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Giovanni Verga e il verismo in Italia

letteratura



Giovanni Verga e il verismo in Italia


- Dal Naturalismo in Francia al Verismo in Italia -


La letteratura europea, a partire dal 1850, è caratterizzata dalla diffusione del movimento chiamato Naturalismo, che sorge in Francia e ha come teorico e maestro Emile Zola (1840-1902).

Egli fissa i principi del cosiddetto romanzo sperimentale. Infatti, se le opere della narrativa tradizionale erano interamente costruite dalla mente dell'autore, il nuovo romanzo deve porsi come documento oggettivo in cui l'autore tende a scomparire. Lo stesso Zola definisce il Naturalismo come "il ritorno alla natura", cioè il ritorno alla realtà dopo il predominio dell'idea nell'età romantica. Questo ritorno alla natura comporta grande attenzione verso gli aspetti più umili del reale. Per questo il lessico e lo stile ricalcano il parlato, spesso tramite l'uso delle lingue dialettali. Il romanzo naturalista è di argomento contemporaneo, ha sullo sfondo un ambiente ristretto e descritto minuziosamente in modo da immettere il lettore nel mondo nel quale i personaggi si muovono. A calcare la scena letteraria è la plebe parigina, i minatori, il proletariato, le cui vicende sono riportate al fine di evidenziare gli aspetti negativi della società, con la volontà di mutarla. Infatti Zola non è solo il romanziere realista, ma anche lo scrittore sociale che lotta contro le pagine del suo tempo in nome del progresso e dell'umanità.



L'opera di Zola si diffondere in Italia dai primi del 1870 e grazie alla personale rielaborazione di due intellettuali meridionali, Capuana e Verga, è tradotta in una teoria letteraria coerente ed unitaria denominata Verismo.

Rispetto al naturalismo francese i veristi respingevano la subordinazione della letteratura all'impegno politico e civile, attenuando il concetto di scientificità dell'opera letteraria: la narrazione non può, come la scienza, dimostrare tesi; può solo prendere in prestito dalla scienza il metodo dell'osservazione.

Maggior risalto assume invece il principio dell'impersonalità dell'opera d'arte. Sec 727i87h ondo la teoria verghiana lo scrittore deve "eclissarsi", non deve comparire nel narrato con le sue reazioni, riflessioni, non deve spiegare gli antefatti, ne tracciare il profilo o la storia dei suoi personaggi, deve "mettersi nella pelle" dei suoi personaggi e far rimanere la sua mano "assolutamente invisibile", tanto che l'opera dovrà sembrare "essere sorta spontanea come un fatto naturale".

Vediamo ora in che modo Verga attua tali principi e quali motivazioni ideologiche stanno dietro all'adozione di questo procedimento dell'impersonalità.


La tecnica narrativa


Verga applica i principi della sua poetica nelle opere veriste composte dal 1878 in poi e ciò da origine ad una tecnica narrativa originale. L'autore si "eclissa" per calarsi "nella pelle" dei suoi personaggi. A raccontare, infatti, non è il narratore "onnisciente", tradizionale che come nei romanzi di Manzoni, riproduce il livello culturale, i valori, i principi morali e il linguaggio dello scrittore, il narratore che spiega gli antefatti o le circostanze dell'azione, che traccia il ritratto dei personaggi (si pensi ai capitoli dedicati a fra Cristoforo, alla monaca di Monza nei promessi sposi), commentandone e giudicandone i comportamenti. Nelle opere di Verga la voce che racconta si colloca all'interno del mondo rappresentato: il narratore si mimetizza coi personaggi, adotta il loro modo di pensare e si sentire, secondo una tecnica definita regressione nell'ambiente rappresentato.

Il lettore all'inizio si trova di fronte a personaggi di cui possiede solo notizie parziali e poco a poco arriva a conoscerli, attraverso ciò che essi stessi fanno o dicono. E se la voce narrante giudica i fatti non lo fa secondo la visione colta dell'intellettuale e borghese Verga, ma in base alla visione elementare e rozza della collettività popolare.

Di conseguenza anche il linguaggio spoglio, povero, è ricco di modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni, dalla sintassi elementare e talvolta scorretta.


