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IL DIGITAL DIVIDE - Globalizzazione e Digital Divide

informatica









INDICE:



Globalizzazione e Digital Divide P. 3

Digital Divide: definizione P. 4



Caratteristiche del divario digitale P. 4

Il paradigma tecnologico e il Digital Divide P. 5

Il Digital Divide: nuova frontiera di divisione tra l'Occidente e il resto del mondo P. 6

Misurare il Digital Divide globale P. 10

Politiche ed iniziative per il superamento del Digital Divide P. 12

Possibile risoluzioni - Riflessioni finali P. 16


Bibliografia e sitografia    P.19







Globalizzazione e Digital Divide

Società dell'informazione, network society, società della comunicazione, società in rete: sono solo alcune delle tante definizioni che sono state date in questi ultimi anni alla nostra società umana, una società globalizzata. Generalmente, per globalizzazione si intende l'insieme di fenomeni di elevata rapidità e intensità su scala globale, in campo economico, sociale, culturale e politico, tendenti a superare le barriere a livello planetario nella circolazione di persone, cose, conoscenze, informazioni e idee, e a uniformare le condizioni economiche, sociali e culturali in conformità con il modello occidentale Proprio accanto a questi grandi cambiamenti ha preso vita il rapido, inesorabile e rivoluzionario processo di trasformazione tecnologico. Questo non significa però che la rivoluzione tecnologica sia figlia della globalizzazione o viceversa. Al contrario i due processi interagiscono l'uno con l'altro, e si influenzano vicendevolmente in un ciclo continuo di feedback cumulativo senza fine. Pertanto, la globalizzazione non 444i81e sarebbe stata possibile senza le trasformazioni economiche e sociali generate dal progresso delle le cosiddette "Information and Communication Technologies" (ICT), tra cui per esempio la comunicazione su scala globale e l'integrazione dei mercati finanziari. Allo stesso modo, la rivoluzione digitale non sarebbe stata possibile senza la libera circolazione del sapere e la competizione economica globale odierna.

Grazie ad esse, o a causa di esse, si è innescata la rivoluzione tecnologica, un inarrestabile processo di cambiamento sociale che ha trasformato, e sta tuttora trasformando, l'intera società umana, modificando il nostro modo di vivere, pensare e comunicare.   Facendo emergere nuove strutture sociali nuovi modelli di sviluppo


Come scrive Manuel Castells[1] stiamo assistendo alla «comparsa di una nuova struttura sociale, che si manifesta in tutto il pianeta in forme differenti, in base alle diversità di culture e istituzioni. Questa nuova struttura sociale è associata alla nascita di in modo di sviluppo mai visto prima, l'informazionalismo, storicamente plasmato dalla ristrutturazione del modo di produzione capitalista alla fine del XX secolo. [.] La rivoluzione della tecnologia dell'informazione rappresenta un evento storico di straordinaria entità, almeno quanto la rivoluzione industriale del XVIII secolo, determinando una logica di discontinuità nelle basi materiali dell'economia, della società e della cultura".


Ma tutte le rivoluzioni sono violente, e la rivoluzione della tecnologia dell'informazione non è meno cruenta di altre. In che modo la diffusione delle ICT può aver esercitato una qualche forma di violenza sugli individui, le comunità, o più in generale sulla società? Ebbene la risposta a queste domande è racchiusa in un solo concetto: "Digital Divide" o divario digitale.

Digital Divide: definizione

Digital Divide è il termine tecnico utilizzato che vuole far riferimento alle disuguaglianze nell'accesso - e della fruizione - delle nuove tecnologie di comunicazione e informatiche tipiche della cosiddetta "società dell'informazione".  Il Digital Divide è un muro tra chi ha l'opportunità di cogliere i benefici che queste nuove tecnologie portano "geneticamente" con sé - perché le ICT sono uno straordinario strumento per avviare o accelerare processi di crescita e sviluppo, un potente mezzo di organizzazione e democratizzazione dell'attività umana ed una bramata "bacchetta magica" capace di creare ricchezza e benessere - e chi ne è escluso. Divario, disparità, disuguaglianza digitale significano la difficoltà da parte di alcune categorie sociali o di interi paesi di usufruire di tecnologie che utilizzano una codifica dei dati di tipo digitale rispetto ad un altro tipo di codifica precedente, quella analogica.

Caratteristiche del divario digitale

Stabilire un approccio ultimo all'analisi delle componenti e degli effetti sulla società del Digital Divide e proporne una possibile soluzione è molto difficile, e lo è ancora di più quando non esiste nemmeno una definizione largamente condivisa del fenomeno stesso.


