caratteristiche in comune, i movimenti liberali hanno modificato radicalmente le strutture politiche e sociali dell'Europa di un secolo fa, introducendovi notevoli innovazioni.

Gli stati liberali però sono molti e diversi tra loro; le diversità in certi casi influenzano le stesse idee, i principi su cui il modello statale è fondato.

Il substrato sociale, vale a dire le borghesie nazionali, costituisce la prima differenza. La borghesia inglese può affermare le sue libertà economiche e il suo diritto ad essere rappresentata nello stato. Essa per affermarli, non ha bisogno di proclamarli; li fa semplicemente valere, perché il sistema lo consente e perché essa è già penetrata in esso attraverso il processo di integrazione sociale fra ceti agricoli, imprenditoriali ed aristocratici. La borghesia francese, cresciuta in un sistema basato sui ceti, è in una situazione diversa. Il sistema in cui essa opera, è espressione di un potere non rappresentativo, esercitato in nome di principi opposti a quelli liberali; essa per inserire questi principi ha bisogno di un'azione rivoluzionaria per proclamarli in modo forte, diversamente dai modi in cui l'Inghilterra li fa valere. Le borghesie italiana e tedesca si trovano in una situazione di maggiore debolezza: esse non hanno alle spalle la forza economica che deriva da uno sviluppo industriale e commerciale e devono confrontarsi con l'aristocrazia terriera e con quella militare che sono politicamente forti ed autonome. Il loro stato liberale, perciò, è il frutto di patteggiamenti con queste élite e diventa il terreno in cui rafforzarsi e proclamare le proprie idee liberali.

Lo stato liberale si presenta quindi come uno stato di diritto, fondato non più sulla volontà del sovrano (che non riconosce superiori), ma sulla supremazia della legge, questo grazie al principio rappresentativo secondo il quale è il Parlamento, organo elettivo, a fissare le regole riguardanti le libertà fondamentali.


LO STATO SOCIALE



La forma di stato che succede allo stato liberal-democratico è quella dello stato sociale o stato del benessere contemporaneo (welfare state).

A differenza dello stato liberale che escludeva la rappresentanza degli interessi collettivi, l'evoluzione dello stato sociale indirizza i propri sforzi proprio in questa direzione.

In una prima fase ciò è possibile a causa dello sviluppo del proletariato urbano, indotto dall'industrializzazione, che porta alla formazione dei sindacati e alla nascita dei partiti di massa. In una seconda fase, l'allontanamento dalle ideologie liberali continua attraverso una complessa articolazione della società che esprime identità collettive unite ad interessi specifici, riunite in rappresentanze organizzate in grado di influenzare le decisioni pubbliche.


Oltre a cambiare i criteri di rappresentanza, cambiano anche i compiti delle istituzioni statali in quanto gli interessi emergenti sono molto diversi dalle aspettative della borghesia liberale. Il cambiamento si indirizza in un ampliamento degli interventi e delle spese dello stato che vanno incontro alle domande sociali più essenziali proposte dai ceti subalterni (istruzione, sanità) e che successivamente assumono un ruolo di autentico governo dell'economia.

A questo punto lo stato diventa responsabile degli effetti che produce anche per quanto riguarda gli interventi strutturali, vale a dire gli investimenti pubblici e specifici investimenti privati; a tutto questo si unisce la progressiva estensione dei programmi sociali per coprire i diversi bisogni collettivi.



GLI STATI DEL VENTESIMO SECOLO



Nel ventesimo secolo le forme statuali diventano numerose, gli assetti organizzativi sono molti e variegati; in questi decenni sono presenti forme istituzionali che riflettono tempi storici diversi. Ci sono però dei fili comuni: il primo è il fatto stesso che sta alla base della diversificazione degli assetti e cioè il massiccio ingresso sulla scena della storia di nuovi attori politici grazie ai quali ha luogo la nascita dei nuovi stati.

La vita statale acquista nuovi protagonisti e assieme a loro amplia la sua gamma di interessi. Il secondo filo comune è il rapporto dei diversi assetti che si vengono a creare con i valori e moduli organizzativi della democrazia. Vengono alla ribalta i principi democratici in quanto l'Europa da al ventesimo secolo il modello dello stato liberal-democratico che diviene il punto di partenza e il paragone per quelli successivi. Inoltre, i principi trainanti dello stato liberal-democratico acquistano una dimensione universale, diventando la leva dei popoli e dei gruppi sociali emergenti.


