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Gli Inca - Commercio

storia



Gli Inca


Il mondo degli Inca era definito, nella lingua ufficiale "que­chua", Tahuantinsuyu o "mondo dalle quattro direzioni". In realtà la direzione ritenuta più importante era quella est-ovest, il percorso del sole.

Al momento della conquista spagnola l'impero incaico occu­pava più di un milione di chilometri quadrati: da Cuzco nella sierra meridionale del Perù si era allargato a nord in tutto l'Ecuador e, a sud, in Cile e nell'Argentina nordoccidentale.

La storia del Perù e dell'area andina, come ce la rac­conta l'archeologia, è caratterizzata da una serie di grandi civiltà millenarie le quali raggiunsero il loro apogeo e la loro decadenza molto prima che gli Inca arrivassero ad assogget­tare l'intera regione. Questa eredità fu raccolta ed assimilata dall'impero incaico, un po' come i Romani avevano fatto in Europa. Gli Inca fecero la loro prima comparsa su un elevato altipiano, brullo e desertico, caratterizzato da una notevole escursione termica: la terra dei Quechua, "il popolo della Valle calda" che diede il nome alla loro lingua. Il fatto di non sapere quasi nulla della storia delle civiltà preincaiche è dovu­to proprio agli s 737g69h tessi Inca che tramite i rammentatori cancella­rono ogni traccia degli altri popoli mediante un'efficace mani­polazione della storia che doveva essere tramandata.



Come nelle altre civiltà precolombiane l'agricoltura era il principale mezzo di sussistenza, anche se in un primo momento era molto sfavorita a causa dei pendii scoscesi.

Tuttavia gli Inca, ricorrendo alla tecnica del terrazzamento e sviluppando un efficace sistema di irrigazione, furono capaci di provvedere alla loro sopravvivenza, integrando la loro alimentazione, principalmente costituita dalla patata, con del pesce e con la carne del porcellino d'India.


Commercio


Il commercio era largamente praticato presso gli inca, ma non aveva l'impor­tanza che rivestiva presso i contemporanei Aztechi. In appo­siti mercati, nelle città più importanti, si effettuavano scambi e compravendite di prodotti locali. Nelle zone costiere, che era­no anche le più povere, ogni merce era ritenuta preziosa; dall'interno erano richiesti soprattutto articoli di lusso: piume colorate, coca e sostanze stimolanti provenienti dal versante amazzonico, smeraldi, giade e oro.

Cosa che invece colpì particolarmente i conquistadores fu la cosiddetta Strada Reale, divisa in due arterie principali: quella andina e quella costiera. La prima, lunga 5200 chilometri, percorreva la Cordigliera dal limite settentrionale dell'impero, costituito dal Rio Ancasmayo, attraverso l'Ecuador, il Perù, la Bolivia, il Cile e l'Argentina fino a Tucuman. La strada costiera lunga più di 4000 chilometri e larga 7 metri partiva da Tumbes, al limite del regno incaico sul Pacifico, e proseguiva verso sud, attraverso il deserto, per tutta la lunghezza del Perù e del Cile. Nei punti più pericolosi erano stati eretti dei muri di pietra; per superare le paludi si era proweduto a sopraelevare il ter­reno e per scendere lungo i pendii erano stati costruiti terraz­zamenti e gradini. Vi erano inoltre molte altre piccole vie e sentieri, destinati alle spedizioni militari o al trasporto delle merci.

Sicuramente le più ardite opere di ingegneria stradale erano costituite dai ponti ("chaca") che gli Inca ritenevano sacri. Ce n'erano di varie tipologie: sospesi, galleggianti su barche, a mensola, a lastre di pietra. Quello più famoso era il ponte sospeso di San Luis Rey, fatto costruire dal re Inca-Roca, che attraversava la gola del rio Apurimac. Era sostenuto da cavi in "cabuya" (corda vegetale) massicci "quanto un como umano e lunghi circa 55 metri, fissati alle due rive del fiume a pilastri di pietra conficcati nel terreno e legati a travi in legno. Il pon­te, ricoperto con graticci di canna e foglie, oscillava nel vuoto, come un'amaca, ma era molto robusto: appositi operai era­no addetti alla sua costante manutenzione.


Società


La società incaica era a struttura piramidale, cioè assoluta­mente accentrata: il governo si avvaleva di un sistema gerar­chico complesso e minuzioso facente capo a Cuzco.

