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RIVOLUZIONE RUSSA - LA REPRESSIONE DEL MOTO RIVOLUZIONARIO

storia









Rivoluzione russa (1905) 535g63f    Insurrezione scoppiata in Russia nel 1905, iniziata a San Pietroburgo e propagatasi in tutto il territorio dell'impero, interessando vari strati sociali. La rivolta prese le mosse dalla richiesta di riforme in senso costituzionale ed ebbe come obiettivo la convocazione di un'assemblea consultiva, la Duma, che si configurava come un reale contropotere all'assolutismo dello zar.



GLI ANTEFATTI

In Russia all'inizio del 1905 si era diffuso un forte malcontento nei riguardi del regime autocratico zarista: le classi medie rivendicavano riforme politiche che portassero all'introduzione di un sistema costituzionale, gli operai vivevano condizioni di lavoro brutali in una fase di forte recessione economica, i contadini chiedevano una redistribuzione delle terre ancora in mano ai ricchi proprietari terrieri. I partiti rivoluzionari illegali, inclusi i socialisti rivoluzionari e il Partito operaio socialdemocratico (che nel 1903 si era scisso tra la corrente minoritaria dei menscevichi e quella maggioritaria dei bolscevichi), fecero proprie le istanze delle classi lavoratrici. Sorse anche un movimento di impronta liberale in favore della monarchia costituzionale che fondò il "Partito cadetto", ovvero il "Partito costituzionale democratico". Si aggiunse infine la fallimentare guerra russo-giapponese ad aggravare il dissenso popolare.

LA DOMENICA DI SANGUE

Il 22 gennaio 1905 (il giorno 9 secondo il calendario giuliano allora in uso in Russia) fu organizzata una grande dimostrazione pacifica di lavoratori e loro familiari, condotta dal prete Georgij Apollonović Gapon, capo dell'Unione dei lavoratori russi: il corteo, giunto davanti al Palazzo d'Inverno per presentare una petizione allo zar Nicola II in nome delle riforme, fu affrontato dalla polizia e dalla guardia imperiale che fecero fuoco sulla folla provocando centinaia di vittime. Il massacro, passato alla storia come "domenica di sangue", scatenò un'ondata di scioperi e di sommmosse in tutto il paese, sostenuti dalle assemblee provinciali elettive (zemstvo), che furono duramente repressi dal governo; avvennero anche ammutinamenti nelle forze armate, tra i quali quello dell'incrociatore Potëmkin e della guarnigione della fortezza di Kronstadt e insurrezioni a carattere nazionalistico in Polonia e in Finlandia.

IL MANIFESTO D'OTTOBRE 535g63f 535g63f

La rivolta, unita all'esito disastroso del conflitto contro il Giappone, convinse lo zar a fare alcune concessioni, tra cui la promessa dell'elezione della Duma. Sul fronte dell'opposizione al regime zarista, i liberali e alcuni socialisti si coalizzarono per coordinare le richieste da sostenere presso il governo; i lavoratori dell'industria, appoggiati dai partiti socialisti, organizzarono ovunque soviet (consigli) di categoria, il più importante dei quali fu il "Soviet degli operai e dei soldati" fondato a San Pietroburgo il 26 (13) ottobre, dominato dai socialdemocratici (in gran parte della frazione menscevica).

Nel frattempo venne indetto uno sciopero generale che immobilizzò il paese: i consiglieri dello zar, soprattutto il ministro Sergej Witte, fecero pressioni su Nicola II perché accogliesse le richieste popolari convocando un'assemblea rappresentativa e concedendo libertà politiche e civili e una Costituzione: il 30 (17) ottobre lo zar emise il Manifesto, con il quale prometteva l'elezione di una Duma dai poteri tuttavia limitati.

LA REPRESSIONE DEL MOTO RIVOLUZIONARIO 535g63f    

Il fronte di opposizione rivoluzionario si divise tra coloro che tendevano ad accettare i contenuti del Manifesto (gli ottobristi) e i gruppi più radicali che auspicavano il rovesciamento della monarchia. Dimostrazioni e rivolte ripresero in tutto il paese, provocando la controffensiva del governo: i leader del Soviet di San Pietroburgo furono arrestati e le insurrezioni nelle campagne furono represse nel sangue dalle truppe cosacche. Gruppi dell'estrema destra reazionaria, conosciuti come i Cento Neri, si scatenarono contro dissidenti e cittadini delle nazionalità non russe e lanciarono pogrom contro gli ebrei che trovarono il consenso della popolazione e non furono osteggiati dalle autorità. A metà del 1905 il governo zarista aveva ripreso il totale controllo sul paese. I partiti rivoluzionari furono isolati dai gruppi liberali e dai cadetti e il tentativo di far espandere a dicembre il movimento insurrezionale fuori da Mosca fu represso nel sangue; nel febbraio del 1906 ebbero luogo le elezioni per la Duma.