LO STATO TOTALITARIO



In questa situazione si è di fronte ad uno stato che non presenta nel suo ordinamento un minimo di democrazia (diretta, indiretta o partecipativa) che possano far ritenere realizzato il principio di sovranità popolare.

In uno stato totalitario si assiste ad una situazione di partiti unici, quindi la partecipazione e la presenza alla determinazione della politica nazionale, che si realizza normalmente attraverso la partecipazione a diversi partiti politici, diviene priva di significato. Viene meno anche il pluralismo ideologico che consiste nell'esistenza di un ordinamento democratico e quindi di una pluralità di voci.

In un regime totalitario il consenso lo si acquista attraverso una propaganda di regime e tramite la censura e l'accentramento delle fonti di informazione nelle mani di poche persone; questo per far si che esista un'unica voce e un'unica verità: la verità di stato di regime. Questa dottrina politica ammette un solo partito informatore e guida dell'azione statale; sostiene inoltre che il potere governativo debba disciplinare direttamente tutti i rapporti sociali, in particolare quelli economici.



LO STATO SOVIETICO



In questa esperienza statuale, la più corposa caratteristica è il ruolo dominante di un partito unico, sia come organizzatore degli interessi sociali, sia come guida per gli indirizzi a cui si devono attenere gli organi costituzionali di governo; il partito unico si fa stato. Non vuol dire che si identifica nello stato, ma che è lo stato, diventa esso stesso lo stato.

Lo stato sovietico era emerso all'inizio della sua storia come l'antagonista storico più diretto di quello liberal-democratico; esso partiva dalla negazione di libertà per i ceti proletari nello stato liberal-democratico. Secondo l'ideologia marxista e leninista esplicata dallo stato sovietico, il motore della storia è la lotta di classe, una lotta dalla quale la classe proletaria può uscire vincente solo dopo avere privato i capitalisti dei mezzi su cui essi basano il loro dominio: i mezzi di produzione.

Il proletariato ha quindi bisogno di una guida, il partito, che lo organizzi per sconfiggere la resistenze capitalistiche; il passo successivo è che lo stato stabilizzi il nuovo assetto fondato su un'economia pubblica e pianificata per venire incontro agli interessi collettivi e non indirizzata alla ricerca del profitto.

Al proletariato è stato dato il partito guida ed esso ha costruito lo stato che più rappresentava l'ideologia proletaria, ma ciò ha portato alla più gigantesca concentrazione di potere totalitario che la storia abbia mai conosciuto; l'economia, impotente di fronte ad un sistema del genere, produceva solamente sprechi, disuguaglianze e scarsità. Lo stato gestore dell'intera economia divenne forzatamente un enorme apparato burocratico che avrebbe schiacciato la società.


I caratteri fondamentali della forma di stato sovietica sono i seguenti:

a)  assoluta marginalità dell'iniziativa e della proprietà privata nell'economia;

b)  repressione di ogni valore morale diverso da quello esplicato dallo stato;

c)  monoliticità dell'organizzazione del potere che era fondata sul principio della concentrazione dei poteri nel partito.


Questo modello statale si diffuse e venne esportato nei paesi contigui all'Unione sovietica, anche presentando alcune varietà rispetto alla struttura base.



LO STATO SOCIALISTA



E' un tipo di forma di stato elaborata sulla base del socialismo reale, tenendo a modello un particolare tipo di ordinamento giuridico rappresentato dall'Unione Sovietica. La caratterizzazione dello stato socialista è la caratterizzazione di uno stato nel quale viene data estrema importanza sociale al servizio pubblico; è quindi un ordinamento in cui normalmente il servizio pubblico funziona nel campo civile e pubblico. Questo regime ha molte caratteristiche di uno stato totalitario, soprattutto per quanto riguarda la frequente presenza di un partito unico, mezzi di informazione dominati dal soggetto pubblico e da una quasi totale eliminazione della proprietà privata. La forma di stato socialista non esiste quasi più realmente nei paesi dell'est, ma rimane una forma di stato di riferimento per gli stati decisi ad un tipo di intervento sull'economia e sul sociale.




LO STATO FASCISTA



Il fascismo è intollerante, sulla base di valori a dir poco conservatori.

