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L'IDEALISMO SOCIALISTA

storia



L'IDEALISMO SOCIALISTA

L'insieme delle idee che rappresenta il moderno socialismo non è che il riflesso nell'intelletto, da un lato della lotta di classe tra proprietari e nulla tenenti, tra borghesia e salariati, e dall'altro del disordine che regna nella produzione. Sono le parole con cui F. Engels apre l'esposizione del materialismo storico secondo le vedute di Carlo Marx.

Sottoponendo la storia delle società umane al più severo esame critico della dialettica materialistica, portando cioè nelle indagini di ordine sociologico la stessa obbiettività di metodo scevra di preconcetti che caratterizza tutte le scienze positive, i due grandi maestri del socialismo giunsero alla conclusione che tutti i grandi movimenti sociali di ordine politico non sono che il riflesso e l'effetto dello sviluppo dei modi di produzione economica e delle condizioni dello scambio. Essi formularono la previsione che l'attuale società capitalistica, come è l'erede della società feudale del medioevo, così è destinata a sparire per cedere il posto ad una società comunista, il cui artefice non potrà essere che il proletariato attuale, la massa immensa dei salariati che tutto producono.

Il proletariato è quindi nella concezione marxista l'artefice naturale - spesso incoscien 343h75d te - della grande trasformazione.



Ma perché questa avvenga nel più breve tempo possibile, vincendo gli ostacoli che si frappongono, non basta attendere l'effetto - certo inevitabile - di quelle antitesi economiche che determineranno la rovina del capitalismo, ma occorre che i proletari, rendendosi coscienti del loro avvenire, lavorino solidamente ad affrettarla. Di qui il grande appello: lavoratori del mondo, unitevi!

Questo non contraddice le premesse deterministe da cui noi partiamo, come vanamente i critici del marxismo hanno tentato di dimostrare. Io non voglio qui riassumere questa vasta questione, ma solo sostenere che non è contraria alle basi del materialismo storico l'affermazione di un idealismo socialista, in quanto idealismo significhi coscienza di agire non per una utilità personale e immediata, ma per una finalità collettiva e lontana.

Questo nostro idealismo materialista (l'antitesi non è che formale) si differenzia enormemente e nettamente da tutte le forme di misticismo e di ascetismo religioso, poiché la finalità ideale a cui noi ispiriamo la nostra azione non ci viene da rivelazioni metafisiche né si sottrae alla critica e alla discussione, ma pone le sue origini nell'esame positivo dei fatti e non astrae affatto dalla realtà.

Il proletariato che si agita inconsciamente contro lo sfruttamento che lo opprime, e il teorico che esamina freddamente le trasformazioni sociali e la lotta delle classi senza prendervi parte non sono né l'uno né l'altro ancora socialisti.

E' necessario unire l'azione di classe alla coscienza dei suoi risultati ultimi. Occorre coordinarle continuamente per essere nel vero campo del socialismo, che è, secondo Marx, scienza e azione, teoria e pratica nel tempo stesso.

"I filosofi non han fatto che spiegare il mondo in diversi modi, ora occorre cambiarlo" (Marx).

Non c'è propaganda senza una idealità. La nostra affermazione di idealismo significa questo: l'azione proletaria non è per se stessa, in tutti i suoi momenti, azione socialista, se non l'accompagna e la dirige la coscienza dello scopo ultimo a cui essa tende: la trasformazione sociale.

Noi crediamo alla rivoluzione, non come il cattolico crede in Cristo, ma come il matematico ai risultati delle sue ricerche.

Ho citato in principio quelle parole di Engels per provare questo: il riflesso intellettuale della lotta di classe non è solo un puro ragionamento, ma anche una idealità - una forma di entusiasmo - che è appunto la più sana e la più duratura perché parte dall'esame logico della realtà e non se ne allontana mai. E' una forma di idealità che può nascere spontanea nell'animo dell'operaio anche ignorante qualora l'ambiente moralmente solidale dell'organizzazione proletaria lo abitui e lo elevi a sentirla.

Questa forma di sentimento non rinnega la dialettica marxista. Non esiste nel cervello umano processo logico che non abbia un riflesso sentimentale.

Il sentimento socialista non ci trascinerà mai a degenerazioni mistiche e a dogmatismi falsi, perché noi accettiamo sempre di provarlo alla pietra di paragone della logica positiva.

Inoltre esso è indispensabile per cimentare il proletariato alla lotta di classe, e ottenerne a volte anche delle rinunzie e dei sacrifizi in vista di un vantaggio lontano.

