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MILANO E I SUOI PIANI REGOLATORI - GLI INTERVENTI POST-UNITARI

architettura




MILANO E I SUOI PIANI REGOLATORI




Nella seconda metà del 1800 con l'unità d'Italia, Milano si trovava ad essere il punto focale dell'economia italiana ma non era ancora in grado di reggere il confronto con gli altri Paesi, a livello europeo.Inoltre era molto indietro rispetto a Torino e Firenze come centro bancario e meno collegata al resto del paese rispetto alle altre città. La stazione centrale realizzata nel 1864 fu si centro della rete ferroviaria italiana ma risultò eccentrica, non collegata alla città e mal collegata al centro della città cosicché fu necessaria la creazione di una nuova radiale Via Principe Umberto (oggi Via Tu 424f54e rati) che però non fu fatta penetrare direttamente verso il centro ma fu spezzata ad un certo punto, diretta verso Piazza Cavour.Si ottenne il primo esempio di un'arteria diagonale che risultò deleteria per il traffico e creò un incrocio a stella.Con il diffondersi della cultura francese al seguito delle armate di Napoleone, la funzione e la concezione stessa della città erano mutate sensibilmente in tutta Europa: prevale la funzione economica-mercantile su quella militare e la città è vista come UNICUM da pianificare nel suo insieme, contrariamente al metodo usato fino allora, che operava attraverso interventi isolati e sparsi.Purtroppo Milano si rivelò particolarmente arretrata in materia urbanistica, se si pensa a città come Parigi, Londra, Vienna o Barcellona che si erano dotate dei primi piani regolatori.Per raggiungere i livelli Europei, Milano doveva prima risolvere i problemi ereditati dalla cattiva gestione della città da parte degli Spagnoli, Francesi e Austriaci e da giunte comunali assoggettate agli interessi della borghesia e alla speculazione edilizia.







GLI INTERVENTI POST-UNITARI




Nei primi Vent'anni di governo post unitario, l'incremento della popolazione è fortissimo, ma l'amministrazione vigente sarà poco sensibile alla nuova esigenza di servizi pubblici e di interventi edilizi popolari per rispondere alla nuova situazione. L'attività pubblica è più impegnata nell'apertura di strade e piazze per soddisfare le esigenze di rappresentanza della borghesia imprenditoriale, ad esempio i progetti del 1861-62 del Mengoni per Piazza del Duomo e la Galleria, realizzate con il metodo degli sventramenti e l'esodo forzato dei ceti popolari verso la periferia; furono realizzati solamente interventi di ristrutturazione del centro per rendere la città prestigiosa al pari di altre città europee.Sono rari gli interventi a favore dei ceti popolari e l'amministrazione crede di rispondere adeguatamente al problema demografico con la creazione di nuovi quartieri borghesi (fra la cerchia dei Navigli e dei Bastioni, a nord-est dall'Arena a Porta Venezia e a sud-ovest da Porta Genova a S.Vittore). Gli interventi così attuati e scellerate lottizzazioni come quella dell'area del Lazzaretto segnano irrimediabilmente l'assetto urbanistico della città.




IL PIANO BERUTO


Soltanto nel 1884 il comune decise di far realizzare un piano regolatore dall'ing. Cesare Beruto.