La rivoluzione del 1905 ebbe risultati contraddittori. Da un lato permise un'apertura riformista che ruppe il sistema autocratico zarista con l'elezione dell'assemblea legislativa, la legalizzazione dei partiti politici e la garanzia dei diritti civili; d'altro lato, le richieste di una democrazia piena, della distribuzione della terra ai contadini e di miglioramenti nelle condizioni di vita degli operai non furono soddisfatte. Le ragioni del malcontento rimasero quindi irrisolte, ponendo le basi per la successiva rivoluzione del 1917, dove l'esperienza dei soviet del 1905 avrebbe giocato un ruolo fondamentale.

Rivoluzione russa (1917)

Rivoluzione russa (1917) L'insieme degli eventi che portarono in Russia alla caduta dello zar e all'instaurazione, alla fine del 1917, di un regime bolscevico e successivamente alla fondazione dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS).

Con il termine "Rivoluzione russa" ci si riferisce in realtà a due diversi episodi rivoluzionari: il primo (Rivoluzione di febbraio) rovesciò il regime autocratico dello zar instaurando un governo provvisorio di ispirazione liberale (8-12 marzo 1917, ma 23-27 febbraio secondo il calendario giuliano usato a quel tempo in Russia); il secondo (Rivoluzione bolscevica d'ottobre), organizzato dal Partito bolscevico, si concluse con la presa del potere da parte dei bolscevichi e la costituzione di uno stato comunista (6-7 novembre, ma 24-25 ottobre secondo il calendario giuliano).



GLI ANTEFATTI 535g63f 535g63f 535g63f    

Le timide riforme introdotte dallo zar Alessandro II avevano alimentato l'attesa e la richiesta di ulteriori interventi innovativi sul piano istituzionale e legislativo: in particolare gli organi rappresentativi di governo locale (zemstvo) erano visti da più parti come l'embrione di un governo parlamentare nazionale, mentre la soppressione della servitù della gleba sembrò preannunciare una riforma agraria di ampio respiro. L'apertura di licei e università ai figli delle classi non nobili, inoltre, creò in breve tempo una numerosa comunità di giovani intellettuali di tendenze rivoluzionarie.

LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO 535g63f 535g63f  

I terribili disagi provocati dalla prima guerra mondiale, cui la Russia giunse largamente impreparata, uniti all'inefficienza del governo zarista di Nicola II (con la famiglia imperiale soggiogata dall'ambigua figura di Rasputin) finirono con l'esasperare la maggioranza della popolazione. Quando, nel marzo del 1917, nella capitale Pietrogrado (ora San Pietroburgo) una dimostrazione di protesta contro la carenza di pane degenerò in insurrezione armata appoggiata da soldati ammutinati, il Consiglio dei ministri decise di passare il potere a un nuovo gabinetto costituito da personalità provenienti dalla Duma (la Camera bassa istituita nel 1906 e fino ad allora riunitasi pochissime volte). Lo zar Nicola II, totalmente isolato, abdicò e si formò il primo governo provvisorio a direzione moderata, sotto la guida del principe Lvov.

IL GOVERNO PROVVISORIO E IL SOVIET DI PIETROGRADO

Il governo provvisorio approvò immediatamente una serie di misure liberali, tra cui l'eliminazione della polizia e della gendarmeria imperiali (sostituite da una guardia nazionale del popolo) e l'introduzione delle libertà di riunione e di espressione, delle quali approfittarono immediatamente i socialisti russi per esprimere la propria opposizione alla guerra in atto e diffondere l'appello per una "pace democratica senza riparazioni o annessioni".