L'ideologia verghiana


Che cosa induce Verga a formulare questo principio dell'impersonalità? Nella Prefazione ai Vinti l'autore stesso spiega: "Chi osserva lo spettacolo della lotta per l'esistenza non ha il diritto di giudicarlo".

Alla base di tale visione stanno posizioni pessimistiche: la società umana per Verga è dominata dal meccanismo della lotta per la vita, in cui il più forte schiaccia il più debole, in cui non c'è spazio per i valori ideali come la generosità disinteressata, l'altruismo e la pietà. Gli uomini sono mossi dall'interesse economico, dalla ricerca dell'utile, dall'egoismo, dalla volontà di sopraffare gli altri. E' questa una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in ogni luogo, quindi non esistono alternative alla realtà esistente. Si tratta di una concezione atea che esclude ogni consolazione religiosa, ogni speranza di riscatto dalla negatività dell'esistente in un'altra vita.

Se è impossibile modificare il reale, ogni intervento giudicante è inutile e privo di senso e allo scrittore non resta che riprodurre la realtà così com'è, lasciare che parli da sé: ogni suo giudizio è illegittimo e vano.

Dunque la tecnica impersonale usata da Verga non è frutto di una scelta casuale, ma è il modo più adatto con cui esprime la sua pessimistica visione del mondo.

Tale pessimismo, che nega ogni trasformazione della società, ha una connotazione conservatrice ma comunque non implica un'accettazione acritica della realtà. Anzi, proprio il pessimismo, pur impedendo di indicare alternative, consente a Verga di cogliere con grande lucidità ciò che vi è di negativo in quella realtà. Non solo. Il pessimismo assicura a Verga l'immunità da quei miti che trionfano nella letteratura contemporanea, come il mito del progresso e il mito del popolo. Anche se al centro delle opere di Verga si pone il popolo, esso non è osservato con quell'atteggiamento di pietà per le miserie degli umili che pervade la letteratura del secondo Ottocento, con quella fiducia in un miglioramento delle condizioni dei diseredati. La visione arida e desolata di Verga mortifica ogni abbandono al patetismo, alla pietà, e proprio la scelta di raccontare la lotta per la vita che nega ogni valore di umanità e altruismo, costituisce la impietosa dissacrazione di ogni mito populistico.

In Verga non è presente neppure la nostalgia verso forme passate di vita. Egli, pur sottolineando la negatività del progresso moderno, non contrappone ad essa il mito della campagna, della civiltà contadina concepita come oasi dominata dall'autenticità e dall'innocenza. Il pessimismo lo induce a vedere anche il mondo primitivo della campagna retto dalle stesse leggi del mondo moderno, l'interesse economico, l'egoismo, la ricerca dell'utile, la forza e la sopraffazione, che pongono gli uomini in costante conflitto tra loro.

Verga non offre facili evasioni o immagini consolatorie, per questo è uno scrittore scomodo, aspro, che non diffonde miti, ma semmai li distrugge.


Lo svolgimento dell'opera verghiana


Il periodo preverista


Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840, da una famiglia di agiati proprietari terrieri. Compie i primi studi presso maestri privati da cui assorbe il patriottismo e il gusto letterario romantico. I suoi studi superiori non sono regolari: non termina i corsi alla facoltà di legge a Catania, preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. Questa formazione irregolare fa discostare la sua fisionomia di scrittore da quella tradizionale degli scrittori di cultura umanistica. I testi su cui affina il suo gusto letterario sono infatti quelli popolari e consumistici della letteratura francese a lui contemporanea: " I tre moschettieri" di Dumas padre; "La signora delle Camelie" di Dumas figlio, "Il romanzo di un giovane povero" di Feulliet. Tali letture di intrigo, sentimentali storiche si riflettono nei suoi primi romanzi; "I carbonari della montagna" del 1861, "Sulle lagune" del 1863. Convinto che per diventare uno scrittore autentico doveva liberarsi dai limiti della cultura provinciale, nel 1865 su trasferisce a Firenze. Pubblica nel 1866 "Una peccatrice", romanzo autobiografico che con toni enfatici e melodrammatici narra la storia di un intellettuale piccolo borghese di Catania, che conquista il successo e la ricchezza ma vede inaridirsi l'amore per la donna adorata e ne causa il suicidio. Nel 1871 termina l'opera "Storia di una capinera", romanzo sentimentale e lacrimevole, su un amore impossibile e una monacazione forzata. Nel 1872 si trasferisce a Milano e finisce il romanzo "Eva", in cui un giovane pittore siciliano, nella Firenze capitale, brucia le sue illusioni e i suoi ideali artistici nell'amore per una ballerinetta, simbolo della corruzione di una società materialistica, protesa verso il piacere, una società che disprezza l'arte e l'asservisce al suo bisogno di lusso. A questo romanzo polemico, seguono nel 1875, i romanzi d'analisi delle passioni  mondane: " Eros" sul progressivo inaridirsi di un giovane aristocratico, corrotto da una società raffinata e vuota, "Tigre reale", che analizza il traviamento di un giovane innamorato di una donna fatale e divoratrice di uomini e la sua redenzione segnata dal ritorno alle gioie della famiglia.


