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Il cinema e la tragedia teatrale, Pasolini e "Medea"
Questo film, è la rappresentazione teatrale dell'omonima tragedia di Euripide, nella quale troviamo la contrapposizione tra la società greca e quella barbarica.
Già all'inizio della pellicola notiamo subito questa contrapposizione, infatti il regista, come d'altronde il tragediografo, sdoppia la narrazione; da una parte vediamo la società barbarica, mondo legato alla dimensione 424g65e spirituale, rigidamente matriarcale, dove, seguendo il culto del sangue, elemento con il quale le donne hanno molta dimestichezza, sacrificano il più bel giovanetto della città per fare con il suo sangue riti di fertilità.
Dall'altra il mondo greco, interamente basato sulla ratio, dove sono gli uomini a comandare; punto nodale del mondo greco è il "Ghenos", la stirpe, l'uomo infatti doveva essere sicuro che il figlio nato dalla sua donna fosse il risultato del suo seme, poiché, riconoscendolo, lasciava a lui tutti i suoi beni facendolo inoltre divenire continuatore della stirpe.
Tema molto caro a Euripide è la scoperta del sentimento dell'amore all'interno dell'animo femminile; infatti, nella sua tragedia fa una acuta e sottile analisi psicologica dell'animo di Medea, sondando il suo cuore in profondità, fin nelle pieghe più oscure, facendo una attenta riflessione sulla passione amorosa e sulla grandezza d'animo di colei che non esita a sacrificare la vita dei suoi stessi figli in nome dell'amore, di fronte alla quale i personaggi maschili appaiono ancora più egoisti e meschini, e sopratutti Giasone, che Euripide stesso definisce "Atechnos", stupido.
Medea per Giasone ha abbandonato tutto, la famiglia, la patria, per
aiutarlo nella conquista del vello d'oro in Colchide ha persino ucciso Absirto,
il suo stesso fratello, gli ha offerto l'amore
di sposa, gli ha dedicato ogni sua energia, ma quando il marito, chiuso nel suo
egoismo, la tradisce, e la ripudia apertamente per sposare Glauce, la figlia
del re Cleonte, ed ereditare il trono, tutto l'amore si trasforma in odio
cocente e strumento di morte, trascinando e distruggendo chiunque incontri sul
suo cammino. Medea si offre subito come personaggio dal carattere eroico, non
tocca cibo, non ascolta consigli e non è intimorita dalle minacce, chiusa nel
dolore medita e conclude da dominante l'azione, inflessibilmente concentrata,
fermamente risoluta sul suo proposito, sola nella disperazione, dapprima
inviando alla nuova sposa una veste incantata che divora le carni di lei e del
padre che l'abbraccia, poi, pur di straziare il cuore di Giasone, uccide i loro
figli.
E' dal ripudio che scaturisce la sofferenza (violenta ma non passiva, giacché
appare subito chiaro che la donna medita vendetta) e che s'innesca il dramma,
alimentato dal ricordo di tutto ciò che ha perduto per sacrificarsi all'uomo amato.
In questa tragedia il vero dramma rappresentato è quello dell'amore coniugale
tradito, della gelosia e della disperazione, che induce al peggiore dei
delitti: l'uccisione dei propri figli.
Medea, la maga barbarica, è animata da sentimenti violenti, è eroina dell'odio,
eppure fino alla fine è combattuta sulla decisione irrimediabile e fatale,
incerta tra l'amore materno e il desiderio della vendetta.
E alla fine è proprio quest'ultima a prevalere nel suo animo, infatti colpisce Giasone nel proprio "Puntum Dolens" il ghenos appunto, gli distrugge la discendenza e con la sua discendenza è distrutto anche lui, è un uomo finito.
Il dramma di Medea, quando fu presentato per la prima volta sulla scena
in Atene, nel 431ac, non riscosse molto successo a causa del crimine in esso
mostrato; l'uccisione dei figli da parte della stessa madre, quindi la
distruzione del ghenos, era infatti per i Greci dell'età di Pericle un crimine
mostruoso e addirittura impossibile, eppure già allora forte fu l'impressione
lasciata nel pubblico. Quando poi, durante il IV secolo, nell'arte si cominciò
ad attribuire maggior importanza ai valori umani piuttosto che a quelli eroici,
il dramma di Medea fu compreso nella sua vera grandezza ed ancora oggi continua
ad affascinare
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