Questo termine si usa per indicare qualsiasi movimento di destra che, in situazioni di arretratezza, contrasti la ridistribuzione della ricchezza, la libera organizzazione dei ceti proletari, la libertà di dissenso, cercando di imporre assetti di governo autoritari fondati sulla gerarchia e sulla rigida disciplina sociale.

Il presupposto dello stato fascista è un sistema di democrazia fragile che non regge davanti ai conflitti provocati dall'evolversi dell'industrializzazione. Alla democrazia fragile il fascismo fa subentrare la repressione del dissenso e della libertà organizzativa. Lo stato fascista inquadra i suoi cittadini, li indirizza e ne cancella progressivamente i dissensi; con la propaganda, inoltre, li priva di informazioni alternative e li avvolge nei valori che intende affermare. Per questi aspetti è simile allo stato sovietico e a qualunque altro stato guidato da un partito totalitario di massa, ma se ne distingue per i fini e per gli orientamenti che lo caratterizzano.


Il fascismo predica la collaborazione tra le classi, il nazionalismo ad un livello esasperato, il rispetto delle gerarchie, della religione e talora della purezza razziale! In tutto ciò denota un tentativo di integrazione sociale inteso ad assimilare gli operai ai ceti medi, ma non ha niente a che fare con la "cetomedizzazione" delle società democratiche; quella fascista esprime l'estrema difesa della piccola borghesia da un mondo operaio che minaccia potenzialmente le gerarchie sociali.


Assieme a tutto questo, c'è anche la presenza di un governo dell'economia ricco di interventi pubblici che, in assenza di relazioni sindacali libere, finiscono per essere effettuati sotto la prevalente influenza degli interessi privati più forti.

Per ogni categoria c'è un unico sindacato, quello fascista, ad iscrizione obbligatoria che è inserito in una organizzazione più ampia, la corporazione, di fatto un ulteriore spazio per l'ampliamento dei funzionari piccolo borghesi.



LO STATO MODERNO E SUE TEORIE ESPLICATIVE



L'articolo sedici della Dichiarazione dei diritti dell'uomo (26 agosto 1789, Francia) afferma che: "Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione"; si tratta di una solenne affermazione, piena di idee e di promesse per il futuro.


La nuova forma politica nata dalla rivoluzione francese presumeva di corrispondere ad una società dotata di costituzione: i valori di tale costituzione divenivano un necessario metro di giudizio per ogni esperienza politica futura e passata.

La separazione dei poteri e la garanzia dei diritti sono tenute insieme dalla figura più generale ed includente un potere pubblico capace di garantire limiti certi.

Lo stato che si andava a costruire si autorappresentava non tanto in chiave di affermazione di un nuovo modello politico, ma come IL modello politico che la rivoluzione faceva trionfare nei confronti dell'arbitrio monarchico e cetuale.



La discussione sulla rivoluzione diveniva dibattito sulle grandi linee di sviluppo delle trasformazioni politiche europee tra Medioevo ed età moderna: il nuovo stato di diritto tendeva a rappresentarsi come il risultato di ampi processi secolari dominati da una razionalità nella determinazione delle soluzioni politiche collettive.

Questa razionalità coincide con la questione del primato della legge; esso si propone prima di tutto come grande filosofia ispiratrice di tutta la produzione normativa dal punto di vista della razionalità. Il primato della legge è una formulazione costituzionale che traduce in termini giuridico formali, il valore storico politico della razionalità come carattere distintivo della nuova costruzione politica.


A fianco dell'immagine di una società nuova contrapposta a quella vecchia, si pone l'idea di uno sviluppo storico graduale della problematica delle libertà. La storia quindi svolge una funzione decisiva e costitutiva nel delineamento dei caratteri del nuovo modello politico (lo stato moderno); essa contrappone la razionale modernità del primato della legge al vecchio arbitrio cetuale.

Nell'articolo quattro della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, i francesi indicano che la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: l'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti; questi limiti possono essere determinati solo dalla legge.


Per quanto riguarda il problema di legittimare lo sviluppo degli apparati amministrativi, le osservazioni durante tutto l'Ottocento sulla continuità tra amministrazione dello stato assoluto ad amministrazione dello stato postrivoluzionario, non erano soddisfacenti; il problema dell'amministrazione imponeva una riflessione su un arco di tempo più lungo proprio perché la questione del fattore amministrativo viene posta come ulteriore carattere distintivo della modernità politica.