L'approdo al verismo: "Vita dei campi"


Ai due romanzi usciti nel 1875 e salutati dalla critica come esempi di realismo e di analisi impietosa si piaghe psicologiche e sociali, segue una crisi ed un silenzio di tre anni rotto nel 1878 dal racconto "Rosso Malpelo", la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro e disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro. È la prima opera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Già nel 1874 Verga aveva pubblicato "Nedda", la descrizione della misera vita di una bracciante siciliana, ma tale racconto, anche se mutava l'ambiente rispetto ai romanzi precedenti, conservava i medesimi toni melodrammatici, il gusto romantico per una realtà esotica e diversa, Il pietismo verso le sofferenze degli umili. Per questo nel passaggio tra "Nedda" e "Rosso Malpelo" si parla di conversione. In realtà non esiste una frattura così netta tra due momenti del narrare verghiano. Infatti Verga fin dai suoi primi scritti si proponeva di dipingere il vero, ma semplicemente non possedeva ancora i mezzi adatti per farlo. L'approdo al verismo non è un'inversione di tendenza, ma la conquista di mezzi concettuali e stilistici più maturi: la concezione materialistica della realtà e l'impersonalità.

La svolta verista non va neppure interpretata come frutto di sazietà per gli ambienti eleganti e mondani dell'alta società, che induce a cercare maggiore autenticità di vita tra gli umili. L'ambiente popolare è solo il punto di partenza dello studio sui meccanismi sociali, secondo il metodo verista che l'autore intende applicare via via pure al mondo aristocratico.

Sull'adozione del nuovo modello narrativo, come abbiamo detto, esercita un influsso determinante Zola, in particolare "L'Assommoir", per la sua ricostruzione di ambienti e psicologie popolari, rappresentati al di fuori di ogni idealizzazione e pietismo, così da dare l'impressione della vita vissuta, e per il suo linguaggio che riproduceva il gergo dei sobborghi parigini.

La svolta verista, dopo "Rosso Malpelo", prosegue con una serie di racconti raccolti nel volume "Vita dei campi" del 1880: Cavalleria Rusticana e La Lupa sono i più noti: Anche in questi racconti spiccano figure caratteristiche della vita contadina siciliana e viene applicata la tecnica narrativa dell'impersonalità, che consiste nell'eclissi dell'autore e nella regressione della voce narrante entro il punto di vista del mondo popolare. Accanto alla scabra rappresentazione veristica e pessimistica del mondo rurale, in tali novelle si trova ancora traccia di un atteggiamento romantico, nostalgico di un mondo mitico, dominato da passioni volente  e primitive, un paradiso perduto di innocenza e autenticità che si pone in antitesi con l'artificiosità della vita borghese e cittadina. Insomma è ancora in atto nell'autore la contraddizione tra le tendenze romantiche della sua formazione e le nuove tendenze veristiche che lo inducono a riconoscere come a dominare pure il mondo rurale è la legge della lotta per la vita.

Tale contraddizione è superata nei Malavoglia.