Al vertice della gerarchia sociale stava il "sapa-inca", l'impera­tore, diretto discendente di Inti, il Dio Sole. Egli perciò dete­neva non solo la suprema autorità politica e militare, ma anche quella religiosa. Appena conquistavano una provincia, gli Inca la dividevano in tre parti, la prima delle quali era per il Sole, la seconda per il re e la terza per il popolo; questa parte era equamente suddivisa, pro capite, tra la popolazione e ogni suddito riceveva al momento del matrimonio un lotto di terreno per sé, la moglie e ciascun figlio.

Oltre all'inca, tre categorie di persone facevano parte della classe superiore: i membri della famiglia imperiale; i "cura­cas", che erano i capi dei popoli sottomessi ma riconfermati nel loro potere dopo aver prestato giuramento di fedeltà al sovrano; e infine una folta schiera di magistrati, dignitari, cit­tadini che nel corso di guerre o calamità naturali si erano distinti per il coraggio, nonché i capi delle famiglie più impor­tanti. Anche i sacerdoti, i medici, i guaritori e i guerrieri erano tenuti in alta considerazione.

Ma la vera forza dell'impero era costituita dai contadini e dagli abitanti dei villaggi andini riuniti in "ayllu" (nuclei-dan). Ognuno di questi gruppi possedeva della terra coltivabile ("marca") ed era protetto da un suo antenato, a volte identifi­cato con un animale, una roccia, un fiume o un lago. Ciascun villaggio era governato da un consiglio di anziani o da un capo-villaggio.


Religione



La religione incaica consisteva in un insieme di credenze basate sulla personificazione delle forze della natura, sull'influsso degli astri, sulla presenza di spiriti in tutte le cose: l'impero abbracciava molti territori e grandi erano, al suo interno, le sfumature religiose e cultuali.

Fin dalla nascita dell'impero la divinità incaica per eccellenza fu Inti, il dio Sole. Suo figlio, detentore del potere in terra, era il sapa-inca che aveva al suo servizio sacerdoti e Vergini del Sole; solo a Cuzco 4000 persone erano addette al culto. Gli Inca non si opponevano alle religioni locali ma esigevano che fosse rivolto un culto particolare al dio Sole. A partire dal regno di Pachacuti (1438-147 1), la divinità più celebrata fu Viracocha, il Creatore, benigno responsabile del benessere degli uomini e del loro nutrimento. Dopo il dio Sole Inti e il dio-creatore Viracocha, un posto di rilievo spettava a Inti lllapa, il Tuono, signore della pioggia che percorreva gli spazi celesti armato di fionda per scagliare i fulmini. Gli indigeni credevano di identificare il suo profilo tra le stelle dell'Orsa Maggiore e ritenevano che attingesse la pioggia dalla Via Lattea. Anche la Luna era venerata, perché sorella del Sole. Esisteva inoltre un culto rivolto a immagini, oggetti, o elemen­ti della natura considerati sacri e chiamati "huaca": potevano essere laghi, fiumi, idoli, feticci, pietre o oggetti toccati dall'inca. A Cuzco e dintorni esistevano circa 500 luoghi rite­nuti "huaca". Nelle case si conservavano i "conopa", statuet­te antropomorfe collegate al culto degli antenati.

Lo stregone-indovino era una figura di primo piano nell'area andina e i sacerdoti erano incaricati di interrogare gli spiriti dei morti per conoscere il futuro. Per trarre vaticini si osserva­vano anche le viscere degli animali, il cammino dei ragni, la disposizione delle foglie di coca. Il sacrificio umano era prati­cato ma non per consuetudine, come facevano gli Aztechi: si riteneva invece che il lama fosse l'animale da sacrificio per eccellenza. Per ottenere la benevolenza degli dei si offrivano conchiglie, statuine in oro e argento e tessuti preziosi.


