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DOPO DI LEI CAMBIO' IL MONDO
DIEDE ALL'UMANITÀ
LA PRIMA ARMA
PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI
"Marie Curie. Fuggì dalla
Polonia per andare a studiare a Parigi" Poche volte è successo
che il personaggio descritto in un libro mi colpisse in modo così profondo come
mi è accaduto leggendo la vita di Marie Curie. Nella eccezionale forza di
volontà di questa donna che vuole a tutti i costi raggiungere il suo scopo, nella
sua ingenua semplicità nell'affrontare la vita e nella sua indifferenza nei
confronti della fama, del denaro e del riconosci 414d31e mento degli altri, si incarna
con sorprendente chiarezza la consapevolezza che l'essere e non l'avere
costituisca l'unica categoria secondo la quale la vita di ogni individuo
risulti autenticamente vissuta.
Il primo laboratorio in cui i coniugi Pierre Curie (1859-1906) e Marie
Sklodowska ( nata a Varsavia nel 1867, e unitasi in matrimonio con Pierre nel
1895) svolgono le loro ricerche scientifiche, consiste in un piccolo
locale vetrato appartenente alla scuola di Fisica dove lavora Pierre. E' un
magazzino in cui sono ammassati quintali di roba e che funge anche da sala
delle macchine; è privo di un'installazione elettrica adeguata e l'aria è
satura di fumo e umidità, nemici giurati degli strumenti di precisione con cui
è necessario fare gli esperimenti. Ma Marie non ci fa troppo caso, avvezza e
quasi affezionata alla vita stoica e spartana che ha condotto durante gli anni
di studio 'matto e disperatissimo' a Parigi.
Fuggita dalla sua amata Varsavia che interdiceva alle donne l'accesso
all'università, a Parigi aveva abitato in un minuscolo sottotetto che prendeva
luce da un piccolo abbaino.
Non c'era né luce elettrica, né gas, né acqua. D'altra parte ad una camera in
condivisione con altri studenti, la giovane polacca aveva preferito una
soluzione decisamente più modesta, ma in compenso aveva tutto il silenzio e la
concentrazione necessari per rendere al massimo nei suoi studi. L'arredamento
si limitava allo stretto necessario: una branda con un vecchio materasso, una
stufa, una lampada a petrolio, un tavolino con un'unica sedia, un fornelletto a
spirito per preparare i pasti, due piatti, un coltello, una forchetta, un
cucchiaio, una tazza, una casseruola, tre bicchieri ed un grosso baule che
fungeva da armadio e da sedia per gli ospiti.
Quaranta rubli al mese erano la cifra che Marie doveva farsi bastare per ogni
necessità ed erano frutto dei suoi guadagni come istitutrice quando era in
Polonia, dei sacrifici di suo padre e di parte dello stipendio di sua sorella
Bronia, che laureatasi in medicina a Parigi, viveva poco lontano da casa sua.
Marie solitamente studiava febbrilmente tutto il giorno fino alle sei di
mattina e comunque fino a quando non ne poteva proprio più. Talvolta si
dimenticava di accendere la stufa, oppure evitava appositamente di accenderla
se la scorta di carbone per quel mese era esaurita e allora le sue dita piano
piano diventavano viola dal freddo; quando sentiva il bisogno di una pausa, si
dedicava al bucato dei suoi vestiti lisi, dei quali ormai si vedeva chiaramente
la trama del tessuto.
I suoi pasti consistevano perlopiù di pane imburrato e tè e in poco tempo
diventò anemica e soggetta a frequenti svenimenti. Alla Sorbona frequentava le
lezioni di fisica, chimica e matematica, e giorno dopo giorno apprendeva con
sempre maggior sorpresa ed esaltazione quanto il cervello umano sia in grado di
conoscere. Ma la sua passione erano gli esperimenti scientifici che si tenevano
nel laboratorio dell'università. Marie amava persino l'aria che si respirava
nel laboratorio, il silenzio, la concentrazione quasi palpabile, il
raccoglimento intorno al proprio alambicco o alla cappa del camino da cui
uscivano gas e fumi puzzolenti. La stessa atmosfera che ora Marie ritrova nello
sgabuzzino della scuola di Fisica, dove insieme a suo marito tenta di capire da
dove derivino quelle radiazioni che Henri Becquerel aveva notato esaminando i
sali d'uranio.