Moderno diventa quello stato che organizza la propria azione secondo i canoni di razionalità obiettiva, con un riferimento al primato della legge e alla separazione dei poteri.

Per avvicinarsi alla modernità era necessario raccogliere tutto ciò che era contenuto nella tradizione giuridica dell'Ottocento e acquisire nuovi strumenti metodologici, storici e sociologici, ponendosi quindi in un'ottica più ampia.

Fu Max Weber ad assumersi questo compito e a fornire nella sua opera più nota, Economia e società, a proposito di stato moderno, un tipo di soluzione assimilata da gran parte degli storici.

Nella sua opera ciò che interessa non è la descrizione o la spiegazione di certi fenomeni storici, ma piuttosto il fatto che attraverso la storia vengano delineati altri modelli politici diversi da quello moderno. La questione della modernità di una organizzazione politica non si pone più esclusivamente a livello di fonti di diritto e di primato della legge, ma a livello amministrativo. Si può quindi dire che prima delle costituzioni c'è lo stato che si pone come stato sotto forma di amministrazione burocratica.


Un'amministrazione per essere burocratica e quindi moderna, deve avere certi requisiti:

a)  deve essere tendenzialmente monopolistica nei confronti delle attività

amministrative pubbliche;

b)  deve agire con il criterio dell'impersonalità formalistica senza riguardo alla

persona, diversamente dalla società cetuale;

c)  deve porsi come soggetto capace di offrire la garanzia della calcolabilità delle

proprie azioni, indirizzate allo sviluppo del capitalismo razionale fondato su

investimenti di lungo periodo e sulla organizzazione stabile del lavoro salariato.

Tutta la teoria weberiana è incentrata nella dimensione di istituzionalità obiettiva che trova la sua sede e la sua rappresentazione in una amministrazione di carattere burocratico. Lo stato moderno si distingue dall'intero gruppo politico del Medioevo proprio per la presenza di un'amministrazione di questo tipo, che realizza in se quei valori di razionalità e di istituzionalità obiettiva.

La storia della trasformazione politica tra Medioevo ed Età moderna è la storia della affermazione di un tipo di potere; il patrimonialismo e il feudalesimo sono alla lunga sconfitti. La qualità del potere medioevale e cetuale è puramente di tipo associativo: quella età storica conosce imprese ed unioni intese come gruppi sociali fondati su patti, ma è di fatto incapace di produrre istituzioni, in quanto il suo potere si limita nel regolare i diritti e i privilegi.

La declinazione dello stato moderno di Weber non ne è l'unica possibilità di analisi: un altro punto di vista pone al proprio centro altre parole chiave; non più razionalità ed istituzionalità, ma unità e sovranità.

La sovranità dello stato è una conseguenza del processo storico di modernizzazione dei rapporti politici. Per Weber la problematica della sovranità è rilevante solo in quanto un potere razionale istituzionalizzato deve essere anche sovrano. La sovranità politico statale deriva dal teorema principale dell'istituzionalizzazione del potere: lo stato moderno è unicamente uno dei prodotti di questa grande trasformazione verso la modernità, ma la sfera politico statale non ne è la forza generatrice.

La scienza giuridica tedesca dell'Ottocento costituì un grosso elaborato sulla declinazione dello stato moderno inteso come sovrana unità politica; la modernizzazione politica non coincide solo con la codificazione di un diritto orientato a garantire le sfere individuali ed a limitare gli arbitri del potere pubblico; accanto allo stato di diritto si pone lo stato nella sua essenza, che è data dalla coppia concettuale unità e sovranità. In questa prospettiva, l'amministrazione assume una connotazione moderna in quanto in essa si concretizzano principi che hanno come obiettivo il superamento delle vecchie amministrazioni di ceto.


Da questa declinazione dello stato moderno, discendono alcune conseguenze:

a)  lo stato è il contrario della guerra civile; esso è moderno perché in esso si

rappresenta il fondamentale momento dell'unità politica;

b)  lo stato nasce da una decisione, da una assunzione di responsabilità politica resa

necessaria dal vuoto provocato dalla crisi dell'antico ordine medievale;

c)  l'esperimento statale moderno è fragile e problematico: l'attaccamento ad esso

deriva solo dalla paura, dalla consapevolezza che l'alternativa è la guerra civile.