La fine degli inca


La fine degli Inca si ebbe pochi anni dopo quella degli Aztechi. Una guarnigione spagnola nel 1522 venne a conoscenza di un impero che avrebbe dovuto trovarsi all'interno del continente sudamericano. Nel 1531 fu allestita una spedizione guidata da Francisco Pizarro e Diego de Almagro, costituita da tre navi: la flotta avanzò lentamente lungo la costa dell' Ecuador e del Perù, inoltrandosi infine verso l'altopiano. Gli spagnoli entrarono nell' impero Inca in un momento di sua grave debolezza.. Essi infatti erano stati colpiti da malattie importate dagli spagnoli e negli anni 1524-25 il Perù era stato contagiato dal vaiolo dove a causa di questo morì l'imperatore. In seguito era cominciata una violenta guerra tra i suoi due figli Atahualpa e Huascar conclusa con la vittoria del primo. Questa guerra combaciò con l'avanzata spagnola guidata da Pizarro verso l'altopiano peruviano dove la popolazione Inca fu massacrata.



Gli Aztechi


Gli Aztechi o Mexica si stabilirono nella Valle del Messico nel XIII sec. d.C. e dopo alterne vicende occuparono due isolotti del versante occidentale del lago Texcoco.

Essi provenivano dal nord della Mesoamerica e si definivano discendenti dei Chichimeca, popolazioni "barbare" di lingua nahuatl come loro.

L'oracolo del dio aveva predetto che la capitale degli Aztechi doveva essere fondata nel luogo stesso in cui avrebbero incontrato un'aquila posata su un cactus, con un serpente nel becco. NeI 1325 la profezia si avverò e così fu fondata Tenochtitlàn (il luogo del frutto di cactus"). Ancora oggi l'aquila che divora il serpente è l'emblema del Messico.

Alla fine del XV secolo due grandi sovrani quali Montezuma I e Ahuitzoil riuscirono ad estendere il loro impero dalla costa del Golfo al Pacifico, raggiungendo a nord i limiti della Mesoamerica e a sud il Guatemala e EI Salvador.

L'impero, di così vaste proporzioni, fu governato dai tre sovrani di Tenochtitlàn, Texoco e Tlacopàn che formavano una triplice alleanza: in realtà la città guida fu sempre Tenochtitlàn, la vera capitale imperiale.

Gli Aztechi erano abili agricoltori, conoscevano il maggese e praticavano l'irrigazione, costruivano giardini galleggianti e periodicamente ripartivano le terre.

Coltivavano mais e fagioli, (ancora non conosciuti dagli Europei), meloni, peperoni, vaniglia, pomodori, cotone, cacao (che trasformavano in cioccolato), l'agave, di cui facevano fermentare la linfa, e il tabacco, che veniva fumato durante le cerimonie religiose.

Praticavano inoltre l'allevamento del bestiame, che era limitato a una particolare razza di cani senza pelo destinati al consumo e ai tacchini.

Come generi di alimentazione venivano utilizzate anche pernici, anatre e oche selvatiche.


Il Commercio


Nel bilancio dello Stato azteco il commercio era una voce fondamentale insieme ai tributi in generi alimentari che ogni cittadino doveva versare. La permuta era l'unico mezzo per acquisire beni di consumo ma, poiché non esisteva una moneta, cioè un valore di scambio fisso, bisognava creare un riferimento universale: si scelse così il cacao, molto apprezza­to dagli Aztechi e facilmente trasportabile.

I "pochtecas" (commercianti) costituivano una classe privile­giata in ascesa e monopolizzavano il commercio su larghe distanze: si occupavano inoltre di servizi segreti, di ambasciate e di riscossioni di tributi.

Gli altipiani messicani importavano piume colorate, cotone e pelli di giaguaro dalle terre tropicali; oro e smeraldi dalla Colombia e dal Panama, bronzo dal Perù.

Contrariamente alle popolazioni maya, gli Aztechi non prati­cavano il commercio marittimo. Per gli interscambi a grandi distanze, i mercanti si appoggiavano alle loro lontane basi commerciali e sembra che fossero riuniti in una specie di con­fraternita che dava loro la possibilità di trovare ospitalità e assistenza in qualsiasi centro.

Ciò che colpì maggiormente gli Spagnoli e di cui hanno lasciato testimonianza, fu l'abbondanza dei mercati che in ogni città si svolgevano a cadenze fisse. Il più ricco era il mer­cato quotidiano di Tlateloco. Hernàn Cortés lo descrive così:

"Qgni giorno vengono qui a vendere o a barattare oltre ses­santamila persone... La piazza è grande il doppio di quella di Salamanca e vi si vende ogni tipo di merce. C'è una strada per la cacciagione e una per i venditori di ortaggi, radici ed erbe medicinali." Bernal Diaz elenca altre mercanzie quali schiavi indiani, cotone e fili ritorti, pollame, ceramiche, tabac­co, cocciniglia per coloranti, sale, coltelli di pietra... Si vende­vano anche oggetti in oro e argento, pietre preziose e piume. Al centro della piazza c'era sempre un gruppo formato da una decina di notabili che avevano il compito di fare da pacie­ri o da giudici in caso di controversie.