Becquerel aveva iniziato i suoi esperimenti e le sue ricerche per capire se
raggi simili ai raggi X, scoperti da Roentgen nel 1895, potessero essere emessi
dai corpi fluorescenti sotto l'azione della luce. Aveva così notato che i sali
d'uranio rimasti al riparo dalla luce, emettevano spontaneamente delle
radiazioni. Ma la loro azione non finiva qui. Se il composto d'uranio veniva
posto sopra una lastra fotografica, circondata da una carta nera, questo
impressionava la lastra attraverso la carta; inoltre i raggi emessi dall'uranio
riuscivano a scaricare un elettroscopio rendendo conduttrice l'aria
circostante. Ma ciò che Becquerel non era riuscito a scoprire, era da dove
questa energia potesse derivare. Il primo scopo che Marie si pone è quello di
misurare il potere dei raggi d'uranio di rendere l'aria conduttrice di
elettricità e di scaricare un elettroscopio, di misurare cioè il loro 'potere
di ionizzazione'.
Per ottenere ciò vengono utilizzati una camera di ionizzazione, per rivelare la
presenza di particelle ionizzanti, un elettrometro, per misurare differenze di
potenziale e un quarzo piezoelettrico.
Quest'ultimo strumento era stato inventato da Pierre insieme al fratello Paul
Jacques nel 1880, dopo aver scoperto che in molti cristalli come il quarzo, il
topazio e il clorato di sodio, sottoposti a sollecitazioni meccaniche, si
ottiene, sulle due facce opposte, una carica elettrica di segno opposto; grazie
a questo effetto, questi cristalli debitamente preparati, permettono di
misurare con precisione quantità molto deboli di elettricità.
Dopo poche settimane di esperimenti ed osservazioni, Marie conclude con
certezza che le radiazioni emesse dall'uranio non sono influenzate dalla luce o
dalla temperatura e nemmeno dalla combinazione chimica dell'uranio; inoltre
l'intensità delle radiazioni è proporzionale alla quantità d'uranio presente.
Ma, si chiede la giovane scienziata, perché questa proprietà dell'uranio di
emettere radiazioni non potrebbe appartenere anche ad altri elementi chimici?
In fondo la scoperta sull'uranio è stata fatta per puro caso. Così Marie passa
ad esaminare, uno per uno, tutti i corpi chimici conosciuti, per arrivare a dar
fondamento alla sua intuizione nell'arco di poco tempo: anche il torio possiede
la stessa proprietà, alla quale viene dato il nome di 'radioattività' e i corpi
che ne sono dotati saranno chiamati 'radioelementi'. Appurato poi che la
radioattività è una caratteristica atomica, la fase seguente del lavoro dei
Curie consiste nello studio di tutti i corpi composti semplici e dei minerali.
Marie si accorge che in alcuni minerali l'intensità di radioattività è
fortissima e non può essere giustificata dalla minima quantità di torio e
uranio in essi contenuta. Non vi è dubbio quindi che deve esistere un'altra
sostanza radioattiva molto più potente di quelle finora esaminate. Eppure Marie
ha già controllato tutte le sostanze chimiche conosciute. Significa forse che
esiste un altro elemento ignoto alla scienza, che emette radiazioni ad alta
intensità?