Innanzitutto è bene ampliare il concetto di Digital Divide riferendolo non solo alle disparità nell'accesso ad Internet ma al vasto complesso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Ciò significa che, sebbene Internet sia il fulcro della rivoluzione tecnologica odierna, è necessario interessarsi anche a tutte quelle nuove tecnologie che facciamo rientrare nell'insieme delle ICT e che si influenzano reciprocamente e dipendono strettamente l'una dall'altra. Come sappiamo, uno dei processi in atto nella "società informazionale" è l'integrazione delle diverse tecnologie in un ambiente multimediale, quindi, qualsiasi approccio all'universo tecnologico odierno non può prescindere dal multimedia.

Se si vogliono tracciare le caratteristiche del Digital Divide, non si deve semplicemente definirlo nei termini di un divario bipolare tra chi ha accesso alle ICT e chi non ce l'ha. Bisogna invece vederlo come una gradazione, un continuum di diversi livelli di accesso che varia tra i due ipotetici poli della totale mancanza di accesso e di un utilizzo appropriato ed efficace delle tecnologie . In sostanza ci stiamo riferendo a quel già citato universo di differenti livelli di utilizzo della tecnologia. Per rendere più chiaro il concetto basta immaginarsi le differenze nell'accesso e nell'utilizzo di Internet che possono esserci tra un ricercatore del MIT di Boston, con il suo bel computer di ultima generazione con collegamento a banda larga, uno studente di Seul che saltuariamente frequenta un cyber-café, e un attivista di una Ong indonesiana che non sa usare il computer, ma occasionalmente i suoi colleghi scaricano e stampano per lei le informazioni utili al suo lavoro.

Importante da considerare, rimanendo sempre all'interno del continuum delle varietà di modi di utilizzo della rete, è anche la modalità di accesso.

È necessario considerare non solo le disuguaglianze nell'accesso alle ICT e nel tipo di utilizzo che se ne fa, ma anche dei benefici che si ottengono nell'utilizzarle. Questo è probabilmente il cardine dell'intero dibattito odierno riguardo il Divario Digitale. Tutte le promesse di sviluppo, prosperità e libertà che la rivoluzione tecnologica porta con sé sono direttamente connesse ai benefici che si ottengono grazie all'utilizzo che facciamo della ICT. Di per sé la diffusione delle tecnologie non permetterà alcun miglioramento significativo della vita umana. Perché avvenga qualche cambiamento positivo è necessaria la diffusione del sapere: la conoscenza del più appropriato, effettivo e significativo utilizzo delle ICT è il vero obiettivo che dobbiamo porci nel tentativo di superamento del Divario Digitale, perché solo in questo modo si possono creare le premesse per l'integrazione di coloro che, fino ad oggi, sono rimasti esclusi dalla società in rete.


Il paradigma tecnologico e il Digital Divide

Letecnologie ICT rappresentano un "paradigma tecnologico", ovvero un insieme di regole e metodi che determinano un modo di produzione e quindi un modello sociale.


Melvin Kranzberg[2] disse: "La tecnologia non né buona né cattiva. E non neppure neutrale". Mai come in questo momento le tecnologie non sono neutre; dal tipo di scelte che vengono fatte si possono decidere i vari tipi di futuri che ci aspettano: sicurezza dei dati, codici dei programmi, sistemi operativi, protocolli applicativi.

Un paradigma tecnologico non sostenibile può creare molti problemi che - tra l'altro - potrebbero ritornarci indietro amplificati (come ad esempio i problemi ambientali). Nell'ambito dell'informatica e delle nuove tecnologie, il paradigma tecnologico più sostenibile è sicuramente quello legato al free software.

Il modello cooperativo a cui fa riferimento, la possibilità di personalizzare per le diverse esigenze i software e la possibilità di partecipare attivamente all'innovazione entrando nel merito delle cose trattate sono alcuni dei suoi punti di forza. Se la strada per affrontare il problema sarà questa, allora non saranno soltanto i paesi in via di sviluppo a trarne benefici diretti, ma anche tutta la comunità a livello mondiale.


Il Digital Divide: nuova frontiera di divisione tra l'Occidente e il resto del mondo

Se si guarda oltre la semplice definizione di  Digital Divide ci si potrà rendere conto che questo termine tecnico racchiude in sé complesse problematiche che coinvolgono tutti gli aspetti della vita di una comunità: economici, culturali, sociali: la diseguale distribuzione degli strumenti tecnologici tra le persone e le regioni del mondo genera violenza sociale.


il Digital Divide nei paesi in via di sviluppo va inserito come l'ultimo dei tanti "divide" che riguardano determinate aree: povertà, sfruttamento delle risorse ad opera di multinazionali, mancanza di energia elettrica, problemi politici, mancanza di istruzione, degrado; si aggiunge a questa parzialissima lista di ritardi e rischia, visto il vorticoso progredire di queste tecnologie, di incrementare ulteriormente la forbice tra paesi sviluppati e non. Sarebbe sicuramente sbagliato credere che andando ad incidere sul Digital Divide si possano risolvere i problemi gravi che affliggono queste società.

