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IL DECADENTISMO

letteratura



IL DECADENTISMO


Il Decadentismo è una poetica, o meglio un insieme di poetiche, che nasce nel tardo '800 e si spinge dentro al '900, e le stesse avanguardie artistiche novecentesche possono collocarsi all'interno della cultura decadente. Da tempo, ormai, il termine ha perduto ogni connotazione negativa: non allude più ad un'arte di decadenza, così come veniva considerata agli inizi del XX secolo, quando Benedetto Croce la definì "una fabbrica del vuoto", per la sua forte componente irrazionalistica. Il Decadentismo nasce in un'epoca storica in cui sono ormai tramontati i grandi ideali dell'età romantica, gli ideali di libertà, di unità nazionale, di democrazia, sostituiti da altre aspirazioni politiche, connotate dall'egoismo nazionalistico, dalle spinte autoritarie, dagli slanci imperialistici, dalla corsa alle conquiste coloniali: gli artisti decadenti si fanno, in qualche modo, interpreti di questa assenza di ideali e si compiacciono di presentarsi come uomini indifferenti ad ogni slancio generoso, amanti di quelle epoche e di quei temi che hanno in sé il germe della corruzione e del disfacimento. Tra le età predilette dai decadenti vi è proprio quella del tardo Impero Romano; Verlaine, ad esempio, inizia la sua poesia programmatica "Languore" (pag. 32) scrivendo "Io so 313e47d no l'impero alla fine della decadenza". Gli artisti decadenti non amano le opere classiche, quelle cioè nate al culmine di una civiltà, ma prediligono, invece, quelle nate nelle età di crisi, come appunto i tardi scrittori latini; amano temi intrisi di lussuria, come quello di Salomè, la giovane amata dal suo patrigno (Erode) e che in cambio di una danza lussuriosa (la famosa danza dei sette veli) gli chiede la testa di S. Giovanni, che aveva rifiutato le sue offerte d'amore. Salomè diviene protagonista di tele famose, come quella di Gustave Moreau, che adorna le pareti della casa di Des Esseintes, il protagonista di "A Rebours"; è il tema di un dramma di Oscar Wilde, è il tema di numerose liriche ("Erodiade", la madre di Salomè, di D'Annunzio), è il tema di una famosa opera lirica degli anni venti, la "Salomè" di Richard Strauss.



I decadenti francesi chiamarono la loro rivista proprio "Il decadente", appropriandosi di una definizione che ritenevano coerente con i loro intenti artistici. Il Decadentismo nasce in polemica con la cultura positivista e con il mito della scienza ritenuta in grado di spiegare tutta la realtà fisica e umana; i decadenti spezzano i rigidi nessi di causalità con cui si usava spiegare l'andamento del mondo, perché convinti che realtà sia assai più complessa di come si illudono gli scienziati, i quali possono, semmai, spiegare la realtà fenomenica, ignorando che c'è un'altra realtà più profonda e complessa, che è quella noumenica. Per comprendere tale realtà noumenica, dominata dalla casualità, dal caos apparente, non servono le leggi scientifiche e le intuizioni degli scienziati, ma le capacità intuitive dell'artista. Risorge prepotente, col Decadentismo, il romantico mito del poeta, il quale, dotato di superiori capacità intuitive, è in grado di intuire i legami misteriosi tra le cose, e, simile a un Prometeo, è in grado di offrire all'umanità dei frammenti, dei brandelli di verità. Se il romantico Novalis definiva il poeta come un sacerdote, il decadente Rimbaud lo definisce come un veggente, che, con gli occhi dell'anima, si addentra nel caos magmatico dell'esistenza, sforzandosi di accendere qualche timida lampada; attraverso il deragliamento dei sensi, Rimbaud cerca di cogliere delle fiammelle di verità. Come scrisse il critico e studioso del novecento Elio Gioanola, ".alla positivistica naturalizzazione dell'io si sostituisce la psichiatrizzazione della realtà.", realtà che diventa sostanza psichica depositata nell'animo del poeta. L'intellettuale decadente vuole quindi andare al fondo delle cose attraverso una via irrazionale e intuitiva; tuttavia, il poeta, pur essendo dotato di capacità superiori, non è in grado di conoscere il tutto, conosce solo brandelli di verità.

