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ADAM SMITH - INDAGINE SULLA NATURA E LE CAUSE DELLA RICCHEZZA DELLE NAZIONI (SAGGI).

economia




ADAM SMITH

INDAGINE SULLA NATURA E LE CAUSE DELLA

RICCHEZZA DELLE NAZIONI

(SAGGI).


Introduzione e piano dell'opera.

In ultima analisi il perso e la misura per misurare il benessere di una nazione è il rapporto tra due elementi, persone produttive rapportate a quelle improduttive che ad esso devono la sussistenza, ed implicitamente anche alla destrezza dei lavoratori produttivi, questi elementi comunque devono essere analizzati sempre in funzione di un determinato e cristallizzato momento del progresso tecnologico.


E' importante vedere come queste variabili fondamentali della società, considerandole costanti, hanno effetti diversi se visti in economie di società primitive ovvero di società civili.

Prendendo una tribù che vive di caccia, non sempre, i lavoratori produttivi riescono a mantenere i familiari troppo deboli per la caccia, per cui spesso li lascia morire per sopravvivere egli stesso, mentre nella società civile, pure essendo il rapporto lavoratore produttivo, familiari a suo carico uguale o minore, queste barbarie non avvengono.




Libro primo: delle cause del progresso nelle capacità produttive del lavoro, e dell'ordine secondo cui il prodotto viene naturalmente a distribuirsi tra i diversi ceti della popolazione.


I.     Della divisione del lavoro.


La causa principale del progresso nella capacità produttiva sembra attribuibile alla divisione del lavoro.

Questo fenomeno è osservabile in piccole manifatture perché tutti i processi si fanno negli stessi stabili, situazione non vera in grandi complessi manifatturieri.

In linea generale è da osservare che non è possibile la divisione del lavoro per tutti i mestieri, ma solo in quelli la cui produttività no è legata a fattori esogeni alla manifattura, dunque i coltivatori saranno sempre dedichi a più fasi dello stesso ciclo produttivo, anche perché altrimenti per determinati periodi dell'anno resterebbero senza lavoro.

Si osserva in fine che in paesi dove è stata adottata la specializzazione del lavoro, la società è più progredita, ed il fatto che in questi paesi anche l'agricoltura sia più produttiva, non è come già detto frutto della specializzazione, ma della maggiore ricchezza per cui ci sono più massicci investimenti.


L'analisi della divisione del lavoro e della sua produttività è stata fatta in una piccola manifattura osservando il facere degli spillettai, il processo tecnico produttivo era diviso in 18 fasi, e così si producono mediamente 14 libbre giornaliere di spilli, ogni libbra è fatta 4000 spilli di media grandezza.

L'aumento della produttività derivante dalla divisione del lavoro è riconducibile a tra fattori:

la maggiore destrezza che acquista chi abitualmente compie la stessa operazione, e svolgendola per tutta una vita non possono che aversi delle scale positive di produttività

all'eliminazione del tempo che si dissipa dal passare da un'attività all'altra

alle macchine che aiutano l'uomo


Le macchine in particolare devono considerarsi frutto della divisione del lavoro, infatti gli operai che sempre svolgono lo stesso lavoro, la stessa operazione, meglio possono osservare e schematizzare il processo produttivo e dunque concettualizzare macchine che aiutino a fare il loro lavoro, anche perché l'uomo comunque rifiuta di lavorare, infatti l'invenzione che modificò la macchina a vapore rendendo automatica nella comunicazione tra cilindro e camera ardente fu di un ragazzo d che preferiva divertirsi anziché lavorare e pensò di legare il pistone al manubrio di apertura del diaframma in modo che ci fosse un rudimento di automazione.


Però non sempre i perfezionamenti ai macchinari vengono da operai, ma anche da persone che hanno costruito le macchine e si sono dunque specializzate, oppure dai filosofi che hanno la capacità di osservazione n di fenomeni ai più lontanissimi tra loro, ma che invece riescono a trovare il nesso, e tanto più la società si civilizza tanto più i filosofi hanno da osservare, fin quando sentono loro la necessità di specializzarsi vista l'immensità delle cose tra loro difformi talmente da essere destinati a scopi completamente diversi.

Questo processo porta al benessere diffuso in tutte le classi sociali, anche gli operai dando poco della loro giornata hanno reso servizi alla maggiore parte dei lavoratoti produttivi ed improduttivi, e dietro ogni opera produttiva, anche la più banale, come ad esempio un manto di lana grezzo, ha dietro lavoro di infinite persone, centinaia di persone , così anche da avvicinare l'impiego di persone produttive che servono agli abiti di un poveraccio con quelle serventi per l'abito di un ricco signore, cosa che non accade certamente nei villaggi primitivi dell'Africa dove il Sovrano è indossato di vesti prestigiose e lussuose ed i suoi sudditi sono nudi.

II.       Del principio che dà origine alla divisione del lavoro.


La divisione del lavoro non nasce certamente dalla consapevolezza dei vantaggi che avrebbero portato, ma dall'inclinazione dell'uomo al baratto ed allo scambio, al sinallagmatismo che regna nella società umana, infatti nel regno animale potrebbe farsi la differenza tra bestie dello stesso tipo, i cani ad esempio, ma di razza diverse con le relative peculiarità , come nella società umana l'uomo è diviso e specializzato in cose diverse.

Però nel mondo dei cani, il levriero veloce mai utilizzerà la forza del mastino o viceversa, mentre tra gli uomini anche il filosofo fine e garbato, potrà utilizzare i servizi del rozzo facchino, e viceversa.

Dunque in ultima analisi la specializzazione è frutto del baratto, dalla convenienza di specializzarsi per dare in baratto un unico prodotto.


III.     La divisione del lavoro è limitata dall'ampiezza del mercato.


Visto che la causa principe della divisione del lavoro è la possibilità di scambiare il sovrappiù, il processo di specializzazione si dovrebbe bloccare quando il mercato è saturo, d'altronde non ci sarà specializzazione nelle Highlander scozzesi, ogni famiglia di questo paesaggio saprà tante faccende che in una città sarebbero invece divise tra tanti lavoratori specializzati, di convesso le specializzazioni hanno senso di esistere solo nelle città, anche le più umili quali il facchino.

La divisione comunque grazie allo sviluppo via acqua continua pure quando il mercato è saturo, infatti questa tecnica di commercio ha il vantaggio di un'enorme vantaggio economico verso il trasporto terrestre, poiché a pari di persone impegnate, la capacità di trasporto di una nave è infinitamente più grande di quella di una commenda di carovane, e proprio questo fenomeno fa si che possa allargarsi anche il mercato di prodotti poveri e voluminosi o almeno poveri relativamente come frumento ed latri prodotti agricoli.


[.] III. Delle restrizioni all'importazione dei paesi stranieri di quelle merci che possono essere prodotte nel paese.


Restringendo con proibizione o alti dazi l'importazione, si assicura un mercato per le merci indigene.

Questo è quanto è accaduto colle carni ed i panni.

E' evidente il vantaggio che ne viene alla produzione interna, si incentiva cosi' ad investire in quel settore anziché l'altro, però non è detto e dimostrato che questa politica porti all'aumento generale della produttività.

A tale scopo bisogna considerare che ogni detentore di fondo finanziario, non può certo assumere più salariati di quanto possa permettersi col fondo in suo possesso, e questo ricondotto su scala nazionale permette di dimostrare che a prescindere dalla politica nazionale del commercio, con un fondo dato, il numero degli impiegati nel ciclo produttivo non varia nella quantità, ma solo nella distribuzione nei vari settori.

In effetti ogni individuo cerca sempre di impiegare il capitale proprio nel modo più vantaggioso, le proibizioni sono per essi solo modi più semplici per trovare la via giusta, e che certo questo capitalisti non cercano il bene della società, ma sono mossi dall'egoismo, è solo una conseguenza che investono in patria, infatti se all'estero avrebbero gli stessi profitti, o poco più, loro sempre saranno incentivati a rimanere a casa propria, di mangiare in casa propria, dio conseguenza di fare mangiare più suoi concittadini.

Il prodotto dell'attività produttiva è quanto in più nei valori si aggiunge alla materia lavorata.

Il reddito annuo di ogni società è sempre uguale alla somma del lavoro del capitalista, e questo è vero si che arricchisce il paese, ma sempre a scopi egoistici, di certo lui non fa commercio per lo Stato, anche se i suoi guadagni vanno poi a misurarsi nell'economia nazionale con metri pubblicistici, termine antitetico al guadagno egoistico personale.

E nemmeno un commerciante che dice di lavorare per lo stato potrebbe guadagnare tanto quanto un capitalista che lavora per fama propria.


Quando si mette il monopolio su un bene, significa che il legislatore vuole indirizzare l'attività privata in un canale pubblico, togliendo investimenti a nuovi campi, magari nuovi e più redditizi, poi, visto che il monopolio è necessario solo quando non si riesce a produrre ad un costo minore di altri paesi, significa che per altri motivi, certamente non legislativi, in patria non si ha efficienza nel produrre il bene oggetto delle restrizioni, in altre parole non si è specializzati in Nazione a quel tipo particolare di produzione.
A questo punto i risultati sono che si è tolto l'incentivo ad investire nel nuovo e si frena la specializzazione di ogni paese, tornando verso in questo modo ad uno stadio certamente più primitivo di quello in cui si sarebbe andati senza canalizzare i fondi privati.


Queste agevolazioni poi sono vantaggiose solo per i commercianti ed i manifatturieri in quanto incide in modo vantaggiosissimo il rapporto prezzo/spazio per il trasporto del bene, facendo si che sia notevole vantaggio e ricavo da ogni missione di trasporto per via acqua, cosa che è invece impossibile per il bestiame, l'unico caso in cui il trasporto via terra è più vantaggioso.


Bisogna ammettere però della corretta protezione in due casi.

Il primo è la necessità di difendere la flotta inglese, poiché commutabile quella mercantile in militare, in modo da permettere scambio da e per l'Inghilterra solo alle navi Inglesi e cioè con capitano, armatore e tre quarti dell'equipaggio inglesi, oppure con navi della flotta del paese produttore, pena la confisca dei beni trasportati e della navi, questo per permettere di escludere l'Olanda, vettore unico europeo dal commercio, e farla così indebolire.


Allora la saggezza dell'Atto di navigazione deve essere vista non nella prospettiva commerciale, ma in quella della difesa della nazione.


Altro caso in cui è permesso un imposta di entrata di beni prodotti fuori dalla patria, e perché avrebbe effetto neutro, è quando gli stessi beni prodotti in casa sono assoggettati ad imposte.

A ben vedere le imposte sui beni di prima necessità hanno poi sul paese le stesse conseguenze di una carestia sul terreno.

Poi le imposte della fattispecie, sempre hanno un duplice risvolto tanto da neutralizzarsi, e cioè aumentando i prezzi delle cose necessarie, devono aumentare anche i salari di sussistenza degli operai, in modo che il capitalista che potrebbe giovarsi della legge per vedere aprirsi il mercato, comunque e per forza di logica economico, perde i vantaggi riversandoli nei costi di produzione.



La RICCHEZZA DELLE NAZIONI

LIBRO II.


Introduzione.


La differenza tra la società rozza e quella civile è proprio nella divisione del lavoro.

Nella società primitiva ogni individuo fa un numero indefinito di attività, bada a se stesso in ogni campo della vita, non soddisfa preventivamente i bisogni di cui potrebbe avere bisogno , non c'è bisogno di accumulazione preventiva del fondo .

Invece nella società civile, frutto della specializzazione, ogni individuo si specializza in un ambito lavorativo prima, poi man mano in un processo della produzione, divenendo sempre più bravo e veloce a compiere l'operazione assegnatagli.

In questo contesto ogni uomo avrà bisogno degli altri per riuscire a vivere, ma nel mentre si specializza , deve usufruire di altro suo fondo o di altre persone che permettano lui di mantenersi e di immobilizzare la propria attività.

Il capitalista che dà fondi ed anticipa il capitale salario, cerca in ogni modo di avere il massimo ritorno dalle sue anticipazioni, cosa che si avrà colla spinta alla specializzazione, i profitti del capitalisti da questo fenomeno generati poi saranno impiegati per acquisire nuove unità produttive, oppure per modernizzare gli impianti con macchinari magari studiati dagli stessi operai per i motivi già prima spiegati.


IV.     Dell'accumulazione del capitale, ovvero del lavoro produttivo ed improduttivo.


Ci sono fondamentalmente due tipi di lavoro.

Uno che aggiunge valore alla materia lavorata, 848j98i e sarà questo l valore produttivo, l'altro che non aggiunge nessun valore, uno che invece non ha questo effetto.

Il manifatturiere aggiunge al valore della materia che lavora anche quello del suo mantenimento ed i profitti capitalistici, mentre il lavoro di un domestico non di certo aggiunge alcun tipo di valore.

Il salario che anticipa il capitalista al manifatturiere per il suo mantenimento, infine ha poi sui suoi fondi un effetto neutro, perché e si vero che viene anticipato, ma poi viene reintegrato sul prezzo col prezzo di vendita del manufatto.

A questo punto pare evidente pure l'effetto che i due tipi di lavoro hanno sul loro dante causa.

Un uomo infatti che paga tanti operai diverrà certamente ricco, al contrario un uomo che paga tanti domestici è destinato ad andare in miseria.

Il motivo è che l'effetto del valore aggiunto alla materia col processo produttivo è destinato a perdurare e comandare altro lavoro, mentre il lavoro del domestico, mancando anche la materia da avvalorarsi, perde gli effetti nel momento stesso che vengono compiuti.


Anche persone illustri e venerabili della nostra società svolgono un lavoro di tipo improduttivo, come il sovrano e le altra alte cariche, certo è indispensabile il loro lavoro, vedi ad esempio la difesa, ma hanno effetto e consumo immediato, non restano in un prodotto che potrebbe in futuro essere rimunerato.

Dunque v'è ora da dire che la produzione deve scindersi in due componenti, una reintegrante il capitale investito, da potersi dunque considerare neutra, l'altra che è di tipo reddituale ed è rappresentata dagli interessi, o la rendita terriera.






Critiche attorno alla "TEORIA GENERALE DELL'OCCUPAZIONE, DELL'INTERESSE E DELLA MONETA"(1936) J.M. Keynes.

Capitolo XIIILa teoria generale del saggio di interesse.


L'efficienza marginale del capitale governa le condizioni alle quali i fondi disponibili vengono domandati per eseguire nuovi investimenti, invece il saggio d'interesse condiziona le modalità dell'offerta corrente dei fondi.


Il saggio d'interesse potrebbe per essere beve inteso così essere definito:


,

dove è evidente la correlazione biunivoca e la proporzionalità diretta tra e' che rappresenta l'efficienza marginale del capitale ed R che è elemento soggettivo se non proprio individuale di un certo ceto che rappresenta la propensione a correre dei rischi ed a risparmiare.


A prima vista, allora potrebbe sembrare che quest'equazione funzionale sia sufficiente, correttamente utilizzata, a determinare la ragione d'interesse essendo a conoscenza dell'efficienza marginale e della propensione psicologica al risparmio, ma in realtà questi due elementi nemmeno lontanamente ci permettono di determinare il saggio equilibrante.


Keynes, a questo punto nota che la propensione psicologica non è elemento primitivo nella determinazione della ragione d'interesse, ma è coefficiente composto da due parti, cioè :

i-     Propensione al consumo, che è elemento che si può determinare in due maniere, una in presenza di un mercato sviluppato nel genere per cui con servizi (bancari, finanziari, assicurativi) che possono aiutare alla scelta, l'altra in assenza di questi requisiti ove la scelta verrà presa in base alle memorie ed alle esperienze del potenziale risparmiatore.

ii-       La qualità con cui si conserverà quanto deciso di risparmiare, in pratica il coefficiente di liquidità a cui si vogliono assoggettare i risparmi.


E' da notare la diversità delle due componenti costituenti la R, la prima infatti è di tipo diacronica, mentre l'altra ha bisogno di decisioni in ragione di accadimenti sempre prossimi, ha bisogno dell'analisi sotto forma di cross section dei dati.


Fino ad ora, storicamente parlando, s'è cercata la spiegazione del saggio di interesse nella prima, cioè nell'astinenza del denaro per un periodo di tempo, mentre in realtà ed è più

che evidente il saggio d'interesse è la ricompensa alla rinuncia della disponibilità immediata, non è infatti maggiore l'interesse per la rinuncia più lunga ?

A questo punto pare ovvio che il saggio d'interesse misura la disponibilità a mantenere o meno liquide determinate somme, ad immobilizzarle o meno, è il prezzo equilibrante il bisogno di liquidità, per cui se fosse basso (analisi sincronica), il danaro che vorrebbe conservare liquido il pubblico risparmiatore sarebbe in sovrappiù rispetto a quello concretamente in circolazione, di convesso se aumentasse il saggio d'interesse, nessuno più richiederebbe danaro liquido se non per la soddisfazione dei bisogni primari e perlopiù immediati.

Ecco che viene naturalmente un'altra variabile dell'analisi, la q.tà di moneta in un determinato lasso temporale.


Osservando la relazione :



M=L(r) ,

Dove:

M = q.tà moneta

L = legge di preferenza della liquidità,

r   = il saggio d'interesse,


abbiamo tutte le condizioni necessarie allo schema economico della quantità di moneta, ma fino ad ora ancora però non si è giustificata la relazione di Keynes riguardante la preferenza di liquidità, ed ora l'economista ci spiega della differenza tra moneta servente alla quotidianità e moneta servente come fondo di ricchezza e di nuovi investimenti, per cui sembra ovvio sacrificare potenziali interessi per i primi tipi di utilizzo della moneta, l'utilizzo immediato, mentre per i secondi usi servirebbero sempre i risparmi in forma capitalizzata.

Perché dunque, visto che mai sarà negativo il saggio d'interesse, non tutti capitalizzano ?.

Questo per due motivi:

I)   per potere immobilizzare risparmi occorrono liquidità per usi immediati, altri capitali mediamente vincolati tipo c/c bancari e postali, investimenti garantiti a pochi mesi, ed ancora una notevole somma da immobilizzare a lungo, per cui è evidente che l'utenza si riduce a determinate classi .

II)      potrebbero essere più invitanti altre forme di investimento, rischiare in capitale anziché nel debito.


Il tutto perché non è possibile a partire dai tassi d'interesse correnti pianificare quali saranno i futuri.


LA preferenza della liquidità dipende allora da:


bisogno di denaro per bisogni immediati

movente precauzionale

movente speculativo


Il movente precauzionale, è strettamente legato alla trasparenza dei mercati, infatti se questo è organizzato secondo i criteri di Jevons, più persone saranno disposte ad entrarvi.


Capitolo XXIII. Note sul mercantilismo, le leggi sull'usura, la moneta stampigliata e le teorie del sottoconsumo.


Pure volendo trovare difetti al mercantilismo oppure al libero scambio, due accezioni dello stesso fenomeno, vi è da dire che l'opinione opposte della politica economica, quella protezionistica anche se in improbabilmente, potrebbe risolvere alcuni problemi interni, ma senza dubbio mai potrebbe eliminare quelli inerenti la disoccupazione.


Quando la grandezza economica di un paese va ad aumentare cin ritmi sostenuti, tale crescita può improvvisamente essere interrotta dall'insufficienza di nuovi investimenti.

Dunque è difficile pensare l'evolversi di ricchezza economica di un paese di culturaa e con contesti sociali non incoraggianti gli investimenti.