La disparità digitale è, in realtà, solo uno degli aspetti indotti dalla globalizzazione e molteplici sono le relazioni tra la diffusione di questa e la diffusione delle tecnologie dell'informazione. Sicuramente l'Information Technology non è la causa dei cambiamenti che stiamo vivendo, ma uno strumento senza il quale niente di ciò che sta cambiando le nostre vite sarebbe possibile. Già negli anni '90 l'intero pianeta era organizzato intorno a reti telecomunicanti di computer; oggi, l'intero spettro delle attività umane dipende dal potere dell'informazione, in una sequenza di innovazioni tecnologiche che aumenta progressivamente. L'accesso e l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione rappresentano nel nostro mondo un pre-requisito per lo sviluppo economico e sociale. Sono l'equivalente dell'elettricità ai tempi dell'era industriale.

Il ruolo cruciale dell'Information Communication Technology nello stimolare lo sviluppo assume due aspetti: da una parte dà la possibilità ai paesi di modernizzare i loro sistemi di produzione ed incrementare la loro competitività tanto quanto mai in passato; dall'altra, per quelle economie che non sono in grado di adattarsi al nuovo sistema tecnologico, i ritardi divengono sempre più incolmabili. Inoltre, l'abilità di muoversi all'interno dell'era dell'informazione dipende dalla capacità dell'intera società di essere educata e messa in grado di assimilare ed utilizzare informazioni complesse.

La diffusione delle tecnologie dell'informazione presuppone da una parte grandi investimenti economici, dall'altra la presenza di infrastrutture e servizi, spesso assenti in molti paesi, soprattutto al Sud del mondo. Per questo, la situazione che si va delineando vede l'esistenza di un divario nella fruizione delle nuove tecnologie, divario presente sia all'interno del Nord del mondo, sia tra Nord e Sud del mondo I dati[3] oggi a nostra disposizione dimostrano che nei prossimi anni tale gap andrà progressivamente aumentando segnando una linea di separazione tra Nord e Sud difficilmente colmabile.

Le maggiori difficoltà per la diffusione della ICT sono date dalla carenza delle infrastrutture per le telecomunicazioni e dai costi elevati di utilizzo delle linee telefoniche, dalla scarsa presenza di computer e attività di alfabetizzazione relative al loro utilizzo, dalla diffusione geografica delle connessioni, che è concentrata nelle grandi città o esclusivamente nelle capitali, mentre è totalmente assente nelle zone rurali, nelle quali vive invece la maggior parte della popolazione.

Porre attenzione all'insieme di questi eventi che delineeranno l'intervento programmatico dei governi e delle organizzazioni internazionali sulla diffusione dell'ICT è di importanza fondamentale. Ma al problema dell'accesso alle nuove tecnologie va sempre accompagnata la problematica dei contenuti e delle modalità con cui questi viaggiano attraverso i nuovi canali informativi.

Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione potenzialmente aprirà nuove strade per la diffusione e la socializzazione di servizi anche primari: è il caso della "telemedicina" che consentirebbe ad abitanti anche di luoghi isolati e irraggiungibili di avere, ad esempio, diagnosi on-line o la possibilità di ottenere analisi mediche senza necessariamente dover accedere "fisicamente" ad un centro specializzato. Anche nel campo dell'educazione e della formazione si aprono strade tutte nuove che potrebbero fornire un accesso più ampio dell'attuale all'istruzione anche di base. Lo sviluppo economico potrebbe essere agevolato dalla messa in collegamento di realtà locali con il mercato globale che le nuove tecnologie favoriscono e promuovono.

Sin qui alcuni dei possibili aspetti positivi, prendendo in considerazione i quali, non si può prescindere dal dato che nei paesi del Sud del mondo ci si scontra sovente con la totale assenza di infrastrutture e di servizi sociali primari. È quindi difficile anche solo riuscire ad immaginare l'utilizzo dei computer come risolutore dei problemi esistenti. Non solo: molti si interrogano sul significato culturale di tali eventi: la lingua predominante delle nuove tecnologie e soprattutto della enorme mole di informazioni e servizi che rappresenta Internet è l'inglese, linguaggio che diventa tramite quasi indispensabile per utilizzare ad esempio i software di qualsiasi computer. I contenuti della rete sono omologati e rappresentano una enorme monocultura che minaccia sensibilmente le diversità culturali.   