Il piano di ampliamento preparato dal Beruto (TAV.1) esprime l'intenzione di uno sviluppo urbano organico usando gli espropri per pubblica utilità (servizi) e non solo per aprire strade e piazze. I problemi principali da affrontare riguardano i vitali interessi dello sviluppo industriale e del traffico in tutta la città. Lo spazio destinato alla viabilità era organizzato con lunghi viali convergenti radialmente su piazze quadrate o circolari, un impianto dunque di carattere rigidamente radiocentrico e statico con circonvallazioni concentriche a cingere la città. L'ampliamento fu previsto verso nord, nord est lungo la direttrice verso Monza, come a Varese (questo sistema infrastrutturale era completato dalla cintura ferroviaria, più interna rispetto a quella stradale basata sulle stazioni esistenti) Quest'intervento causò, per la zona a nord est della stazione centrale, la mancata assialità rispetto alla Via Principe Umberto, e per la zona a nord ovest dello scalo Sempione di essere impossibilitata a collegarsi organicamente con il resto della città. A ciò si aggiunse la localizzazione della nuova piazza d'Armi simmetricamente al cimitero Monumentale rispetto a Corso Sempione, ripetendo così l'errore di piazza del Duomo e cioè di inserire un elemento orientato a 45° rispetto alla maglia stradale precedente il risultato di tutto questo è la disomogeneità e frammentarietà degli interventi. Mancavano ancora collegamenti con la regione, ad esempio una delle nuove radiali che partiva da Corso Monforte non fu pensata come strada per il veneto ma come semplice asse di espansione urbana.Per quanto riguarda previsioni per le edificazioni, il Beruto pianificò lotti molto ampi di m 200-400 di lato e non operò nelle zone centrali ma all'esterno, senza però dimenticare le aree da riservare a verde, servizi pubblici urbani e scuole.Ovviamente quando il progetto passò alla revisione della commissione dei lavori pubblici e al ministero a Roma, furono imposte maggiori geometrie ai lati, spesso di forma irregolare e la riduzione delle dimensioni degli stessi: scelta non tanto tecnica ma di natura politica economica. Si ritenne più conveniente, assecondando gli interessi della borghesia, costruire edificio per edificio e non sacrificare suoli agli edifici pubblici. Le trasformazioni al progetto furono adottate in un secondo piano elaborato dal Beruto, ed approvato nel 1889, una proposta di grande importanza di questo piano è quella di creare attorno al castello due strutture semicircolari, che s'ispirano al progetto del 1807 per il Foro Bonaparte, trasformando in parco la piazza D'Armi.Questo sistema sarebbe infine collegato a piazza Duomo con la creazione di un nuovo asse, via Dante.Il problema maggiore di questo piano è che non è stata colta l'importanza della linea di forza principale per la città e che avrebbero dovuto svilupparsi indipendentemente dal disegno di piazza Duomo, sulla quale invece convergono tutti gli assi come la via del Sempione. Il Beruto non operando  nel centro storico, non risolve ne'interviene nel problema della saldatura tra il centro e le zone d'ampliamento, propone la demolizione dei bastioni trasformandoli in una linea di scorrimento urbano e posizionando gli edifici pubblici casualmente; manca quindi l'idea che la città che la città possa essere divisa per zone funzionali.Si assiste a uno sviluppo indifferenziato senza una precisa pianificazione eccettuo per zone come corso Buenos Aires o corso Indipendenza.Il piano Beruto compromise gravemente l'assetto della città e i suoi rapporti con il circondario sotto la spinta della speculazione edilizia con le costruzioni di un tracciato ferroviario che bloccava tutta la città.Pregi principali di questo progetto furono il rispetto delle opere preesistenti valide, i giardini senza la pretesa di creare una città monumentale per due milioni di abitanti e in contrasto con la visione statica della città, il tentativo di adeguare il centro cittadino alla nuova struttura urbana, ma che la commissione soppresse per motivi economici (la piazza di "smistamento", la radiale al Carrobbio e la trasversale del Carrobbio al Foro Bonaparte).



IL PIANO PAVIA-MASERA




Molto prima del previsto il piano del '89 si rivelò insufficiente alla necessità di sviluppo di una grande città industriale del novecento e per questo motivo il comune decise di formulare un nuovo piano.Tra il 1909 e il 1912 gli ingegneri Angelo Pavia e Giovanni Masera furono incaricati di redire un nuovo piano (TAV.2).Ci fu una mancanza di base dovuta al fatto di non aver indagato sulle cause della incompiuta realizzazione del piano precedente e i suoi limiti, proposero uno sviluppo sui terreni berutiani, La popolazione aumentò notevolmente in parte per l'annessione dei Corpi Santi, ma in maggior misura dalle immigrazioni; La superficie urbanizzata della città raddoppiò ma si registrò una totale mancanza di servizi sociali, di verde, di scuole e di collegamenti con i trasporti pubblici. Le industrie andavano a localizzarsi prevalentemente oltre i bastioni, lungo la cintura ferroviaria, gli scali e lungo la direttrice Sesto-Monza, ma in modo assolutamente caotico. Le scelte urbanistiche successive al piano Beruto furono sempre più determinate dalla speculazione e dal regime immobiliare capitalistico. Per aumentare la vendita fondiaria venne sancita la politica degli sventramenti che interessavano le zone interne ai bastioni, il centro in particolare, e lungo i nuovi tracciati (Via Dante, Via XX Settembre, Corso Matteotti, Corso Italia, Via C. Battisti) sorsero costruzioni di notevole valore.La nuova circonvallazione costruita a est fu una ripetizione di quella berutiana, costosa e inutile poiché priva di collegamenti con la Via Emilia e con Viale Monza e non ebbe nemmeno la funzione di tangenziale per il traffico. Gli interventi realizzati nel centro cittadino e l'apertura di nuove vie (Via Mozart, i giardini) furono voluti per rendere edificabili aree sino allora tenute a giardino, la periferia venne a stringersi come una morsa intorno al centro, al quale fu collegata in ogni modo al solo scopo di aumentarne il valore, ma l'elemento più vistoso del piano Pavia-Masera fu lo spostamento dei binari e