Le novazioni negli investimenti devono essere sia interni che esterni, e solo questa somma, quella dell'investmento complessivo può essere da metr per l'efficienza del paese.

Qualora tutti gli investiemnti siano mirati al profitto immediato, quello del ciclo d, d', il movente sarà per gli investimenti interni il saggio d'interesse, per quelli esterni la dimensione e la pendenza della bilancia commerciale, e questi saranno allora anche gli elementi su cui vigilerà il governo.


A questo punto se l'unità di salario è stabile, se lo stato di preferenza della liquidità è anch'esso stabile come pure le convenzioni bancarie, allora il saggio d'interessi sarà dipendente dai prezioni in camera.

Alle politiche di investimento per l'avanzo del saldo attivo della bilancia commerciale, ci sono due limiti.


FORDISMO: APPLICAZIONE PRATICA DEL TAYLORISMO?


Il pensiero di Ford.


Ford è un personaggio il cui profilo è incerto e controverso alquanto ambiguo e di doppia personalità.

E' però stato un elemento indispensabile al progresso, il padre dell'automobile non considerava l'industria quale mezzo per arricchissi, ma mezzo per l'umanità, per rendere un servizio di produzione di pubblica utilità.

Il sistema rivoluzionario di Ford per la costruzione delle automobili di massa era statagli suggerita dal macello di Chicago, in pratica consisteva di fare scorrere i pezzi su binari o carrelli ed ogni operaio doveva così solo compiere pochi ed elementari operazioni d'assemblaggio.

La produzione non per il proprio guadagno ma per il consumo comportava che il bene prodotto doveva avere un prezzo abbordabile a tutti.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario massificare la produzione, utilizzare buone maestranze e l'utilizzo dell'ingegneria moderna più semplice che possa esserci.

Ford vuole costruire l'auto del popolo, grande tanto per portare tutta la famiglia a svagarsi negli ampi spazi offerti da Dio, ma piccola per far si che un solo uomo possa condurla e mantenerla.


Ford dice pure che il modo più rapido per fare i soldi è quello di utilizzarli per rendere ancora di più al pubblico, il modo più difficile per farne, di contro, è quello di utilizzarli per proprio vanto, così come Edison utilizzava i soldi per fare altri esperimento e non per il proprio profitto.

Per vendere le automobili serve comunque un benessere generale del paese, tale benessere deriva dagli alti salari, e così facendo i capitalisti creano anche il mercato per la loro produzione.


Per Ford alto salario vuole quasi significare salario normale, normale in confronto a quanto il buon lavoratore produce, comunque è difficile questa interpretazione in quanto è si facile determinare quanto debba un lavoratore rendere in fabbrica, però è difficile definire quanto salario debba essere restituito per il lavoro dato.

Il calcolo di Ford per il salario era circa il 15% più alto dei salari correnti, poi dopo venivano anche resi agli operai una partecipazione agli utili., però oltre ad essere ligio al suo dovere in fabbrica l'operai fordista doveva pure essere pulito decente ed ordinato, lui e la sua famiglia, e per fare questo vi erano degli ispettori igienici della Ford.


Secondo Gramsci allora, il maggiore salario doveva anche essere investito nella persona e nelle sua abitudini decenti , ed allora contro ogni forma di devianza, sia essa alcool, droga o cattive abitudini sessuali.


Per Ford erano essenziali questi aspetti, e poi l'altro punto dopo aver ben remunerato gli operai era quello del prezzo basso, che si determinava stimando il numero di persone che a quel determinato prezzo avrebbero acquistato quel bene, ed una volta determinato il prezzo in modo che fosse lato il numero di clienti, per mezzo della produzione di massa si sarebbero abbassati i costi e creare così un guadagno piccolo su molti beni, politica antitetica a quella del tempo .


Ala massima di Ford che questi mette in luce il suo fanatismo è quello di non avere paure dei fallimenti futuri se questi derivano dall'onesto lavoro del ieri .

Pure riteneva fosse sbagliato il modo di fare guadagno comprando a poco e rivendendo a caro prezzo.


Le ossessioni di Ford sono quelle dell'espandersi delle grandi città che avrebbero portato alcolismo e prostituzione, era fanaticamente attaccato alla sua proprietà ed odiava il management.

Ford e Taylor: Analogie e differenze.


Ford viene considerato come successore e perfezionatore della teoria di Taylor riguardante la scomposizione del lavoro operaio in operazioni semplici, l'apporto che porta Ford è quello della catena di montaggio.

Obiettivo dei due è l'eliminazione della socializzazione all'interno della fabbrica, questo fenomeno avrebbe portato al rallentamento dei processi ed alla riduzione della produzione.

Il progetto della fabbrica fordista era quello di eliminare i tempi di addestramento, dunque il fine ultimo era quello dell'intercambiabilità degli operai, chi non era capace di lavorare in quel modo poteva andarsene, era quello l'unico modo di produrre molto ed avere alti salari.

Era importante la comunicabilità coi vertici e le idee degli operai se realmente avrebbero potuto aumentare la produttività ed essere ammortizzate in poco tempo non era impossibile che venissero attuate.


Il lavoratore che non vuole obbedire ai vertici è perché o trova convenienza nel lavorare a modo suo o per diffidenza verso i datori di lavoro.

Il problema dei sindacati di Ford è Taylor è che loro none devono esistere, in quanto secondo Ford l'autorità di fabbrica non deve essere inficiata dai politici o dai sindacalisti che niente fanno se non diminuire la produttività industriale.

Ford teneva a rassicurare gli operai che la loro maggiore produttività o quella delle macchine non avrebbero cancellato lavoro, che loro comunque avrebbero fatto del bene all'interesse pubblico, e quando arriva l'ora di cessare un rapporto di lavoro, è solamente perché la tecnologia ha già creato dei lavori alternativi.

Però esistono anche differenza tra i due anche se che altro sembrano limiti delle loro materie, in quanto uno tecnico preoccupato anche dell'aspetto sociologico, l'altro imprenditore preoccupato comunque dei profitti, per Taylor si parlava di educazione al lavoro cronografato, per Ford di imposizione di lavoro i cui tempi sono dati non dall'imparziale orologio, ma dalla forzata velocità della catena di montaggio diretta dall'alto.


Fordismo: Un modello fondato sulla crescita illimitata.


Le affermazioni di Ford ebbero a creare il fenomeno del fordismo , un sistema produttivo autoritario i cui ritmi erano "oggettivamente" imposti dall'alto, dalla tecnocrazia rappresentata dalla catena di montaggio , dove inoltre salario e condizioni di lavoro non potevano essere trattate collettivamente.

Tutto questo viene definito da Ferruccio Gambino come fordismo presindacale, quel fordismo che dalla sua nascita nel 1903 all'imposizione ex lege del '941 della contrattazione collettiva.


Il fordismo come studiato per prima da Aglietta, negli anni 70 diviene fenomeno neutro, i regolazionisti non tanto studiano, se non nell'influenza che porta allo sviluppo del loro quadro, la produzione della catena di montaggio relativamente elevata, l'inflessibilità e la dequalificazione dell'uomo operaio fordista, alla gerarchia assoluta, studia la scuola regolazionista soprattutto la regolazione dei rapporti da parte dello stato e per mezzo delle forze sociali.

Questo tipo di studi è detto da Gambino "fordismo regolazionista".


Secondo i regolazionisti il fenomeno fordismo sarebbe entrato nella metalmeccanica statunitense negli anni venti erogando alti salari e garantendo il consumo di massa di beni durevoli, poi questo fenomeno viene interrotto per cause esterne dalla produzione di fordista dalla grande depressione e colla politica di Keynes viene regolamentata per essere inquadrata e compatibile con un sistema di welfare proprio della politica keynesiana.

Il processo fordista negli anni cinquanta passa poi all'Europa ed al Giappone.


Alla periodizzazione dei regolazionisti sembra ovvio che la durata del sistema produttivo fordista sia stato limitato nel tempo , da una parte finendo sulla fine degli anni trenta in maniera ipotetica, poi riprendendosi tra i 50 e gli anni 70 dove crollano i sistemi fordisti definitivamente.


Attualmente il termine fordismo tout court, nella parlata corrente vuole indicare un processo produttivo caratterizzato dall'uso di macchine speciali manovrate da operai dequalificati per la produzione di massa di prodotti standardizzati.

Produzione

Il fordismo si basa su due ipotesi:

Consumo.


Riguardo la produzione, la produttività dipende dalla divisione del lavoro, due operai ognuno compienti una parte del lavoro, produzione di più di operai che svolgono il processo totale della produzione. Da qui deriva che tanto più il lavoro è diviso, tanto più grande è la produzione del lavoro e tanto meno costa il prodotto.

La seconda componente del fordismo vuole una lunga lista di bisogni umani largamente diffusi, catturare uno di questi e portando nel caso limite solo alcune modifiche, o meglio educando i gusti umani , rendere un bene capace di soddisfare i bisogni.


Si può ora dire che il modello fordista è basato sulla crescita , intesa come estensione quantitativa dei volumi produttivi e dilatazione a rete dell'industria sul territorio.

Dalla crescita derivano quatto caratteristiche del modello fordista:

illimitatezza del mercato e primato della fabbrica su ogni altra sfera sociale

ricorso alla politica delle economie di scala

concezione conflittuale della fabbrica e dell'atto produttivo.

Territorializzazione del lavoro e del capitale.




Illimitatezza del mercato e centralità della fabbrica.


E' proprio il caso della Ford, dove si crea un nuovo bene, nuovo almeno per il tipo di utenza a cui ora è destinato, per cui in fabbrica si crea anche il mercato, i limiti non sono della domanda, ma della produzione.


Economia di scala e standardizzazione.



Vista l'illimitatezza del mercato, per ridurre i costi, occorre prima standardizzare la produzione in modo da potere distribuire i costi fissi di produzione su un numero infinito di prodotti ultimati.

Questa influisce sulla fabbrica fordista che ha un'organizzazione di tipo burocratico - militare, tutte le decisioni in questa organizzazione sono autoritarie e per il loro iter occorre che:


1° - prima di passare alla produzione ogni decisione deve essere attentamente analizzata

2° - gli addetti dei vertici devono essere minuziosamente informati

3° - i gradi inferiori devono attendere ed obbedire ogni decisione.


Concezione conflittuale della fabbrica e dell'atto produttivo.


Certamente in un modello come quello burocratico - militare di Ford i contrasti tra i diversi portatori di interesse sono notevolissimi.

I vertici vogliono e devono massimizzare il loro potere sul lavoro vivo, i lavoratori vorrebbero diminuire la loro erogazione lavorativa.


Territorializzazione del lavoro e del capitale.


E' un tipo di fabbrica che sia concretamente che concettualmente è legato nel primo caso al territorio fisico, al secondo alle istituzioni vigenti nel territorio fisico.



Introduzione alla parte speciale di Eugenia Parise.


Nel momento in cui viviamo, è facile trovare gli elementi principi di una crisi dei valori e delle abitudini tipici delle periodizzazioni interepocali, basta vedere la rinascita del nazismo, ancora peggio questa volta vista come una moda, senza nessuna motivazione xenofoba, contrapposta ad una crescente evanescenza dei confini materiali dell'uomo, esempio è la caduta dei controlli doganali in Europa occidentale, ed una ormai caduta consolidata dei confini virtuali rappresentati dalle comunicazioni di massa per via telematica.


L'espansione nel progresso, non deve con superficialità essere vista come un nuovo ventaglio di servizi che si offrono alla società, ma come un ventaglio che parte dalla tecnologia e si espande addomesticandosi, il vero risvolto di sapore epocale è proprio questo.


Per comprendere questo fenomeno occorre dare una nuova dimensione alla modernità, bisogna intenderla come un periodo di tempo lievitante, dove c'è la rottura del vecchio per il nuovo progresso, e non bisogna periodizzare il moderno, giorno per giorno siamo nel moderno, esso è la stessa rottura col passato dei fenomeni che ci servono nella quotidianità.



Da un saggio che tratta di questi argomenti certamente non ci si può aspettare un discorso lineare, sarebbe infatti assurdo descrivere in poesia un sentiero di montagna come di una strada dritta livellata e retta.

Se non può parlarsi di globalizzazione perché enfatica nell'economia ma di integrazione su base mondiale dei processi economici, è invece opportuno parlarne come paradigma per un metro temporale, stiamo infatti vivendo una tendenziale politica che vede nei paesi occidentali la riduzione dei tempi di lavoro, le 35 ore, il DDL di fine gennaio 98 per il recupero dell'intimità familiare etc. da una parte, dall'altra il neofordismo con forme più che schiavistiche, la modernità attuale è globalizzata in un punto di collasso e di incontro della stessa, della pre modernità e del post modernismo, oppure come nel saggio di Baudrillar del 1992 viviamo "una curvatura iperbolica che permetterebbe al secolo di sottrarsi alla sua fine ... secondo un processo di ricorrenza e turbolenza...".



Karl Marx. Marxismo.

Marx nasce in Germania nel 1818 dove si dedica subito all'analisi ed alla critica politica sulla Rheinische Zeitung , La gazzetta Renana, di Colonia, e dopo non molto tempo nel giornale passa da collaboratore a direttore.

Sotto la sua direzione viene il giornale soppresso per le troppe critiche che si fanno agli accadimenti interni, e lui nel 1844 incontra a Parigi Engels, i due subito scoprirono che pure per mezzo di vie diverse hanno la stessa visione della società e credono nella rivoluzione che porterà la fine della lotta di classe.

Espulso nel 1845 anche dalla Francia si reca a Bruxelles dove con molta abilità organizza un gruppo di rivoluzionari chiamati "comitati di corrispondenza comunista".

Nel 1847 gli chiedono di stendere assieme ad Engels il manifesto del partito comunista, il cui fulcro è la teoria che individua in ogni epoca storica un gruppo sociale che determina lo stesso storicismo epocale, teoria questa c.d. del materialismo storico.

Le rivoluzioni nel continente fecero espellere per paura Marx anche da Bruxelles che ritornò a Colonia dove fondò la "Neue Rheinische Zeitung", Nuova gazzetta renese.

Nel 1849 viene arrestato coll'accusa di istigazione all'insurrezione e viene pure condannato all'esilio, i sposterà a Londra dove rimarrà fino alla sua morte.


Il Marxismo

La dottrina marxista è incentrata sullo studio delle leggi che individuano in ogni epoca un determinato fattore di produzione e di tutti gli elementi sociali che ruotano attorno ad esso.

In virtù di tale fenomeno il passaggio da un'epoca all'altra, dalla schiavitù al feudalesimo e da questo al capitalismo, si hanno per l'esaurimento della forza produttiva.

Secondo Marx il cardine del sistema capitalistico è ravvisabile nel salario, cioè il negozio che lega i capitalisti ai lavoratori, e che non paga completamente l'opera di questi ultimi, e la parte mancante resta ai capitalisti come sovrappiù , e che poi va a costituire ingiustamente il capitale che è nella società contemporanea ben protetto dalle istituzioni.


Ora visto che il modo di incrementare i profitti capitalistici si riservano sul salario o colla diminuzione dello stesso o con maggiore produttiva richiesta ai portatori di lavoro manuale, e noto che questi vanno a costituire la domanda dei beni nel mercato, è fisiologico in tale contesto, nell'epoca definita capitalistica, la crisi di tali economie.

Marx di Parise.


La società capitalistica per Marx, la sua genesi in particolare è molto importante, questa è la prima distinzione tra socialismo scientifico e scuola classica dell'economia, infatti per Smith ad esempio, la distinzione tra società capitalistica e non capitalistica, è l'essenza stessa della problematica, lui non bada ai motivi che portano a tale situazione storica, elemento invece che nell'analisi marxista è il centro nevralgico del capitalismo.

Nelle osservazioni di Marx emerge che la distinzione in classi sociali che spesso è stata additata come peculiarità del fenomeno capitalistica è in realtà presente in altre epoche, ciò che differenzia il capitalismo che la produzione è tutto ciò che serve al capitalismo, e questa non è legata a nessun altro elemento, nemmeno al consumo .

Capitalismo significa produrre in vista di un allargamento della base di consumo.

Già altre civiltà erano in grado tecnologico di produrre tanto, ma poiché il fine era quello del consumo, l'espansione era mirata ad un target predeterminato, non c'era dunque bisogno di spingere la produttività a livelli abnormi come avviene nel capitalismo.

Per Marx tuttavia l'espansione non è illimitata, solo che i vincoli mai verranno da eventi esterni al processo produttivo, bensì dall'interno, anzi per lui non è pensabile in tale contesto una crisi finale vera e propria, ma solo un approfondimento di una fisiologica crisi intermedia al processo produttivo.

Le crisi capitalistiche secondo Marx sono da distinguersi in :

a)   di lungo periodo - caduta tendenziale del saggio di profitto -

b)  di breve periodo


CRISI DI LUNGO PERIODO.


E' facile da qui collegarsi al saggio di profitto Ricardiano e Smithiano, per il primo è dato dal rapporto tra prodotto ottenuto ed anticipi salari, per il secondo che distingue reddito e capitale, vede il primo come la parte eccedente i salari anticipati, e tale parte va a consolidarsi nel capitale.

Ora sorge il problema la cui risoluzione caratterizzerà il pensiero marxiano nell'ottica economica, ovvero il come le anticipazioni salariali consentono al capitale di iniziare un processo produttivo , ed è proprio in questo punto in cui emergono e diventano evidenti a tutti le differenze tra Marx, Ricardo e Smith.

Il capitale anticipato a titolo di salari si divide secondo Marx in due componenti comunque autonome tra loro, e sono :

a)   capitale costante c

b)  capitale variabile v.


Il capitale costante è la base produttiva del ciclo capitalistico, la parte strutturale come edifici, macchina e tecnologie, il capitale variabile è il flusso che occorre per mettere in opera quanto prima, ed è costituito dalla parte del capitale con cui si acquista la forza - lavoro.


MARX particolarmente ci tiene alla distinzione delle due componenti del capitale definite pure lavoro morto i mezzi di produzione e lavoro vivo la forza - lavoro perché incidono in maniera radicalmente diversa alla realizzazione del prodotto capitalistico.

Il lavoro morto è cosi definito perché ormai accumulato si presenta nei mezzi di produzione in aspetto statico, e che perde valore molto lentamente man mano che il lavoro vivo agisce su di esso per creare un valore ex novo che prima non c'era.


Fin quando il lavoratore, detentore della forza - lavoro non incontra il capitalista, ha solo potenzialità che da solo non potrà esercitare, ed è proprio queste potenzialità che il capitalista acquista dall'operaio, che combinate con altre vanno ad adoperare il lavoro morto degli impianti produttivi.

Forte di questo il detentore di capitale ha la convenienza a pagare l'operaio a livelli di sussistenza, o meglio lui non paga niente in quanto il suo esborso si limita a compensare le potenzialità dell'operaio ed a far si che queste vengono rigenerate, questo salario è quello che Marx definisce lavoro necessario, mentre l'altra parte del lavoro dell'operaio che a lui non viene corrisposta viene presa dal capitalista e determina il plus - lavoro, schematicamente possiamo ricondurre la parte del lavoro necessario ed il plus - lavoro come due parti nette e distinte della giornata lavorativa.



Sostituendo il lavoro necessario col capitale variabile ed il pluslavoro col plus - valore, avremo l'equazione

Pv/V

che per Marx è il saggio di sfruttamento o di plusvalore.