La borghesia è ormai marxista quanto noi.

Essa combatte bravamente la sua lotta di classe, e noi dobbiamo sorvegliare i suoi metodi. Allo scopo di prolungare la sua permanenza nella storia essa lotta, con tutti i mezzi più insidiosi, contro di noi mentre fa negare dalle cattedre ufficiali la realtà della lotta di classe.

La nostra azione politica, lo stesso movimento sindacale possono diventare, se noi non li ispiriamo sempre alla nostra finalità ideale, armi potenti nelle sue mani.

Concedendo oggi quello che dovrebbe cedere domani, predicando una collaborazione di classe - a cui essa non crede - sfruttando i rimasugli dell'ideologia religiosa, patriottica, democratica, la borghesia fa un lavoro colossale per adattare ai suoi fini il proletariato, e sagomarlo come un pezzo che giri al suo posto senza stridere o cigolare dando pazientemente il moto all'immensa macchina della società capitalistica.

Questo scopo, che contraddice alle leggi inflessibili della storia non verrà mai raggiunto. Ma noi dobbiamo guardarci dall'insidia e seguitare, senza cedere ad allettamenti, la nostra azione di classe rivoluzionaria.

Dobbiamo cioè tenerci sempre presente lo scopo ultimo di ogni fatto particolare del nostro movimento, abituarci all'idealismo socialista che non è un sogno o una chimera o un motivo di retorica demagogica, ma sarà la realtà luminosa del domani che ci risplende dinanzi dandoci la forza per la lotta incessante dell'oggi.

Portici

Da "L'Avanguardia" del'11 agosto 1912.

LA DOMENICA ROSSA

Oggi ricorre l'ottavo anniversario della domenica chiamata rossa per i fiumi di sangue proletario che in quel giorno inondarono le larghe vie di Pietroburgo.

Commemorare i morti di quella tragica giornata? No. Già da queste colonne si disse perchè noi si rifuggiva da qualsiasi commemorazione a data fissa. Ci sembrerebbe di venire meno alla profondità, all'intimità dei nostri sentimenti, se l'intensità del nostro ricordo e del nostro dolore dovesse dipendere dal fatto esteriore e convenzionale che il calendario ufficiale segua una data anzichè l'altra. E se così sentiamo dinanzi alla morte di singoli individui la cui vita si chiude in modo normale, tanto più si accentua questo sentimento di fronte a degli eccidi in massa dovuti all'attuale iniquo sistema sociale.. In Russia poi le domeniche rosse sono molte e non sono ancora finite. Se si potessero mettere insieme tutte le gocce di sangue che tutti i giorni in quello sterminato paese vengono versate per la causa della libertà, altre inondazioni si vedrebbero e più raccapriccianti di quella del 22 gennaio 1905.



Elencare i fatti? Le stragi? Le torture fisiche o morali di quelle innumeri popolazioni? Perchè? Vi sono parole per poterle descrivere? E voi proletari italiani, meglio di molti altri, ne avete la visione immediata. Con uno sforzo della vostra memoria e della vostra fantasia riuscirete a trasportarvi a Pietroburgo nella domenica rossa e in altri numerosissimi centri della Russia. Moltiplicate per mille il numero dei trucidati a Rocca Gorga, per mille moltiplicate gli strazi, gli oltraggi inflitti alle vittime del militarismo. Ricordate però che non deve essere solo un calcolo astratto, una moltiplicazione di cifre - ma la visione esatta, sanguinosa di migliaia di esistenze spezzate, di speranze deluse, di famiglie distrutte.

Aggiungete una ad una tutte queste torture, tutto questo scempio di vita e di dignità umana... Quanti particolari degli eccidi vostri richiamano alla memoria, per la sintomatica loro somiglianza, i fatti sanguinosi svoltisi in Russia. L'inerme bimbo ucciso nelle braccia del padre... non ricorda uno di quei bambini che nella rigida giornata invernale di Pietroburgo, si arrampicarono sugli alberi per sfuggire alle fucilate della Guardia Imperiale e allo knut dei cosacchi? In ambedue i casi poi - tanto a Pietroburgo che a Rocca Gorga i morti sono morti come hanno vissuto, da schiavi - in ginocchio, mentre umili chiedevano il soddisfacimento dei più elementari bisogni, alla monarchia, all'autocrazia, mercè l'intervento della religione. Le ingiustizie sociali a tutte le inferiorità cui condannano il proletariato - ne aggiungono una che è la più feroce -. Dopo aver tolto ad esso ogni diritto, ogni possibilità di vivere, lo priva pure della voluttà di morire ribellandosi, di morire lottando, di morire vivendo .