In assenza del loro leader Lenin, in esilio in Svizzera, i capi della fazione bolscevica all'interno del Partito operaio socialdemocratico - Molotov e Stalin - decisero di appoggiare il nuovo regime, almeno sino a quando non avesse ostacolato gli obiettivi del movimento socialista; nel contempo promossero la costituzione di una rete di organismi rappresentativi di base (i soviet) sul modello del Consiglio dei deputati, degli operai e dei soldati già sorto a Pietrogrado, che si diffusero anche fra le truppe impegnate sul fronte di guerra, portando in breve a una situazione di caos nell'esercito che peggiorò la già difficile situazione strategica.

Il 16 aprile 1917 Lenin raggiunse la capitale con un treno blindato messogli a disposizione dal Comando supremo tedesco, convinto a ragione che egli avrebbe portato la Russia fuori dal conflitto. Lenin convinse i dirigenti bolscevichi a prendere le distanze dal nuovo governo e a rifiutare compromessi con il regime liberale e le sue forze politiche (compresi gli esponenti moderati socialisti, i menscevichi), per puntare direttamente alla realizzazione di uno stato comunista. Su questa strada, il primo passo da compiere era quello di porre fine all'impegno bellico, per poter dedicare ogni energia alla rivoluzione.

Nelle settimane successive, la martellante propaganda bolscevica (organizzata abilmente da Lev Trotzkij, a sua volta rientrato dall'esilio americano, e finanziata segretamente dai tedeschi) guadagnò un ampio consenso popolare alla causa dell'uscita dalla guerra, mettendo in crisi la linea del governo e della maggioranza menscevica del Soviet di Pietrogrado. In primavera, l'entrata nel governo di quattro esponenti del Soviet della capitale (tra cui Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, il quale, assunta la guida del ministero della Guerra, si impegnò in una strenua opera di convincimento presso i soldati sul carattere nazionale e non "di classe" della guerra che stavano combattendo) non ammorbidì i toni critici dei bolscevichi, che anzi, nel corso del primo Congresso generale dei soviet apertosi a metà giugno, per bocca di Lenin annunciarono pubblicamente l'intenzione di assumersi da soli la responsabilità del governo del paese, senza collaborare con i partiti "borghesi".

Il totale fallimento della vasta offensiva contro le forze austro-tedesche, lanciata a fine giugno dall'esercito russo (di lì a poco sfaldatosi per le diserzioni in massa), fece da sfondo alla prima manifestazione di forza pubblicamente operata dai bolscevichi, che tra il 13 e il 14 luglio portarono nelle strade della capitale centinaia di migliaia di dimostranti (tra cui l'intera guarnigione della vicina fortezza di Kronstadt) per richiedere lo scioglimento della Duma e l'elezione di un'Assemblea costituente.

I BOLSCEVICHI AL POTERE 535g63f 535g63f

Il nuovo primo ministro Kerenskij si apprestò allora a disinnescare il pericolo di una presa del potere da parte del Partito bolscevico, accogliendone parte delle richieste (proclamazione della repubblica in settembre e convocazione di un preparlamento per decidere le riforme istituzionali) e arrestandone nel contempo i capi con l'accusa di connivenza con il nemico (venuto a conoscenza del piano, Lenin fu costretto a rifugiarsi temporaneamente in Finlandia).

Nel corso di questo tentativo, il primo ministro si trovò tuttavia a dover fronteggiare il colpo di stato di settembre del generale cosacco Kornilov, comandante supremo dell'esercito, che tentò di occupare Pietrogrado per restaurare il regime zarista. Kerenskij, inizialmente favorevole, cambiò idea nel timore di divenire egli stesso vittima del moto controrivoluzionario: ordinò l'arresto del generale già in marcia sulla capitale, chiedendo al Soviet e ai bolscevichi della città di organizzarne la difesa. Soldati e operai andarono incontro ai militari e, persuadendoli a fermarsi, posero fine all'"affare Kornilov"; questi avvenimenti ebbero il duplice effetto di far perdere al primo ministro l'appoggio degli ufficiali dell'esercito e di rafforzare notevolmente la popolarità (oltre che la capacità operativa) delle oltre 40.000 guardie rosse bolsceviche.

Dal suo rifugio finlandese, Lenin inviò numerosi appelli al Comitato centrale del Partito bolscevico perché stringesse i tempi della conquista del potere da parte dei soviet; su proposta di Trotzkij si decise che l'azione sarebbe avvenuta in concomitanza all'apertura del secondo Congresso generale dei soviet, programmata per il 7 novembre. La notte del 6 le guardie rosse occuparono i punti-chiave della capitale, dando poi l'assalto al Palazzo d'Inverno (dove i ministri del governo provvisorio furono arrestati, a eccezione di Kerenskij, che riuscì a fuggire) e da lì annunciando il passaggio del potere in mano ai soviet.