l'arredamento della linea ferroviaria di un chilometro per spostare la stazione Centrale, con i suoi depositi e sopraelevate (opere di interesse speculativo) rendendola così una stazione di passaggio allontanandola dalla città.Il piano Pavia-Masera trascurò completamente il problema dei servizi pubblici, non furono previsti giardini ma solo qualche piazza o viale alberato; non venne nemmeno riservata un'area per le scuole, le case popolari o i servizi collettivi, ciò comporta il fatto che il Comune dovrà all'occorrenza acquistare i terreni sul mercato speculativo.In aggiunta a questo va ricordato che il piano del 1912 non aveva neppure preso in considerazione il problema della gestione del nuovo territorio e si scarta la possibilità di estendere il piano regolatore alle nuove annessioni, fu necessario studiare un piano regionale. La commissione nominata a tale scopo propose la creazione di centri satelliti mai ampliati e diversificati nelle costruzione nelle varie parti della città.Nel frattempo però era subentrato il regime fascista che consegnò completamente Milano alle speculazioni immobiliari.



IL PERIODO FASCISTA ED IL PIANO ALBERTINI




La città dimostrò la sua arretratezza in materia urbanistica rispetto alle altre città dell'Europa agli inizi del 900 con l'insistenza a una politica di sventramenti assoggettata agli interessi dei capitalisti piuttosto che a quelli della popolazione.La demolizione nel centro (Piazza della Scala, San Babila) la copertura dei navigli, l'edificazione di tutti i giardini il nuovo asse di penetrazione verso il Duomo dalla nuova stazione centrale, del Viale Certosa allargato e valorizzato con la realizzazione dell'ippodromo di San Siro e ogni tipo di opera pubblica, erano finalizzate a creare direttamente a nuovo una valorizzazione delle aree agricole circostanti da edificare o di quelle edificate da demolire per riedificazioni più remunerative, la stessa Città Studi realizzata lungo la circonvallazione est era destinata a valorizzare una zona ancora periferica.La politica fascista favorì la costruzione economica dello IACPM, per la quale negli anni precedenti si era impegnato il governo socialista.Lo sviluppo caotico di Milano dei primi anni del regime fascista costringe nel 1926 il Comune a bandire un concorso per il progetto di massima del piano regolatore e di ampliamento. L'architetto Portaluppi e l'ing. Semenza razionalisti moderati, furono i vincitori del concorso poiché presentarono un progetto monumentale.Subito l'ing. Albertini costituì un ufficio urbanistico per vagliare al meglio i progetti presentati per la stesura definitiva.Furono necessari sei anni di lavoro prima che il piano vedesse la luce (TAV.3) ma lo scopo alla base apparì chiaro, il piano era assolutamente privo di idee e si voleva urbanizzare tutto il territorio, creando una fittissima maglia di viali, strade e piazze per soddisfare tutti gli interessi privati.Si tratta di un piano a grandi linee in cui non è posto nessun vincolo alla proprietà immobiliare, perché nessuna area è stata riservata a uso pubblico.La fitta rete stradale che, nelle intenzioni del progettista, avrebbe dovuto facilitare le comunicazioni in realtà congestionò ulteriormente il centro con l'unico risultato di favorire la speculazione.

Si manifestò l'esigenza di costruire nel centro palazzi alti e strade ampie migliorando l'igiene, in periferia le strade potevano essere più strette per le classi subalterne.Il nuovo PRG non tenne conto delle direttive contenute nel bando, si accennava al concetto di azionamento (zone residenziali, industriali e commerciali) venivano distinte le zone di ristrutturazione e quelle esterne alla città, con interventi nei limiti del PR approvato, c'erano indicazioni delle aree da destinare a servizi pubblici, agli spazi verdi alle scuole e PR separati per i Comuni aggregati, ciò avrebbe potuto offrire l'occasione per creare uno sviluppo policentrico, invece Albertini non fece che ricalcare l'espansione concentrica pianificata precedentemente.Il piano fu pubblicato solo nel 1934 e suscitò vivaci critiche ai metodi e alle soluzioni adottate.