Pv rappresenta l'eccedenza rem8nerativa, il profitto capitalistico, mentre V il capitale variabile, i salari tout court.

Pv/V è l'equazione che da Ricardo va definita come saggio di profitto, entità questa identificata da Marx come :

r=Pv/C+V

dove Pv rappresenta l'eccedenza, C+V il capitale variabile e quello fisso, in effetti la quota capitale d'impianto.


Andando a dividere gli elementi dell'equazione per V sia ha :

dove Pv/V è il saggio di sfruttamento o di plusvalore, C/V quell'espressione che Marx definisce come Composizione organica del capitale, ovvero il saggio discriminante tra capitale morto e capitale vivo.


Sostanziale è ancorala differenza che corre tra Smith e Marx riguardo il processo accumulativo, per il primo questo processo di accumulazione capitalistica si attua con l'acquisizione del lavoro produttivo, per Marx invece colla crescita del capitale costante, di conseguenza visto che il capitalismo mira all'allargamento della base produttiva, e vista la composizione organica del capitale, il capitalismo nel tempo andrà ad aumentare il capitale costante, che essendo indirettamente proporzionale al saggio di profitto, lo farà abbassare.


Il sistema capitalistico, pure potendo frenare la diminuzione del saggio di profitto operando sul saggio di sfruttamento Pv/V, mai potrà cambiare sorte al sistema, solo attenuare e rallentare il collasso la cui causa è proprio lo scopo del sistema, l'ampliamento della base produttiva, e qui, che diviene evidente la differenza filosofica tra Marx e Ricardo, ove il primo imputa le potenziali crisi capitalistiche a motivi endogeni al sistema, il secondo a motivi esogeni.



Il ruolo dell'innovazione nel processo di accumulazione.


La diminuzione del saggio di profitto tra Marx e Smith pure mostra differenze sostanziali, Smith lo riconduce all'immissione di nuovi concorrenti nel mercato, e dunque nell'abbassare i prezzi per avere target maggiori, oppure di intervenire coll'innovazione.


Marx pure vede soluzione nella tecnologia, in questo modo:

=


Coll'aumentare in termini quantitativi la composizione organica del capitale, il capitalista può rallentare l'abbassamento del saggio di profitto intervenendo sul tasso di sfruttamento ( o di plus - valore) , dunque fare aumentare la produttività del lavoro, obiettivo raggiungibile coll'innovazione tecnologica o istituzionale (in questi riassetto dei quadri organizzativi). Vien da se che il sistema capitalistico sviluppa le tecnologie per combattere il crollo del saggio di profitto.


Facendo un confronto micro economico, sarà evidente che colui che sarà detentore di una nuova tecnologia, sarà in questo caso un capitalista intra - marginale ed avrà innalzato il tasso di plus - valore tanto da eliminare quasi completamente gli effetti negativi della composizione organica del capitale , ma nel periodo medio lungo, gli altri imprenditori adotteranno lo stesso suo metodo, in modo che gli effetti benefici spariranno e ci troveremo nuovamente nel punto iniziale.


La crisi del breve periodo.



Nel breve periodo Marx imputa le crisi ai mancati realizzi attesi dal capitalista in forza dei suoi investimenti , e cioè le merci non hanno concluso il ciclo atteso D M D'


Marx a tale proposito ritiene assurda la legge degli sbocchi di Say, in quanto nella società capitalistica la ricchezza ricercata dai detentori di capitale non è quella della res, ma quella della moneta, per cui non tutti i produttori sono pure acquirenti, e questo è rinforzato da una più netta autonomia patrimoniale del capitale e del reddito del capitalista.


Col danaro D, il capitalista acquista i fattori produttivi che poi combinato genereranno la merce M, il cui valore è così composto :

n    quota parte del lavoro morto

n    quota parte del lavoro vivo

n    plus valore


se e solo se il capitalista si attende una merce capace di contenere le tre componenti deciderà di avviarne la produzione, altrimenti si sposterà su altri campi produttivi.


Il capitalista allora, visto che spera di concludere il ciclo D M D', dove è possibile scindere in D M l'acquisto e D' nella vendita, se sospetterà dell'impossibilità di questo, non acquisterà (DM), per cui gli sbocchi di Say divengono improponibili nell'ottica di Marx.


Inoltre Marx motiva pure i casi in cui non avviene il circolo di richiesta dei beni prospettato da Say, distinguendo le crisi di breve periodo nelle cause :


n    dovute alla sproporzioni dei beni

n    dovute all'insufficiente domanda dei beni


Riguardo le crisi di breve periodo dovute alle sproporzioni dei beni bisogna porre attenzione al fatto che nel sistema capitalistico le scelte di mercato vengono prospettate tenendo conto di un reintegro dei costi d'impianto nel breve periodo, e tutte le decisioni vengono dagli agenti capitalistici prese in maniera atomistica, senza pianificare il volume ideale, ed in questo caso l'unico mezzo livellatore e regolatore è il prezzo di mercato, che però agisce a posteriori ed è significativo solo nel breve periodo vista la relatività del metro, per cui sarebbe molto meglio nell'economia secondo Marx un sistema di pianificazione centralizzato, il c.d. Dirigismo economico, i n modo da non avere mai sproporzioni nella produzione ed insufficiente domanda dei beni , facce della tesa mala medaglia.






Maurizio Donato.

Internazionalizzazione dell'economia, rilocalizzazione della produzione, filiere mondiali delle merci.


Raoul Vaneigem ". L'economia è stata la menzogna più durevole di millenni abusivamente definiti quale STORIA, la fine dell'impero dell'economico non è certo la fine del mondo, ma la fine del suo totalitario dominio mondiale, però come le tirannie, anche defunte continua a fare vittime."

La globalizzazione del capitale, per essere intesa nella maggiore delle sue espressioni e in pratica nel varco del capitale da tutti i confini, per avere significato, si deve prescindere dal dicotomico dilemma tra capitale e lavoro, in quanto il lavoro non ha mezzi capaci di renderlo globalizzato.

Se si vuole parlare di globalizzazione del capitale, l'unico altro termine di paragone è il capitale stesso, in un'indennità dove l'elemento è pari al suo risultato et viceversa.


Essendo questo l'unico modo per capire il capitale si pecca nel considerare il lavoro quale merce per il processo produttivo del capitale, e minacciare colla globalizzazione lo spostamento del lavoro in altre aree geografiche qualora le lotti di classe dovrebbero infastidire il capitalista.


II.


L'espandersi del credito deve essere in un situazione particolare quale il nostro secolo pieno oltre che di vittime di guerre di vinti e vincitori di rivoluzioni, quale mezzo del capitalista per sfuggire all'insubordinazione dei lavoratori, questo fenomeno, però divenuto strutturale all'economia capitalistica americana portò a dichiarare inconvertibile il dollaro, che si mostra dopo Bretton Woods come moneta politica mondiale viste anche le garanzia sull'andamento della valuta.


Le forti rivolte dei lavoratori ed ideologiche degli anni '60 che volevano mostrare che il capitale non poteva sfruttarli oltre certi limiti, spinse ben presto il capitale a disinvestire dalla fabbriche ed accumularsi in mercati finanziari, trasformando il processo d, m, d' d, d', dematerializzandosi ed avviandosi dunque verso la globalizzazione.



GOVERNO DELLA MONETA E ORDINE ECONOMICO INTERNAZIONALE.

Di Lapo Berti.


Introduzione.


Il processo di mondializzazione della moneta, c.d. globalizzazione finanziaria, sta portando a sfumare i confini territoriali d'applicazione socio - legislativa dei regolamenti economici.

La regolamentazione per un'economia monetaria globalizzata deve essere fatta istituzionalizzando nuove aree non fisiche per la regolamentazione dei processi dipendenti dal traffico monetario.


Il "Gold Standard"


Dal 1880 al 1914 il sistema di riferimento era il "Gold standars", la convertibilità in oro, sistema caro ai classici che vedevano in tale standard la possibilità d'avere denaro indipendentemente dalla politica del paese, ma in funzione delle riserve auree.


Il problema è che gli stock di riserva erano mutevoli al semplice evento commerciale, ma non ad episodi straordinari.

Proprio per questo alla vigilia della grande guerra mondiale, per il finanziamento bellico cadde il gold standard, e dopo, colla calma, pure se Keynes lo riteneva residuo barbaro, si ritorna ad un avariante del gold standard, il "gold exchange standard", variante che consisteva nel dare valenza simile in tutto e per tutto all'oro ad una moneta che avesse nelle casse nazionali grande riserva aurea, in pratica lo standard exchange gold era dato al paese che più di tutti riusciva ad emettere moneta coperta da oro.


Il "dollar standard"


L'unico paese che poteva mantenere il gold exchange standard era l'USA che ben presto rese concrete un vero e proprio "dollar standard" infatti il deficit della bilancia dei pagamenti americana era notevolmente compensato dall'attivo della bilancia commerciale americana, ma nel periodo si arrivò al punto che il delta tra saldo commerciale e saldo dei pagamenti cambiò segno, fino a portare nel 1971 il governo americano a dichiarare inconvertibile il dollaro in oro, e che dunque il dollaro sarebbe stata una moneta politica.


Fragili equilibri.


Tutti gli equilibri che fin'ora hanno sostenuto i regimi economici internazionali, sono sempre stati illuminati da un'incostanza particolare, questo perché il ruolo di leader, che poteva agli altri imporre le condizioni d'economia reale proprie, è sempre stato imposto, e tanto poteva durare l'imposizione, quanto s9i poteva reprimere la voglia ed il bisogno di scappare da un regime che ostacolasse le economie dei paesi membro gli accordi.


Gli anni trenta sono stati caratterizzati dalla non prevalenza di nessuno dei regimi economici , il periodo era caratterizzato dalla c.d. svalutazione competitiva, tutti i paesi giocavano al ribasso, fenomeno che è interrotto nel 1944 a Bretton Woods.


Le cause che resero possibile le negoziazioni del sistema di Bretton Woods, sono da imputarsi all'esito del secondo conflitto mondiale, dove la netta vincitrice è l'America federale .

Le maggiori pianificazioni per Bretton Woods vennero da White che proponeva l'egemonia assoluta americana, e da Keynes che auspicò n contemperamento egemonico ben distribuito, o in ultima analisi almeno un dittico formato da USA ed Inghilterra.


Un sistema non governato.


La prima crisi palese dell'apparato di Bretton Woods si ha nel 1971 quando diviene incompatibile la massa monetaria USA in circolo per il mondo a diverso titolo e la riserva aurea delle casse americane.


La forza ricattatrice in mano dei paesi assoggettati alle politiche economiche americane, era rappresentata dalla potenzialità di convertire le riserve di dollar USA in oro, ma quando Nixon dichiara l'inconvertibilità imponendo chiaramente un poter politico al dollaro, s'innesca un sistema nuovo i cui germi già presenti negli anni sessanta ora sono molto più evidenti.

Negli anni sessanta si nota la formazione dell'eurodollaro e dell'asian dollaro, nuovi sistemi monetari la cui gestioni e redini non sono in mano ai governi nazionali, ed oggi più che mai si vede la potenza di questi mercati sovranazionali.


Per rendersi conto della grandezza del mercato unificato basta far notare che le sinergie delle banche centrali nemmeno riescono ad influenzare l'economia dei mercati unificati sovra nazionali, di conseguenza si può affermare che questi sfuggono a tutti i controlli statali.

I motivi sono molteplici, ma elemento fondamentale è l'introduzione di tecnologie telematiche nel mercato finanziario, tecnologia che si atteggia come nervo centrale del sistema sensibilissimo ad ogni evento anche piccolo che fa variare tendenze economiche.


L'unico nesso trasversale tra politica e governo nazionale e quel sovranazionale sono rappresentato dai meccani, che però comunemente sono considerati come entità impersonali, senza mai spingersi a capire quale sia la concretezza che guida i mercati, senza sforzarci di capire veramente i fatti reali.


Accertato che sarebbe utile dare identità ai poteri sovra nazionali, è importante delineare altri aspetti di questo mercato, vale a dire:

Si tratta di movimenti di capitali nel mercato finanziario del breve e brevissimo periodo

Questo mercato no tiene conto dell'economia reale.


Pure essendo grande nella dimensione questo mercato sovra nazionale, non è pero ricco di risorse, basti pensare che mancano le risorse per un risanamento economico d'aree depresse del pianeta.


Il paradosso è vero in quanto il mercato finanziario è basato su logiche di profitto istantaneo, mentre quella del risanamento chiederebbe investimenti a lungo periodo.

Questa discrasia tra i due mercati è frutto della mancanza di una forza assoluta all'interno del paese, come accadde invece per Bretton Woods.


Nella fase storica che stiamo ora vivendo, sembra esserci l'intenzione di unificare concretamente le economie nazionali per mezzo di monete uniche, e nella fattispecie europea questo è vero pure se c'è sempre la Germania che vuole presentarsi, e giustamente, con la sua moneta come metro per le transizioni.


Ora il gioco, pure non vedendo più un solo giocatore nelle vesti degli Usa, vede altri giocatori, ma in ogni modo pochi per una pianificazione esatta dello sviluppo monetario.




PARTE SPECIALE DI STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO.

Presentazione di Eugenia Parise.

Crescita, sviluppo e progresso.


I termini crescita, sviluppo e progresso, sono considerati sinonimi l'uno dell'altro, invece vanno ad indicare fenomenologie diverse, e nemmeno tanto correlate tra DI loro, se non per un mero fatto cronologico.

n    la crescita economica è considerata come un sensibile aumento quantitativo del volume totale DI beni e servizi prodotti all'interno DI una data società .

Negli ultimi anni la crescita economica è stata misurata in come reddito nazionale o come prodotto nazionale lordo Pnl (che ai fini dell'analisi economica consideriamo uguali, mentre statisticamente il reddito nazionale è un po' inferiore al Pnl).esiste anche un altro indice che misura la crescita economica, il prodotto interno lordo, Pil che è intermedio al Pnl ed al reddito nazionale.


La crescita del prodotto totale è dovuta a due casi (o meglio al diverso funzionamento DI un trittico DI fattori) :

l'impiego maggiore DI quantità DI fattori DI produzione (capitale, terra e lavoro)

l'uso più intensivo DI questi fattori.


E' importante osservare che se la popolazione aumenta, vi è un maggiore crescita del prodotto totale, senza una necessaria crescita del prodotto pro-capite ,ani vi può essere anche una diminuzione DI questa se il tasso DI crescita demografica supera il tasso DI produzione, questo è quanto effettivamente accaduto in paesi in via DI sviluppo.

Dunque, per quanto riguarda i confronti, la crescita economica è valida solo se misurata in termini DI prodotto (DI beni e/o servizi pro-capite).


n    lo sviluppo ,si ha quando accompagnato alla crescita economica, vi è una strutturale mutazione dell'economia, questo si è avuta coll'aumento dell'industrializzazione a discapito dell'agricoltura.

n    il progresso, a differenza DI crescita economica e sviluppo, è un'accezione imperniato DI significato etico, infatti se crescita e sviluppo sono considerati dati positivi, è perché non rispecchiano nessun riferimento all'etica .


Bisogna dunque capire che quando vi è crescita e sviluppo, non è detto che ci sia il progresso, anzi, passati studiosi dell'etica, hanno considerato questi termini antitetici tra loro, in quanto più vi era ricchezza materiale tra gli uomini, meno vi era cultura spirituale.

Ancora oggi, e giustamente, non si può considerare crescita e sviluppo portatori DI progresso, basta vedere il grande introito delle armi chimiche e biologiche, che fanno aumentare certamente la ricchezza pro-capite DI un paese, ma ovviamente non possono essere considerate indice DI progresso.


Un altro motivo per cui crescita e sviluppo non possono essere identificate col progresso , è che un aumento del reddito pro-capite nulla ci dice sulla distribuzione della ricchezza in un paese, infatti potrebbe essere più progredito un paese con redditi medi bassi distribuiti equamente, che un paese con redditi medi alti male distribuiti.


Determinanti dello sviluppo economico.


Nell'economia classica si è avuta la classificazione trittica dei fattori DI produzione, terra, lavoro, e capitale, ed a volte anche una quarta dimensione, quella dell'imprenditorialità .

In un dato momento, il prodotto totale DI un'economia, scaturisce dalle quantità dei fattori posti in gioco nella produzione.

Sia questa affermazione, sia altre scaturenti da questa, come le utilità marginali dei fattori posti in produzione, pur essendo vere , non sono buon compendio all'analisi storica e al processo dello sviluppo economico.

L'impostazione considerante unici fattori della produzione la trittica classica, non tiene conto DI altri elementi, certamente non propri dell'economia ,ma propri delle scienze sociali, dunque indirettamente anche dell'economia, come i gusti, le istituzioni sociali e la tecnologia, anzi pure considerandole, le sconta come elementi non influenzanti la produzione, oppure fisse, predeterminate e non mutevoli diacronicamente.

Dunque, se si vuole analizzare seriamente la produzione, oltre a considerare lavoro, terra, capitale ed imprenditorialità, occorre considerare anche elementi non propriamente economici, come la tecnologia, la popolazione, le risorse ed gli istituti, ed ancora il prodotto deve essere analizzato in un determinato momento, e la velocità d mutamento DI questo viene visto attraverso le variabili prima elencate.


DI tutte le variabili ora dette, la più importante, nel senso DI quella che più mutevolmente ha cambiato l'economia è la tecnologia.

In un secolo infatti sono stati creati strumenti che in ogni campo hanno stravolto l'esistenza umana, aerei, computer ed altre cose.


In corrispondenza DI una determinata tecnologia, le risorse a disposizione DI una società sono il limite massimo DI espansione economica.

Però a parità DI risorse, con nuova tecnologia, la produzione economica aumenta.


Allora, c'è da notare che l'interdipendenza tra persone, produzione e tecnologia è appannaggio unico degli istituti, cioè del contesto socioculturale.

Tale contesto, non sempre abbraccia le nuove tecnologie, dunque maggiore produzione, anzi alcuni contesti socioculturali, possono colpire la produzione, valido esempio DI questo è il mancato sfruttamento in India delle vacche, animale sacro.

Da quanto detto appare evidente che la stessa efficacia dell'innovazione tecnologica, l'abbia l'innovazione istituzionale, frutti DI questa sono la moneta battuta, i surrogati della moneta, le assicurazioni etc. etc.


All fine ci si riconduce ad un punto in cui tutto è sottoposto al vaglio degli istituti , per cui, bisogna individuare in ogni contesto, problema ed episodio dell'analisi storica, gli istituti attori attivi o passivi ,e le loro variabili più prettamente economiche.


Gli intellettuali marxisti, ritengono DI avere preso due piccioni con una fava, nel senso DI avere individuato non solo la chiave del processo economico, ma anche quella dell'evoluzione dell'umanità.

Credono, che il modo DI produzione(approssimativamente) la tecnologia sia il cardine su cui come struttura secondaria vengono montate istituti, natura dello stato, ed ideologie dominanti, e l'elemento dinamico è dato dalla lotta tra le classi per il possesso dello strumento DI produzione (della tecnologia).

Questa teoria erra nel considerare la struttura sociale come elemento secondario, e DI non consentire casualità, che invece nello sviluppo economico rappresenta un fattore copiosissimo.