L'ottima organizzazione commerciale azteca era legata ad una efficiente rete stradale che permetteva rapide comunica­zioni con la costa e con le regioni settentrionali e meridionali fino all'istmo di Panama; esistevano inoltre delle mappe con i percorsi consigliati. Le merci venivano portate a spalla da schiavi o da portatori di professione.


La Società


Alla base della società azteca c'era il popolo (o "machehuales") organizzato in molti clan i cui membri discendevano da uno stesso antenato e lavoravano le terre avute in eredità, pagando allo Stato dei tributi consistenti in una parte dei pro­dotti. Ogni gruppo godeva di amministrazione autonoma e aveva un suo tempio e una sua scuola.

Le cariche dirigenti di tipo militare, amministrativo, giudiziario e religioso erano dapprima elettive e solo in seguito divenne­ro ereditarie dando origine a un'aristocrazia di sangue ("tecluti") a cui faceva capo l'imperatore. che si occupava di politica estera. In politica interna era coadiuvato da un consigliere cui spettava, benché uomo, il titolo di Donna Serpente. I membri della nobiltà venivano educati in scuole rigorosissime, dette "Calmecac" o Case dei giovani, rette da sacerdoti, nelle quali l'allievo apprendeva l'autodisciplina, si abituava alle privazio­ni. studiava la scrittura e la lettura, l'astronomia, l'astrologia, la storia, la matematica, l'interpretazione dei sogni. Anche i figli dei "machehuales"., se idonei,  potevano accedere a que­sta scuola. I soli privi della possibilità di migliorare la loro condizione erano gli schiavi, che indossavano un infamante colla­re di cuoio, e i portatori, ritenuti socialmente inferiori.

Ogni persona curava il proprio corpo e l'abbigliamento con particolare attenzione. Sicuramente i più ricchi, che non lavo­ravano, avevano maggior tempo da dedicare a se stessi. Secondo il cronista Andros de Tapia, Montezuma si lavava due volte al giorno, ma tutti "si bagnavano frequentemente, e molti ogni giorno, nei fiumi, nelle lagune o in vasche". Per detergersi usavano sostanze vegetali come la radice delle saponaria ed erbe profumate.

I maschi portavano generalmente i capelli lunghi con frangia anteriore; l'appartenenza a un determinato mestiere o grup­po sociale era indicata da un taglio diverso: i sacerdoti si rasavano ai lati del capo ma portavano una lunga ciocca al centro della testa; i guerrieri (come il guerriero-aquila, il guerriero-giaguaro, il guerriero comune) avevano sulla nuca una lunga coda che veniva tagliata dai barbieri dopo la prima battaglia. L'indumento principale maschile era il perizoma ("maxtlatl"), della stessa foggia di quello utilizzato dai Maya. Il mantello ("tilmafli"), di fibra d'agave, cotone di pelo di coniglio unito a piume colorate, era comune soprattutto d'inverno.

Le donne si acconciavano le lunghe e lucenti chiome in modi conformi all'età, allo stato sociale, al ceto di appartenenza.

Indossavano una gonna, o "cueitl", fissata alla vita da una cintura ricamata; nel­le campagne si lasciavano il busto scoperto; in città se lo coprivano con 1' "huipilli", un corsetto generalmente bianco, scollato e libero sulla gonna. Uomini e donne del popolo camminavano a piedi nudi, ma i nobili e i ricchi calzavano i "cactli", sandali con suola di fibra o pelle allacciati alla gamba con corregge intrecciate. Si usavano gioielli di varie fogge e materiali: oro, cristallo, conchiglie, ambra, turchese e ampi copricapi con impalcatura ricoperta di piume.