IL NUOVO REGIME E LA GUERRA CIVILE 535g63f

Il Congresso dei soviet (a schiacciante maggioranza bolscevica) si sostituì quale Assemblea costituente a quella eletta poche settimane prima, nella quale i bolscevichi erano risultati minoritari. Proclamata la Repubblica sovietica, il governo venne affidato a un Consiglio dei commissari del popolo, al cui vertice fu nominato Lenin. Contro il nuovo potere bolscevico Kerenskij mobilitò le truppe rimastegli fedeli, ma venne sconfitto. Nel paese la rivoluzione incontrò inizialmente diverse resistenze: a Mosca i bolscevichi assunsero il controllo della città il 2 novembre e in tutta la Russia i nuovi organi di governo si insediarono entro la fine del 1917.

L'opposizione al bolscevismo si radicò in Ucraina, nell'area del Don e del Caucaso, alimentando una sanguinosa guerra civile, protrattasi sino al 1920; nel corso di questo conflitto i controrivoluzionari "bianchi" (Armate bianche) ebbero l'appoggio finanziario e militare di molte potenze europee occidentali nella lotta contro i "rossi" bolscevichi che, ottenuta la vittoria, dovettero ammorbidire la propria azione di governo per evitare il totale collasso della nazione (a questo scopo Lenin varò la Nuova politica economica nel 1921). L'ultimo atto formale della Rivoluzione bolscevica fu la costituzione, il 30 dicembre 1922, dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS).

Intanto le prime decisioni adottate dagli organi rivoluzionari - abolizione della proprietà privata delle terre e loro distribuzione ai contadini, smobilitazione dell'esercito contestualmente all'apertura di trattative di pace con la Germania (Pace di Brest-Litovsk), controllo operaio sulle fabbriche, nazionalizzazione delle banche - avevano assicurato loro un vasto sostegno in tutte le province dell'ex impero, consolidato dalla proclamazione il 15 novembre del diritto alla separazione volontaria dalla Russia delle nazionalità annesse con la forza dal regime zarista.

Dopo la guerra, per risollevare la situazione economica del paese,Lenin varò un programma di riforme noto come Nuova politica economica (NEP); nello stesso tempo, invocò il bando di ogni settarismo politico e insistette sul principio del partito unico. Colpito da apoplessia nel maggio del 1922, Lenin continuò a seguire le vicende politiche dalla casa di cura di Gorkij, cercando di opporsi alla crescente burocratizzazione del partito.Nel 1923 una paralisi lo privò dell'uso della parola e pose definitivamente termine alla sua carriera politica.  535g63f 535g63f  Nel suo testamento politico, Lenin espresse le proprie perplessità sulla persona di Stalin, sull'uso arbitrario che questi faceva del potere e sulle sue ambizioni personali che rischiavano di scavalcare gli interessi generali del partito; lo accusò inoltre di essere "troppo rozzo" e ne chiese l'estromissione. Con abili manovre, Stalin riuscì però a occultare il testamento di Lenin.

IL DITTATORE 535g63f 535g63f 535g63f  

Dopo la morte di Lenin, la guida del paese era nelle mani di una troika composta da Stalin, Zinov'ev e Kamenev. All'interno del partito, il principale oppositore di Stalin era Lev Trotzkij che propugnava la teoria della "rivoluzione permanente" contraria a quella staliniana della "costruzione del socialismo in un solo paese". Nel 1927, forte dell'appoggio di Zinov'ev e Kamenev, Stalin riuscì a isolare Trotzkij, ma poco dopo fece un brusco voltafaccia e si schierò con Nikolaj Bucharin e Aleksej Rykov contro i suoi ex alleati; Trotzkij, Zinov'ev e Kamenev costituirono la cosiddetta "ala di sinistra". Con un'abile propaganda, illustrando la propria interpretazione dei principi di Lenin, Stalin riuscì a far prevalere le sue posizioni e a sconfiggere i rivali. Tra il 1927 e il 1928 Trotzkij e Zinov'ev vennero espulsi: nel 1929 Stalin era ormai unanimemente riconosciuto come l'unico successore di Lenin e divenne il leader incontrastato dell'Unione Sovietica.

