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Il diritto di voto

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Il diritto di voto


Un aspetto molto importante dell’età giolittiana fu l’introduzione, nel 1913, del suffragio universale maschile.

Fino ad allora, nel nostro Paese era in vigore la legislazione elettorale elaborata dal Parlamento nel 1882. La legge del 22 gennaio 1882, n. 999, aveva ammesso all’elettorato tutti i cittadini maggiorenni che avessero superato l’esame del corso elementare obbligatorio oppure pagassero un contributo annuo di lire 19,80; in tal modo si era realizzato un cospicuo allargamento del corpo elettorale che era passato dal 2% al 7% della popolazione totale.



Il suffragio universale maschile fu introdotto in Italia con la legg 717g61h e del 30 giugno 1912, n. 666. L’elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione, restando ferme per i maggiorenni di età inferiore ai 30 anni le condizioni di censo o di prestazione del servizio militare o il possesso di titoli di studio già richiesti in precedenza.

Nella stessa occasione la Camera respinse la concessione del voto alle donne.

Al termine del primo conflitto mondiale la legge 16 dicembre 1918, n. 1985, ampliò il suffragio estendendolo a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il 21° anno di età e, prescindendo dai limiti di età, a tutti coloro che avessero prestato servizio nell’esercito mobilitato.

Solo pochi mesi prima della conclusione della seconda guerra mondiale, il secondo governo Bonomi, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, introdusse in Italia il suffragio universale, con Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio 1945, “Estensione alle donne del diritto di voto”.

La struttura del decreto era la seguente:

l’art. 1 ne sanciva l’esercizio alle condizioni previste dalla legge elettorale politica;

l’art. 2 ordinava la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili;

l’art. 3 stabiliva che, alle categorie escluse dal diritto di voto, dovevano aggiungersi le donne indicate nell’art. 354 del Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, ovvero le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dai locali autorizzati”.

Il Decreto n. 74 del 10 marzo 1946, “Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea Costituente”, sanciva – un anno più tardi – l’eleggibilità delle donne.

Ad onor del vero, in Italia, le donne potevano già votare, ma solo per le amministrative, sin dal 1924. Benito Mussolini sulla carta aveva loro riconosciuto il diritto di voto al fine di dimostrare che non temeva l’elettorato femminile. Fu però solo un atto di pura demagogia, in quanto la dittatura aveva già deciso la proibizione di qualsiasi elezione per comuni e province.

Inoltre, prima dell’unità d’Italia, le donne della Toscana e del Lombardo Veneto potevano già votare alle elezioni amministrative; questo diritto venne loro tolto dalla legge del 1866 per l’unificazione della legislazione della nuova Italia.

Oggi il suffragio universale – maschile e femminile – è riconosciuto dalla nostra Costituzione, la quale all’art. 48 afferma che:

«Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

La legge stabilisce i requisiti e le modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.

Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.».

Al secondo comma l’art. afferma che il voto è personale, quindi non può essere dato per delega da un rappresentante, eguale, perciò ogni voto vale indipendentemente da chi l’ha dato, libero e di conseguenza nessuno può essere costretto a dare un voto diverso da quello voluto, segreto a garanzia della libertà e per evitare pressioni o ritorsioni. Dice ancora che votare è un “dovere civico”, ma nessuna sanzione è prevista per chi non va a votare.

Il terzo comma è stato inserito nel 1999 con una legge costituzionale per consentire ai cittadini residenti all’estero di esercitare il diritto di voto senza dover rientrare in Italia.

In occasione delle elezioni politiche del 2006, inoltre, è stata emanata una legge che ha previsto il voto domiciliare per gli elettori in dipendenza vitale da apparecchiature elettromedicali; essi devono far pervenire, non oltre il quindicesimo giorno antecedente la data della votazione, al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali sono iscritti, una dichiarazione attestante la volontà di esprimere il voto presso l’abitazione in cui dimorano, allegando la copia della tessera elettorale ed un certificato medico da cui risulti l’esistenza di un’infermità fisica.





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