La vita dei Curie trascorre così quasi interamente all'interno del laboratorio,
tranne qualche rara pausa per una lunga corsa in bicicletta attraverso i
boschi. Pierre intanto insegna alla scuola di Fisica e guadagna cinquecento
franchi al mese e Marie, dopo la duplice laurea in fisica e matematica, sta studiando
per ottenere il dottorato. Il 12 settembre 1897 nasce Irène e le energie e le
attenzioni che finora i Curie hanno dedicato esclusivamente alla scienza,
devono ora dividerle con la loro bambina; tuttavia Marie, com'è nella sua
natura, non si risparmia e riesce a non chiedere sacrifici né all'una né
all'altra delle sue creature. Scrive alla sorella Bronia: "...La nostra
vita è sempre uguale. Lavoriamo molto, ma dormiamo bene, per cui la nostra
salute non ne soffre. La sera la passiamo ad occuparci della piccola. Al
mattino la vesto e le do da mangiare; dopo di che posso generalmente uscire
verso le nove. Per tutto l'anno non siamo stati né al teatro né a un concerto,
né abbiamo fatto una sola visita... Non c'è che la famiglia di cui senta
enormemente la mancanza, e soprattutto voi, carissimi miei e papà... Non ho
altri motivi di cui lamentarmi, perché la salute non è cattiva, la bambina
cresce bene, e io ho il marito migliore che si possa sognare... E' un vero dono
del cielo... Il nostro lavoro progredisce. Avrò ben presto da fare una
conferenza su questo argomento..." (Da una lettera a Bronia del 1899, Eva
Curie, Vita della signora Curie, p. 178)
Nel 1898 Marie comunica all'Accademia delle Scienze che: "due minerali
d'uranio: la pechblenda (ossido d'uranio) e la calcolite (fosfato di rame e
d'uranite) sono molto più attivi dello stesso uranio. Il fatto va rilevato e
induce a credere che questi minerali possano contenere un elemento nuovo più
attivo dell'uranio..." (Dai Resoconti del 12 aprile 1898, ib., p. 165). La
pechblenda in particolare ha messo in luce un'altissima capacità di emettere
radiazioni. D'altra parte la composizione di questo minerale è conosciuta e
definita, quindi l'elemento nascosto radioattivo deve essere presente in
quantità talmente ridotte da essere sfuggito a tutti gli esami precedenti. Il
metodo per isolare il corpo radioattivo è molto banale, ma richiede una
precisione infinita. Si tratta di scomporre il minerale pezzo per pezzo ed
eliminare quelle parti che non emettono radiazioni. "...Crediamo che la
sostanza che abbiamo tratto dalla pechblenda contenga un metallo non ancora
segnalato, vicino al bismuto per le sue proprietà analitiche.
Se l'esistenza di questo nuovo metallo verrà confermata, noi proponiamo di
chiamarlo polonio, dal nome del paese di uno di noi..." (Resoconti, luglio
1898, ib., p. 168).
E ancora: "Le diverse ragioni che abbiamo enumerate ci spingono a credere
che la nuova sostanza radioattiva racchiuda in sé un elemento nuovo, al quale
noi ci proponiamo di dare il nome di Radio. La nuova sostanza radioattiva
racchiude certamente una fortissima proporzione di bario: non ostante ciò la
radioattività è considerevole. La radioattività del radio dev'essere dunque
enorme." (Resoconti, 26 dicembre 1898, ib., p. 170).
Il lavoro dello scienziato ha valore solo se ogni più piccola conclusione
raggiunta è supportata da molteplici prove e controprove che la confermano e
per ora il radio di Pierre e Marie è stato solo 'percepito', ma non ancora
visto ed isolato. Ma come ottenere del radio e del polonio puri? Prima di tutto
è necessario recuperare la pechblenda nella quale si sono ritrovate tracce di
queste sostanze. La pechblenda si estrae nelle miniere di Sank Joachimsthal in
Boemia e farla arrivare fino a Parigi significa pagare dei costi altissimi.
D'altra parte i due scienziati non hanno scelta e, dopo avere fatto un rapido
conto dei loro risparmi, decidono di farsi inviare almeno ciò che avanza del
minerale dopo che ne è stato estratto l'uranio. Intanto sarebbe meglio trovare
una migliore sistemazione per portare avanti le ricerche e gli esperimenti. Nel
cortile della scuola di Fisica si trova una baracca di legno una volta adibita
a luogo di dissezione dei cadaveri. Il tetto è di vetro, il pavimento di bitume
screpolato; un vecchio tavolaccio, una lavagna nera ed una stufa di ghisa
arrugginita costituiscono l'arredamento e il direttore della scuola non ha
nessuna difficoltà a cederla ai due sposi un po' bislacchi. Tutto sembra andare
per il meglio e la seconda fase del lavoro può avere inizio. Mentre Pierre si
occupa di definire sempre più precisamente le qualità del radio, Marie cerca di
ottenere sali di radio allo stato puro: "Sono stata indotta a trattare
finanche venti chilogrammi di materiale per volta, il che aveva per effetto
d'empire la rimessa di grandi vasi pieni di precipitati e di liquidi. Era un
lavoro estenuante quello di trasportare i recipienti, di travasare i liquidi e
d'agitare, per ore e ore, la materia in ebollizione in un recipiente di
ghisa" (ib., p. 176).