Il ciclo dei "Vinti" e "I Malavoglia"


Parallelamente alle novelle Verga concepisce il disegno di un ciclo di romanzi, con la volontà di tracciare un quadro sociale, passando in rassegna tutte le classi, dai ceti popolari, alla borghesia di provincia, all'aristocrazia. Criterio unificante è il principio della lotta per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin sull'evoluzione delle specie animali ed applica alla società umana: tutta la società, ad ogni livello, è dominata da conflitti di interesse, ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli. Verga però non si sofferma sui vincitori di questa guerra universale, ma sceglie come oggetto della sua narrazione i vinti. Il primo romanzo del ciclo dei "Vinti" è "I Malavoglia", del 1881 , la storia di una famiglia di pescatori siciliani.

I fatti narrati abbracciano un periodo di 12 anni, dal 1864 al 1876. Siamo a Trezza: nella famiglia Malavoglia domina il vecchio padre 'Ntoni, sul figlio Bastianazzo, sulla nuora Maruzza la Longa e sui nipoti 'Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Domina con l'onestà e la saggezza di un patriarca. 'Ntoni, il nipote più grande, l'unico che può dare una mano nel governo della barca è soldato. Per mettere su qualche soldo patron 'Ntoni tenta una piccola speculazione su una partita di lupini: se li ingoia il mare, con Bastianazzo e un garzone. E bisogna pagare il carico perduto: i Malavoglia, che erano padroni, diventano poveracci e perdono gli amici. Il giovane 'Ntoni torna dal servizio militare e la barca è rimessa in sesto per lavorare sul mare. Ma il ragazzo non si adatta alla fatica, è svogliato, vorrebbe qualcosa di diverso ma neppure lui sa cosa; corteggia una ragazza per sposarla. Intanto sua sorella Mena ha una storia segreta col carrettiere Alfio Mosca, ma è pronta a prendersi un ricco mentecatto per amore della casa: si fidanza con Brasi Cipolla, mentre Alfio lascia il paese. Arriva in piena festa la voce che Luca, il fratello minore che aveva sostituito 'Ntoni nel servizio militare, è morto a Lissa. Un figlio, un altro braccio che se ne va. Il debito dei lupini è da pagare: non rimane che cedere al creditore la vecchia, cara casa del nespolo. Per Mena e per 'Ntoni essere diventati poveri diavoli significa dire addio all'amore legale. Un uragano sorprende 'Ntoni e i due nipoti in mare: si salvano a stento; il vecchio è ferito ma la barca è salva. La famiglia sembra riprendersi con l'orgoglio e la forza degli umili. Il giovane 'Ntoni è però stanco di quella vita: si trattiene solo perché la madre lo supplica di non abbandonarla. Quando il colera se la porta via, nulla più lo lega al paese. Don Michele, il brigadiere, si accorge che Lia Malavoglia sta diventando una bella ragazza e la corteggia, avvertendo lei e Mena di stare in guardia per il fratello maggiore che si è messo con una brutta compagnia di contrabbandieri. Una sera, il giovane 'Ntoni, sorpreso in fragrante delitto, ferisce Don Michele. Al processo, il vecchio cuore di padron 'Ntoni, che aveva resistito a tante disgrazie, cede alla vergogna quando sente che Lia se la intendeva con Don Michele. 'Ntoni è condannato a cinque anni; Lia se ne va per sempre via da casa. Sono rimasti solo pochi Malavoglia: Alessi lavora per riscattare la casa; padron 'Ntoni, ormai spento, va all'ospedale per non gravare sulle spalle dei nipoti. Alessi sposa la Nunziata: si conoscono da bambini, quando, orfani entrambi, hanno imparato a combattere. Mena si sente ormai troppo vecchia per il matrimonio e rifiuta di sposare Alfio Mosca. La casa del nespolo è riscattata, quando il vecchio 'Ntoni è già morto. Una sera viene a bussare per chiedere perdono l'altro 'Ntoni. Ma ora che la casa è stata ricostruita dai puri, lui che l'ha infangata non può rimanere. Se ne va, nessuno lo ferma.