Lo sviluppo di un'economia globale ed i benefici connessi alla diffusione globale delle informazioni non potrebbero avere effetti positivi senza contenuti adatti a tutti i gruppi sociali. Attualmente il dibattito sul Digital Divide si concentra sugli aspetti geopolitici in relazione sia all'accesso, sia ai contenuti dell'ICT, tenendo presente che la "Rivoluzione Digitale" accelera i processi di globalizzazione e moltiplica esponenzialmente il suo impatto.

Una delle argomentazioni sostenute da chi vede la diffusione delle ICT come strumento di sviluppo, è che queste possano favorire la partecipazione, la decisionalità e lo scambio di informazioni, consentendo quindi un reale intervento delle persone sulle decisioni che li riguardano. La ICT può garantire la creazione di networks e quindi di spazi pubblici per dibattiti fra le persone, canali attraverso i quali far circolare conoscenze ed esperienze fra le persone e le istituzioni, siti dove fonti di informazione e conoscenza possono essere consultati. 

I progetti[4] oggi attivi nel sud del mondo tesi a promuovere lo sviluppo delle nuove tecnologie sono numerosi, ma ancora in fase sperimentale ed insufficienti data la portata del problema.


Il Digital Divide, quindi, non deve e non può essere affrontato come una problematica relativa al livello di penetrazione e di sfruttamento delle tecnologie della comunicazione all'interno dei paesi in via di sviluppo anche se è in questi aspetti che si concretizza. La sua risoluzione sottende l'impegno alla risoluzione delle problematiche di sviluppo di questi paesi e come tale deve essere affrontato: gli sforzi devono essere portati in questa direzione e non nel semplice paracadutaggio tecnologico della rete e del digitale. Possiamo, quindi, definire, a questo punto, il Digital Divide come una mancanza nelle opportunità di accesso alle nuove tecnologie che riesce, metaforicamente, a fornire un'immagine molto chiara del livello di sperequazione fra Nord e Sud del pianeta. Il Digital Divide, in qualche modo, riformula la dialettica delle antiche divisioni tra Nord e Sud: il mondo non è più diviso fra ricchi e poveri, fra coloro che non hanno fame e coloro che ne hanno, fra chi consuma e chi sopravvive, la nuova frontiera è fra coloro che posseggono l'informazione e fra coloro che non vi hanno accesso, fra gli information haves e haves-not.


Misurare il Digital Divide globale

Per cominciare a misurare la grandezza Digital Divide non possiamo che fare riferimento ai dati relativi al numero di individui connessi alla rete e al numero di hosts e alla loro distribuzione sul globo.

La geografia della rete coincide con quella che è la geografia economica globale. In questo modo, la distribuzione e la densità degli utenti Internet sarà decisamente più alta nei paesi sviluppati mentre si manterrà con valori molto bassi all'interno dei paesi in via di sviluppo. Ciò viene confermato dall'osservazione dei dati relativi al numero di utenti ogni 1000 abitanti forniti dal rapporto UNDP 2004[5].

È abissale la differenza fra i 450 utenti ogni 1000 abitanti dei paesi ad alto reddito OECD e 2,8 dei paesi meno sviluppati del mondo: un individuo su due appartenente aigrandi paesi sviluppati si connette alla rete mentre il numero degli utenti per alcuni paesi è praticamente inesistente, limitato ad alcune ristrette aree e molto spesso legato alle attività delle ambasciate straniere.

La geografia della rete ripercorre le divisioni economiche fra Nord e Sud del mondo con una diretta proporzionalità fra utenti in rete e livello di importanza economica e commerciale di quel paese. Questo tipo di sperequazione si ripropone all'interno degli stessi paesi in via di sviluppo dove notevole è la differenza, per esempio, fra l'America latina che lentamente sta riuscendo a costruire uno sviluppo economico durevole e l'Africa subsahariana praticamente estromessa dalla diffusione delle ICT.

Il reddito costituisce uno degli elementi principali su cui si costituisce il Digital Divide anche se, come vedremo esso non è sicuramente l'unico; in ogni caso i paesi ad alto reddito (che sono sostanzialmente i paesi OECD ad alto reddito) e i paesi ad alto sviluppo[6] (che sono sostanzialmente i paesi OECD) possiedono il maggior numero di utenze a livello mondiale. L'Africa è sicuramente il paese che presenta le maggiori difficoltà in termini di sviluppo e, conseguentemente, in diffusione delle ICT. Dei 42 paesi a basso sviluppo, infatti, ben 39 fanno parte del continente africano : in questi paesi, mediamente, l'aspettativa di vita si aggira intorno ai 49 anni, la popolazione è prostrata dalla fame, dalle malattie e dalla mancanza assoluta di prospettive ed è facile intuire come il numero di utenti internet, in queste regioni, sia estremamente basso tanto da raggiungere picchi negativi dello 0,7 ogni 1000 abitanti come nel caso dell'Etiopia.