Un'altra teoria, meno ideologica, è quella c.d. istituzionalizza , che considera elemento dinamico l'innovazione tecnologica, e le istituzioni si oppongono al mutamento che la tecnologia porterebbe nella cultura.

Questa pure pecca, come la teoria marxista nel prevedere e dare per scontato il risultato finale.


Mercantilismo. Un termine equivoco.


Adam Smith, fondatore dell'economia moderna, classificò tutte le politiche economiche fino al suo tempo sotto l'accezione DI sistema mercantili, tutte politiche che portavano ad una cattiva distribuzione del reddito.

Notò che il ragionamento dello stato era analogo a quello del mercante, il cui guadagna è dato dal surplus delle spese realizzate sulla vendita.

Così lo stato tanto era ricco quanto più oro e argento immagazzinava nelle casse e tanto meno ne faceva uscire, cioè concretamente aumentando le esportazioni e riducendo le importazioni.

La sua teoria sul sistema mercantile fu pubblicato nelle "Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni."

L'accezione DI sistema mercantile ebbe significato negativo fino a quando nel XIX secolo Gustav von Scmoller, non ridefinì il sistema mercantilismo come strategie dello Stato a cui si accompagna l'edificazione dell'economia nazionale.


Ogni paese dell'Europa nonostante le somiglianze aveva una politica economica diversa, in quanto ognuna impregnata DI valori e ideologie intrinseche alla nazione.

I difensori del nazionalismo economico sostenevano che la loro politica mirava a rafforzare lo stato, stato però varieforme , dalla monarchia assoluta DI Luigi XIV a repubblica borghese delle città olandesi.


Gli elementi comuni.


Durante il XVI secolo la preoccupazione principale dello stato era quello DI accumulare al proprio interno grandi quantità DI oro e argento, il prendere pieno DI questa rozza e banale forma DI politica economica detta bullionismo portò a vietare l'esportazione DI oro e argento dall'interno del paese anche cola pena capitale.

Il problema DI accumulare oro e argento era DI semplice risoluzione per portoghesi e spagnoli che avevano colonie piene dei materiali preziosi, mentre quelle francesi, olandesi ed inglesi erano scarse o prive DI questi, però comunque fiorenti per il commercio, per altro modo DI arricchirsi, ed grazie a questi dati DI fatto che Smith nel suo saggio indica i mercanti come indiretti partecipanti al consiglio DI stato ed altre forme governative per far ben figurare la bilancia commerciale.


Teoricamente l'arricchimento colla politica del nazionalismo economico era semplice, tante esportazioni contro nessuna importazione, ma praticamente per dare atto a tale politica vi furono da scegliere quali prodotti esportare e quali importare.

Si decise DI aumentare il prodotto agricolo e DI stipare grano e altri generi alimentari per evitare che in periodo DI carestia si dovesse acquistare dall'estero, ancora lo stato incoraggiava la manifattura sia sulla quantità dei prodotti in modo da poterli esportare che sulla varietà per diminuire la dipendenza dall'estero.

Ancora le manifatture estere furono escluse dal commercio nazionale o sottoposte a dazi protezionistici, che figuravano come ulteriore entrata statale.

Le leggi suntuarie (relative ai consumi), spingevano la popolazione al consumo dei prodotti nazionali.


Altra forma DI ricchezza erano le flotti navali che consentivano DI eliminare uscite e DI

trasporto e DI avere entrate per i trasporti terzi, inoltre avere una grande flotta era conveniente perché era facilmente commutabile in flotta guerriera.

Ovviamente la pluralità DI flotte o l'egemonia DI una sola, non era conveniente a nessuno, tanto che Colbert, ministro DI spicco DI Luigi XIV, fece notare che delle 20000 navi che trasportavano merci , ¾ erano olandesi e l'unico modo per espandere il trasporto francese era quello DI ridurre l'olandese, anche colle armi.


Tuttavia per quanto riguarda i concetti DI economia politica fino ora discussi bisogna dire che non erano bene esplicitati dalle leggi dei governi in cui venivano applicati.



L'Europa centrale, orientale e settentrionale.


Tutta l'Europa centrale, dall'Italia settentrionale al baltico era nominalmente considerata Sacro Romano Impero, unitarietà per l'appunto solo nominale, tanto che vi erano tantissimi principati indipendenti, ecclesiastici e laici, grandi e atomistici.


In Germania i sostenitori del nazionalismo economico si erano con i loro principio molto avvicinati ad un vero e proprio sistema economico.

Gli studiosi DI questo pseudo - sistema erano chiamati cameralisti, dal latino camera, cassa in cui si custodivano le ricchezze nazionali.

Erano tutti studiosi empirici, infatti erano stati o erano funzionari statali, dunque empiricamente coinvolti in finanza pubblica.

Avevano un comportamento dottrinale molto spinto e da pretenzioso, tanto e dimostrato da l'opera DI van Hornigk " Osterreich uber Alles wann es nur will", (L'Austria sopra tutto se solo essa vuole).

La preoccupazione era la solita, però meglio studiata, DI arricchire le casse interne evitando importazioni.

Nel XVIII secolo in diverse università tedesche furono fondate cattedre DI Staatswissennshaft (scienza dello stato), che preparava futuri funzionari statali.

Il problema degli stati tedeschi era la loro piccola dimensione e la mancanza DI risorse per divenire pienamente autosufficienti e staccarsi dall'autorità centrale dei principati che tendevano alla centralizzazione.

Tuttavia alcuni paesi, pur spesso penalizzando i propri sudditi riuscirono ad avere autonomia, tra cui la Prussia.


Infatti fu il successo della politica economica degli Hohenzollern DI Prussia, con un centralismo interno, a far avere un'accezione più positiva al nazionalismo economico.

Nel 1640, dopo la guerra dei trent'anni, con Guglielmo I, e con altri validi successori al trono, la Prussia diviene una delle potenze più importanti dell'Europa.

Oltre alla politica dell'esportare e non importare, adottata da tutti gli stati-nazione ,c'era in Prussia un'accorta amministrazione delle finanze interne, senza nessun sfarzo e con parsimoniosa oculatezza nelle spese.

L'unico sfarzo prusso era rappresentato dell'esercito che assorbiva circa metà delle entrate, ed inoltre la Prussia non era impegnata soventemente in operazioni bellicose. Anni dopo un generale prussiano notò chela Prussia non era "una nazione con un esercito, ma un esercito con una nazione che fungeva da quartier generale e da fornitrice DI vettovaglie".


Altro fenomeno DI fallimento dello stato che vuole influenzare l'economia viene dalla Russia.

Tra il XVI e XVII secolo questa è ancora allo stato degli adscripti glebae , ma nel 1696, quando Pietro I il grande diviene zar con potere incommensurabile , capisce che ci vuole modernizzazione o meglio occidentalizzazione in ogni campo, compreso l'economia.

Oltre a provvedimenti ininfluenti sull'economia, ma in un certo senso DI radicale importanza sociale, quali l'obbligo ai sudditi DI foggiare abiti DI fattura occidentale e DI radersi il mento, decise dopo un viaggio in occidente per apprendere nuove tecnologie DI dare sussidi agli imprenditori occidentali che volessero insediarci in Russia, ed infine costruisce la città DI Sn Pietroburgo, la sua finestra sull'occidente.

Ora che aveva un valido porto costruii anche una flotta, il suo scopo ultimo era DI avere dominio sia economico che militare su tutto il mondo, tanto che per soli due anni del regno DI Pietro I la Russia non fu in guerra.

Pietro rinnovo anche il sistema tributario accanendosi special modo con i contadini, inoltre tutti i proventi tributari erano destinati alla guerra.

Quando vide fallire il suo tentativo DI incentivazione per la costruzione DI materiale bellico, costruì fonderie, cantieri navali, armerie e industrie DI panno statali, con a capo maestranze occidentali che avevano il compito DI addestrare gli indigeni del luogo, indigeni però analfabeti e costretti a lavorare, dunque non vi erano grandi progressi.

La sua succeditrice Caterina I la grande, finì col rovinare il paese accendendo debiti DI finanziamento coll'estero e stampando molta cartamoneta.


La Svezia tra il XVI e XVII secolo ,vista soprattutto in ragione della modesta popolazione, anche è da encomiare, soprattutto per i regnanti, DI carattere assolutistico, anche più DI Francia e Spagna, però con una filosofia assolutista diversa, con scelte sempre oculate, almeno in campo economico.

Inoltre vi è anche un fattore naturale a fare grande la Svezia, i grandi giacimenti DI rame e ferro, che anche nel XVIII secolo, dopo il declino, saranno esportati in   tutta Europa.

Inoltre i governatori svedesi, incentivarono imprenditori sia locali che stranieri a meglio utilizzare le risorse del paese.


L'Italia è invece sempre stata in secondo piano, tanto che più che attrice dei secolo XVI e XVII è stata vittima, meno che la repubblica DI Venezia, che grazie soprattutto alla flessibilità produttiva ha sempre spaziato dal vetro alla lana alla agricoltura dal XVI alla fine del XVII secolo.


Il colbertismo in Francia.


Colbert, il primo ministro DI Luigi XVI per più DI venti anni codificò la politica nazionalista economica con tale precisione che dopo DI lui per indicare il mercantilismo si coniò il termine colbertismo.

Il suo primo passo fu quello DI razionalizzare l'apparato tributario dello stato, con un fallimento dovuto più che altro all'enorme massa DI numerario occorrente per il lusso smodato del re e le guerre sempre in corso.


In linea del tutte teorica il re doveva essere mantenuto dal frutto dei suoi possedimenti , ed in casi del tutto eccezionali, quali le guerre con l'approvazione DI un'assemblea rappresentativa del popolo, poteva chiedere altro denaro sotto forma DI imposte.

Però nel XV secolo il re si era accaparrato il diritto DI istituire tasse nuove e per decreto, senza il consulto DI nessuna assemblea rappresentativa .

Inoltre, il regno francese, già dal medioevo pur con innumerevoli tasse aveva deficienza monetaria, e chiese dunque prestiti all'estero , che però solo dal 1515 con Francesco I entrò permanentemente nel sistema fiscale francese. Da questa data in poi il debito crebbe tanto che il regno francese dovette più volte dichiarare la bancarotta.

Un espediente per fare quadrare il bilancio fu la vendita degli uffici, che nell'immediato portò sollievo al governo, ma nel lungo periodo fece aumentare i costi, DI conseguenze le tasse.


Nonostante poi il numero abnorme DI uffici il governo fu costretto per la riscossione dei tributi a rivolgersi ad esattori privati, che davano al governo una somma forfettaria e incassavano dazi imposte e gabelle.


L'intento ultimo DI Colbert era quello DI modificare il sistema o pseudo tale eliminando tutti i dazi interni che non facevano decollare questo tipo DI traffico, ma la deficienza d'entrate non resero questo possibile.


Nella seconda metà del XVIII secolo, Turgot successore DI Colbert, illuminato e fisiocrate riformo, anzi invento un vero sistema DI riforma per favorire il traffico interno, ma tutte le persone a cui ciò dava fastidio fecero DI tutto per fargli lasciare il posto DI I ministro riuscendoci.

Dopo questo fallimento DI riportare il sistema fiscale come mezzo DI entrate finanziarie allo stato decretò nel 1789 la fine dell'antico regime.


I predecessori, Colbert ed i suoi successori fecero DI tutto oltre che per riformare il sistema tributario, anche per accrescere la produttività, incoraggiando le corporazioni e dettando un protocollo DI regole per ogni fase del processo produttivo dei beni interni del regno francese.

Concessero sussidi alle manifatture reali e per una buona bilancia commerciale con dazi scoraggiarono le importazioni.


Ancora prima DI Colbert, e certamente anche se non come lui riconosciuto più meritevole per le finanze francesi fu il primo ministro DI Enrico IV (1589) duca DI Sully, che fu un eccellente amministratore ed analista obiettivo dei costi del regno, e soprattutto applico regole sulle imposte fino ad allora solo scritte, tanto da aumentare il gettito delle gabelle del doppio.

I successori DI Sully, Richelen e Mazzarino, furono più accorti a mantenere il posto e far splendere la Francia che all'amministrazione delle finanze interne, tanto da far svanire ogni passo DI miglioramento intrapreso da Sully. Per tanto il primo compito DI Colbert( che diviene ministro dopo questi due) è DI ripristinare il sistema.


La prodigiosa ascesa dei paesi bassi.


La superiorità dei paesi bassi è dovuta a ragioni DI fondo differenti da ogni altra realtà economica dell'Europa.

Infatti l'unione DI Utrecht del 1579, il patto tra le sette province che poi divennero i paesi bassi, era mirato non tanto alla costituzione DI uno Stato nazione, ma ad un patto DI alleanza per meglio contrastare la Spagna.

Gli stati generali, l'organo legislativo della repubblica si interessava solo alla politica estera, mentre ogni altro affare era decentrato con massima autonomia e libertà per le autonomie minori.


Il motivo della superiorità commerciale dei paesi bassi del XVI secolo, è da ricercare nei c.d. commerci madri, cioè quelli tra mediterraneo, golfo DI Biscaglia, mare del nord e mare baltico.

Dal baltico acquistavano cereali, legname ed attrezzature navali, che poi distribuivano in tutta l'Europa occidentale e meridionale in cambio DI vini e sale del Portogallo ed altre materie prime DI cui l'Olanda era povera.


Altra importantissima attività dell'Olanda è rappresentata dalla pesca delle aringhe, tanto che un quarto e più degli olandesi tra XV e XVI secolo dipendevano direttamente o indirettamente da questa.

Le tecniche DI pesca e DI conservazione delle aringhe degli olandesi era nel XV secolo ad uno stadio ove i concorrenti sarebbero arrivati solo più tardi, infatti erano capaci DI pescare e conservare direttamente sul mare, in modo da poter viaggiare per settimane intere anziché ritirarsi ogni notte.

C'è ancora da ricordare che gli scambi DI materie prime e semilavorati sia all'interno DI questa sorta DI stato nazione nato dal patto DI Utrech che con altre economie era libero e dove vi erano dazi, non avevano lo scopo DI scoraggiare, ma solo DI equamente arricchire le finanze pubbliche.

La libertà gli olandesi la limitavano solo alla grande pesca delle aringhe, infatti solo le navi cinque porti potevano fare esca DI tipo industriale, e questo monopolio funziono fino a quando l'Olanda conservò il monopolio delle aringhe, ma poi quando anche altri paesi adottarono le tecnologie olandesi per la pesca, la grande pesca andò a declinare e con lei tutta l'economia olandese.


Uno dei punti forti sia economici, ma soprattutto sociale dei paesi bassi era la tolleranza religiosa, cosa che la rese attraente per tutti i perseguitati che con loro portarono il Olanda anche il know how necessario a fare dell'Olanda la ricchezza economica che era.


Il colbertismo parlamentare in Gran Bretagna.


Le strategie economiche della gran Bretagna erano diverse sia da quelle delle monarchie assolutistiche DI Spagna e Francia che da quelle olandesi.

Inoltre gli latri paesi europei furono costanti tra l'inizio del XVI e la fine del XVIII ad utilizzare la stessa strategia economica, mentre in Inghilterra furono tante strategie quanto i passaggi DI governo del paese effettivo.


Enrico I, fu assoluto come i suoi apri in Europa, ma a differenza DI altri paesi il fenomeno assolutistico si fermo a Carlo I.

L'evoluzione della monarchia inglese ha il culmine nel 1688 con la monarchia costituzionale sotto sindacato parlamentare.

A differenza delle assemblee rappresentative e parlamento inglese è che quest'ultimo non ha ma i rinunciato alle sue prerogative DI merito e legittimità delle tasse proposte dai regnanti, e anche quando nel 1630 Carlo I fece DI tutto per governare senza controllo parlamentare scoppiò un'insurrezione interna.


Dopo gli Stuart nel 1660, con relativi sperperi DI denaro pubblico, arriva la quiete con l'insediamento al trono nel 1689 DI Guglielmo e Maria, i primi monarchi costituzionali sotto sindacato parlamentare, dove il parlamento aveva servizi propri per le finanze pubbliche ed ordinò gli storni definitivi tra debito pubblico e debiti personali del sovrano.

Dopo la cosiddetta "Gloriosa rivoluzione" del 1688/89 il parlamento inglese col pieno potere sulla finanza pubblica e fonda la Banca Inglese, che giovata dalla quiete finanziaria negozia titoli pubblici e privati.

Alcuni storici hanno definito la politica inglese colbertismo parlamentare, definizione sbagliata perché non tiene conto della politica del parlamento inglese tra il 1688 e la rivoluzione americana.


I modi in cui il parlamento inglese tentò DI intervenire sull'economia sono vari ed alcuni anche bizzarri, come il tentativo DI aumentare la produzione del panno DI lana con una legge che imponesse che i cadaveri dovevano in questo essere avvolto, o per l'aumento del consumo del pesce giocando sulla proibizione del cristianesimo alla carne.

Un altra legge da esaminare è quella del 1563 detta statuto dei lavoratori. In linea DI massima imponeva a tutti gli abili DI lavorare, in particolare la terra, poi l'industria manifatturiera ed altre professioni che illustravano l'Inghilterra del tempo, e che dovevano prima DI lavorare a tutti gli effetti ed in pianta stabile fare sette anni DI apprendistato.

Questa legge, per fortuna mai applicata avrebbe in caso DI mutamento tecnologico o fenomeno simile e minore, a causa della non mobilità del lavoro che avrebbe comportato, potuto causare un collasso della produzione.

Non ci fu mai applicazione perché questo istituto (l'applicazione)era demandato ai giudici DI pace, ufficiali regi non pagati che almeno che non fosse tornato loro un utile economico mai si sarebbero preoccupati del adempimento loro riconosciuto.

Altro esempio del volere intervenire, e con non buoni risultati sull'economia del parlamento inglese è ravvisabile nel noto progetto Cokayne.

Nel medioevo la merce più esportata dall'Inghilterra era stata la lana grezza, ma nel quattrocento e cinquecento l'esportazione DI panni semilavorati DI lana, monopolio della Merchant Adventure, sorpassano le esportazioni DI lana grezza, e la maggior parte del traffico della Merchant Adventur è destinato in Olanda, con abili finitori DI semilavorati.

In realtà le finitura del panno DI lana erano molto più prosperose DI tutto il resto della lavorazione.


Visto l'introito derivante dal processo produttivo finale della lana, Sir William CokaYne, ricco mercante ed assessore della city, nel 1614 convince re Giacomo I a revocare il monopolio e DI vietare l'esportazione dall'Inghilterra del panno non colorato, questo promettendo un incremento dell'occupazione, prestigio internazionale ed indirettamente più imposte allo Stato.

In realtà la fase finale DI lavorazione richiedeva maestranze non presenti in Inghilterra, portando al declino delle esportazioni fino al collasso economico, tanto che nel 1617 Giacomo i reitera il monopolio delle esportazioni, comunque senza ripresa, fino a quando nel 1624 il governo sotto pressione della camera dei comuni liberizza il traffico del panno.


Tra tutte le legge nazionalistiche del colbertismo parlamentare la più significativa ed efficace e senza dubbio la Navigation Act.

Tanto importante che anche Adam Smith l'encomiò, anche se solo per la protezione del paese, ed a scapito della ricchezza pro - capite.

Tuttavia leggi sulla navigazione non furono prerogative inglesi o del XVII secolo, ci sono sempre state dal XIV secolo ed un po' in ogni nazione, anche se difficilmente applicabili per la cattiva amministrazione della marina e l a mancanza DI criteri DI applicazione.