Che fare? E' questa la domanda che di fronte alla evocazione delle torture russe ci rivolgeranno le masse italiane.. E noi rispondiamo ai proletari, ai compagni italiani, voi avete fatto il fattibile. Mai il proletariato e i socialisti russi potranno dimenticare le prove di generosa solidarietà che l'Italia socialista diede ai militanti della causa rivoluzionaria in Russia. potrà dimenticare che l'aiuto vostro materiale e morale venne allorquando negli occhi di tutti, l'autocrazia era forte e nel popolo non era, secondo l'opinione che allora prevaleva, ancora nato nessuno stimolo di rivendicazione sociale.

Ora che il popolo russo ha dato prova di infrenabile amore di libertà, di eroico coraggio, ora ch'esso ha dimostrato di voler e poter combattere le più gigantesche battaglie e affrontare i più terribili nemici, i più feroci e subdoli e infami persecutori, ora che voi ne avete conosciuto la forza e l'eroismo e avete conosciuto i sublimi sacrifizi dei martiri russi... ora a voi, proletari e socialisti italiani, non è difficile comprendere tutta la profonda e complessa tragedia di cui i socialisti e i lavoratori russi sono i protagonisti. Oggi voi sapete che l'aiuto che ad essi tornereste a dare non sarebbe più l'aiuto del forte al debole, ma l'appoggio solidale fra uguali che insieme percorrono la stessa via, salgono il medesimo Calvario, raggiungono fieri ed uniti la stessa agognata luminosa meta. Le domeniche rosse si ripeteranno ancora in Russia, ma il sangue che inonderà le vie di quel paese non sarà più sangue di umili che si dirigono giudati da un prete verso la residenza dell'autocrate per implorare la sua pietà ma è e sarà sangue di coscienti e orgogliosi militi della rivoluzione sociale.

I dimostranti non si raccoglieranno più attorno alle sacre mendaci icone, ma attorno alle fiammanti bandiere rosse, fiammanti come la loro fede nella causa della libertà. Tali oggi, nella mesta ricorrenza del 22 gennaio, devono apparire dinanzi ai vostri occhi, coloro che in Russia ricordano la domenica rossa. Essi sperano, combattono, vanno fiduciosi verso l'avvenire. E l'avvenire loro, è l'avvenire di tutti gli oppressi. Combattendo l'esecrata autocrazia e il capitalismo dissanguatore, opponendosi alla violenza dell'esercito e al giogo del clericalismo - essi danno la loro vita per conquistare ad altri la possibilità di vivere senza catene e senza oppressione.

Dal loro glorioso cammino non si lasciano deviare dalle fucilate dalle persecuzioni, dalle insidie degli agenti provocatori, li ferma la visione del martirio dei loro predecessori, l'evocazione dei sepolti vivi nelle carceri e nelle lande della Siberia, dei mutilati e dei martorizzati non fa che aumentare la loro forza, il loro desiderio di affrontare tutto per liberare e vendicare tutti.

Chi è che li guida in questa marcia solenne e tragica verso l'avvenire? E' il socialismo che spinge alla lotta e conduce alla vittoria i giovani, i vecchi, le donne e gli uomini, tutti quanti aspirano alla libertà e si ribellano alle ingiustizie sociali.

Non crisantemi sulle tombe dei caduti di Pietroburgo, ma garofani rossi, simbolo della incrollabile volontà di fare il nostro dovere.

Non lacrime soltanto, ma impegno di fronte a noi stessi, di dare tutte le nostre energie, tutti i palpiti dell'animo nostro alla grande causa del socialismo. Queste è la promessa ed il proposito che affratellati dal dolore e dalla comune fede si scambiano oggi i socialisti russi e i socialisti italiani.

Da "L'Avanti!" del 22 gennaio 1913

LA DITTATURA PROLETARIA



Nella Battaglia socialista del 24 gennaio il compagno Carlo in un chiaro e preciso articolo dal titolo: Dal comunismo di Marx al comunismo di Lenin dice molte sennate e importanti cose, che i comunisti tutti dovrebbero conoscere e meditare.

Ci consenta l'egregio compagno, il quale col nostro più vivo compiacimento scrive da comunista di comunismo, e si rivolge ai comunisti militanti non ai socialisti, che noi dissentiamo da lui circa l'affermazione che egli fa sulla dottrina di Marx, potente ma ristretta ed assai poco esplicita, che si è chiaramente sviluppata e definitivamente concretata con la costruzione dei Soviet.