Lo stato moderno nasce come risposta ad una condizione di conflitto; è il frutto

di una volontà politica e non il prodotto naturale di uno sviluppo secolare.


Il paradigma statualista fondato sulla coppia unità sovranità sottolinea la natura storica dell'esperimento statale moderno ed è accettata da coloro che negano allo stato moderno la qualità di destino o esito necessario.


L'esperienza politica francese viene assunta come campo storico centrale di conferma e di verifica dei contenuti dell'analisi fondata sulla coppia concettuale unità sovranità ed il filo che collega gli iniziali tentativi monarchici di accentramento del potere, è il filo lungo il quale si sviluppa la vicenda storica del diritto e dello stato moderno.


Nell'ambito di un'ulteriore declinazione dello stato moderno si cerca di raccogliere quelle testimonianze che puntano a riportare in primo piano il medioevo politico non come contrario dello stato moderno, ma come ambito storico della produzione di eventi giudicati essenziali per la concreta affermazione dello stato moderno. Questo indirizzo di ricerca presuppone un certo giudizio sul ruolo giocato dallo stato assoluto.

Si nega che esso abbia svolto una funzione di cesura con l'esperienza medievale; che abbia cioè costituito la prima forma di stato moderno inteso come coppia concettuale unità sovranità. Si sottolinea il fatto che l'antico ceto nobiliare feudale (che fondava la sua signoria sul possesso della terra) non fu mai privato dell'assolutismo e che anzi potrebbe essere definito come vero e proprio apparato di dominio feudale.


Si può sostenere che i fondamenti storici delle soluzioni politiche moderne devono essere riportati indietro nel tempo almeno nel momento in cui i ceti, con o contratti di signoria, avviano un rapporto con il principe che non è solo di resistenza, ma anche di collaborazione. Ciò che chiamiamo stato non si forma contro il particolarismo cetuale, ma con il suo contributo. Questo non significa riportare sempre più indietro le origini dello stato moderno, ma piuttosto non identificare la storia della modernizzazione politica con la storia della sovranità statale assoluta.

In una delle più remote ricostruzioni storico temporali della democrazia e della dittatura, si è tentato di spiegare le principali differenze tra alcuni modelli politici contemporanei, in particolare il maggiore o minore radicamento del complesso delle istituzioni democratiche parlamentari.


La storiografia sta man mano scoprendo nei progetti che accompagnano quelle politiche, la presenza di una consistente componente cetuale non come residuo medievale, ma come presenza essenziale nell'ambito dello stesso modello politico moderno.

Anche in Francia la linea che esalta la modernizzazione indotta dallo stato assoluto contro il passato medievale, è affiancata da una ricerca storiografica che punta a risolvere il problema storico della statualità in tempi più lunghi. In questa nuova analisi ora la parola chiave non è più razionalità-istituzionalità o sovranità-unità, ma equilibrio.








LA CONCEZIONE DI STATO NELL'EPOCA MEDIEVALE


Un modello alternativo all'esperienza statale moderna è ricercato nel medioevo, che ne risulta completamente contrapposto. Ai fini di quest'analisi è importante l'opera dello storico austriaco Otto Brunner; il suo scopo è quello di mostrare come l'antica Europa, dalla sostanziale caduta della struttura politica romana fino alle esplicazioni liberali, abbia seguito talune prospettive di unità politica territoriale e di certezza giuridica. Si tratta quindi di ricercare nel medioevo un'altra organizzazione della politica e del diritto diversa e contrapposta a quella moderna.

Per Brunner esiste un'unità territoriale di diritto; un diritto del territorio cui fanno riferimento molte formazioni politiche e che è applicato da diversi tipi di giurisdizione. La politica medievale si misura nella strutturazione territoriale del diritto e non nella detenzione del potere. Brunner sostiene anche che i signori territoriali del basso medioevo non hanno "creato" il diritto dei territori sui quali manifestavano il loro dominio, ma lo hanno "trovato"; questo vuol dire che essi non hanno mai avuto la possibilità di definire il contenuto del diritto del territorio.

Questo diritto sta sopra il sovrano e il popolo; sopra ai signori e al popolo del territorio. Il diritto medievale è più certo di quello moderno positivisticamente definito, perché nessuno dispone della sua definizione concreta; il diritto medievale non si identifica con l'istituzione statale politica, ma funziona fattualmente dominando tutti i soggetti agenti sullo stesso territorio.