Nel 1651 però con la Navigation Act, il parlamento non voleva solo proteggere il mercato della navigazione Inglese, ma provò soprattutto ad indebolire quello olandese.

Infatti la legge disponeva che le merci entranti nei porti inglesi dovevano essere trasportate esclusivamente dalle navi dei paesi esportatori o navi inglesi, intese come DI proprietà inglese, capitano inglese ed almeno ¾ della ciurma inglese. Inoltre anche alle navi era imposto DI trasportare le merci direttamente dal paese produttore anziché da porti intermedi, e con questo si cercava DI sminuire il potere DI Amsterdam.

La Navigation Act coloniale si concretizza coll'obbligo DI trasportare i prodotti coloniali prima che nei paesi DI destinazione nel porto d'Inghilterra.


In realtà la Navigation Act del 1651 ebbe successo a differenza delle altre non perché migliore, ma perché gli istituti attori erano già pronti ad assalire il mercato.


L'altra faccia della medaglia delle leggi sulla navigazione, fu la perdita DI parte del prestigio goduto nelle colonie, che se non la causa scatenante concorse alla rivolta d 'America, insieme al poter commerciale e demografico che aveva raggiunto alla vigilia della rivoluzione.


In effetti la legislazione inglese ha ben difeso la nazione in politica estera, anche se internamente ha lasciato molta libertà agli industriali.




Da Prometeo a Sisifo. Lavoro e ozio nella società postindustriale.

Di Vittorio Dini.

Evidente problema di fine millennio è il collasso del mondo del lavoro, del lavoro salariato, tutti gli aspetti di questo problema, tutti i personaggi di questo dramma, dagli analisti agli stessi lavoratori, si accorgono che il problema è inaridito dalle questioni a quelle del lavoro adesive, problemi sociali, politici, di dignità umana, in un contesto di epocalità.


A questo problema, certo non nuovo ma inasprito come detto dalla crisi dei valori nei periodi interepocali, gli strumenti di politica economica poco hanno potuto dare sollievo, da alcuni studiosi anzi gli interventi sono stati additati a cause della crisi del lavoro salariato.


Mentre le persone assurgevano a simbolo di nuove occupazioni il progresso tecnologico, non tenevano in mente che l'occupazione poteva aversi come la storia economica ci insegna non tanto da questo tipo di progresso, ma da quello istituzionale che c'è l'assorbimento del lavoro, ed inoltre fino a poco fa l'accezione disoccupazione aveva significato molto difforme da quello odierno, infatti disoccupati erano coloro (istituto sociale) che era entrato nel mercato della domanda del lavoro ed erano messi in riserva, mentre ora i disoccupati non entrano nemmeno come sostituti nel mercato del lavoro.


Paradossale è inoltre il conflitto ideologico nascente dall'89 (crollo muro e ideologia socialistica)

Tra i paesi ex sovietici che non riescono a contemperare l'uguaglianza del vecchio regime e gli standard vitae del capitalismo, e che gli stessi paesi di tradizione capitalistica non possono poi essere da esempio per gli altri per quanto riguarda l'assorbimento di lavoratori nel processo produttivo.

Conseguenza ovvia è il fallimento delle politiche liberistiche almeno nell'ambito del mercato del lavoro.


Dopo questa disquisizione occorre dare una collocazione storica al lavoro, che a ben vedere è nato assieme al capitalismo, e Lucian Lebre, nel 1948 scrive che ancora non sappiamo quale sia l'essenza del termine "lavoro", che noi ci illudiamo di utilizzarlo ora in un contesto e poi nell'altro come una squisitezza dialettica e dottrinale, mentre ora, dopo circa mezzo secolo abbiamo buoni strumenti di analisi per identificare questo vocabolo, tanto che nel 1993 Fryssenet ci fa notare che il lavoro, il termine che lo identifica è una costruzione che nasce assieme al mercantilismo per identificare i dividere il lavoro scaturente dall'immissione del lavoro proprio in un processo produttivo pagato col salario, dal lavoro fatto in proprio, infatti quando si parla di fine del lavoro, si vuole intendere fine del lavoro salariato, non essendo concepibile un mondo senza nessun lavoro come erogazione di lavoro ed idee.

Nel verso 5.7 del libro di Giobbe c'è poi l'identificazione del lavoro come strumento di realizzazione dell'uomo, recita infatti così "essi sono nati per il lavoro come gli uccelli per il volo".




Riguardo Marx.


Aveva una duplice considerazione del lavoro, e di ognuna tentò di dare spiegazioni.

Dapprima e originariamente il lavoro, al di la' della sua produttività, è strumento per l'attuazione dell'uomo nel contesto sociale in cui vive, strumento di interazione tra uomo ed ambiente che lo circonda.

L'altro aspetto del lavoro analizzato da Marx è quella invenzione del sinallagma lavoro salario.

In quest'ultimo aspetto Marx s'accorge che non può essere il lavoro immesso nel ciclo capitalistico quantizzato in unità fisiche come nel metodo degli studiosi classici, ma in quantità astratte, in quanto il valore d'uso ed il valore di scambio sarebbero meglio identificati in valore e plusvalore dell'opera umana immessa nel ciclo produttivo, a tal punto dunque il lavoro originario, se improduttivo economicamente non può nella società capitalistica essere accettato, dove l'avere, o meglio il dare al capitalista, deve essere considerato di primario ordine in confronto all'essere, al realizzarsi.

In tale guisa Marx contempera l'identificazione del lavoro di Smith e dell'utopico Fourier, infatti il primo identifica il lavoro con le pene e la sofferenza , opinione derivante dalla sussunzione nella Bibbia del termine, pena da pagare per l'inottemperanza al primo divieto divino.

Marx a Smith tiene ad opinare che comunque l'ozio, premio divino, non è affatto strumento di realizzazione, questo è dell'uomo la rovina, l'uomo ha bisogno nella vota di ostacoli, da abbattere o aggirare col lavoro, fisico o intellettuale che sia.

Fourier, al contrario di Smith, utopicamente vuole intendere almeno in modo prospettico, il lavoro come attività di svago, di gioco oggettivo, e Marx anche qui motiva il suo dissenso in maniera analoga a quello di Smith, il lavoro per essere realizzazione deve essere sacrificio, le cose non sudate, insomma, non si apprezzano.

Queste posizioni di Marx sono indicate nel suo libro "Grundisse".

Nella stessa trattazione del Grundisse, Marx, in maniera profetica descrive che il trittico Scienza, Tecnica, Lavoro, degenererà a sfavore dell'operaio in maniere proporzionale all'avvicinamento alla seconda rivoluzione industriale, infatti il processo tecnologico immesso in quello produttivo non si presenta, come si auspicherebbe, quale strumento in mano all'uomo per trasformare coll'intelletto al servizio della macchina i lavori più pesanti e degradanti per il corpo in semplice manualità, l'utilizzo della macchina servosistema dell'uomo, ma al contrario vedere le macchine dominanti nel processo produttivo e l'uomo da queste alienate.

Marx, allora nel dittico suo del lavoro, analizzando l'oggetto, si dimentica della soggettività della disciplina, che il vero fulcro del discorso è l'uomo che lavora, almeno questo è quanto opina il 68ttino Hans Jürgen Krahl dicendo che Marx era legato troppo alla concezione di lavoro come fase o merce del processo capitalistico, motivandosi con una visione dicotomica, aggiungendo alla fase del processo capitalistico, anche ciò che distrugge il capitale, cioè la dignità dell'uomo rappresentata dal lavorare per se stessi e non come mero mezzo di produzione, ed è secondo Krahl, questa la vera ragione della discussione attorno le classi sociali.

Però ora ci si trova nell'opposto di questo opinava Krahl attorno Marx, c'è troppa soggettività, non è possibile a questo punto fare discorsi di portata generale, nessuna scienza può infatti partendo dal generale identificare i risvolti che si avranno in persone reali assoggettandole a particolari regimi decisionali.


Nell'antichità, però, il lavoro non aveva certo la collocazione centrale a cui noi siamo abituati, anzi nei classici spesso viene definito come sinonimo della brutalità umana, il lavoro avvicina l'uomo alla bestia, gli unici a dare accezione positiva sono Virgilio ed Esiodo, mentre a partire da Euripide, anche le attività sportive, dunque fisiche in genere, sono degradanti.

Da qui emerge la concezione dei greci dove la mente è prima di tutto, e fa inoltre notare Dominique Méda "nella Grecia antica si trovano mestieri, attività e mansioni, ma mai si tratta di lavoro"


C'è poi chi afferma che la concezione di lavoro quale strumento di realizzazione per lo spirito umano è una grande scoperta epocale - Simone Weil- facendo notare la grandezza di Bacone nella sua interpretazione positivista dei versi 17-19 Genesi riguardanti la maledizione dell'uomo, Bacone così li interpreta "L'uomo comanda alla natura obbedendole", che mette in primo piano lo scambio scienza - tecnica - natura intesa come laboratorio di osservazione di fenomeni fisici e chimici.

Poi però in modo incredibilmente esagerato, da pazzo visionario, a questo scambio tra natura e tecnica, in certi aspetti oggettivamente fastidioso, c'è chi da una visione fantascientifica, racconta infatti Anders di una civiltà post - terza rivoluzione industriale, molto simile a quella del capolavoro cinematografico "Metropolis" , la sottomissione umiliante dell'uomo al frutto della sua inventiva.


Le interpretazioni più positive, e certamente reali della correlazione lavoro - tecnica non mancano e sono culminanti nella massima di Antimo Negri -"Lavoro e tecnica sono la stessa cosa", cioè il lavoro facendosi tecnica libera l'uomo dalle fatiche del lavoro.

Questa massima viene considerata e fatta da Henry Ford a stendardo dei suoi principi mistici immessi nel ciclo produttivo come afferma da una intervista rilasciata al giornalista di origine italiana Papini.


Altra visione allucinante, o forse da allucinata riguarda la cronaca della scelta fatta da Simone Weil, che riguardo la sua scelta militante tra gli operai, si sentiva oppressa dal sistema capitalistico, dove per produrre di più spinge gli uomini a lavorare tutti assieme, in situazioni tali da fare perdere loro la propria identità, di farli sperare una ribellione sociale, in uno spiritualismo nuovo che li motivi alla rivolta delle classi sociali.

Ora, la previsione del passaggio della società da lavorativa a quella dell'attività, certamente non è facile, né automatica, certamente lungo, un passaggio così radicale, dove è semplice raggiungere il soddisfacimento dei bisogni tanto che ogni uomo è libero di dedicarsi ad un'attività remunerativa anziché ad un lavoro, è tanto strana, che almeno oggi, colla società che sempre osserviamo ed a volte ci disgusta, che per essere rappresentata ci si deve servire dei miti, di quello di Prometeo che strappa le scienze agli Dei per donarle agli uomini, e di quella di Sisifo che è costretto per i pendii del Tartaro a rotolare una pietra che sempre ricadrà a valle.

E volendo dare ragione a chi dice "nessun lavoro è inutile, Sisifo si faceva muscoli", ci si deve abbattere moralmente per ammettere che ci si giova del lavoro donando e non vivendolo, come pure un seguace di Simone Weil, Camus, dice degli operai che sono sempre felici di lavorare per il capitalista, meno che nei momenti in cui sono coscienti di questo fatto.

Oggi non sembra esserci contemperamento tra lavoratori e capitalisti, o barbarie o liberazione del lavoro appare il motto dei lavoratori salariati.

Le alternative tuttavia ci sono, tre le più apprezzabili, cioè :

riduzione dell'orario del lavoro, che visto prima come progresso (si badi bene, no crescita o sviluppo) del lavoro, ovvero la sua trasformazione in occupazione da dividersi con altre occupazioni (del tempo libero), ora è difesa per i lavoratori, riduzione generale per permettere anche ad altre persone di lavorare.

Sviluppo del terzo settore, umanità, solidarietà, volontariato no profit,

Salario di status cittadino, utopico colla crisi che sta vivendo il welfare state.


Una eclettica alternativa può venire dalla comunque utopica proposta del "manifesto dei 35" che accoglie i miti delle tre idee tradizionali e che in più dovrebbe essere attuata in tempi brevissimi. Una pazzia.

Post- fordismo: La nuova divisione del lavoro sociale.

Di William Gualco.

Introduzione.


L'eccezionale storia della Ford, nata nei primi del 900, ha dato uno schema produttivo efficiente per quel tempo, catene di montaggio costituite da macchine specializzate e operai no specializzati, attribuendo una carattere taylorista (di parcelizzazione) all'uomo - automa - operaio.

I momenti di crisi della struttura Ford, sono sempre stati attutiti dalla politica Keynesiana, ma poi, dal dopoguerra alla primi crisi del 1973 nessuna politica è più riuscita a fare ringiovanire il sistema Fordista.

Da qui giorni in poi si è sempre cercata una nuova filosofia produttiva, ma la risposta univoca non lo è certamente, e volendo considerare solo le strutture più produttive e ben caratterizzate, ne abbiamo di quattro tipi:

service economy

flexible specialization

neo - fordismo

toyotismo.


Service economy e fordismo periferico.


La service economy è una nuova cultura dell'impiego del lavoro, e il processo di terziarizzazione in cui tutti i paesi occidentali germi dell'industrializzazione si stanno avviando, è il processo in ultima analisi di distacco dalla produzione di massa di avvicinamento delle grandi imprese di prodotti personali per importanti clienti.

Certamente la standardizzazione dei beni non è certo interrotta, però bastando solo manifattura e poco addestramento intellettuale questa anche per motivi di costi del personale è stata trasferita in paesi ora emergenti, mentre è rimasta in patria la ASA specializzata nella service economy.

A caratterizzare la s.e. è dunque la diminuzione dei costi di produzione, l'elemento tipico della produzione standardizzata, e l'aumento dell'incidenza sui nuovi beni dei costi di ricerca e di sviluppo.

E' questo quanto accade nelle leadership dell'elettronica con prezzi più alti in confronto alla concorrenza che copia le innovazioni, e come afferma Reich sono strutturate sulla service economy anche le industrie farmaceutiche e le siderurgiche pure se vengono ancora considerate manifatturiere al contrario delle industri di calcolatori.


Questa è la prova del "ciclo del prodotto" teorizzato da Vernon che permette pure di potere vendere su mercati ora in crescita, e tutto questo è poi stato definito come fordismo periferico.

Questa politica è concretizzata dalle concept cars, auto mondiale prodotto perifericamente in ogni componente e poi assemblate per il mercato nel luogo più vicino ad esso.


The flexible specialization.


L'economy service è solo modo di spostamento delle produzione in mercati saturi, invece la soluzione per continuare a produrre nei mercati originari viene dalla specializzazione flessibile.

Questo processo è stato evidente a partire dagli anni 70 e si è sviluppato nei cc.dd. distretti industriali, zone con concentrazione di piccole e medie imprese, che solo per la loro dimensione hanno rinunciato al paradigma fordista provando nuove strutture produttive, e così solo per caso hanno incalzato la soluzione alla produzione in mercati saturi.

Queste imprese hanno struttura fisica e organizzativa antitetica all'impresa fordista, come viene osservato dagli economisti del M.I.T., loro hanno produzione basata non più sulle economie di scala, a priori per loro impossibile viste le dimensioni, ma ad economie di scopo, dunque devono si essere specializzati, ma flessibili.

Le loro apparecchiature non saranno mai nella loro funzionalità monolitiche, ma macchine a programmazione numerica capace di essere governata dall'operaio che non è più specializzato alla smithiana, il lavoro loro non sarà parcellizzato, ognuno degli operai sarà un po' come al vecchio padre di famiglia della società rurale, con un'infinità di compiti che sa svolgere, e proprio per questo inoltre ci sarà anche un'integrazione direttiva in senso verticale tra operai e managers che sapranno dialogare tra loro per trovare più funzionali processi produttivi, mentre all'interno del paradigma fordista l'operaio di certo non aveva questo dialogo col direttivo.

Ora occorre osservare che l'ambiente no né un accidente dello sviluppo della flexible specialization, ma è causa fondamentale.

Il termine distretto industriale è adatto a spiegare le funzioni dell'ambiente come lo stesso inventore del termine Marshall ci spiega.

Localizzando in piccole aree le produzioni omogenee, ci sono tanti vantaggi, dapprima si vede una forma non più conflittuale tra capitalisti e operai, ma l'impresa diviene una grande famiglia ove tutti si adoperano per dare il meglio, poi ancora :

diminuiscono i costi di scambio, di informazione di trasporto tra le imprese specializzate in un processo

l'agglomerazione delle industrie comporta uno scambio istituzionale tanto da promuovere la cultura industriale.

C'è continuità tra innovazioni ed invenzioni che spingono sempre alla migliore concorrenza.



La ristrutturazione della grande impresa degli anni '80


Partendo dall'analisi della teoria tecnologica delle onde lunghe neo - schumpeteriane, che in sintesi dice che tra un processo e l'altro di grande produzione proprie delle grandi imprese, esistono tempi relativamente brevi dove nuovi metodi produttivi vengono utilizzati dalle piccole imprese che per la loro struttura elastica possono essere migliori pioniere, ed una volta trovata la nuova metodologia, con accoramenti strutturali la grande imprese le utilizza rientrano in una nuova lunga onda produttiva.

Ora senza dubbio si è visto da metà degli anni 80 la ristrutturazione delle grandi imprese in forza della flexible specialization, che su di queste ha ben sposato il processo della produzione di massa fordista, e dove ad essere flessibili non sono qui gli operai, ma nuovi sistemi tecnologici che a volta aiutano alla progettazione che deve essere di tipo nuovo per sfruttare l'interagibilità dei robots industriali (cad e cam i tipi di progettazione) altre volte, dalla parte dei robots devono essere semi intelligenti, cioè muniti di trasduttori capaci di combinare in maniera digitale gli inputs fisici esterni.

Dal punto di vista dell'organizzazione interna dell'impresa si nota che questa deve ora autoregolarsi perché processi prima iniziati vista la mutevole realtà della nostra società, potrebbero non più essere sufficienti a contenere i costi, e qui si vede la flessibilità, per cui dovrebbero per l'aggiustamento della mira aversi dei feed - back e feed - forward.

Tutto questo può aversi non più colla gerarchia piramidale ma con quella di tipo reticolare che permette una pronta e rapida informazione tra i vari settori aziendali, tra cui gli operai ricalcando la politica della specializzazione flessibile.

Dunque potrebbe essere, e lo è, a differenziare la grande impresa anni '80 la struttura reticolare dell'organizzazione che non figura coll'apice direttivo e man amano che si scende persone con meno discrezionalità, ma c'è una discrezionalità in ogni rete del network, che spesso si spinge anche ad internalizzare servizi esterni, in particolare di ricerca e di sviluppo, all'interno del network.

Il fenomeno più interessante in questo contesto è il sopravvivere dell'idea di produzione di massa fordista, ed il superamento della parcelizzazione taylorista, infatti ora anche gli operai specializzati tra loro comunicanti e capaci di svolgere più mansioni hanno ampia discrezione direttiva all'interno della loro maglia di rete, all'interno del loro nodo.



Il neo - fordismo.


I sostenitori della fabbrica fordista non ammettono il superamento del loro paradigma considerando il boom industriale degli anni 80 non affatto una rottura ma la normale evoluzione dei metodi fordisti.