Quasi l'intero continente africano ha una percentuale di utenti minore del 2% rispetto alla popolazione globale e, in linea generale, le zone appartenenti al blocco dei paesi in via di sviluppo presentano un livello di utenza comunque inferiore al 13% della popolazione totale. Inoltre, la popolazione dei paesi sviluppati, pur rappresentando il 19% della popolazione totale genera quasi il 70% del traffico della rete e possiede oltre il 70% dei computer connessi.


Se è vero, infatti, che in Asia, Africa e America Latina si registrano aumenti considerevoli nell'utilizzo della rete (in Asia +87%, in Africa +76% e in America Latina +86%), è altrettanto vero che il numero degli utilizzatori della rete in rapporto alla popolazione totale rimane ancora molto basso (pensiamo per esempio alla Cina dove il numero degli utenti è in termini assoluti molto alto, più di 100 milioni di persone ma se messo in rapporto alla popolazione totale, tale numero diventa il sintomo di un utilizzo elitario della rete all'interno di questo paese). La media di hosts ogni 1000 abitanti di tali paesi, infatti, è molto bassa tanto che sono disponibili solo 14 hosts in America Latina, 6 in Asia e un misero 0,6 in Africa (il paese che soffre degli squilibri più grandi) contro una media di 63 in Europa e Stati Uniti e 140 in Oceania. Tali dati, inoltre, non sono il sintomo di un aumento diffuso, se pur esiguo, dell'utilizzo della rete in quanto vi sono dei forti squilibri all'interno delle stesse aree geografiche interessate: il 70% dell'Internet asiatico è rappresentato dal Giappone (il 20% dall'area cinese), il 70% dell'Africa è rappresentato dal Sudafrica e ben l'84% dell'Internet sudamericano è rappresentato da Argentina e Brasile e di tutte queste aree solo due paesi possono essere oggi non più considerati a bassa densità, Brasile e Messico (con 18,6 e 13,7 hosts ogni 1000 abitanti)

Parimenti, un aumento (anche se meno considerevole in quanto Internet è un mezzo già ampiamente utilizzato dalla società) del numero di utenti si registra anche all'interno dei paesi sviluppati che, grazie a ciò, consolidano le proprie posizioni di dominanza della rete. Un ulteriore fonte di squilibrio è costituita anche dalla qualità di questo aumento. Nei paesi occidentali (grazie anche ai forti investimenti delle istituzioni) si comincia a fare un ampio uso della banda larga (DSL e fibra ottica), cosa che invece non avviene negli altri paesi che, nonostante adottino spesso soluzioni tecniche di alto livello, devono fare i conti con la poca disponibilità di banda a loro disposizione (soprattutto l'Africa in cui la maggior parte degli Stati si trova ad essere geograficamente molto lontana dalle grandi dorsali della rete, totalmente ignorata dalle cosiddette autostrade dell'informazione).



Politiche ed iniziative per il superamento del Digital Divide

Storicamente, i primi che parlarono di Digital Divide furono Al Gore e Bill Clinton, quando, all'inizio degli anni novanta, intrapresero una politica di forte sviluppo e potenziamento dell'infrastruttura di internet negli Stati Uniti.


Il concetto di "divario digitale" era riferito alla difficoltà di accesso a internet in determinate zone del paese (difficoltà intesa anche sotto l'aspetto dei costi).


In quegli anni internet esplode come fenomeno di massa e diventa sempre di più un mezzo di lavoro e di business: non essere connessi alla rete (o non avere gli strumenti cognitivi per farlo), significa quindi essere relegati ai margini della società. Nascono così vari progetti per colmare il divario digitale americano nell'amministrazione Clinton[7] .


Con il passare del tempo, la "rivoluzione internet" inizia a interessare un po' tutto il mondo industrializzato e queste tematiche cominciano ad essere sentite anche in altri paesi, tra questi vi è anche la nostra Italia: l'onorevole Franco Bassanini, ha affermato che «il problema del Digital Divide è il problema cruciale di questo secolo[8]». Un secolo che, se è stato definito "Digital Renaissance ", il nuovo rinascimento digitale, potrebbe anche tramutarsi in una "Digital Middle Ages", un Medio Evo digitale: un nuovo secolo buio dominato dall'ineguaglianza, il privilegio, la povertà, l'analfabetismo, la miseria, la fame.