I Malavoglia rappresentano la vita di un mondo rurale ed arcaico, chiuso nei ritmi di vita tradizionali che si modellano sul ritorno ciclico delle stagioni, e dominato da una visione tradizionale della vita fondata sulla saggezza antica dei proverbi. Ma non si tratta di un mondo totalmente statico, anzi il romanzo è proprio la rappresentazione del processo per cui la storia penetra in questo sistema arcaico, rompendone gli equilibri. L'azione si svolge all'indomani dell'unità, nel 1863, mettendo in luce come il piccolo villaggio siciliano sia sconvolto dalle tensioni di un momento di rapida trasformazione della società italiana. La storia la modernità si presentano con la coscrizione obbligatoria, che sottrae braccia al lavoro, mettendo in crisi la famiglia come arcaica unità produttiva: alla partenza di 'Ntoni per il servizio militare seguono le difficoltà economiche e le sventure che rompono l'equilibrio tra la famiglia e il sistema sociale del villaggio; a ciò si aggiungono le tasse, la crisi della pesca, il treno, il telegrafo e le navi a vapore, che suscitarono le reazioni ostili della mentalità immobilista dei paesani. Il sistema sociale del villaggio, che al suo interno non è affatto una comunità indifferenziata di umili, ma è diviso in diversi strati di classe. È trasformato da questi eventi storici. I malavoglia da pescatori sono costretti a diventare negozianti e di conseguenza del fallimento, subiscono un processo di declassazione, passando dalla condizione di proprietari di casa e barca a quella di nullatenenti, costretti a vivere alla giornata. Ma le trasformazioni in atto generano anche processi di ascesa sociale, rappresentati dall'arrivista don Silvestro, che ricorre alle arti più subdole per ottenere una posizione di prestigio.

I datti narranti, in obbedienza al principio dell'impersonalità e alla tecnica dell'eclissi dell'autore e della regressione, sono presentati dall'ottica dei personaggi.

Nel giovane 'Ntoni si incarnano le forze disgregatrici della modernità. Egli è uscito dall'universo del paese, ha  conosciuto la metropoli Napoli e non può più accettare l'immobilità del paese, rassegnandosi a un'esistenza di fatiche e miserie. Emblematico è il conflitto con suo nonno che rappresenta l'attaccamento ai valori tradizionali, che consente il pignoramento della casa per mantenere fede alla parola data e quindi contribuisce a causare la rovina della famiglia.

Il romanzo si chiude con la partenza di 'Ntoni dal villaggio: il personaggio che ha messo in crisi il sistema si allontana per sempre verso la realtà e il progresso, dalle grandi città. Il suo distacco è l'addio al mondo arcaico e ne sancisce la sconfitta, la scomparsa, segnando il passaggio dal per-moderno al moderno. Il suo percorso sarà continuato dal dinamismo e dall'intraprendenza di Gesualdo, tipico esponente moderno.

I Malavoglia sono stati spesso interpretati come celebrazione di un mondo primitivo e dei suoi valori (religione della casa e della famiglia, lavoro, onore), idoleggiamento nostalgico di una civiltà contadina, vista come alternativa e antidoto alla falsità e alla corruzione della vita cittadina. In verità il romanzo rappresenta al contrario la disgregazione di quel mondo e l'impressionabilità dei suoi valori. Se, come si è visto, ancora nella prima fase del suo verismo persisteva in Verga una componente di nostalgia per la campagna, vagheggiata come l'Eden di innocenza, i Malavoglia segnano il superamento di tali tendenze.

Il romanzo non è solo la constatazione amara della fine di un mondo, ma la presa d'atto che quell'Eden di serenità e autenticità non è mai esistito. Infatti esso, prima di essere investito dalle forze disgregatrici della modernità, era già dominato al suo interno dalla stessa legge della lotta per la vita che regola il mondo del moderno e del progresso, perché quella legge per Verga, regola ogni tipo do società, in ogni tempo e ad ogni livello della scala sociale.

Tuttavia lo scrittore non sa ancora rinunciare a certi valori, e li proietta in alcuni personaggi privilegiati ritagliando, nel paesaggio desolato della lotta per la vita, una zona immune dalle sue feroci tensioni; ma, dall'altro lato, sa bene che qui valori sono puramente ideali, che non trovano posto nella realtà, e rappresenta l'ambiente del villaggio nei suoi aspetti più crudi. Quel mondo arcaico che scompare sotto l'urto della modernità risulta non dissimile da quello creato dal progresso.