In realtà la baracca si rivela molto più scomoda di quello che avevano pensato.
D'estate, i raggi del sole, filtrando attraverso il tetto di vetro, trasformano
il luogo in una serra bollente, d'inverno si gela e se piove, l'acqua entra dal
tetto in più punti; senza contare i venti, che, transitando liberamente nella
rimessa, trasportano e depositano ovunque polveri di ogni genere, mentre il
lavoro di Marie consiste nell'isolare e purificare il più precisamente
possibile i composti chimici. La maggior parte del lavoro va comunque svolta
all'aperto perché gli strumenti utilizzati non sono forniti di sfiatatoi per i
gas. "A quell'epoca noi eravamo interamente assorbiti dal nuovo dominio
che s'apriva dinanzi a noi grazie a una scoperta insperata", racconta
Marie. "Nonostante le difficoltà delle nostre condizioni di lavoro, ci
sentivamo molto felici. Le nostre giornate trascorrevano nel laboratorio. Nella
nostra rimessa così povera regnava una grande tranquillità; a volte,
sorvegliando qualche operazione, camminavamo in su e in giù chiacchierando del
lavoro presente e di quello futuro; quando avevamo freddo, una tazza di tè
calda presa presso la stufa ci confortava. Vivevamo con un'unica
preoccupazione, come in un sogno. ... Non vedevamo che poche persone nel
laboratorio: qualche chimico, qualche fisico veniva di tanto in tanto a
trovarci, sia per vedere le nostre esperienze, sia per chiedere qualche
consiglio a Pierre Curie... Ed erano allora conversazioni dinanzi alla lavagna,
di quelle che lasciano un eccellente ricordo perché agiscono come stimolante
dell'interesse scientifico e dell'ardor di lavoro, senza interrompere il corso
delle riflessioni e senza turbare quell'atmosfera di pace e di raccoglimento
ch'è la vera atmosfera di un laboratorio" (ib., p. 176-177).
In questo modo passano quattro anni durante i quali, in seguito alle frequenti
pubblicazioni dei Curie sulle proprietà della radioattività, in tutta Europa si
diffonde un profondo interesse per l'argomento. André Debierne, scienziato
francese, riesce ad isolare l'attinio affine al radio e George Sagnac insieme a
Pierre Curie porta avanti degli studi sulla carica elettrica trasportata dai
raggi secondari dei raggi X.
DIEDE ALL'UMANITÀ LA
PRIMA ARMA
PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI
Come abbiamo visto,
le ricerche sulla radioattività alle quali i Marie e Pierre Curie si dedicano
con una incredibile passione e una energia quasi al limite delle loro
possibilità fisiche, attirano l'interesse di tutti gli ambienti scientifici
europei. Purtroppo però le difficoltà economiche che i due ricercatori debbono
affrontare sono enormi. Pierre avrebbe bisogno della cattedra di Fisica alla
Sorbona per poter guadagnare una cifra ragguardevole ed allentare il ritmo di
vita e di lavoro di entrambi che minaccia di causare cedimenti irreversibili,
ma gli mancano le raccomandazioni necessarie. Lascia comunque la Scuola
Politecnica e viene assunto come professore incaricato al P.C.N. (Physique,
Chimie, Scienze naturelle), che gli permette di guadagnare uno stipendio più
elevato mentre Marie comincia ad insegnare fisica alla Scuola Superiore delle
Giovinette di Sèvres.
Scrive una sua ex alunna: "Fino al nostro arrivo a Sèvres avevamo creduto
che la fisica si imparasse unicamente sui libri... Tutto cambiò quando avemmo
come professore Marie Curie. Quest'abile sperimentatrice fu colpita dalla
povertà dei laboratori della scuola di Sèvres e dall'insufficienza dei lavori
pratici, e decise di rimediarvi... Spessissimo ella ci portava apparecchi
costruiti o modificati dietro suo consiglio, che noi utilizzavamo con lei.