Negli ultimi anni, forte è stata la risonanza dei problemi relativi alla frattura digitale, tanto che moltissimi attori, a vari livelli, si sono impegnati per il suo, anche parziale, superamento. Possiamo riconoscere tre tipi di gruppi di attori che intervengono nel campo del Digital Divide ma non esiste un reale confine fra le azioni che essi propongono, in quanto sono abituali le collaborazioni in vista di un obiettivo comune: le differenze fra questi tre gruppi vertono, soprattutto, sulle modalità di intervento anche se capita sovente che vi sia una reale differenza di intenti nel proporre iniziative per il superamento del Digital Divide o per innescare lo sviluppo.


Il primo di questo gruppi è formato dai governi locali, nazionali e dalle istituzioni internazionali (come ONU, UNESCO, UNDP, ecc.) che deliberano su determinati argomenti e che esercitano, quindi, un influenza di tipo politico sulle decisioni che vengono prese nel merito.


Il secondo è costituito dalle organizzazioni economiche (come Banca Mondiale, WTO, Fondo Monetario ecc.) e dalle imprese, in particolar modo le multinazionali (come Nestlè, Microsoft, Coca Cola, Enron ecc.) che hanno la caratteristica di fare del globo il proprio terreno di intervento e di ingerenza sia per quanto riguarda la distribuzione sia, soprattutto, per quanto riguarda la produzione: il potere esercitato è, quindi, di tipo economico che dovrebbe essere controllato da quello politico anche se, molto spesso, i confini fra queste due tipologie, per come si è strutturato il sistema socio-economico moderno, si assottigliano notevolmente, tanto da rendere l'economia una priorità rispetto alla politica ed alla società.


Il terzo di questi gruppi è composto, solitamente, da una serie di più o meno piccole organizzazioni di individui (ONG, Onlus, organizzazioni no-profit ecc.) appartenenti alla società civile che, per scelta, vocazione o, perchè no, opportunità, dedicano il loro tempo, o parte di esso, ad attività che cerchino di favorire la crescita nei paesi in via di sviluppo e, per quanto riguarda il tema centrale di questa tesi, alcune di queste si occupano proprio del superamento del Digital Divide. Il loro campo di azione è fortemente locale proprio perchè piccola è l'area che riescono a coprire (sia da un punto di vista finanziario, sia da un punto di vista numerico) ma, rispetto ai primi due gruppi di cui abbiamo parlato, questo è di gran lunga quello che riesce a penetrare più profondamente all'interno delle società e delle comunità interessate stabilendo un contatto e un rapporto di tipo collaborativo e ottenendo spesso risultati insperati anche per grandi organizzazioni transnazionali, per questo motivo, i governi e le istituzioni internazionali si affidano, molto spesso, direttamente a queste piccole organizzazioni per poter avviare i proprio progetti.


Sarebbe interessante analizzare dettagliatamente l'approccio al problema di questi tre gruppi poiché l'apporto di ognuno di essi può considerarsi un passo fondamentale per il superamento del Digital Divide. Per motivi di sintesi, mi limiterò a dire che solo negli ultimi due decenni abbiamo assistito ad una diffusione sempre più massiccia delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e solo ad un certo punto ci si è cominciati ad interrogare sulla portata storica dell'evento. L'analisi è stata però affrontata soprattutto dal punto di vista degli haves ciò di quanti usufruendo delle nuove tecnologie volevano trarre da esse il maggior beneficio possibile sfruttando al massimo le potenzialità soprattutto economiche dell'ICT. La condizione degli have-nots è stata ignorata a lungo ed è di fatto arrivata alla ribalta del dibattito internazionale solo a partire dall'anno 2000 Il problema del divario digitale, infatti, non è stato affrontato in nessuna delle grande conferenze mondiali  delle Nazioni Unite dello scorso decennio: né a Rio, né al Cairo, né a Copenaghen. Solo oggi, finalmente, governi ed istituzioni internazionali sono coscienti che gli interventi mirati a superare il divario digitale tra Nord e Sud del mondo devono essere immediati. Il Digital Divide è inserito come punto principale nell'agenda di discussione dei grandi incontri internazionali e soluzioni ed interventi possibili sono suggeriti dai documenti conclusivi di questi lavori (Carta di Okinawa G8, assemblea del millennio N.U., documento finale della DOT Force del G8).

Il Governo italiano ha deciso di occuparsi del punto 1 del Piano di Azione di Genova, nella parte relativa all'e-Government come strumento per migliorare l'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione ed alla e-Governance per la creazione di capacità istituzionali.

Il Governo italiano risponde inoltre alla sollecitazione del comunicato Finale di Genova (punto 22), in cui viene "incoraggiato lo sviluppo di un Piano di Azione su come l'e-Government può rafforzare la democrazia ed il ruolo della legge, migliorando le condizioni del cittadino e rendendo più efficiente la prestazione dei servizi pubblici primari". Al fine di perseguire tale compito viene creata dal Ministero per l'Innovazione Tecnologica una Task Force composta da rappresentanti del Governo, settore privato e settore non profit.