Ora questo tipo di ottica viene adottata quale sistema di fordismo - flessibile o neo fordismo.

I sostenitori opinano soprattutto la solo apparente discrezionalità dipartimentale derivante dai network, in quanto l'interdipendenza è tanto delicata da fare si che comunque ci sia un organo all'apice della struttura il cui corpo attraverso le reti informative aziendali passa come un nervo che percorre tutto in corpo, in modo da decidere sempre e comunque pure lasciando all'apparenza la decisione propria di ogni reparto. In realtà questo individuo è colui che nell'impresa detiene l'informazione.

Si è anche cercato di dare di nuovo credito al taylorismo dando però una spiegazione ancora più inverosimile del neo - fordismo.


Il modello giapponese.


La concezione neo - fordista di tecnocrazia all'interno dell'impresa cade e si dimostra quindi che la crescita è dovuta alla comunicazione periferica.

Anche la produzione basata sulle nuove tecnologie flessibili però perde colpi, tanto da dimostrare che d'ora in avanti le ristrutturazioni aziendali non devono essere fatte sotto la luce del progresso tecnologico, ma di quello istituzionale, come avviene in Giappone dialogo tra fornitori e produttori, dirigenti ed operai, etc.

Questo è il nuovo paradigma per le impresa, il paradigma del toyotismo.

Il quadro è basato su quattro punti fondamentali :

Eliminazione di tutto ciò che è considerato spreco per la produzione.


Si muovono in confronto al modello fordista molto meno scorte di quanto necessario, questo è il metodo di fornitura delle scorte Just in time, che premette tra assemblatori e fornitori un apparato informativo svelto e trasparente, il modello kanban (documento visibile).

Questo metodo kanban, utilizzato col sistema Just in time è in funzione della domanda di mercato al contrario di quanto accadeva col sistema Ford dove almeno nel breve e medio periodo era l'azienda a pianificare la produzione.

Invece col toyotismo è l'inverso le produzioni non sono nemmeno tanto standardizzate, infatti il just in Time permette innumerevoli piccoli flussi sul mercato di prodotti finiti, e vista l'elasticità permessa dal metodo kanban, ogni produzione può essere differenziata, in modo che non saranno più i vertici aziendali a promuovere la produzione, ma gli ultimi settori produttivi.


Il coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni riguardanti la produzione.


Il coinvolgimento del corpo dipendente è in funzione dell'AUTONOMAZiONE, neologismo derivante dalla contrazione di AUTOMAZIONE e AUTONOMIA, in giapponese jidoka, che per la prima volta in Giappone è stata attuata negli anni 30 con macchinari automatici e autonomi capaci di interrompere il processo produttivo qualora vi siano stati difetti.

Questo principio poi estesa pure ai dipendenti delle industrie nipponiche permette coadiuvato col jit di avere scorte zero e di interrompere il processo qualora i fornimenti sia difettosi o per qualsiasi altra causa di compromissione della qualità totale.

I dipendenti giapponesi, viventi la fabbrica come familie elargites, ad essa si dedicano anima e corpo e vengono ricambiati in triplice modo:

impiego a vita

salario d'anzianità

sindacato d'impresa


Qualità totale.


E' conseguenza del jit, tanto che il processo totale viene identificato come jit/tqc, just in time / total quality control.

Questi sistemi danno discrezione massima agli operai di fermare la produzione quando vi siano difetti, anzi loro hanno il dovere di farlo per non mettere in cattiva luce l'industria in cui si dedicano per tutta la vita. Lo standard da raggiungere nel sistema Toyota è la perfezione, tanto che i difetti si misurano su base un milione.


La partecipazione dei fornitori.



E' questo elemento a caratterizzare il toyotismo come sistema JIT/TQC.

E' l'instaurazione di rapporto di appalto della impresa madre quale acquirente delle forniture, e le imprese figlie devono utilizzare anche loro politiche proprie del JIT/TQC.

Particolare è che la Toyota commissione all'esterno circa il 70% del valore aggiunto alla produzione di automobili.

Ci devono essere intese atte a regolare la celerità e precisione di forniture plurigiornaliere, per cui sono sempre imprese satellite a fornirle, e visto che la scelta non viene fatta dalla case madre in funzione del minore costo d'acquisto me sulle potenzialità di buon protocollo nel lungo periodo, le imprese figlie saranno sempre assoggettate ad esami per misurare anche la disponibilità e prontezza nel cambiare la produzione in vista di nuovi standars qualitativi, di nuove idee della perfezione.


Una piattaforma comune per una teoria della transizione.


Ora coll'analisi dei fenomeni di struttura produttiva, l'unica risposta certa è che il futuro deve essere dato dalla combinazione dell'economy service, della flexible specialization e del toyotismo, senza però ancora potere azzardare il percorso certo, forse nemmeno la direzione.


Conclusioni.


Pure avendo dotato di principi keynesiani la politica economica, portandoci fino al welfare state , ci sono state crisi, tanto che ci siamo spinti poi verso la de - regulation dell'economica colla specializzazione flessibile, che però ancora mostra problemi riguardo l'occupazione.

Critica del fordismo regolazionista.

Di Ferruccio Gambino.


Per fordismo si vuole qui intendere quello simbolo della catena di montaggio che dovrebbe aumentare la produttività, cosa non sempre vera come si vede per i primi due piani quinquennali, 1928, 1931 in Russia, caratterizzato dalla dequalificazione dell'uomo lavoratore.

Per fordismo regolazionista voglio invece intendere gli interventi dello stato per aggiustare e mediare le forze in conflitto, e realmente in conflitto nella fabbrica di Ford, dove certamente non c'era il rapporto idilliaco che si vuole fare sembrare.

Infatti Ford a differenza dei salari già miseri delle industrie automobilistiche, pagava ancora meno i suoi operai, era contro ogni forma di sindacato dei lavoratori, e contro ogni loro germe di insubordinazione adottava squadre di picchiatori.

Tra le sua amicizie c'era Hitler, che inoltre prende in esempio il modello di Ford per costruire la macchina del popolo, la Volkswagen (Volks = popolo, wagen = auto).

Per non dare adito a confusioni si chiamerà fordismo presindacale la forma produttiva utilizzata in Europa dagli anni venti agli anni 70, fordismo regolazionista la forma produttiva però stemperata dall'intervento statale.


Il fordismo regolazionista.


La periodizzazione del fordismo è quella che vede negli anni venti tale fenomeno svilupparsi nella metallurgia statunitense, che va incontro ad una primi tra le due guerre e viene col sistema keynesiano rapportato ad un welfare distributore di benessere diffuso, e poi la crisi del 1968 che vede cadere irreversibilmente il fordismo.

Dagli anni 70 stiamo vivendo il postfordismo.

LA scuola regolazionista, secondo l'inglese Jessop si occupa dello studio sulla permenenza di alcune strutture fordiste e per fare ciò nel metodo di studio deve trascurare i soggetti umani e le loro metamorfosi, le loro impressioni rispetto organizzazione e riorganizzazione degli assetti sociali.

Questo metodo di studio si compone di quattro indirizzi di ricerca fondamentali:

il primo, aperto da Aglietta, parla dei regimi di accumulazione capitalistica

il secondo, aspetti e formazione della regolazione e delle dimensioni economiche del capitalismo, cioè l'aprirsi ed il chiudersi all'internazionalizzazione nei diversi periodi di crescita capitalistica

il terzo, studia i modelli complessi di organizzazione per attuare le politiche economiche

il quarto tratta dell'interdipendenza tra istituti economici emergenti ed latri che praticano un "regime" già consolidati.


Gli incerti contorni del postfordismo regolazionista.


Per i regolazionisti il postfordismo è un ottimo strumento per portare all'attualità uno sviluppo che non molto lontano nel tempo vede il c.d. turbocapitalismo come nuova forma di capitalismo, ovvero senza nessuna impedenza da parte delle strutture sociali.

Così ci si avvierà all'iperindustrializzazione che vede da un lato la diminuzione dei conflitti tra classi sociali all'interno dell'industria, ma questo perché la cerchia sociali sarà di fatto diminuita, nelle industrie lavoreranno solo gli iperqualificati.


L'analisi del gap tra fordismo e postfordismo, fa evincere che la discontinuità è dovuta alla mancanza tra i due periodi di due elementi che permisero lo sviluppo fordista:

a)   il modo di accumulazione capitalistica

b)   mancato aggiustamento del consumo di massa alle produzioni industriali.



La variante toyotofila.


Il toyotismo, termine coniato dal suo primo sostenitore Tai'ichi Ohno, si pone in occidente come postfordismo ed è caratterizzato dalla visione di un nuova democrazia industriale.

Questo fenomeno diffuso della ribalta del Giappone sull'orizzonte industriale mondiale, arriva all'occidente quando già imposto come forza di prim'ordine, in quanto i disperati tentativi di economisti e sociologi nipponici di fare conoscere al mondo questi nuovi fenomeni, non sono mai stati presi in considerazione.

Il primo a dare importanza a questo fenomeno è Coriat, che presenta il modello dell'industria giapponese, il toyotismo, quale nuovo paradigma produttivo, arrivato in occidente ormai già maturo e la cui importanza è palese.

I vantaggi del toyotismo sono evidenti, la TQC/JIT rende possibile ridurre le scorte e con spirito di gruppo qualora risultassero difetti, o meglio qualora non sia perfetta la produzione, interrompere il processo e lavorare fino alla risoluzione.

Questo fenomeno di amore di gruppo porta all'interno della fabbrica toyotista una democrazia/ostracismo, cioè democrazia per il gruppo affiatato, ostracismo per il lavoratore che non si integra.

Questo fenomeno di ostracismo ha poi indotto Satochii Katama a scrivere il saggio "Toyota, la fabbrica della disperazione"

La particolarità dell'integrazione del lavoratore della toyota polivalente però va a sostenere la tesi regolazionista dell'iperindustrializzazione dove i lavoratori saranno iperqualificati, infatti si assiste nel paradigma della Toyota al c.d. sbiancamento dei colletti blu.
Questo è anche noto come terziarizzazione dei lavoratori industriali.


Il fordismo presindacale.


Il fordismo presindacale era vissuto in modo molto diverso da quello che voleva mostrarsi in pubblico.

Lo stesso Ford era diverso, le sue idilliache memorie (My life and work) fanno intravedere fanatismo, lui era amico intimo di Hitler, i suoi managers erano picchiatori che imponevano lavoro ad un ritmo superiore a quello umano, un ritmo di macchine.


Il sistema della catena di montaggio non era originale come si viole fare credere in quanto le catene di montaggio erano già utilizzate per la creazione di beni durevoli dall'American System of Manufacture, originale fu invece applicare la produzione di massa ad un bene che allora era considerato di lusso.

Inolt5re si deve sfatare la teoria degli alti salari fordisti, i famosi 5 dollari al giorno del gennaio 1914 erano in realtà dati solo ad operai scelti dal dipartimento sociologico della fabbrica ed erano per scoraggiare l'evasione di massa che vi era dalla fabbrica Ford a causa delle condizioni di lavoro.

Tempi e turni estenuanti, era vietato parlare, e per questo il dare lavoro agli immigrati nella fabbrica non deve essere considerato per Ford spirito caritatevole, e nemmeno gli ordini venivano dati agli operai parlando ma solo dal ritmo della catena di montaggio.


All'interno della fabbrica Ford non voleva sindacati industriali o di mestiere, e nemmeno quelli gialli, cioè quelli che tutelano la classe capitalistica.


Nel 1921 più del 30% degli operai Ford vengono licenziati, la concorrenza della nascente General Motors subito si fa sentire puntando sulla differenziazione dei progetti, sulla varietà dell'offerta.

Proprio questo fenomeno fa nascere le prime sommosse degli operai in fabbrica e quando nel 1941 c'è il grande sciopero e gli operai Ford riescono a fare fronte alle forze dell'ordine colla frase di Emil Mazey "era come vedere prendere improvvisamente vita degli uomini che erano semimorti", parte la sindacalizzazione della Ford.

Comunque ora i salari della Ford erano i più bassi tra quelli già bassi dell'industria automobilistica.


LA Ford viene presa bene nel Uaw, il sindacato dell'industria automobilistica americana, tanto che appena entrata ad essa viene commissionata la fornitura per la guerra del 1945 già in vista togliendo lavoro alla Gm e alla Chrysler molto prima di essa aderente al Uaw.


Proprio queste commissioni salvarono la Ford dal fallimento anche se Il paradigma Ford crolla definitivamente nel 1941 colla sindacalizzazione.



Postfordismo e toyotismo globali.


A caratterizzare il postfordismo ci sono due assiomi.

i)     la sostituzione delle serie massicce da parte di quelle discrete in modo da potere differenziare il prodotto, fenomeno perfezionato dalle macchine a programmazione numerica degli anni 50

ii)       la comunicabilità all'interno della fabbrica tra strati gerarchicamente diversi.


E' evidente che i due assiomi sono antitetici a quelli del paradigma fordista, dove henry Ford diceva "l cliente può comprare l'automobile del colore che vuole, purché sia nera".

Le insistenze di Ford alla produzione indifferenziata porto per la prima volta sul finire degli anni venti a gravi disastri finanziari che fecero rischiare il collasso della Ford.

Molti operai della Ford negli anni trenta rischiarono il licenziamento dalla fabbrica per acquistare un'automobile della General Motors.


Il toyotismo rompe col fordismo quando negli anni 50 e 60 sviluppa le squadre per adattarle ala polivalenza.

In principio le auto Toyota furono un fallimento, tanto che la esportazione era lungi dal manangement nipponico, anche potendo contare sull'oligopolio interno, tanto che nel 1936 alle primissime armi della Toyota inizia una lotta verso la Gm e la Ford, e solo dopo tre anni questa viene vinta dalla Toyota che si presenta leader nel Giappone per la vendita dell'automobile.

La svolta toyotofila arriva negli anni 70 colla corolla che è la prima a mostrare i risultati del JIT/TQC e che viene destinata pure all'esportazione.


Il secondo assioma lascia travedere una comunicazione tra gli elementi della produzione inimmaginabile fino poco tempo addietro, e non solo ma anche una discrezione assoluta dei vari reparti decisionali dell'organigramma della fabbrica, organigramma che somiglia sempre più ad una net che non ad una piramide.

Detto questo però è importante ricordare che proprio in Francia, bacino della scuola regolazionista si sta assistendo ad un aumento della lavorazioni fatta su catena di montaggio, tanto che dall'84 dove vi erano sottoposti il 13.2% degli operai nel 1991 vi sono sottoposti il 16.7%.

In conclusione si può dire che il regolazionismo studia le implicazioni dal lato del capitale e delle strutture da esso generate come motore della società


Internazionalizzazione dell'economia,

rilocalizzazione della produzione,

filiere mondiali delle merci.

Di Maurizio Donato.


Introduzione.


L'informatizzazione di massa e la diminuzione dei costi di trasporto e di telecomunicazione, hanno reso sempre maggiore la distribuzione del lavoro sulla terra, si è avviato un processo di internazionalizzazione nuove alla storia della società.

Un fenomeno è la diminuzione del costo della telefonata internazionale dal 1930 ad oggi di circa sedici volte.

Inoltre l'apparizione di paesi dell'Africa e dell'America meridionale sul mercato del lavoro ha offerto circa 1.200.000.000 lavoratori dal costo medio orario di 2$.


Informatica e telecomunicazione, importante il fenomeno delle reti informatiche a tal proposito, hanno reso possibile decolonizzare le filiere produttive, in modo da lasciare i centri strategici - finanziari nelle sedi amministrative, tra cui la triade, USA, Germania, Giappone, e trasferire l'attività produttiva dove il costo del lavoro costa di meno.

All'interno dei grandi centri, poi possono distinguersi microcentri settorializzati per la produzione, come la Silicon Valley per i computers, lo Utah per il software, Paesi bassi e Singapore per la logistica ad alto valore aggiunto.


E' orami consuetudine pensare che solo i colletti blu sono gli elementi più a rischio nei paesi di vecchia industrializzazioni per mezzo delle economie dei paesi emergenti, ma in realtà tale fenomeno tocca pura gli impiegati, la Swissair ha spostato la direzione amministrativa centrale da Zurigo a Bombay, visto che un dipendente di banca indiano costa 1/40 di quello svizzero, e molte banche statunitensi stanno spostando i servizi informatici in Irlanda ed acquistano software in India o nelle Filippine lucrando sul terzo del costo in questi paesi.


Ora il processo produttivo si sta spostando per filiere, questo fenomeno in Italia è evidente dopo la crisi del triangolo industriale, ed è sostenuto dalla organizzazione delle piccole e medie imprese che rappresentano il 75% di quelle italiane, e la limitata efficienza finanziaria di queste.

Queste piccole imprese stanno un nuovo stimolo all'economia del nostro paese.


Questi fenomeni di interdipendenza si notano nei paesi più industrializzati dove le connessioni tra aspetti dell'economia (primario, secondario e terziario), almeno tra i primi due rende impossibile ed inutile una distinzione.

Si tratta nella fattispecie dell'industrializzazione per mezzo di valore aggiunto al valore dei prodotti agricoli, cioè a fornire le industrie è il primario, e le industrie ci servono prodotti agricoli dall'elevato valore aggiunto.


L'abbattimento dei costi e la caduta delle frontiere rende possibile però acquistare le materie prime da economie diverse da quelle nazionali abbattendo ulteriormente i costi di produzione..

Questo fenomeno comporta che nell'economia più avanzate vengono trascurati i beni di prima necessità preferendo quelli a maggiore valore aggiunto.






La dinamica del sovrappiù.


dinamica del sovrappiù = SV.


Per dinamica di sovrappiù si vuole indicare tutta la parte di reddito derivante da capitale (pubblico o privato) e rapportata al prodotto interno lordo (Pil/SV) rappresenterà la parte di capitale eccedente la distribuzione dei costi sono diversi tra redditi di capitale privato e redditi di capitale pubblico (in questo caso i costi saranno gli stipendi dei dipendenti delle amministrazioni).


Nei casi virtuosi il saggio di sovrappiù Pil/SV (Giappone , Italia centro settentrionale) permette un'accumulazione capitalistica atta ad espandere la ascesa capitalistica al di fuori dei confini nazionali.




Le nuove periferie dell'impero tra industrializzazione selvaggia, paradisi fiscali e Stati - regioni.


Le forze economiche concentrate stanno sempre più assumendo imponenza pari a quella istituzionale delle zone su ciò sorgono, tanto che da uno studio eseguito dalla Fondazione Agnelli emerge che c'è tanta espansione territoriale da fare perdere potere alle zone dove nascono le grandi potenze capitalistiche .


Le zone ora più influenti della concentrazione capitalistica sono l'Usa, il Giappone la comunità europea, ma entro il 2010 si prospetta che questi confini siano fisicamente ridicoli in fronte a quello che si prospetta.

Già ora c'è un commercio intracomunitario incredibilmente prepotente, basta pensare che dei 10.000$ pagati per l'acquisto di un'automobile della Gm, questa ripartisce a titolo di rimunerazione per costi produttivi di ogni livello circa il 75 % del valore aggiunto su gran parte del globo, sia in paesi industrializzati, Giappone , Germania e Regno unito, che in quelle parti cc.dd. emergenti.


Altro problema è quello della massimizzazione del profitto after - tax, per cui il problema degli oneri fiscali è il cardine della politica di alcune imprese.