Sulla cultura decadente ebbero una profonda influenza alcune correnti di pensiero: la filosofia di Nietzsche, la concezione del tempo di Bergson, e la psicanalisi di Freud.

Nietzsche è il maggior rappresentante della filosofia razionalistica del tardo '800, e da lui i decadenti presero soprattutto il "mito del super-uomo", che venne, però, variamente deformato, in particolare dal nostro D'annunzio. Di Bergson ricordiamo fu rilevante la concezione del tempo come durata, che si contrappone alla concezione del tempo lineare (quello segnato dagli orologi). Bergson fa propria la visione di S.Agostino, che nelle "Confessioni", si era già soffermato sul problema del tempo, sostenendo che esiste solo il presente, in cui tutto il passato vive come memoria e tutto il futuro come attesa. Secondo Bergson c'è il tempo della coscienza che si contrappone a quello lineare, nel quale il passato confluisce e fa blocco. Ne consegue che noi non diventiamo più poveri per il tempo che passa, ma ci arricchiamo perché si arricchiscono le nostre conoscenze interiori. Questa nuova visione del tempo come durata ebbe largo influsso nella letteratura memoriale del tardo '900: si pensi solo a Proust e alla sua opera "Alla ricerca del tempo perduto", ma anche a "La coscienza di Zeno" di Svevo, in cui il protagonista rievoca la sua vita sul filo della memoria. Nel 1899 Freud pubblicò "L'interpretazione dei sogni", che segna l'avvio della psicanalisi, che ebbe una enorme influenza sulle arti del novecento. Con Freud si scopre la dimensione dell'inconscio, l'"es", ("es" in tedesco è il pronome neutro, corrispondente all'inglese "it"), che costituisce, insieme con l'Ego (la parte cosciente di noi) e il Super-Ego (che è una sorta di censore), la nostra personalità. Nel nostro inconscio si agitano tutta una gamma di pulsioni, di desideri che aspirano ad essere realizzati e che tendono al piacere dell'individuo (principio di piacere), ma tali pulsioni si scontrano spesso con i divieti sociali, con i codici morali, per cui vengono censurate dal Super-Ego, e non arrivano a livello della coscienza (principio di realtà). Ne è un esempio il trasporto amoroso del figlio verso la madre (il famoso complesso di Edipo), che, non essendo consentito dai codici sociali, vive solamente a livello dell'inconscio.

Il Decadentismo prosegue e approfondisce numerose intuizioni romantiche, tuttavia, nel rapporto letterato-società le due poetiche presentano aspetti antitetici. Entrambe hanno, infatti, conosciuto la figura del ribelle, dell'individuo che rifiuta le regole per vivere in una dimensione anarchica (si pensi a "I Masnadieri" di Schiller); tuttavia si può affermare che la cultura romantica fu prevalentemente una cultura borghese (nel senso che la borghesia si riconobbe in essa e la fece propria nel suo cammino di ascesa sociale), mentre i letterati decadenti si sentono, al contrario, quasi sempre in conflitto con la società borghese, della quale disprezzano l'avidità, la scarsa cultura, l'egoismo. Ne consegue che le poetiche decadenti sono altrettante rappresentazioni di questo dissidio fra intellettuale e società.

Partiamo dalla poesia simbolistica che, cronologicamente, segnò l'avvio del Decadentismo. Il manifesto dei poeti decadenti è solo del 1886, ma il vero avvio della nuova poetica si ebbe già nel 1857 con "I fiori del male" di Baudelaire. Voltando le spalle alla tradizionale lirica amorosa o pensosa dei destini dell'uomo, Baudelaire scrive nella poesia proemiale della sua opera che egli intende cantare i vizi, i rimorsi, le vergogne dell'uomo e il peggiore dei nostri tormenti, la noia (in francese "ennui"), ma Baudelaire chiama in causa anche i suoi lettori e, dando un pugno nello stomaco al perbenismo borghese, definisce il suo lettore ipocrita, perché simile a lui ma ipocrita nel negarlo. Dalla noia/spleen/ennui il poeta può fuggire attraverso i sogni di evasione, perché anche Baudelaire, come i romantici, si sente una creatura superiore, che solo liberandosi dai ceppi di una realtà mediocre e angosciante, può sperare di realizzare se stesso (concetto espresso in modo esemplare nella poesia "L'albatros" di Baudelaire).