La Task Force si sta occupando di sviluppare un modello di riferimento per le funzioni ed i servizi della pubblica amministrazione dei Paesi in via di sviluppo.

Il governo italiano ha inoltre deciso di stabilire le prime partnership con i paesi disposti ad implementare il piano di azione italiano di e-government per lo sviluppo, i cinque paesi iniziali sono: Albania, Giordania, Mozambico, Nigeria e Tunisia.

In ambito non governativo, molte ONG e Associazioni - soprattutto anglosassoni - si stanno occupando del problema, con attività che vanno dalla alfabetizzazione informatica al reperimento di macchine, dal supporto a grandi progetti di informatizzazione alla creazione di portali specifici dedicati a queste tematiche (www.unimondo.itwww.apc.org).

In Italia Alisei (www.alisei.it) si sta muovendo su queste tematiche ed ha creato un portale sull'argomento ricco di link e documenti: www.digital-divide.it. Asal, Movimondo, Cies hanno avviato già alcuni progetti su queste tematiche.


Possibile risoluzioni - Riflessioni finali


La risoluzione del Digital Divide non sia una questione legata semplicemente alla necessità di favorire l'utilizzo di tecnologie dell'informazione e della comunicazione all'interno di un paese

e alla possibilità di far aumentare l'indice di penetrazione tecnologica all'interno della sua popolazione, con la speranza che tutto ciò crei quelle opportunità che sino ad oggi sono mancate e contribuisca a migliorare gli stili di vita delle persone. Anche se questo, a grandi linee, è ciò che ci si attende in termini di sviluppo, tale risoluzione è, ancor prima, in stretta connessione con il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona e, in questo specifico caso, con il riconoscimento del diritto di opinione, di parola, di libero pensiero e di informazione, contenuti nell'art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. I diritti riconosciuti, infatti, segnano la differenza fra uno sviluppo meramente economico, come per esempio quello cinese e uno sviluppo economico, regolato dai principi di solidarietà ed equità, che diviene sviluppo sociale. L'importanza di promuovere e riconoscere l'art. 19 a tutti gli uomini e le donne del pianeta costituisce una componente fondamentale di quell'insieme di regole e norme su cui poter costruire un tessuto democratico comune, attraverso cui permettere la libera espressione, nel senso più ampio del termine, di tutte le persone senza distinzione alcuna. Si tratta, quindi, di sostenere la nascita di un processo virtuoso che, a partire dalla risoluzione di un problema di carattere politico e sociale, ossia il riconoscimento dei diritti, inneschi una serie di reazioni a catena che permettano, effettivamente, di innalzare le aspettative di vita delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. Abbiamo, altresì, visto come, però, il riconoscimento dei diritti sia oggi messo in pericolo da meccanismi e regole economiche e politiche che impediscono, di fatto, una serena discussione in merito alle modalità con cui poter risolvere il Digital Divide. La stessa risoluzione del Digital Divide, esattamente come per gli altri divari, è vincolata al superamento di questi meccanismi e ad una organizzazione programmatica sulla base di logiche differenti rispetto a quelle del mercato e della competizione.

A questo punto è, però, necessario fare un passo indietro, infatti, se è vero che il nocciolo della questione risiede in determinate politiche economiche e sociali, è anche vero che tutti gli attori che si impegnano oggi per la risoluzione del Digital Divide e, più in generale, per la crescita dei paesi in via di sviluppo, operano all'interno di questa società, di queste politiche e di questa economia ed è in tali ambiti che vanno inserite e promosse delle alternative possibili che, naturalmente, spingano nella direzione del cambiamento, della modificazione e del rovesciamento di questi sistemi. Appare chiaro, infatti, come molti dei passi necessari per arrivare a garantire l'accesso universale vadano compiuti, inevitabilmente, all'interno di modelli economici e social sperequativi che, essendo consolidati a livello mondiale, condizionano in maniera fondamentale la produzione di politiche ad hoc per lo sviluppo. Si tratta, in questo caso, di una posizione compromissoria, il cui tentativo è quello di raggiungere, nel più breve tempo possibile, alcuni risultati utili, a fronte di un grande obbiettivo che è quello dell'estensione dei diritti a tutti gli uomini: i risultati che possono essere ottenuti da un lavoro di compromesso e di piccoli obbiettivi saranno sicuramente maggiori rispetto ad una posizione integerrima ed irreprensibile su tutta la linea. La portata dei cambiamenti richiesti, perché a tutti gli esseri umani sia data la possibilità di poter condurre una vita dignitosa, è enorme e perciò non priva di difficoltà; ciò che si è reso necessario oggi, anche per rendere più indolore possibile il passaggio da un'economia di profitto ad un'economia solidale, è la promozione di una serie di iniziative, programmi e regole che, di per sé, non sconvolgono il sistema consolidato ma che, nel loro insieme contribuiscono a cambiarne i contorni e, per così dire, a smussarne gli angoli.