Ne risulta una configurazione bipolare del romanzo. Un romanzo corale, popolato di personaggi, senza un protagonista. Ma questo coro si divide in due: da un lato si collocano i Malavoglia, caratterizzati dalla fedeltà ai valori puri; dall'altro la comunità del paese, pettegola, cinica, mossa dall'interesse, insensibile sino alla disumanità. Si alternano quindi la narrazione due punti di vista opposti: quello nobile e disinteressato dei Malavoglia, e quello gretto e ottuso degli altri abitanti del villaggio. Questo gioco di punti di vista di punti di vista ha una funzione importante. L'ottica del paese ha il compito di stravolgere e deformare i valori ideali proposti dai Malavoglia come l'onestà, il disinteresse, l'altruismo. Padron 'Ntoni che rinuncia alla casa per onorare il debito non è ammirato per il suo nobile gesto, ma giudicato un "minchione", perché non ha applicato la legge dell'interesse. Se quindi Verga non sa rinunciare al vagheggiamento dei valori autentici, e li sovrappone in parte alla realtà popolare, è tanto lucido da rendersi conto che essi non trovano posto nella realtà. Però il punto di vista ideale dei Malavoglia vale a fornire un metro di giudizio dei meccanismi spiegati che dominano l'ambiente del villaggio, facendone emergere la disumanità.


Dai "Malavoglia" al "Gesualdo"


Tra il primo e il secondo romanzo del ciclo dei "Vinti" passano otto anni. Nel lungo intervallo Verga pubblica un altro romanzo che non rientra nel disegno preannunciato. "Il marito di Elena" nel 1882. Si tratta dell'analisi delle irrequietudini di una moglie piccolo borghese, che con i suoi sogni e le sue ambizioni conduce il marito mite e devoto alla rovina. Nel 1883 escono le "Novelle rusticane", che ripropongono personaggi e ambienti della campagna siciliana, in una prospettiva più amara e pessimistica, ove in primo piano è il dominio dei momenti economici dell'agire umano. Un'indagine analoga viene condotta sul proletariato cittadino nelle novelle di "Per le vie", pubblicate nello stesso anno. Nel 1884 poi Verga tenta l'esperienza del teatro col dramma "Cavalleria rusticana".

"Mastro don Gesualdo" esce nel 1889. E' la storia dell'ascesa sociale di un muratore che, con la sua intelligenza e energia instancabile, accumula enormi ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento nella sfera degli affetti familiari.

Verga resta fedele al principio dell'impersonalità, per cui il narratore, pur senza coincidere con un preciso personaggio, deve essere interno al mondo rappresentato. Però nel nuovo romanzo il livello sociale di questo mondo, in obbedienza al piano del ciclo, si è elevato rispetto ai Malavoglia: non si tratta di un ambiente popolare, di contadini, operai, pescatori, ma di una ambiente borghese ed aristocratico. Di conseguenza anche il livello del narratore si innalza, e ciò fa sì che torni a coincidere con quello dell'autore reale. Il narratore del Gesualdo ha uno sguardo critico nel ritrarre ambienti e figure, meschinità e cinismo dei protagonisti. Ovviamente rimane la fedeltà al principio dell'eclissi dell'autore e quindi nessuna informazione viene data al lettore sugli antefatti, sulle storie dei personaggi.

Come abbiamo visto, i Malavoglia sono un romanzo corale, che vede in scena una folla fittissima di personaggi. Di questi, solo i componenti della famiglia Malavoglia sono analizzati dall'interno, in modo da conoscerne pensieri e sentimenti. Tutti gli altri abitanti del villaggio sono descritti nei gesti e nelle parole ma non vengono mai spiegati nei loro moventi psicologici.

Il Gesualdo ha invece al centro una figura di protagonista, che si stacca nettamente dallo sfondo popolato di figure. E' infatti la storia di un individuo eccezionale, della sua ascesa e della sua caduta. La narrazione si focalizza su di lui. Il punto di osservazione dei fatti coincide con la sua visione. Lo strumento di questa focalizzazione è il discorso indiretto libero, mediante cui sono riportati i pensieri del protagonista.