Per questo motivo molte multinazionali americane (non solo invero) trasferiscono parte delle loro attività produttive in veri e propri paradisi fiscali, sottraendo in questo modo grandi introiti alle casse statunitensi.

Accanto alla triade Giappone, Usa, UE stanno nascendo periferie dove sorgono aggregazioni territoriali a carattere federalistico, fenomeno osservabile anche in Italia colla richiesta prima federalista poi secessionista del triveneto.







Conclusioni.



Nel processo di unificazione monetaria dei paesi europei è importante osservare quello che accade ad alcuni piccoli Stati che restano esclusi, e proprio questa esclusione permette loro di sopravvivere.

Tra questi stati è importante menzionare la Repubblica serenissima di S. Marino , l'isola di Man fisicamente collocata vicino le coste Irlandesi, lo Stato Vaticano, il principato di Monaco.


Man, ad esempio si presenta come paradiso per le attività finanziare off-shore, e come il principato di Monaco è praticamente free - tax.

Per insediare una società sull'isola bisogna pagare solo le spese di costituzione pari circa a 30 sterline.

Credito, debito e lavoro..doc



GOVERNO DELLA MONETA E ORDINE ECONOMICO INTERNAZIONALE.

Di Lapo Berti.



Introduzione.


Il processo di mondializzazione della moneta, c.d. globalizzazione finanziaria, sta portando a sfumare i confini territoriali di applicazione socio - legislativa dei regolamenti economici.

Dunque per la regolamentazione per un'economia monetaria globalizzata deve essere fatta istituzionalizzando nuove aree non fisiche per la regolamentazione dei processi dipendenti dal traffico monetario.


Il "Gold Standard"


Dal 1880 al 1914 il sistema di riferimento era il "Gold standars", la convertibilità in oro, sistema caro ai classici che vedevano in tale standard la possibilità di avere denaro indipendentemente dalla politica del paese, ma in funzione delle riserve auree.


Il problema è che gli stock di riserva erano mutevoli al semplice evento commerciale, ma non a eventi straordinari.

Proprio per questo alla vigilia della grande guerra mondiale, per il finanziamento bellico cadde il gold standard, e dopo , colla calma, pure se Keynes lo riteneva residuo barbaro, si ritorna ad un avariante del gold standard, il "gold exchange standard", variante che consisteva nel dare valenza simile in tutto e per tutto all'oro ad una moneta che avesse nelle casse nazionali grande riserva aurea, in pratica lo standard exchange gold veniva dato al paese che più di tutti riusciva ad emettere moneta coperta da oro.


Il "dollar standard"


L'unico paese che poteva mantenere il gold exchange standard era l'USA che ben presto concretizzò un vero e proprio "dollar standard" infatti il deficit della bilancia dei pagamenti americana erano di gran lunga compensati dall'attivo della bilancia commerciale americana, ma nel periodo si arrivò al punto che il delta tra saldo commerciale e saldo dei pagamenti cambiò segno, fino a portare nel 1971 il governo americano a dichiarare inconvertibile il dollaro in oro, e che dunque il dollaro sarebbe stata una moneta politica.


Ricardo.



Valore di un bene in Smith e Ricardo (e Malthus).


La società progredita è una società dove viene utilizzata la divisione del lavoro, arrivati a questo stadio la società è capace di produrre eccedenza, e dunque a differenza delle società primitive non può più il valore di un bene essere relazionato al tempo lavorativo impiegato per la sua realizzazione, ma è la capacità di lavoro che riesce a comandare nel mercato.

Inoltre Smith riesce a misurare lo sviluppo economico di una società in base ad un'analisi diacronica dei risultati economici.

Il valore del bene non ha aspetto univoco, ma deve essere osservato dal punto di vista del salariato e da quello del capitalista.

Per il salariato, il lavoratore, il valore del bene è determinato dalle ore impiegate alla sua produzione, questo è detto valore reale.

Per il capitalista, invece, il valore di un bene è determinato dall'insieme, di profitti, rendite, e salari, questo è detto valore naturale.


Allora per Smith la misura dell'accresciuta produttività di una nazione si può eseguire calcolando la differenza tra valore reale e naturale del bene, poiché s'intende che le eccedenze saranno reinvestite in altri fattori produttivi, macch9ne o lavoratori.

Dunque il valore nella teoria della distribuzione di Smith, dipende dall'andamento appunto, e non dalla produzione.

Secondo Smith è importante ricordare la relazione che esiste tra salari ed altri elementi, in particolare che quando vi sono più capitali, i profitti si abbassano per virtù della concorrenza.


Ricardo dapprima va contro Smith dicendo della confusione che fa tra ricchezza di una nazione e valore di un bene, sostenendo un filosofo che la ricchezza si misura in quantità di bene che una nazione può comprare valore sul mercato.

Ricardo considera ricchezza la capacità di consumo di un paese, però a differenza di Smith per lui il valore di un bene si determina all'interno del processo produttivo, non in funzione della ricchezza del paese.


L'analisi scientifica di Ricardo parte dall'agricoltura, e premette che se tutte le terre fossero fertili e feconde, viste le poche difficoltà nella produzione, i frutti terrieri avranno un prezzo basso, aumenterà quindi il salario reale, il benessere porterà allora ad altre nascite, ancora altro prodotto.

Assioma di Ricardo è però che la terra è scarsa e limitata, e dovranno accolturarsi anche terre marginali dove dovranno esserci concentrazioni di capitali maggiori, ed il frutto terriero avrà questa volta un prezzo più elevato.



Legge dei rendimenti decrescenti.( dell'utilità marginale)


Un fattore DI produzione aumenta la produttività delle combinazioni economiche in misura decrescente man mano che si dispone DI quantità maggiori DI tali prodotti.


Tale legge ben si può applicare ad una società, in questo modo.

In una società, in un determinato momento, con popolazione sottodimensionata rispetto alle sue risorse, il reddito pro-capite e la popolazione potranno crescere fino ad un determinato momento, per un tempo determinato e non lungo.

Man mano che però la popolazione cresce, diminuisce l'utilità marginale, dunque come rapporto anche il reddito pro-capite. In questa situazione, poi, solo un'innovazione tecnologica o istituzionale che sia, può cambiare la direzione dell'evento.

Nel 1798, il reverendo Thomas R. Malthus ,pastore inglese divenuto poi economista, pubblico il

Saggio sul Principio della Popolazione, in cui sosteneva che "la passione tra i sessi", avrebbe portato ad una crescita DI popolazione in progressione geometrica (2X), mentre le disponibilità DI cibo sarebbero cresciute solo in progressione aritmetica (1X), per cui in assenza DI una "costrizione morale" , la popolazione sarebbe stata costretta ad una vita DI sussistenza.

Malthus, ovviamente non aveva tenuto conto delle innovazioni tecnologiche ed istituzionali, infatti ove ci sono state, la sua teoria è stata inadeguata, mentre la realtà dei paesi in via DI sviluppo sembra dargli pienamente ragione.




Ricardo è stato uno dei pochi economisti con formazione tecnica in quel periodo, era un agente di borsa di famiglia ebrea prima immigrata in Olanda poi in Inghilterra.

La sua opera non fu mai originale nello spunto in quanto prima ispirata a Smith e poi a Malthus, però nell'elaborazione è sempre stata caratterizzata dalla rigidità logica.

Il primo approccio di Ricardo all'economia fu leggendo "La ricchezza delle nazioni "di Smith, approccio che poi approfondirà e fra suo proprio fino alla pubblicazione de "Princìpi di Economia Politica" nel 1817.

Nei discorsi pubblici tenuti prima della pubblicazione, sempre sono stati accolti benissimo quelli sulla politica monetaria, dove il principio cardine di tutta la teorizzazione era la convertibilità aurea, dunque la parità.

Per meglio capire Ricardo deve inquadrarsi la periodizzazione in particolare, essendo alla fine delle guerre napoleoniche, il boom economico degli investimenti prima di queste, ormai è un ricordo lontano, ed ora c'è in Inghilterra più povertà, il calo dei prezzi agricoli portò ad una diatriba epistolare tra il reverendo Malthus e Ricardo, rapporto durato più di dieci anni che tanto a fatto crescere i due economisti senza però mai farli cambiare indirizzi teorici.

Malthus sosteneva che bisognava proteggere i prezzi del grano per sostenere i redditi fondiari.

Secondo Malthus la protezione avrebbe invogliato i proprietari terrieri ad investire in quel tipo di attività anziché in altre anziché l'abbandono temporaneo della terra.

Ricardo invece pensava che il sostegno dei capitali agricoli avrebbe fatto diminuire i profitti per cui vi sarebbe stato un ristagno generalizzato dell'economia.

Ricardo da qui inizia ad analizzare le correlazioni funzionali tra salari, rendite e profitti in aumento del grano, bene di sussistenza.


Queste correlazioni erano in parte estranee a Smith, per lui la distribuzione dei beni non aveva a che fare colla produzione degli stessi, problema risolto colla teoria dei costi comparati di Ricardo, infatti per il filosofo erano i costi dati dall'ordine naturale delle classi sociali, i salari si fissano a livello di sussistenza, i profitti sono quanto anticipato dal capitalista, le rendite un ricavo monopolistico per il possesso della terra.


Ricardo, la sua idea è così sintetizzabile : se il prezzo del grano aumenta, essendo questo per eccellenza il bene di prima necessità, deve aumentare anche il salario, ed i profitti dati dall'enucleazione dei costi (salari e rendita terriera) dai ricavi, diminuiranno di conseguenza.

Essendo ora, il saggio di profitto motore che spinge all'impresa, al capitalismo, se il prezzo del grano aumenta, diminuirà il saggio di profitto , e ci saranno meno capitali investiti in questo settore comportando un ristagno generalizzato dell'economia nazionale.

Ricardo allora, capita la relazione tra prezzo del grano e saggio di profitto, studia ed analizza la determinazione del prezzo del grano, osservando che il prezzo di mercato sarà sempre quello delle terre marginali, ovvero di quelle dove il lavoro nel trittico è prevalente.


Importante è osservare che per Ricardo non è vero che chi possiede un bene di un valore maggiore sia più ricco di chi ha un bene dal valore minore, essendo valore e ricchezza entità diverse.

La ricchezza ha a che fare con i beni, il valore colla pena costata per la fabbricazione dei beni.

Per Ricardo il valore del bene, la ragione di scambio con altri beni, dipende dalla quantità di lavoro occorsa per la realizzazione dei beni diversi.


Ricardo condivide con Smith la definizione di lavoro :" il salario è il compenso per il lavoro svolto", definizione che verrà demolita da Marx che considera salario il prezzo del lavoro.

Essendo il salario il compenso per il lavoro sostenuto, ed essendo la terra scarsa e limitata, per mettere a coltura altre terre c.d. marginali, ci vorrà più lavoro, e quindi essendo il prezzo del bene prodotto secondo Ricardo dato dalle difficoltà della produzione, ed essendo il prezzo di mercato quello delle più tristi delle condizioni produttive, proprio queste terre, il loro frutto determineranno il prezzo di mercato dei beni di sussistenza.

Invece per Smith il prezzo di mercato è dato dall'equilibrio tra domanda e offerta.


Il capitalista che ha prodotto sulle terre meno feritili , farà anche il prezzo di mercato, il prezzo detto marginale, dunque a parità di prezzo avremo capitalisti intramarginali, extramarginali e marginali in confronto ai costi, per cui quelli intramarginali avranno profitti maggiori perché avendo una buona terra avranno investito meno in lavoro, e questo discriminante, K-Pv, andrà ad aumentare le rendite dei proprietari delle terre non marginali, evincendo che la rendita è un reddito relativo al processo di produzione.

Anche se i proprietari terrieri avrebbero per assurdo rinunciato alla rendita, essendo un costo relativo, niente sarebbe cambiato nella contabilità dei costi, per cui i salari sono la causa del ristagno, e quindi permettendo l'importazione di grano a buon mercato in Inghilterra, i salari sarebbero diminuiti e di nuovo i capitalisti si sarebbero spinti verso investimenti produttivi.


Ricardo allora pure pensa alla pari di Smith che la concorrenza faccia diminuire i profitti, aumentare rendite e salari, ma qui c'è l'eccezione che fa Ricardo in quanto a crescere sono salari monetari e non quelli reali.

Altra differenza è che Smith all'abbassamento dei profitti pone rimedio con il commercio estero, mentre Ricardo non riesce a trovare il nesso tra caduta del saggio di profitto e internazionalizzazione degli scambi.





Smith e Ricardo pure avendo in comune l'idea che all'aumentare dei salari diminuiscono i profitti, la differenza resta sostanziale, in quanto Ricardo teorizza questo vedendone le relazioni all'interno del processo produttivo, mentre Smith considera i due fenomeni indipendenti tra loro, pure avendo a che fare coll'accumulazione capitalistica.

Quando i profitti diminuiscono tanto che il saggio di profitto è tanto basso da frenare l'investimento in patria, ci si può spostare coi capitali all'estero propone Smith, mentre Ricardo crede nell'autoaggiustamento di domanda e offerta all'interno della patria, cioè qualora divenissero bassi i profitti per l'alta concentrazione di capitale in patria, altri capitalisti avrebbero senza dubbio sbocchi su altri mercati nazionali non saturi, di conseguenza i capitali vecchi si sposterebbero nei nuovi facendo aumentare nuovamente i prezzi per carenza di domanda (o meglio diminuzione) fino al prezzo d'equilibrio.

Dunque nel medio lungo periodo i prezzi, i profitti, i salari, non variano se non temporaneamente.

Poi essendo come dice Smith che "ai desideri umani non c'è limite", mai per definizione di domanda, sarà saturo il mercato in assoluto.


Per Ricardo dunque la domanda può spostarsi da un bene all'altro, colla domanda l'offerta, cioè ci sarebbero ristrutturazioni capitalistiche, e solo per i beni di prima necessità può capitare che potrebbero aversi carenza o abbondanza di prodotti, ma per gli altri di bene, si avranno sempre gli sbocchi giusti del mercato, questo perché come il primo a teorizzare la "legge degli sbocchi" J.B. Say, teorizza la correlazione fondamentale per il mercato che è la corrispondenza tra volume di produzione e volume di domanda, chi materialmente produce deve potere acquistare, con un gioco simile al baratto, dove la moneta è elemento da utilità marginale adattabile perché modulare.

Questa teoria allora necessità di due requisiti:

l'economia capitalistica deve essere svolta allo scambio e non ai profitti

la moneta sia mezzo di scambio (dunque misura i valori e non i profitti che derivano dalla produzione).


In ultima analisi Say e Ricardo vedono il mercato come capace di autoregolamentarsi, ed avranno contro di loro teoricamente Marx, praticamente Keynes che vista la crisi del 1929 osserva che il mercato ha bisogno di essere aggiustato, non è capace di adattarsi da solo agli accadimenti finanziari ed economici.


Allora Ricardo e Smith sono in antitesi perché il primo pensa sotto influenza di Say che sia la produzione a regolare la domanda, Smith l'opposto.


Riguardo le idee del commercio estero dei due economisti, entrambi ritengano che questa politica abbia un effetto benevolo sulla distribuzione dei capitali, ma Ricardo non certo la sostiene come Smith, ritenendo immobile il capitale, a conti fatti è stronzo ed ha torto.


Legge di Jean - Baptiste Say.

Say teorizza che è la produzione a creare la domanda, per cui visto che gli elementi produttivi e tra questi anche i costi comparati al tempo d'impiego, producono quanto possono acquistare i prestatori di tali fattori, ci sarà sempre un'ottimale sbocco per tutta la produzione, salvo la mala informazione che può fare fluttuare l'offerta ma mai strutturalmente all'apparato economico come ipotizza D. Ricardo.

Questo concetto di Say, verrà dopo con un apparato concettuale di grande influenza ripreso dalla teoria dell'equilibrio generale di Walras.

Per Say e la sua legge, le persone sono a priori restie all'accumulazione monetaria, per cui tutto quanto si ricava viene speso per gli acquisti, fenomeno vero per i salariati di sussistenza, ma senza dubbio sbagliato per capitalisti e proprietari di fondi.


Le critiche maggiori arrivano presto come quelle di Malthus e di Marx, il secondo sosteneva che produttori capitalistici non producono per il consumo, ma coll'attesa di ricavare dei maggiori profitti in quell'attività, per cui a moneta è elemento fondamentale e centrale, non solo metro di baratto come per Say.

Questa concezione di Marx viene distrutta dai marginalisti tanto che orami la legge di Say viene considerata universale nella sua entità.

Solo colla grande depressione del 1929 e la sua teorizzazione in Keynes viene colpita mortalmente la legge, la quintessenza dell'economia classica.

La critica di Keynes è centrata sull'attesa di liquidità che certo è reale per i salariati ma non di certo per i capitalisti, e questi una volta venduto tutto quanto si aspettano, (cosa che statisticamente non sempre accade), certo avranno intenzione proprio per il loro ruolo nell'economia di non spendere più di quanto serva poiché reinvestire in nuovi fattori produttivi.

Ancora ci sono quelle persone che non intendono spendere, ma non per l'investimento ma solo per tesaurizzare i loro capitali.

Tutti questi accadimenti non sono prevedibili e solo con una politica regolamentatrice del mercato può aversi un sistema economico eccepibile.

ADAM SMITH

INDAGINE SULLA NATURA E LE CAUSE DELLA

RICCHEZZA DELLE NAZIONI

(SAGGI).


Introduzione e piano dell'opera.

In ultima analisi il perso e la misura per misurare il benessere di una nazione è il rapporto tra due elementi, persone produttive rapportate a quelle improduttive che ad esso devono la sussistenza, ed implicitamente anche alla destrezza dei lavoratori produttivi, questi elementi comunque devono essere analizzati sempre in funzione di un determinato e cristallizzato momento del progresso tecnologico.


E' importante vedere come queste variabili fondamentali della società, considerandole costanti, hanno effetti diversi se visti in economie di società primitive ovvero di società civili.

Prendendo una tribù che vive di caccia, non sempre, i lavoratori produttivi riescono a mantenere i familiari troppo deboli per la caccia, per cui spesso li lascia morire per sopravvivere egli stesso, mentre nella società civile, pure essendo il rapporto lavoratore produttivo, familiari a suo carico uguale o minore, queste barbarie non avvengono.


Libro primo: delle cause del progresso nelle capacità produttive del lavoro, e dell'ordine secondo cui il prodotto viene naturalmente a distribuirsi tra i diversi ceti della popolazione.


V.       Della divisione del lavoro.


La causa principale del progresso nella capacità produttiva sembra attribuibile alla divisione del lavoro.

Questo fenomeno è osservabile in piccole manifatture perché tutti i processi si fanno negli stessi stabili, situazione non vera in grandi complessi manifatturieri.

In linea generale è da osservare che non è possibile la divisione del lavoro per tutti i mestieri, ma solo in quelli la cui produttività no è legata a fattori esogeni alla manifattura, dunque i coltivatori saranno sempre dedichi a più fasi dello stesso ciclo produttivo, anche perché altrimenti per determinati periodi dell'anno resterebbero senza lavoro.

Si osserva in fine che in paesi dove è stata adottata la specializzazione del lavoro, la società è più progredita, ed il fatto che in questi paesi anche l'agricoltura sia più produttiva, non è come già detto frutto della specializzazione, ma della maggiore ricchezza per cui ci sono più massicci investimenti.