Il Digital Divide non è soltanto una nuova frattura sociale che si va ad aggiungere a tutte le altre, ma è un problema emergente e prioritario, una fonte di disuguaglianza nuova, pervasiva ed estremamente pericolosa. Non interessarsene, lasciare che le cose vadano come devono andare e sperare che il Divario Digitali si colmi da solo è un errore di portata storica. Bisogna intervenire, trovare delle soluzioni e cercare di superare, o almeno ridurre, il Digital Divide il prima possibile perché questa volta il tempo, per varie ragioni, ci è nemico. E la responsabilità di fare ciò spetta a noi, all'uomo e a nessun altro, perché la rete delle reti siamo noi: noi l'abbiamo creata, noi abbiamo dato una forma e noi possiamo cambiarla. Quindi bando ad ogni ipotesi di determinismo tecnologico, noi siamo i responsabili di fronte ad una realtà così distorta e a noi tocca cercare di cambiarla e migliorarla. Un primo passo per farlo poggia sull'analisi e la ricerca teorica. Ormai è universalmente assodato il fatto che sia necessario un inquadramento concettuale del problema rappresentato dallo squilibrio nella distribuzione delle ICT. Solo in questo modo si potrà determinare la prassi per tutti coloro che progettano azioni ed interventi specifici volti al superamento del Digital Divide.





















Bibliografia e sitografia



Bassanini "Prefazione", in Buongiovanni et al., 2003

M. Castells, "l'età dell'informazione: economia, società cultura", 2003

C. Fiorina cit. in Bassanini "Prefazione", cfr. Buongiovanni et al., 2003

Kranzberg M. "The information age: evolution or revolution?", in Guile B.R. (a cura di), Information technologies and social transformation, National Academy of Engineering

UNPD Rapporto 2004 sullo sviluppo umano

www.alisei.it

www.apc.org

www.apogeonline.com/berny/divide.html

www.unimondo.it

www.digital-divide.it

www.zooknic.com/index.html( ZOONICK INTERNET GEOGRAPHY PROJECT - Analisi della geografia della Rete, Statistiche,Domini e Mappe Utenti)




M. Castells, "l'età dell'informazione: economia, società cultura", 2003




Cfr  Kranzberg M. (1985) "The information age: evolution or revolution?", in Guile B.R. (a cura di), Information technologies and social transformation, National Academy of Engineering, Washington




All'interno del Nord, ad essere svantaggiate nell'accesso e nell'utilizzo delle nuove tecnologie sono soprattutto alcune categorie sociali, appartenenti a fasce socialmente deboli; nel Sud, si può disegnare una mappa che vede il continente asiatico in ritardo, ma con una discreta percentuale di diffusione e utilizzo delle tecnologie dell'informazione; l'America Latina, anch'essa in ritardo ma con interventi finalizzati ad un recupero, e l'Africa con un ritardo immenso: pur rappresentando il 12% circa della popolazione mondiale, il continente africano ha solo l'1% di utilizzatori di Internet, di questi (2,5 milioni in totale) ben 1 milione si trova in Sud Africa. Cfr www.digital-divide.it


In Africa, ad esempio, la World Bank sta proponendo insieme al Central African Project for the Environment programmi di Networking per facilitare lo scambio di informazioni tra ministri dei governi sui piani di sviluppo locale. L'Unesco promuove un progetto "UNESCO's INFORMAFRICA" mirato all'introduzione delle ICT utilizzando come strategia la formazione di specialisti. E' assente però una strategia di cooperazione che metta in relazione gli interventi delle diverse agenzie internazionali. Cfr https://www.digital-divide.it

Il Rapporto 2004 sullo sviluppo umano è dedicato alla "libertà culturale". Tutti i dati presenti in questo paragrafo sono stati estrapolati da questo rapporto.

Per alto sviluppo si intendono i paesi aventi un indice di sviluppo umano (HDI) superiore allo 0,8. In linea generale sono i paesi dove l'aspettativa di vita è fra i 70 e 80 anni, dove alta è la percentuale di popolazione letterata e dove agli individui è garantita un vita dignitosa.

https://www.apogeonline.com/berny/divide.html

Bassanini "Prefazione", in Buongiovanni et al., 2003

Carly Fiorina cit. in Bassanini "Prefazione", cfr. Buongiovanni et al., 2003







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