Nel 1927 il piano di nuovo corso economico programmato da Lenin aveva dato risultati soddisfacenti, riportando la produzione agricola e industriale agli stessi livelli anteguerra. Poteva quindi essere avviato un nuovo programma economico, che mirasse a realizzare un sistema di produzione socialista: nel 1929 Stalin inaugurò il primo dei piani quinquennali, il cui fine principale era quello di trasformare gradualmente la nazione da grande paese agricolo a potenza industriale e, conseguentemente, di incidere sull'assetto della società. La realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e la creazione di un'industria pesante furono obiettivi prioritari, che richiesero grandi investimenti di manodopera. L'intensificarsi del processo di collettivizzazione e la nazionalizzazione forzata della produzione agricola venne ostacolato dal vasto ceto dei piccoli proprietari terrieri, i kulaki, la cui opposizione venne però repressa con massacri e deportazioni di massa. La stessa produzione agricola subì un tracollo, causando condizioni di estrema miseria nelle campagne.

Nel 1934, con il pretesto dell'assassinio per mano di presunti trotzkisti di Sergej Kirov, suo vecchio alleato e segretario del Comitato centrale, Stalin, per rafforzare ulteriormente la propria egemonia, diede avvio a una nuova stagione di epurazioni interne al partito. Chiunque fosse sospettato di essere oppositore del regime veniva imprigionato e quindi deportato in Siberia o direttamente eliminato. Le "purghe" staliniane andarono a colpire soprattutto i membri del Comitato centrale del Partito comunista, tra cui importanti dirigenti come Zinov'ev e Nikolaj Bucharin, e gli ufficiali dell'Armata Rossa. L'operazione di sistematico sterminio a fini politici provocò la generale condanna della comunità internazionale nei confronti dell'URSS e indebolì la nazione alla vigilia della seconda guerra mondiale. Terribili strumenti di questa politica repressiva furono i Gulag, nati all'epoca della Rivoluzione bolscevica come campi di lavori forzati in cui venivano reclusi detenuti comuni e controrivoluzionari L'epurazione, infatti, di tutti i quadri dirigenti del Partito comunista dell'Unione Sovietica che potessero fare ombra a Stalin, voluta dal dittatore nella seconda metà degli anni Trenta e attuata dalla polizia segreta mediante assassinii, arresti e deportazioni illegali e soprattutto attraverso processi-farsa, basati su false prove e false testimonianze, estorcendo con l'inganno o la tortura false confessioni, e conclusi sempre con la condanna, spesso a morte, degli imputati venne definita purga syalinuiana. Vennero così eliminati tra gli altri: Lev Trotzkij nel 1929, dopo l'esilio cui era stato costretto, Zinov'ev, Kamenev e Bucharin.

L'inizio della "Grande purga" ovvero del "Grande Terrore", come pure è stata chiamata questa ondata repressiva, fu provocato dal misterioso assassinio di Sergej M. Kostrikov, detto Kirov, segretario del partito di Leningrado, avvenuto il 1° dicembre 1934. Esso diede a Stalin il pretesto per scatenare una serie di inchieste poliziesche in base alle quali, alla fine delle purghe, nel 1938 finì davanti ai giudici e quindi al plotone d'esecuzione perfino colui che le aveva avviate, Genrich Jagoda, capo dell'NKVD, la polizia politica sovietica progenitrice del KGB. Mentre il diffuso clima di terrore colpiva milioni e milioni di "nemici del popolo", contribuendo all'economia schiavistica del regime del Gulag e a mantenere in stato di sudditanza il resto della popolazione, si calcola, nonostante l'ovvia assenza di dati certi, che siano state giustiziate più di 700.000 persone, pari al 10 per cento del totale degli arrestati.

In Italia, per socialisti e cattolici, la Rivoluzione russa, nelle sue diverse fasi, rappresentò senz'altro uno dei temi di maggior conflitto tra le diverse posizioni di pensiero, tra chi cioè la interpretava come la "liberazione del mondo" e chi, al contrario, guardava con timore e paura la caduta del grande impero zarista. Il regime imposto da Stalin, ma i cui primi segni si erano visti con Lenin, aveva le caratteristiche di una dittatura tipica del Novecento, il totalitarismo, in cui chi detiene il potere assume il controllo di ogni aspetto della vita e utilizza come metodo di controllo il terrore.


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