Inoltre nel Gesualdo scompare la bipolarità tra personaggi depositari dei valori e rappresentanti della legge della lotta per la vita, che caratterizzava Malavoglia. Il conflitto tra i due poli passa dentro un unico personaggio. Pur dedicando tutta la sua vita e tutte le sue energie alla conquista della "roba", Gesualdo conserva in sé un bisogno di relazioni umane autentiche: ha il culto della famiglia, rispetta il padre e aiuta i fratelli, ama la moglie e la figlia, è generoso con gli altri: Ma non arriva mai fino in fondo a praticare i valori. Gli impulsi generosi e i bisogni affettivi sono sempre soverchiati dall'interesse, dal calcolo cinico, dal gesto privo di scrupoli. La roba è il fine primario della sua esistenza, e ciò lo porta ad essere disumano, come quando sfrutta senza pietà i suoi lavoranti, o quando rinuncia a Diodata, che lo ama, per sposare Bianca Trao, che può aprirli le porte della società aristocratica. Il pessimismo di Verga è diventato assoluto, nel quadro desolato della lotta per la vita non ci sono più personaggi positivi.

Il frutto della scelta di Gesualdo in favore della logica della "roba" è totale sconfitta umana. Gesualdo è delusi nelle sue aspirazioni a relazioni umane autentiche: il padre invidia la sua fortuna e nutre rancore per lui, tanto da voltargli le spalle persino sul letto di morte; i fratelli mirano solo a depredarlo delle sue ricchezze; la moglie non lo ama e lo tiene lontano con freddezza; la figlia, che non è sua, si vergogna di lui e gli è estranea; i figli naturali avuti da Diodata lo odiano; tutto il paese lo odia e lo invidia. Dalla lotta per la roba Gesualdo ha ricavato solo odi o, amarezza e dolore; sinché questo frutto amaro si somatizza nel cancro allo stomaco, che lo corrode e lo porta alla morte. E proprio perché conserva in se un'esigenza di affetti autentici e di moti generosi, può assumere coscienza del totale fallimento della sua esistenza.

Lo scrittore presenta l'accanimento del suo eroe nell'accumulare ricchezze in una luce critica e negativa, ma senza adottare un atteggiamento moralistico. La "religione della roba" è di Gesualdo, non di Verga. L'autore riconosce quanto di eroico vi è nello sforzo di Gesualdo che dimostra ferrea volontà, capacità di sacrificio personale, vivida intelligenza nel progettare, calcolare, provvedere, decidere. Però Verga rappresenta soprattutto il rovescio negativo di tutto ciò: L'alienazione nella "roba", la durezza disumana le sofferenze provocare, l'insensamento di una fatica che attira solo odio e dolore, e ha come unico sbocco la morte. La lotta per la ricchezza ha come fine il fallimento esistenziale. Gesualdo è un vincitore materialmente, ma è un vinto sul piano umano.

Nella ricostruzione della vita italiana moderna perseguita con suo ciclo romanzesco, Verga, dopo il mondo arcaico della campagna messo in crisi dal progresso, rappresenta Gesualdo, proprio un eroe tipico di quel progresso, che si costruisce in se il suo destino, un eroe dell'intraprendenza. Nella sua onestà rigorosa, mette in evidenza anche quanto vi è di grande in questa figura moderna: ma il suo giudizio sul meccanismo del progresso è negativo, come lo era nei Malavoglia. Nel suo pessimismo riconosce che il progresso che porta alla modernità è inevitabile, fatale e necessario; non indica alternative alla sua negatività, rifugiandosi nella nostalgia di un passato precapitalistico mitizzato: si limita as analizzare ciò che è dato, con occhio fermo e lucido.


L'ultimo Verga


Dopo il Gesualdo, Verga lavora al terzo romanzo del ciclo " La duchessa de Leyra", ma il romanzo non sarà mai portato a compimento. Tra le ragioni dell'interruzione accanto all'inaridimento dell'ispirazione e alla stanchezza dello scrittore ormai vecchio, va annoverata la difficoltà di affrontare col metodo prescelto gli ambienti dell'alta società e le psicologie complesse e raffinate, e infine lo stesso logoramento dei moduli veristi, sostituiti tra la fine Ottocento e i primi Novecento dalla narrativa di D'Annunzio e Fogazzaro, che si occupava dei problemi psicologici di personaggi di classi elevare, ma da una prospettiva opposta a quella verista.