Nel 1935 il consiglio Superiore dei lavori pubblici nominò una commissione per lo studio di possibili varianti al nuovo piano, ma ormai, per effetto delle pubblicazioni precedenti dei piani parziali per opera dell'Albertini erano già in atto convenzioni tra il Comune e terzi, onerosissime per l'Amministrazione Milanese.





LA II GUERRA MONDIALE - IL PIANO A.R.





I bombardamenti durante la seconda guerra mondiale colpirono gravemente Milano cosicché alla fine il comitato di liberazione nazionale decise di promuovere un libero concorso di idee per un nuovo PRG, che affrontasse sia le tematiche della ricostruzione sia quelle dello sviluppo. Furono presentate 96 proposte che un'apposita commissione vagliò. Si erano tenuti presente il rapporto della città con la regione, il possibile dimensionamento della città, il decentramento industriale con la proposta di quartieri satellite per gli operai, mentre si mantennero le direttrici di espansione verso nord nord-est e nord-ovest e la funzione terziaria nel centro storico. C'era stata un'esplicita richiesta di verde e spazi sia all'interno sia all'esterno dell'aggregato urbano ed era stata riconosciuta la necessità di un maggior numero di servizi sociali.Fu sostenuta con forza la proposta di una rete metropolitana che fosse collegata alla ferrovia e servisse l'intero territorio, le strade urbane si pensarono attrezzate negli assi principali mentre una rete autostradale doveva costituire il proseguimento di strutture territoriali. La proposta più interessante nella quale si mantennero le linee, fu quella presentata nel '46 dal gruppo AR (Architetti Riuniti, di cui facevano parte Albini, Belgioioso, Bottoni, Cerruti, Gardella, Palanti, Peresutti, Pucci, Putelli e Rogers), essi rifiutavano la decisione riguardante la terziarizzazione del centro e in alternativa proposero di creare un nuovo centro direzionale nell'area dell'ex scalo Sempione e della Fiera Campionaria da trasferire.

In sostanza si tese a rompere la figura radiocentrica di Milano con il congestionamento del centro recuperando la relazione col territorio.Il piano (TAV.4) venne adottato nel 1948 e nello stesso anno l'amministrazione comunale decise di avvalersi delle disposizioni contenute nel DL 1 marzo 1945 n° 154 che sanciva la possibilità di redigere i piani di ricostruzione, piani particolari per le zone maggiormente colpite dagli eventi bellici indipendentemente dal Piano Generale, questo provvedimento fu adottato per due zone centrali e per tre zone d'espansione a nord (Cà Granda, Villa Pizzone ed ad ovest San Siro) al piano vennero quindi apportate varie modifiche, venne rielaborato e attuato dal 1953. Il piano di ricostruzione che si rifaceva al piano albertiniano consentì alla speculazione edilizia di avere il sopravvento sulle nuove idee emerse dal concorso.

Alcuni pregi del nuovo PRG furono: l'azzonamento che permise di organizzare e razionalizzare la crescita della città; la creazione del centro direzionale che avrebbe dovuto spostare dal centro parte delle funzioni terziarie; l'ideazione di due assi attrezzati all'incrocio con il centro direzionale che avrebbe dovuto risolvere il problema del traffico in penetrazione alla città; la soppressione della maggior parte degli sventramenti proposti del piano del 1953; la proposta di un piano regionale per coordinare la crescita dell'hinterland milanese. Di contro si possono rilevare anche aspetti negativi come espedienti legali e speculazioni edilizie, che sancirono il fallimento di questo piano che non fu comunque portato a termine in tutti i suoi aspetti. Lo spostamento del centro direzionale nella zona compresa tra la stazione centrale e Porta Garibaldi fu un errore perché troppo lontana dal nucleo storico per potersi saldare con questo il piano in riguardo richiese tempi troppo lunghi per il suo decollo e non servì per decongestionare il centro anzi aggravò il problema del traffico perché non furono mai realizzati i nuovi assi attrezzati che erano stati previsti. Un altra questione molto importante fu la mancata osservanza dei vincoli sul rispetto dei valori ambientali e le gravi distruzioni nel centro storico non furono impedite.Tra i difetti va sottolineato il grave sottodimensionamento delle aree da destinarsi ai servizi e soprattutto al verde pubblico.Vengono poi dilapidate ampie aree demaniali (come Scalo Sempione) a favore dei privati e solo il quartiere Gallaratese e quello Gratosoglio furono edificati su aree demaniali acquistate.