L'analisi della divisione del lavoro e della sua produttività è stata fatta in una piccola manifattura osservando il facere degli spillettai, il processo tecnico produttivo era diviso in 18 fasi, e così si producono mediamente 14 libbre giornaliere di spilli, ogni libbra è fatta 4000 spilli di media grandezza.

L'aumento della produttività derivante dalla divisione del lavoro è riconducibile a tra fattori:

la maggiore destrezza che acquista chi abitualmente compie la stessa operazione, e svolgendola per tutta una vita non possono che aversi delle scale positive di produttività

all'eliminazione del tempo che si dissipa dal passare da un'attività all'altra

alle macchine che aiutano l'uomo


Le macchine in particolare devono considerarsi frutto della divisione del lavoro, infatti gli operai che sempre svolgono lo stesso lavoro, la stessa operazione, meglio possono osservare e schematizzare il processo produttivo e dunque concettualizzare macchine che aiutino a fare il loro lavoro, anche perché l'uomo comunque rifiuta di lavorare, infatti l'invenzione che modificò la macchina a vapore rendendo automatica nella comunicazione tra cilindro e camera ardente fu di un ragazzo d che preferiva divertirsi anziché lavorare e pensò di legare il pistone al manubrio di apertura del diaframma in modo che ci fosse un rudimento di automazione.


Però non sempre i perfezionamenti ai macchinari vengono da operai, ma anche da persone che hanno costruito le macchine e si sono dunque specializzate, oppure dai filosofi che hanno la capacità di osservazione n di fenomeni ai più lontanissimi tra loro, ma che invece riescono a trovare il nesso, e tanto più la società si civilizza tanto più i filosofi hanno da osservare, fin quando sentono loro la necessità di specializzarsi vista l'immensità delle cose tra loro difformi talmente da essere destinati a scopi completamente diversi.

Questo processo porta al benessere diffuso in tutte le classi sociali, anche gli operai dando poco della loro giornata hanno reso servizi alla maggiore parte dei lavoratoti produttivi ed improduttivi, e dietro ogni opera produttiva, anche la più banale, come ad esempio un manto di lana grezzo, ha dietro lavoro di infinite persone, centinaia di persone , così anche da avvicinare l'impiego di persone produttive che servono agli abiti di un poveraccio con quelle serventi per l'abito di un ricco signore, cosa che non accade certamente nei villaggi primitivi dell'Africa dove il Sovrano è indossato di vesti prestigiose e lussuose ed i suoi sudditi sono nudi.

VI.     Del principio che dà origine alla divisione del lavoro.


La divisione del lavoro non nasce certamente dalla consapevolezza dei vantaggi che avrebbero portato, ma dall'inclinazione dell'uomo al baratto ed allo scambio, al sinallagmatismo che regna nella società umana, infatti nel regno animale potrebbe farsi la differenza tra bestie dello stesso tipo, i cani ad esempio, ma di razza diverse con le relative peculiarità , come nella società umana l'uomo è diviso e specializzato in cose diverse.

Però nel mondo dei cani, il levriero veloce mai utilizzerà la forza del mastino o viceversa, mentre tra gli uomini anche il filosofo fine e garbato, potrà utilizzare i servizi del rozzo facchino, e viceversa.

Dunque in ultima analisi la specializzazione è frutto del baratto, dalla convenienza di specializzarsi per dare in baratto un unico prodotto.


VII.       La divisione del lavoro è limitata dall'ampiezza del mercato.


Visto che la causa principe della divisione del lavoro è la possibilità di scambiare il sovrappiù, il processo di specializzazione si dovrebbe bloccare quando il mercato è saturo, d'altronde non ci sarà specializzazione nelle Highlander scozzesi, ogni famiglia di questo paesaggio saprà tante faccende che in una città sarebbero invece divise tra tanti lavoratori specializzati, di convesso le specializzazioni hanno senso di esistere solo nelle città, anche le più umili quali il facchino.

La divisione comunque grazie allo sviluppo via acqua continua pure quando il mercato è saturo, infatti questa tecnica di commercio ha il vantaggio di un'enorme vantaggio economico verso il trasporto terrestre, poiché a pari di persone impegnate, la capacità di trasporto di una nave è infinitamente più grande di quella di una commenda di carovane, e proprio questo fenomeno fa si che possa allargarsi anche il mercato di prodotti poveri e voluminosi o almeno poveri relativamente come frumento ed latri prodotti agricoli.


[.] III. Delle restrizioni all'importazione dei paesi stranieri di quelle merci che possono essere prodotte nel paese.


Restringendo con proibizione o alti dazi l'importazione, si assicura un mercato per le merci indigene.

Questo è quanto è accaduto colle carni ed i panni.

E' evidente il vantaggio che ne viene alla produzione interna, si incentiva cosi' ad investire in quel settore anziché l'altro, però non è detto e dimostrato che questa politica porti all'aumento generale della produttività.

A tale scopo bisogna considerare che ogni detentore di fondo finanziario, non può certo assumere più salariati di quanto possa permettersi col fondo in suo possesso, e questo ricondotto su scala nazionale permette di dimostrare che a prescindere dalla politica nazionale del commercio, con un fondo dato, il numero degli impiegati nel ciclo produttivo non varia nella quantità, ma solo nella distribuzione nei vari settori.

In effetti ogni individuo cerca sempre di impiegare il capitale proprio nel modo più vantaggioso, le proibizioni sono per essi solo modi più semplici per trovare la via giusta, e che certo questo capitalisti non cercano il bene della società, ma sono mossi dall'egoismo, è solo una conseguenza che investono in patria, infatti se all'estero avrebbero gli stessi profitti, o poco più, loro sempre saranno incentivati a rimanere a casa propria, di mangiare in casa propria, dio conseguenza di fare mangiare più suoi concittadini.

Il prodotto dell'attività produttiva è quanto in più nei valori si aggiunge alla materia lavorata.

Il reddito annuo di ogni società è sempre uguale alla somma del lavoro del capitalista, e questo è vero si che arricchisce il paese, ma sempre a scopi egoistici, di certo lui non fa commercio per lo Stato, anche se i suoi guadagni vanno poi a misurarsi nell'economia nazionale con metri pubblicistici, termine antitetico al guadagno egoistico personale.

E nemmeno un commerciante che dice di lavorare per lo stato potrebbe guadagnare tanto quanto un capitalista che lavora per fama propria.


Quando si mette il monopolio su un bene, significa che il legislatore vuole indirizzare l'attività privata in un canale pubblico, togliendo investimenti a nuovi campi, magari nuovi e più redditizi, poi, visto che il monopolio è necessario solo quando non si riesce a produrre ad un costo minore di altri paesi, significa che per altri motivi, certamente non legislativi, in patria non si ha efficienza nel produrre il bene oggetto delle restrizioni, in altre parole non si è specializzati in Nazione a quel tipo particolare di produzione.
A questo punto i risultati sono che si è tolto l'incentivo ad investire nel nuovo e si frena la specializzazione di ogni paese, tornando verso in questo modo ad uno stadio certamente più primitivo di quello in cui si sarebbe andati senza canalizzare i fondi privati.


Queste agevolazioni poi sono vantaggiose solo per i commercianti ed i manifatturieri in quanto incide in modo vantaggiosissimo il rapporto prezzo/spazio per il trasporto del bene, facendo si che sia notevole vantaggio e ricavo da ogni missione di trasporto per via acqua, cosa che è invece impossibile per il bestiame, l'unico caso in cui il trasporto via terra è più vantaggioso.


Bisogna ammettere però della corretta protezione in due casi.

Il primo è la necessità di difendere la flotta inglese, poiché commutabile quella mercantile in militare, in modo da permettere scambio da e per l'Inghilterra solo alle navi Inglesi e cioè con capitano, armatore e tre quarti dell'equipaggio inglesi, oppure con navi della flotta del paese produttore, pena la confisca dei beni trasportati e della navi, questo per permettere di escludere l'Olanda, vettore unico europeo dal commercio, e farla così indebolire.


Allora la saggezza dell'Atto di navigazione deve essere vista non nella prospettiva commerciale, ma in quella della difesa della nazione.


Altro caso in cui è permesso un imposta di entrata di beni prodotti fuori dalla patria, e perché avrebbe effetto neutro, è quando gli stessi beni prodotti in casa sono assoggettati ad imposte.

A ben vedere le imposte sui beni di prima necessità hanno poi sul paese le stesse conseguenze di una carestia sul terreno.

Poi le imposte della fattispecie, sempre hanno un duplice risvolto tanto da neutralizzarsi, e cioè aumentando i prezzi delle cose necessarie, devono aumentare anche i salari di sussistenza degli operai, in modo che il capitalista che potrebbe giovarsi della legge per vedere aprirsi il mercato, comunque e per forza di logica economico, perde i vantaggi riversandoli nei costi di produzione.



La RICCHEZZA DELLE NAZIONI

LIBRO II.


Introduzione.


La differenza tra la società rozza e quella civile è proprio nella divisione del lavoro.

Nella società primitiva ogni individuo fa un numero indefinito di attività, bada a se stesso in ogni campo della vita, non soddisfa preventivamente i bisogni di cui potrebbe avere bisogno , non c'è bisogno di accumulazione preventiva del fondo .

Invece nella società civile, frutto della specializzazione, ogni individuo si specializza in un ambito lavorativo prima, poi man mano in un processo della produzione, divenendo sempre più bravo e veloce a compiere l'operazione assegnatagli.

In questo contesto ogni uomo avrà bisogno degli altri per riuscire a vivere, ma nel mentre si specializza , deve usufruire di altro suo fondo o di altre persone che permettano lui di mantenersi e di immobilizzare la propria attività.

Il capitalista che dà fondi ed anticipa il capitale salario, cerca in ogni modo di avere il massimo ritorno dalle sue anticipazioni, cosa che si avrà colla spinta alla specializzazione, i profitti del capitalisti da questo fenomeno generati poi saranno impiegati per acquisire nuove unità produttive, oppure per modernizzare gli impianti con macchinari magari studiati dagli stessi operai per i motivi già prima spiegati.


VIII.     Dell'accumulazione del capitale, ovvero del lavoro produttivo ed improduttivo.


Ci sono fondamentalmente due tipi di lavoro.

Uno che aggiunge valore alla materia lavorata, 848j98i e sarà questo l valore produttivo, l'altro che non aggiunge nessun valore, uno che invece non ha questo effetto.

Il manifatturiere aggiunge al valore della materia che lavora anche quello del suo mantenimento ed i profitti capitalistici, mentre il lavoro di un domestico non di certo aggiunge alcun tipo di valore.

Il salario che anticipa il capitalista al manifatturiere per il suo mantenimento, infine ha poi sui suoi fondi un effetto neutro, perché e si vero che viene anticipato, ma poi viene reintegrato sul prezzo col prezzo di vendita del manufatto.

A questo punto pare evidente pure l'effetto che i due tipi di lavoro hanno sul loro dante causa.

Un uomo infatti che paga tanti operai diverrà certamente ricco, al contrario un uomo che paga tanti domestici è destinato ad andare in miseria.

Il motivo è che l'effetto del valore aggiunto alla materia col processo produttivo è destinato a perdurare e comandare altro lavoro, mentre il lavoro del domestico, mancando anche la materia da avvalorarsi, perde gli effetti nel momento stesso che vengono compiuti.


Anche persone illustri e venerabili della nostra società svolgono un lavoro di tipo improduttivo, come il sovrano e le altra alte cariche, certo è indispensabile il loro lavoro, vedi ad esempio la difesa, ma hanno effetto e consumo immediato, non restano in un prodotto che potrebbe in futuro essere rimunerato.

Dunque v'è ora da dire che la produzione deve scindersi in due componenti, una reintegrante il capitale investito, da potersi dunque considerare neutra, l'altra che è di tipo reddituale ed è rappresentata dagli interessi, o la rendita terriera.


(Rondo Cameron)

CAPITOLO SETTIMO : L'ALBA DELL'INDUSTRIA MODERNA.


Caratteristiche dell'industria moderna.


Una delle differenze più ovvie tra società preindustriale e società industriale è la repentina discesa DI persone occupate nell'età industriale nell'agricoltura.

Discesa ovviamente solo numerica, contrapposta ad un aumento in produttività agricola.


Nel periodo dell'industrializzazione, che va grosso modo dall'inizio del XVIII in Inghilterra ed i primi decenni del XX secolo, si nota dunque un aumento DI persone occupate nel secondario.

Nel corso DI questa trasformazione, correttamente chiamata "nascita dell'industria moderna" anziché rivoluzione industriale, tre sono i fattori che caratterizzano e distinguono l'industria moderna da quella precedente :

n    1 L'utilizzo DI energie non naturali

n    Uso DI macchine azionate da energia meccanica

n    Impiego diffuso DI materiali DI sintesi.


Rivoluzione industriale : un termine equivoco.


Tra tutti i termini della parlata storica, quello che più DI altri si è con prepotenza imposto è "rivoluzione industriale", che è anche il termine più errato e fuorviante che mai si sia usato in questo ambito.


E' opportuno usare il termine rivoluzione industriale solo per l'inizio dell'industrializzazione europea avvenente in Inghilterra coi telai azionati da energia meccanica e l'applicazione DI Watt.

Poi tutto quello avvenuto dopo nel resto dell'Europa deve essere categoricamente definito come "nascita dell'industria moderna" e non come rivoluzione industriale, in quanto come rivoluzione, cioè avvento che si consuma in relativamente poco tempo, come scrisse Ashton, la velocità dei mutamenti non è tipica dell'economia, aggiungendo inoltre che ci fu più che altro mutamento intellettivo sociale e culturale.


Il termine equivoco e fuorviante acquisto popolarità quando nel 1884, i discepoli DI Toynbee raccolsero in un libro dal nome " lectures on the industrial revolution in England" i suoi appunti, dove sosteneva come tale rivoluzione avrebbe mortificato la classe dei lavoratori.


Più tardi nel 1919 Usher , il più grande sostenitore della falsità del termine, ammise che "rivoluzione industriale" aveva catturato l'immaginazione del popolo, e nonostante falsa e fuorviante, sarebbe per sempre rimasta nella letteratura economica.


Requisiti e fattori concomitanti dell'industrializzazione.


Ritornando alle parole DI Ashton, la rivoluzione fu più che industriale sociale e intellettuale, ma anche agricola e politica.

Tuttavia la vera rivoluzione è stata intellettuale, è da questa ogni altra innovazione.


Molti studiosi superficiali, considerano la scienza il carattere distintivo della industria moderna.

In realtà agli inizi del XVIII secolo il corpus della scienza era esile e non adatto per essere applicato ai processi produttivi anche se è vero che si usavano metodi scientifici come l'osservazione.

Non è nemmeno possibile parlare DI metodi sperimentali, termine molto formale da applicarsi a quello che più specificatamente può essere definito metodo per tentativi.

Ancora non si possono applicare questi metodi scientifici ad uomini DI scienza, in quanto come detto erano si esistenti, ma operanti lontani dall'industria, ma ad ingegnosi artigiani e ingegneri del tutto empirici.

Tuttavia la voglia DI sperimentare era diffusa in tutta l 'Inghilterra ed in ogni settore, anche quello agricolo, da sempre conservatore.


E fu proprio la voglia DI sperimentare che portò la diminuzione DI persone in agricoltura con relativi aumenti DI produzione agricola, tanto da creare surplus per l'esportazione che forza lavoro per l'industria.


Uno dei fattori determinanti l'aumento DI produttività a causa dei tentativi scientifici, fu la divisione dei campi, che permetteva autonomia nei tentativi sia agricoli che DI selezionare bestiame.


Il maggiore sviluppo agricolo fu dato dalla recinzione dei campi, infatti cambiò anche il paesaggio agricolo, ora era costituito da fattorie recintate DI 100 - 300 acri, dove a differenza DI prima era possibile selezionare nuovo bestiame e provare nuove rotazioni colturali.


Già nel XVI secolo, Londra aveva cominciato a svolgere la funzione DI polo finanziario e commerciale della città , questo giovata dalla vicinanza dell'allora capitale Westminster e dall'ingegno romano che l'aveva costruita nel punto più alto del Tamigi in modo da creare un'eccellente porto e l'aveva dotata DI numerosi ponti che la resero percorribile.


Nel 1700 Londra - Westminster contava più abitanti DI Parigi, fino ad allora la città più popolosa.



Le origini del sistema bancario Britannico è incerta, certo è invece il fatto che dopo il 1660 molti orefici londinesi svolgevano attività finanziarie come lo sconto DI cambiali e l'emissione DI titoli al portatore.

Quando nel 1694 viene istituita la Banca d'Inghilterra a monopolio legale, viene vietato ai finanzieri l'immissione DI cartamoneta.

La provincia era rimasta priva DI banche ma "money scrivens" (agenti d'affari) continuarono a praticare lo sconto cambiario.


Inoltre, la zecca inglese era poco efficiente ed il valore delle monete d'oro da essa messe in corso era troppo alto sia per il commercio al minuto che per il pagamento DI salari.

Questa mancanza DI moneta spicciola spinse commercianti e ricchi proprietari a creare surrogati DI moneta per la circolazione locale. Questo condusse nel XVIII secolo alla nascita e l'incremento vertiginoso DI banche DI provincia, tanto che nel 1810 erano più DI 800.


Importantissima conseguenza della Gloriosa rivoluzione del 1688 fu la razionalizzazione delle finanze pubbliche e la riduzione del debito nazionale.

Nonostante fosse il sistema tributario inglese DI tipo regressivo, questo permise un'accumulazione DI denaro, utile indirettamente alla nascita dell'industria moderna.

Infatti le grandi industrie, in origine DI modeste dimensioni si incrementarono (nella dimensione) non con fondi pubblici ma reinvestendo i profitti, invece il denaro pubblico fu utilizzato per creare efficaci infrastrutture.


Infatti il traffico interno DI merci voluminose e DI basso valore come i cereali aveva bisogno DI una sistema DI spostamento economico.

Prima dell'avvento delle ferrovie il mezzo più adatto a questo tipo DI spostamenti erano i corsi d'acqua.

Questi già copiosissimi in Inghilterra furono negli anni 50 del XVIII un incremento DI corsi artificiali, tanto che tra il 1750 ed il 1820 furono creati circa 3000 miglia DI percorsi artificiali navigabili per un costo DI 17.000.000 DI sterline..

Le iniziative DI canalizzazione furono prese dal parlamento che delegò la costruzione e la gestione a società DI capitali con scopo DI lucro, che a volte mettevano a disposizione per i trasporti una loro flotta DI chiatte.


Per quanto riguarda le strade, ci fu un netto miglioramento dopo che il parlamento decise della costruzione e manutenzione delle strade dovesse essere affidate a privati.

Infatti prima la loro cura era demandata alle parrocchie.

Nonostante le strade private fossero mediamente lunghe solo tre miglia, furono tra loro ben collegate e crearono una fitta rete DI strade ben percorribili.

Prima del 1750 le strade il Inghilterra erano 3400 miglia , nel 1836 erano 22.000 miglia



List, economista tedesco scrive quando pure sviluppandosi la Germania ha già chi è più forte nel panorama economico , e secondo lui un paese dovrebbe vietare il protezionismo solo trovandosi in vantaggio assoluto, ma per utilizzare tale vantaggio un paese emergente, deve adottare una politica protezionistica per avviare il processo cumulativo.

L'accumulazione deve soprattutto comprendere i processi mentali che portano allo sviluppo del capitalismo, l'imprenditorialità prima della materialità .
















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