Religione


La società degli Aztechi era basata sulla religione. Dal famoso calendario, noto come Pietra del Sole, che raffigura al centro il volto del dio Sole e del mondo e intorno i simboli delle quattro ere preistoriche e dei giorni, chiusi in una composizione circolare con l'anello esterno formato da due serpenti di turchese, all'organizzazione politica sociale, tutto era subordinato a scopi religiosi. Dio del sole era Tonatiuh, dea della luna Metzli, Dio della pioggia Tlaloc, Dea del mais Centeotl. Accanto al Dio della guerra erano venerati il terribile Dio dell' inverno Tezcatlitpoca, venditore delle colpe umane, e Quetzalcoatl, il serpente piumato, Dio della civiltà e della tolleranza, costretto all' esilio da Tezcatlipoca, ma che sarebbe tornato dall' est. E, infatti, nello straniero, bianco di pelle e dalla lunga barba che si chiamava Cortès, Montezuma credette di riconoscere il divino Quetzalcoatl redivivo. L' immagine azteca del mondo era caratterizzata da un forte sentimento della precarietà: il mondo intero appariva appoggiare sul vuoto, la natura era piena di forze disttruttive che andavano attentamente sorvegliate. La concezione del tempo degli aztechi vedeva un periodico ritorno di momenti di catasrofe. Era di fronta al sole che gli aztechi esprimevano a fondo il loro senso di incertezza: persino gli dei erano dovuti morire al fine di ogni epoca, perchè il sole potesse rinnovarsi, perciò era necessario procedere a continui sacrifici umani i quali erano compiuti da sacerdoti sulle grandi piramidi di Tenochtitlàn e sul cui significato si è molto discusso.

Anche la produzione artistica azteca, che nella maggior parte dei casi si trattava di scultura, era sempre ispirata dalla religione, infatti quasi tutte le statue che ci sono rimaste raffigurano dei o simboli religiosi.


Fine degli Aztechi


Quando nel 1519 sbarcarono gli Spagnoli in Messico con Hernàn Cortès, un nobile castigliano in cerca di fortuna gli Aztechi, dominavano una confederazione che comprendeva circa trenta province.

Stupefatti dalla vista dei cavalli e delle armi da fuoco gli indigeni in un primo momento lo accolsero calorosamente, scambiandolo per una divinità.

Ma più tardi quando osarono ribellarsi alle sue esose e crescenti richieste, furono ridotti in schiavitù e quando Cortès durante una festa raggiunse la capitale, sterminò la popolazione. In questo modo la civiltà degli Aztechi scomparve per sempre.  


I maya


Di tutte le popolazioni precolombiane i Maya furono i più progrediti dal punto di vista intellettuale, tanto da meritarsi il nome di "Greci d' America".

La civiltà Maya si sviluppò nel Messico meridionale, nei territori degli odierni stati di Yucatàn, Campeche, Quintana Roo, Tabasco e Chiapas, diffondendosi anchenel Guatemala, nel Belize ed in parte di Honduras e di El Salvador.

Si reputa che la prima città maya fu Cuello, che già nel 2400 a.C. era un fiorente centro agricolo.

La civiltà dei Maya aveva il proprio fondamento economico nel mais. Attraverso la coltivazione della pianta del mais, l'uomo aveva potuto gettare le basi per una società sedentaria legata alla terra e alla agricoltura ed ai cicli naturali di nascita, crescita e morte. Rappresentava il loro nutrimento principale, un alimento divino, che aveva formato la carne e il sangue degli uomini durante l'ultima fase della creazione. Credevano infatti che in un luogo di delizie e di abbondanza erano state trovate dagli dei le pannocchie bianche e le pannocchie gialle, che furono macinate per formare la carne dell'uomo e per conferirgli forza e vigore.

Tuttavia i Maya coltivavano anche altri tipi di prodotti come i fagioli, le zucche ed il cacao, e allevavano cervi, tacchini e persino i cani, che venivano ingrassati e mangiati.


Il Commercio

L'attività di maggior importanza per i Maya fu senza dubbio il commercio.

Generalmente gli scambi avvenivano all'interno di un'unica regione (scambio regionale) oppure fra regioni distanti tra loro (scambi interregionali). Si negoziavano beni utilitari (viveri e strumenti, sale, ossidiana e pietre da macina) e prodotti eso­tici e voluttuari legati ai rituali, alla ricchezza e al rango socia­le. I prodotti esportati più frequentemente erano: giadeite, serpentina, ossidiana, sale, cacao e penne di quetzal. Altri prodotti come i metalli (argento, oro, rame e leghe), la gom­ma e le pelli di animali provenivano da diverse aree e passa­vano per i territori maya. All'interno delle varie regioni, veni­vano organizzati veri e propri mercati e fiere, durante i quali si praticavano riti e attività ricreative.