Di contro, lo stato moderno non può rivendicare storicamente nessun monopolio della capacità di rappresentazione dell'unità politica; la contemporanea situazione di disgregazione mostra che quello stato, da questo punto di vista, ha fallito.

La costituzione medievale territoriale ha invece realizzato un massimo di unità garantita dalla collaborazione tra signori e ceti. Nel medioevo, infatti, i ceti non hanno il diritto di rappresentare i bisogni del territorio presso il signore, ma hanno il dovere di prestare a quel signore consiglio ed aiuto. Non ci sono prerogative sovrane che si scontrano con le resistenze e le rivendicazioni della società (rappresentata dai ceti) perché non ci sono partiti in lotta. Questo succede perché tutte le pretese e gli obblighi dei soggetti agenti politicamente hanno lo stesso fondamento nel diritto territoriale. Questa esperienza medievale indica la possibilità dell'esistenza di un modello costituzionale autenticamente stabile perché, a differenza del moderno conflittualismo, è fondato su una prospettiva organica e solidaristica. Perché crolla questo equilibrio? Secondo Brunner il modello crolla per cause politiche.

Nell'azione tra principi e ceti si inserisce un elemento estraneo specificamente decisionistico, che consiste nella pretesa delle due parti di definire ed interpretare il contenuto del diritto territoriale. Il  "caos" di poteri che si generò, identificò come risposta politica lo stato moderno. Con esso infatti si intende rimediare ad una situazione di instabilità determinata dalla stessa modernizzazione politica, dalla scoperta di un'altra dimensione del diritto, inteso come conflitto e mediazione tra parti contrapposte.


IL MODELLO DI STATO ANGLOSASSONE



Mentre nell'Europa continentale tra l'ottocento e il novecento si sviluppano i paradigmi della modernizzazione politica e la nuova teoria dello stato amministrativo, nell'ambito angloamericano si davano risposte diverse alle problematiche dello stato moderno.

Il filo conduttore della teoria costituzionale angloamericana è il costante rifiuto di porre al centro delle proprie analisi il significato di moderno legato al concetto di stato. Si riapre quindi in questo ambito la questione dello stato del medioevo: ciò che ora si ricerca nel medioevo è una tradizione storica di potere limitato; uno stato che è tale solo come condizione di temporaneo equilibrio tra forze antagonistiche come status di poteri pubblici. Gli storici inglesi si sono messi alla ricerca di "stato nel medioevo" principalmente ricercando la formazione di un sistema giudiziario comune inglese. Ne è risultato che la somma dei rapporti tenuti in equilibrio dal diritto comune della giurisprudenza, è l'equilibrio stesso della società, della sua costituzione e del suo stato.

Il modello inglese, riportando l'attenzione al medioevo, riporta dunque alla terra ed al suo diritto; ciò che riemerge dal passato medievale è la dimensione del rapporto come relazione conflittuale tra parti distinte. Secondo la storiografia inglese, lo stato di diritto non è altro che la generalizzazione moderna delle antiche relazioni feudali contrattuali. Il feudalesimo risulta quindi essere il primo stadio della civiltà giuridica, perché nel rapporto feudale è implicito il concetto di disconoscimento del contratto da parte del vassallo in caso di inadempienza dei propri doveri da parte del signore: il diritto costituzionale moderno nasce dal diritto medievale. Lo stato quindi non si è formato per una decisione autoritaria attraverso un sistema di sovrapposizioni di interessi e di mediazioni di tipo contrattuale. Tutto questo processo non sarebbe stato possibile senza un ceto di giudici capace di svolgere un preciso e delicato ruolo. Anche questo modello, per spiegarne i fondamenti storici, ha bisogno di un autonomo potere pubblico originario, ovvero quello dei giudici nominati dal sovrano, ma capaci di esporre i principi di un diritto radicato nelle strutture delle relazioni della vita sociale. Questo però è un potere che non crea, che non è animato da grandi idee di trasformazione, è un potere essenziale perché rispecchia e garantisce i punti di equilibrio conseguiti durante lo sviluppo storico costituzionale.

Nel medioevo quindi non si ricerca l'antica unità del diritto territoriale, e questo perché in primo piano c'è la questione della pluralità delle forze organizzate e il progetto della loro amalgama in soluzioni politicamente stabili.




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