La cattiva gestione del piano portò al tracciamento della direttrice verso Sesto S.Giovanni (Via Zara) solo per favorire operazioni di speculazione immobiliare. Ciò è accaduto perché non furono rispettate le condizioni originarie. Il piano pur nato da un'attenta analisi del territorio e delle sue esigenze, non tiene conto delle industrie localizzate attorno a Milano e che spesso interferivano nell'espansione della maglia urbana.




LE VARIANTI DEGLI ANNI '60



Sono questi gli anni del boom economico italiano; a Milano si registra un notevole incremento demografico, dovuto principalmente all'immigrazione dalle campagne e dal Italia meridionale; sempre più evidente è la mancanza di spazi per verde e servizi pubblici nel centro, dove avviene anche una trasformazione della destinazione d'uso, con conseguente aumento delle aree destinate al settore terziario. Si rende quindi necessaria una variante al P.R.G. (la variante "ombra"), che vede impegnati nel '63 professionisti e docenti del Politecnico, facenti parte dell'I.N.U., coordinati da tre supervisori: in questa fase di studio della situazione esistente è coinvolto, per il centro, un gruppo di architetti, Caccia-Dominioni, Barbiano di Belgioioso, Gazzola. Questa variante non viene attuata, cosicché nello stesso anno ne viene stesa un'altra dal tecnico comunale Hazon: in questa si prevede un aumento dei servizi ed un incremento della capacità insediativa di 300000 unità.

Del 1963 è il P.E.E.P., redatto per la periferia, in cui si prevede una capacità insediativa di 160000 vani, numero inferiore al reale fabbisogno della città.

Nel 1969 Hazon pubblica un documento, molto generico, sugli "obiettivi e criteri della variante generale al P.R.G."



MILANO NEGLI ANNI '70 - '80



Negli anni '70 a Milano non si arresta l'incremento demografico, e nel contempo si assiste a modificazioni sociali ed economiche. Nel 1970 si insedia una giunta di centro-sinistra che porta avanti il discorso della riscossione degli oneri di urbanizzazione.

Nel '72 viene varato un piano di zona per il quartiere Garibaldi.

L'assessore Cannarella nel 1975 propone una variante generale redatta su tavole in scala 1: 20000, quindi non sufficienti a divenire ufficiali, di conseguenza viene ritirata.

La variante generale al piano regolatore viene definitivamente redatta nel 1976: in questa si prevede un'espansione edilizia di 80000 vani, ed una ristrutturazione, attuata soprattutto nel centro, di 130000 vani; per quanto riguarda il traffico, si prevede la realizzazione della terza linea della metropolitana, e si ipotizza quella del passante ferroviario.

Del 1979 è il piano dei trasporti, un progetto complessivo che riguarda il potenziamento della viabilità tangenziale, un collegamento ferroviario tra le stazioni di Bovisa (FNM) e di Porta Garibaldi, il passante ferroviario (che colleghi le stazioni di Porta Garibaldi e di Porta Vittoria), il completamento della terza linea della metropolitana.

INDICE


-INTRODUZIONE

-GLI INTERVENTI POST-UNITARI

-IL PIANO BERUTO

-IL PIANO PAVIA-MASERA

-IL PERIODO FASCISTA ED IL PIANO ALBERTINI

-LA II GUERRA MONDIALE-IL PIANO A.R.

-LE VARIANTI DEGLI ANNI 60

-MILANO NEGLI ANNI 70-80























BIBLIOGRAFIA:



G. CAMPUS VENUTI, UN SECOLO DI URBANISTICA A MILANO, ed. CLUP

E. GENTILI TEDESCHI, MILANO I SEGNI DELLA STORIA, ed. ALINEA

G. CAMPUS VENUTI, '42-'92 50 ANNI DI URBANISTICA IN ITALIA (MILANO), ed. LATERZA

A.M. MERCANDINO, I PIANI URBANISTICI DI MILANO DAL 1800 AL 1963.




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