Non è certo per assumere le difese di Marx che noi scriviamo - non sarebbe il caso - ma solo per stabilire secondo il nostro modo di vedere in quale rapporto sia la teoria di Marx con la grandiosa costituzione dello stato proletario secondo la geniale concezione di Lenin.

Se Marx è stato il grande teorico del Comunismo, Lenin ne è il grande realizzatore; l'uno è lo scopritore del principio scientifico, l'altro colui che genialmente trae da esso le pratiche applicazioni.

Ciò che in Marx è una breve formula diventa nella complessa azione di Lenin uno svolgersi ampio e particolareggiato di fatti positivi.

La genialità di Lenin rifulge nell'aver rilevato l'importanza suprema nella costruzione politica marxista della ristretta formula, quanto meravigliosamente precisa, della dittatura del proletariato, ed avere ad essa dato corpo, anima e sostanza, facendola divenire una realtà concreta ed operante.

Nella breve formula era detto tutto; nel periodo in cui il proletariato, impossessatosi del potere politico, procederà alla eliminazione della proprietà capitalistica ed alla sostituzione con quella comunista, esso eserciterà il potere in forma dittatoriale, ossia da solo, con unità di organizzazione, escludendo le altre classi, e con una energica forza di coazione. Mancavano, - a parte il fatto che il concetto della dittatura proletaria è sviluppato nello stesso Manifesto dei Comunisti, negli studi di Marx sulla Comune di Parigi, e in altri passi ancora di Marx e di Engels, citati largamente da Lenin medesimo, - le modalità pratiche, ma la formula marxistica non poteva essere più precisa e più chiara.

Di fatto essa non è se non una assai più vera e più vasta democrazia delle attuali democrazie borghesi, perché in confronto alla piccola minoranza (la borghesia) che esercita attualmente il potere sarà una grandissima maggioranza quella che eserciterà il potere politico e perciò avrà meno bisogno di quella del costante uso della coazione.

Ma fu bene che così sia nata la formula e così deve essere conservata, perché il proletariato, che ritrae la sua immensa forza morale dall'essere la grande maggioranza, può e deve affermare recisamente il suo volere. Esso non ha bisogno dei camouflages democratici ipocriti e fraudolenti, di cui si ammanta la borghesia avida per nascondere agli occhi del proletariato incosciente la sua quotidiana opera di sfruttamento.

La socialdemocrazia, la cui costante azione è stata un continuo abbandono del sano indirizzo marxistico, malgrado, con la più impudente irriverenza, continuasse a bruciare incensi al Maestro, aveva su questa formula della dittatura del proletariato gettato il velo dell'oblio.

Nell'ora in cui il proletariato russo sorgeva in piedi a spezzare le catene del secolare servaggio, il formulario equivoco e ingannatore della socialdemocrazia si dissolveva, di fronte alla granitica realizzazione della dittatura proletaria, che con la esclusione dal potere politico dei rappresentanti della borghesia fino a che questa classe non sia soppressa economicamente, si concretava nella costituzione dei Soviet degli operai e contadini.

Provvisoria la dittatura, sicuro, ma come sono provvisorie tutte le cose umane.

È un provvisorio che corrisponde a tutto un periodo storico, durante il quale più o meno successivamente tutti i proletari delle singole nazioni insorgeranno vittoriosamente per la loro liberazione, e procederanno alla eliminazione della borghesia.

La rivoluzione proletaria è essenzialmente internazionale. I compagni russi l'hanno soltanto gloriosamente iniziata e con la loro vittoria hanno aperto il periodo storico della dittatura del proletariato. Questo periodo, aperto internazionalmente, non potrà chiudersi che internazionalmente, ossia quando ovunque sia scomparsa definitivamente la borghesia per la soppressione della proprietà capitalistica e la sostituzione di quella comune.

Tale sostituzione, è evidente, non potrà verificarsi contemporaneamente nei vari aggruppamenti statali borghesi attuali, né nelle varie parti di essi, in quanto è in stretto rapporto col precedente sviluppo in essi della proprietà capitalistica.

Questa unità del periodo storico, che sarà contrassegnato dall'esercizio della dittatura del proletariato, sarà più evidente quando, in virtù delle successive insurrezioni liberatrici da parte del proletariato, il quale agisce sempre internazionalmente come parte del proletariato mondiale anche quando, come avviene oggi, agisce negli stretti confini delle singole nazioni borghesi, l'Internazionale proletaria oggi esistente solo in potenza sarà una realtà storica.

Da il "Soviet" del 15 novembre 1920.








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