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Giovanni Giolitti

fisica


Giovanni Giolitti


Giolitti condusse la sua guerra coloniale contro l’impero ottomano conquistando la Libia e contribuendo in tal modo alla espansione dei rapporti internazionali. Giovanni Giolitti nacque nel 1842 in provincia di Cuneo, da genito 545b13f ri borghesi e morì a Cavour nel 1928. Dopo aver lavorato per ben vent’anni al ministero delle Finanze entrò in Parlamento nel 1882 come deputato valendosi della sua esperienza in materia finanziaria divenne ministro del Tesoro sotto Crispi nel 1889 e primo ministro nel 1892. Travolto dallo scandalo della Banca Romana, si dimise nel novembre del 1893. Tornò al governo sei anni dopo, sotto Zanardelli, come ministro degli Interni. Nel 1903 gli fu affidato l’incarico di formare il nuovo governo.



Una delle sue principali caratteristiche fu senza dubbio la comprensione dimostrata nei riguardi delle richieste e delle aspirazioni delle classi lavoratrici: egli tuttavia considerava molto importante anche la funzione sociale – oltre che economica e politica – esercitata nello stato moderno dal capitale. Ecco perché si preoccupò sempre di unire gli interessi proletari a quelli borghesi e di operare in condizioni di rigorosa neutralità fra capitale e lavoro; ma ecco perché i socialisti finirono spesso per accusarlo di conservatorismo e i ceti borghesi di demagogia. Tuttavia nessuno meglio di lui seppe trovare un equilibrio tra gli uni e gli altri, promuovendo da un lato le migliori leggi a vantaggio dei lavoratori; dall’altro una politica volta alla difesa della nostra industria nascente.

In tale contesto concesse piena libertà di sciopero ai lavoratori e, ogni volta che essa venne esercitata, si limitò a mantenere l’ordine pubblico in attesa che i contrasti si risolvessero per mezzo di trattative dirette fra i rappresentanti delle due parti. Egli inoltre non cercò soltanto di evitare ogni repressione violenta delle agitazioni sociali, ma parallelamente si preoccupò di prevenirle: pertanto perfezionò e migliorò la legislazione in favore dei lavoratori vecchi, infortunati o invalidi, estese l’obbligo dell’istruzione elementare fino al dodicesimo anno di età, stabilì il diritto del riposo settimanale, nonché particolari provvidenze assistenziali. Inoltre, allo scopo di offrire anche ai lavoratori la possibilità effettiva di presentare la propria candidatura alle elezioni, fece approvare per la prima volta un’indennità parlamentare, un compenso cioè ai deputati per le spese che dovevano sostenere onde poter svolgere il proprio compito in Parlamento.

Giolitti favorì la conquista di migliori retribuzioni, le quali, accrescendo le possibilità di acquisto delle classi lavoratrici, contribuirono a determinare anche una più ampia richiesta di beni di consumo sui mercati e conseguentemente un aumento della produzione.

A loro volta il maggior benessere generale così raggiunto e l’invio di forti somme di denaro dall’estero da parte degli emigranti favorirono il risanamento dell’economia nazionale, consentendo un notevole incremento delle entrate dello Stato. La favorevole situazione finanziaria accrebbe inoltre il risparmio e quindi i depositi presso le banche, le quali poterono finanziare numerose imprese sia nel settore agricolo sia industriale, dando vigore e nuova vita a tutto il sistema economico del Paese. Pure intenso fu il programma di lavori pubblici, che ebbe le sue più significative manifestazioni nell’estensione della rete stradale e ferroviaria, nell’apertura del traforo del Sempione e nell’inizio dei lavori per l’acquedotto pugliese. In tale quadro indubbia importanza ebbe anche la quasi completa nazionalizzazione delle ferrovie.

Da un punto di vista più strettamente politico assai importante fu la legge emanata nel 1912 sul suffragio universale, in base alla quale il diritto di voto venne concesso a tutti i cittadini di sesso maschile con trenta anni di età.

L’azione politica di Giolitti non fu comunque esente da critiche: in primo luogo per ciò che riguardava la corruzione del corpo elettorale. Egli infatti, pur di riuscire a dominare la scena politica, non rinunciò a destreggiarsi fra gli opposti partiti.

Durante le elezioni non rifuggì neppure dalla corruzione e dall’intimidazione, al fine di creare una Camera di Deputati tutti “Giolittiani di ferro”.

Ciò gli consentì di realizzare in parte il programma dei socialisti, di frenare l’irruenza della loro ala estrema e di dimostrare alla società capitalista che il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori più umili coincideva non già con un regresso, bensì con un deciso progresso di tutto il Paese.

Il suo programma di progresso moderato gli consentì inoltre di instaurare un dialogo costruttivo sia con il partito socialista sia con la chiesa cattolica a seguito del “Patto Gentiloni”, che aveva, anche se ciò può apparire per certi aspetti paradossale, come principale obiettivo quello di fermare l’avanzata elettorale proprio con quei socialisti con cui inizialmente aveva flirtato.

L’accordo con Gentiloni fu ottenuto grazie all’azione diplomatica di Tommaso Tittoni, “un ponte verso i cattolici”, il quale riuscì a far convogliare l’elettorato cattolico liberale sui candidati moderati (I cattolici votano i liberali se questi s’impegnano con la scuola cattolica e contro il divorzio. Grazie a questo patto vengono vinte le elezioni).

Con Giolitti non cambiò indirizzo soltanto la politica interna, ma anche, e forse in maggiore misura, la politica estera.

Per ottenere anche le benemerenze dei nazionalisti patrocinò, nel 1912, l’impresa coloniale in Libia, anche se non credeva molto in tale evento.

La guerra di Libia divise i socialisti tra coloro che diedero vita al Partito Socialista Riformista Italiano e che credevano di risolvere il problema dell’emigrazione attraverso le imprese coloniali e coloro che erano assolutamente contrari (la maggioranza) vedendo nella regione africana soltanto uno “scatolone di sabbia” e preferendo indirizzare gli sforzi verso la rinascita del Meridione.

Questa politica estera non ebbe poi molta fortuna perché i giacimenti di petrolio vennero scoperti quando oramai l’Italia aveva già deciso il ritiro nei propri confini.





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