Per trasportare le merci ci si avvaleva delle sole energie uma­ne; non si conosceva l'utilizzo della ruota e i carichi venivano trasportati sulla schiena da portatori, spesso organizzati in carovane umane. Per i trasporti marittimi, era comune l'uso della canoa, a volte munita di vele.


La società


La società maya era composta da tre classi principali: l'élite dirigente formata dai nobili e dai sacerdoti; i plebei e gli schia­vi; una classe media emergente.

I plebei abitavano le case più umili, situate in genere alla peri­feria dei centri; a questo gruppo appartenevano probabilmen­te, oltre ai contadini, i servi, i portatori e gli operai. La classe media era composta di funzionari, mercanti, guerrieri, artigia­ni, architetti, artisti e abitava vicino al nucleo civico e religioso dove risiedeva la classe dominante: il sovrano, la sua famiglia e altri membri della nobiltà che presumibilmente occupavano le cariche principali in campo politico, religioso ed economi­co.

L'indumento principale degli uomini di ogni classe sociale era il perizoma ("ex"). Si trattava di una larga fascia di cotone lunga abbastanza da essere avvolta ripetutamente intorno alla vita e passata fra le gambe. Questi perizomi erano variamen­te decorati e ornati con penne di quetzal alle estremità. Oltre agli "ex" gli uomini portavano, a volte, un largo riquadro di cotone, detto "pati", annodato alle spalle, che i poveri usava­no anche come coperta per la notte.

L'indumento principale delle donne era, secondo il cronista Herrera, un vestito simile a un sacco, lungo e largo, aperto ai due lati e cucito tipo ai fianchi". Ancora oggi questo indu­mento viene indossato in Messico ed è chiamato "huipil". In testa portavano un grande fazzoletto di cotone "aperto come un corto cappuccio che serviva anche a coprire il seno". Sandali di pelle non conciata e legati con cordicelle di canapa completavano l'abbigliamento della gente comune.


Religione


I Maya avevano una religione politeista e secondo loro esistevano dei per quasi ogni attività umana e fenomeno naturale; il più antico dio, creatore del mondo, era Hunab. Esistevano inoltre il dio del mais e delle foreste (Yum Kaax), il dio della morte (Ah Puch), il dio della stella Polare (Xaman Ek), ma al di sopra di tutti c'era Itzamna, figlio di Hunab, signore dei cieli e della terra, del giorno e della notte. Per raggiungere la dignità religiosa e diventare grandi sacerdoti dovevano sottoporsi a riti di transizione, che assicuravano il contatto diretto con la divinità, poteri sciamanici ed il dominio sullo spazio e il tempo degli uomini. Dopo una morte rituale, risorgevano alla nuova vita dal ventre di tartarughe, coccodrilli e serpenti, simboli terrestri. Parallelamente al dolore provocato dall'auto sacrificio di sangue, al ritmo incessante dei tamburi e della danza, anche l'ingestione di sostanze psico attive, come funghi e fumo di semi e erbe, poteva provocare stati di trance. Lo sciamano si elevava dalla condizione umana e raggiungeva una visione globale della realtà, entrava in contatto con le divinità e gli antenati e superava la concezione del tempo come successione di elementi concatenati a livello superficiale.

I luoghi dove si svolgevano queste cerimonie religiose erano le piramidi, che non avevano la funzione di tomba, ma che erano usate come veri e propri templi.

Tra tutti i riti sicuramente il più importante era quello funebre, che veniva compiuto più per esorcizzare i vivi che per onorare i defunti.


Decadenza e morte


Non sono chiare le cause che determinarono la fine dei Maya del Periodo classico intorno al 1000 d.C., ma sicuramente si trattò di un processo graduale dovuto a fattori ecologici e politici. Nel 1542, pochi anni dopo la conquista dell'America, le truppe spagnole condotte da Francisco Montejo sottomise­ro i sedici piccoli Stati in cui si era frantumato il regno dei Maya in seguito alle invasioni dei Toltechi provenienti dalla Valle del Messico. Gli ultimi Maya furono relegati a territori sempre più ristretti e si opposero alla dominazione spagnola fino al 1697.

Ancora oggi in Messico, Guatemala, Honduras e El Salvador vivono due milioni e mezzo di discendenti di questa grande cultura e si parlano 28 lingue di origine maya






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