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Pericle (Atene 495 ca. - 429 a.C.), uomo di stato ateniese, tra le figure più eminenti di tutta la Grecia antica.
Politica interna:
introdusse il gettone di presenza per i 151b17b cittadini che partecipavano alle loro sedute, fu un modo per aprire queste istituzioni anche agli esponenti delle classi più basse, delle quali Pericle tanto si proclamò difensore quanto fu anche abile manipolatore;
fu amico di Anassagora ed Erodono;
Politica estera:
cercò di colmare il divario che si era creato tra Atene e altre città- stato, promuovendo la deduzione di cleruchie, colonie militari ateniesi site in punti strategicamente rilevanti, e - soprattutto - fondando l'importantissima colonia di Turi, in Magna Grecia (443 a.C.).
La politica imperialista e espansionistica di Pericle fu una delle cause della guerra del Peloponneso (431 a.C.), tra Atene e Sparta. Pericle, però, vi partecipò solo in modo marginale; intorno al 430 a.C. subì infatti un infamante processo per peculato, e poco dopo - nel 429 a.C. - morì di peste, malattia che aveva colpito violentemente l'Attica decimandone la popolazione.
A prescindere dal giudizio storico-politico sulla sua persona (alcuni lo considerarono sincero democratico, altri un ambizioso demagogo), tanto rilievo ebbe in ogni tempo la sua figura che l'età aurea della Grecia classica è da sempre denominata "l'età di Pericle".
Pericle, in occasione dell'orazione funebre in memoria dei caduti nel corso del primo anno di guerre, fa un elogio alla democrazia.
"Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d'esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica nell'amministrazione dello stato, ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale ma più che per quello che vale. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango sociale. Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci col vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi. Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta."
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