Baudelaire è anche l'inventore della sinestesia, vale a dire delle corrispondenze fra i cinque sensi, che egli ha descritto nell'omonimo sonetto (in francese il componimento si presenta sotto forma di sonetto). Il poeta, in quanto dotato di una superiore capacità di sentire, riesce a vedere nella realtà dei legami, delle corrispondenze che sfuggono all'occhio dell'uomo comune. C'è, insomma, nel reale, un'unità misteriosa, sottesa alla apparente frammentazione, che solo il poeta può cogliere.

Con Baudelaire, dunque, ha inizio una vera e propria rivoluzione poetica che proseguirà, poi, con i simbolisti (i cosiddetti "poeti maledetti"), da Verlaine a Rimbaud, fino a Mallarmé, con il quale il simbolismo raggiunge i suoi risultati più profondi. In sostanza, con i simbolisti il discorso poetico perde le sue tradizionali coordinate di tempo e di spazio: non c'è più un prima e un dopo, come succedeva ad esempio in Leopardi, ma un continuo andirivieni della memoria; quanto ai luoghi e alle figure vengono deformati dalla capacità visionaria del poeta, il quale è tutto teso a tradurre in immagini simboliche le sue intuizioni alogiche, non razionali, della realtà. Il poeta intuisce con la sua capacità visionaria i legami che esistono nel reale, e traduce le sue intuizioni in simboli, simboli che risultano incomprensibili ai lettori, ma questo al poeta non interessa. Abbiamo parlato di intuizioni e non abbiamo usato il verbo comprendere perché ciò implicherebbe l'utilizzo, da parte del poeta, della ragione, cosa che invece era completamente estranea al processo intuitivo.

Il poeta simbolista è attento nell'uso di una lingua ricca di capacità evocative, ricca di un lessico suggestivo e musicale, che non descriva ma susciti emozioni nel lettore (anche Leopardi curava il lessico delle sue opere in questo senso, e a questo proposito si è parlato di una poetica del vago e indefinito). é proprio attraverso queste scelte ispirate ad un fortissimo individualismo, a una grande ricerca dell'espressione personale elegante e suggestiva, che i poeti simbolisti affermano la loro separatezza, la loro diversità, la loro distinzione dalla tradizionale società delle lettere; la loro è una poesia iniziatica, riservata a un gruppo ristretto di fruitori raffinati (non è una letteratura di larga diffusione).

Una seconda poetica decadente che ha goduto di larghissima fortuna è l'estetismo, che prende l'avvio col romanzo "A Rebours" ("Controcorrente") di Huysmans, del 1884, a cui seguirono "Il piacere" di D'Annunzio, del 1889, e "The picture of Dorian Gray" ("Il ritratto di Dorian Gray") di O. Wilde, del 1891.

L'esteta è un individuo alquanto raffinato che vuole fare della sua stessa vita un'opera d'arte, e che si sforza di vivere una vita d'eccezione, distinguendosi dal gregge che lo circonda. Sulla raffinatezza degli esteti ha influito in larga misura il mito del super-uomo (oltre-uomo) di Nietzsche, che peraltro subisce varie deformazioni nell'ambito letterario.

In D'Annunzio, poi, vedremo svilupparsi in anni successivi i due miti citati, quello dell'esteta e quello del super-uomo, ma in modo tale che nel primo già si avverte il presentimento del secondo, e il secondo non rinnega, ma assorbe in sé anche il primo. (pag. 46)

Occorre, infine, ricordare che esistono altre poetiche decadenti di segno opposto a quelle appena citate, perché con esse l'artista non riafferma la sua superiorità nei confronti del mondo, ma, al contrario, la sua incapacità a vivere attivamente. Ricordiamo, a questo proposito, la poetica sveviana dell' "inettitudine", in cui l'io narrante si dichiara incapace di effettuare delle scelte, e preferisce abbandonarsi al flusso della storia. Ricordiamo ancora la poetica pascoliana del "nido" e la poetica pirandelliana della "maschera", in cui l'io si sfalda e vive solo attraverso proiezioni provvisorie di se stesso. Anche queste poetiche appartengono a pieno diritto all'area decadente, in quanto anche questi letterati si separano dal contesto sociale e lo fanno nel segno della sconfitta, di una dichiarata incapacità a inserirsi nel circuito dell'esistenza.




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