Dal 1893 Verga torna a vivere a Catania. Pubblica ancora raccolte di novelle, rielaborazione di racconti più antichi, lavora per il teatro, facendo rappresentare " Dal tuo al mio", dramma incentrato su uno sciopero di zolfatari e sulla figura di un operaio che, sposata la figlia del padrone, tradisce i suoi compagni in sciopero per difendere i suoi interessi.

Dopo il 1903 lo scrittore si chiude in un silenzio totale. La sua vita è dedicata alla cura delle sue proprietà agricole, ed è ossessionata dalle preoccupazioni economiche. Muore nel gennaio 1922.


Conclusioni: perché ho scelto Giovanni Verga


Nella prefazione di "Dal tuo al mio" Verga scrive: " Se il teatro e la novella, col descrivere la vita qual è, compiono una missione umanitaria, io ho fatto la mia parte in prò degli umili e dei diseredati ". La particolarità che mi ha portato a scegliere Verga, tra tutti gli scrittori del Novecento, è il significato sociale delle sue opere che, secondo l'autore, non deriva dalle sue personali opinioni ed intenzioni, ma scaturisce spontaneamente dalla rappresentazione schietta ed oggettiva della vita qual è. La vita nella sua terra, la Sicilia; non di una Sicilia mitica e leggendaria, ma della terra in cui viveva quella popolazione di derelitti, dei quali egli aveva imparato a sentire le chiuse sofferenze. E questo è il secondo motivo per cui ho scelto questo autore: il ripudio aperto e radicale della vita elegante e salottiera. Insomma Verga ha promosso, a mio avviso, una sorta di rivoluzione letteraria. In che modo? Facendo insorgere gli umili, accordando ai poveri diavoli il diritto di cittadinanza nell'arte, svelandone pene, angosce, cuore dolorante, aspro sapore umano.

Ma c'è di più. Gli umili non inveiscono. Si accontentano di vivere. Godono le loro gioie effimere e fugaci, patiscono le loro durevoli sofferenze. Eppure la loro presenza, da sola, è una denuncia; la loro vita, nuda, è un'accusa. A Verga è bastato ritrarre la vita dei poveri diavoli nella schietta verità per rappresentare sotto gli occhi di tutti il dramma dell'ineguaglianza sociale.

Nei Malavoglia sono descritti i rancori, l pene, le miserie, le speranze, le lacrime di un intero villaggio di pescatori. Povera gente che tribola, sempre pericolante sull'orlo della sventura e della fame. E' la visione di un mondo triste e desolato, in cui gli uomini si dibattono vanamente, condannati, come sembrano, all'eterno, senza speranza di redenzione.

Sembra un mondo piccolo e rinchiuso in se stesso, eppure la sua tragedia è nella relazione con un mondo grande che lo sovrasta: il mondo delle leggi, dello stato, del progresso. L'ingranaggio di una macchina invisibile che prende e travolge l'essere umano.

Mutati i costumi e mutate le situazioni, la gente dei Malavoglia è la stessa nelle altre opere del Verga. Una misera umanità di afflitti, umiliati, offesi, senza aurora di riscatto. Un'esistenza dominata dalle ferree leggi della miseria, da cui non è possibile evadere. Se talvolta qualcuno se ne distacca perché desidera di meglio, il mondo, da quel pesce vorace che è, se lo ingoia.

E' il caso di 'Ntoni dei Malavoglia. E se qualcuno, più astuto e più tenace, riesce a impadronirsi del gioco delle leggi economiche e a salire al rango dei dominatori, anche quella vittoria è effimera e si risolve in una tragica sconfitta. E' il caso di Mastro Don Gesualdo, che da umile manovale quale era, giunge a competere coi pezzi grossi del paese e quasi a dominarli. Ma quegli interessi minacciati si coalizzano contro di lui. Muore lontano dal paese, consapevole della sua sconfitta.

I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo contengono la più alta protesta del Verga, la più completa denuncia, il più vasto fremito d'indignazione.

L'arte del Verga è speciale proprio perché si risolve in una difesa dei derelitti e in un atto d'accusa contro le cause della miseria: la commossa scoperta del mondo degli umiliati e degli offesi è la conquista della sua vita.




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