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Tucidide - La vita, Le Storie, La metodologia di Tucidide

greco



Tucidide

Tucidide è il secondo grande storico dell'età classica, e con lui il genere storiografico arriva alla maturità. Come Erodoto era "pater historiae" nella definizione ciceroniana, così Tucidide è padre della storiografia moderna. Differisce la loro concezione della Storia: se in Erodoto predominavano le cause trascendenti, tutta la dimensione metafisica in Tucidide scompare; la sua vis 525g63f ione è razionale e disincantata. L'unico fattore esterno alla realtà umana ammesso è la tuvch (il destino). Lo storico interpreta tutto in modo oggettivo, è profondamente moderno e notevole per il suo atteggiamento, considerato il contesto storico.

La guerra del Peloponneso, che cade con una forza incredibile nelle coscienze e cambia radicalmente la mentalità, si pone tra lo storico di Alicarnasso e Tucidide. L'insieme compatto delle forze greche che aveva ottenuto il successo nelle guerre persiane inizia a scricchiolare sino alla reciproca distruzione di Atene e Sparta.

Crolla anche la fiducia negli dei: la nuova generazione è più disincantata e preferisce concentrarsi sul rapporto tra uomo e uomo piuttosto che tra l'uomo e la divinità. E' la stessa differenza che separa Eschilo e Sofocle da Euripide. La visione della vita propria della seconda metà del V secolo a.C. è antropocentrica: emerge l'uomo in tutte le discipline e le arti (si pensi a Fidia nella scultura o ad Ippocrate nella medicina) come essere razionale. Una civiltà giunge alla maturità.

La guerra, dolorosissima, ha abbattuto gli ideali di uguaglianza e fratellanza svelando l'arroganza insita alla natura umana.



La vita

Tucidide nasce ad Atene attorno al 460 a.C. e trascorse gran parte della vita in Tracia, e morì attorno al 409. La sua famiglia aveva ricevuto l'incarico di occuparsi dell'estrazione d'oro in Tracia. Durante la guerra fu stratego di una piccola flotta che doveva difendere le coste tracie, il generale spartano Brasida lo attaccò e sconfisse, facendolo cadere in disgrazia presso il governo centrale ateniese. Morì in circostanze oscure, probabilmente di morte violenta.

Le Storie

Constano di otto libri, che trattano esclusivamente la guerra del Peloponneso, che è considerata dallo storico una di quelle fondamentali della storia greca e capta tutta la sua attenzione. Dopo questo conflitto la democrazia non sarà più la stessa, e le povleiı si indeboliranno sino a cadere presto sotto il dominio macedone. Nell'età classica greca risiedono le radici della nostra civiltà, sia a livello politico che culturale.

Parallelamente al cambio di argomento, rispetto all'opera erodotea, vi è anche una cambio di finalità. L'intento di Erodoto è celebrativo della superiorità ateniese, quello di Tucidide è didascalico: vuole insegnare che violenza chiama violenza, che la guerra tra città sorelle porta alla distruzione, vuole ammonire a non ripetere l'errore.

La storiografia di Tucidide non è ingenua ma tragica, nonostante la prosa sia molto trattenuta, il racconto è pervaso da un'atmosfera cupa che lascia presagire i più funesti esiti. La prosa tucididea è scarna, il tono neutrale. Il distacco gli è riuscito solo in parte: si percepisce la sofferenza dell'autore, la stessa nudità della narrazione suggerisce questo senso di amarezza.


Argomento delle Storie

Il I libro si articola in tre nuclei: si apre con l'archeologia, una digressione sulla storia greca a partire dalle origini, segue la premessa metodologica (cap. 20-22) che spiega i criteri seguiti nella narrazione storiografica -anche questo ci attesta la sua modernità-, infine vi è l'antefatto, che descrive dettagliatamente i cinquant'anni intercorsi tra le guerre persiane ed il conflitto peloponnesiaco.

Il II libro narra in primi tre anni di guerra (431-28 a.C.); è celeberrimo il discorso di Pericle per i caduti del primo anno. Tucidide fa proclamare allo stratega le caratteristiche della democrazia. E' celebre la narrazione della peste di Atene, che sarà un modello per Lucrezio, ma anche per Manzoni.

Il III libro tratta i successivi tre anni, con la narrazione dei fatti di Corcira, una città alleata di Atene, in cui c'era una fazione oligarchica e filo-spartana che subì una terribile rappresaglia dalla parte democratica. Tucidide critica aspramente la brutalità della guerra che contrapponeva abitanti della stessa città, quando, invece, sino a dieci anni prima il rispetto della libertà e diversità d'opinione era il vanto del mondo ellenico.

Il V libro narra i fatti di Melo, un'isola che intendeva essere neutrale, ma a cui Atene non lo permise e che punì con un'orrenda strage: è una contraddizione estrema, tangibile e violenta alla democrazia di cui era gloriosa. Ormai vigeva la legge del più forte: in breve erano stati negati tutti gli ideali di cui i greci parevano intrisi.

Il VII e VIII libro narrano la spedizione di Alcibiade in Sicilia, che si svolse sotto il cattivo auspicio della mutilazione delle Erme.


La metodologia di Tucidide

Enuncia i principi basilari del suo metodo:

-analisi rigorosissima delle fonti, che seleziona solo tra quelle oggettivamente verificabili;

-non riporta più versioni dello stesso fatto ma solo ciò che sa essere veramente successo. I testimoni devono essere attendibili, e sta attento all'euvnoia, la loro simpatia per le persone coinvolte nei fatti narrati. Sta attento a che le opinioni non siano state viziate dall'euvnoia. Parola chiave è akrivbeia (precisione).

Ricorre ai discorsi, una sorta di metodologia di ricerca del vero. Non potendo essere stato testimone di tali discorsi li ricostruisce sulla loro verosimiglianza. Evita così di intervenire direttamente nella narrazione: la sua interpretazione emerge dai discorsi stessi.

Tutti i fatti sono correlati dal principio di causalità. Distingue una causa prima provfasiı alhqestavth, a cause secondarie, aitivai

Anche per Tucidide possiamo individuare un mondo concettuale ed etico: considera solo le cause immanenti, fatti avvenuti nel reale che è retto da leggi autonome completamente svincolate dalla trascendenza. I fatti si spiegano da se stessi, con altri fatti; gli dei sono totalmente esclusi da questa visione.

Le cause immanenti sono bipartite in caratteristiche dell'animo umano e fatti politici.

Per la natura umana usa fuvsiı e tov anqrovpinon, la natura umana muove la Storia (è come Euripide), tutta la sua attenzione di storico è dedicata all'analisi dell'umanità, della quale non sviscera i sentimenti ma le passioni politiche. L'uomo è una creatura tendente alla sopraffazione, all'arroganza, alla smania di potere; predomina la legge del più forte, come è chiaro da innumerevoli esempi della Guerra del Peloponneso. E' una visione profondamente pessimistica.

La guerra è un orrore che fa emergere gli aspetti peggiori e più brutali dell'uomo, ne è un esempio Alcibiade, che spezza la pace di Nicia per ambizione: è stolto e sconsiderato.

La tuvch può sconvolgere le azioni umane.

Emerge la visione della Storia come kth~ma eı aievi (possesso per l'eternità), significa che l'uomo studiando sul campo e spassionatamente i fatti se ne può servire per prevedere gli sviluppi futuri. Non è tuttavia una visione moralistica (come l'historia magistra vitae di Cicerone) ma semplicemente si attiene ai fatti.




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