Erano apparecchi semplicissimi, la nostra guida però era talmente abile che
riuscivamo persino a ottenere le misurazioni, e nulla era più appassionante del
discutere, a cose fatte, con lei dei risultati ottenuti in comune... Così la
freddezza di Marie Curie, che era soltanto un modo di mascherare la timidezza,
nascondeva un'umanità e un calore che non tardammo a scoprire" (E. Cotton,
I Curie, p. 48-50).
Il ritmo delle giornate comunque è durissimo; il tragitto da Parigi a Sèvres
due volte al giorno è lungo ed estenuante e Marie si dispera al pensiero che
potrebbe impiegare tutto quel tempo nel suo laboratorio. Tantopiù che il radio
sembra voler mantenere a tutti i costi il suo segreto e più questo si ostina a
resistere alla scienza, più Marie aumenta i ritmi di lavoro.
Nel 1902, la battaglia è vinta e la signora Curie presenta a tutto il
mondo un decigrammo di radio puro da lei preparato: il radio esiste ed ha un
peso atomico di 225. Agli occhi del mondo intero la nuova scoperta appare
prodigiosa. Il radio ha radiazioni la cui intensità è pari a due milioni di
volte quelle dell'uranio; solo una pesante lastra di piombo può fermare i suoi
raggi.
Produce calore, è luminoso, rende fosforescenti alcuni corpi incapaci di produrre
luce spontaneamente e contagia con sua radioattività i corpi con cui viene a
contatto; inoltre emette spontaneamente un gas radioattivo, che in seguito
verrà chiamato 'radon', il quale, isolato e rinchiuso in un'ampolla, si evolve
e progressivamente perde la sua radioattività: è la prima volta che corpi
considerati inanimati si vedono muovere e la teoria dell'evoluzione della
materia si arricchisce di nuovi elementi.
Ma la cosa forse più sorprendente di tutte è che il radio è in grado di
uccidere le cellule del corpo umano. Scrive Marie: "..noi abbiamo avuto
sulle mani, durante le ricerche fatte con prodotti molto attivi, azioni varie.
Le mani hanno una tendenza generale a squamarsi; le estremità delle dita che
hanno tenuto i tubi o le capsule racchiudenti prodotti molto attivi diventano
dure e a volte molto doloranti; in uno di noi, l'infiammazione delle estremità
è durata una quindicina di giorni ed è terminata con la caduta della pelle, ma
la sensibilità dolorosa, in capo a un mese, non è ancora scomparsa" (Vita
della signora Curie, p. 202).
Pierre, insieme ad alcuni medici francesi, conduce degli studi su animali
esposti alle radiazioni e in un primo tempo si pensa di poter guarire con
questo metodo il lupus ed alcune lacerazioni della pelle. L'Accademia delle
Scienze concede ai Curie 20.000 franchi per l'estrazione della materia. La
Società generale dei prodotti chimici mette a disposizione la propria struttura
per ricavare il radio senza trarne nessun un utile e nel 1904 viene fondata la
prima fabbrica per la fornitura del radio.
L'industria del radio in poco tempo si sviluppa in tutto il mondo e i
Curie devono scegliere se tenere per sé il brevetto di fabbricazione, venderlo
a caro prezzo o metterlo a disposizione di tutti.
"D'accordo con me Pierre Curie rinunciò a trarre un profitto materiale
dalla sua scoperta: noi non prendemmo alcun brevetto e pubblicammo senza
riserva alcuna i risultati delle nostre ricerche, come il processo di
preparazione del radio. Inoltre noi abbiamo dato agli interessati tutte le
informazioni che sollecitavano. Questo è stato un grande beneficio per
l'industria del radio la quale ha potuto svilupparsi in piena libertà, prima in
Francia poi all'estero, fornendo agli scienziati e ai medici i prodotti di cui
avevano bisogno" (ib., p. 208).
Marie con la sua scoperta finisce anche la sua tesi di dottorato dal titolo Ricerche
sulle sostanze radioattive e la commissione della Sorbona le accorda il
titolo di dottore in scienze fisiche con la menzione 'molto onorevole'. Il 10 dicembre
1903 l'Accademia di Scienze di Stoccolma comunica pubblicamente che il premio
Nobel per l'anno in corso è stato attribuito per metà a Henri Becquerel e per
metà al signore e alla signora Curie: 70 mila franchi d'oro e la fama a livello
mondiale stravolgono la vita dei due modesti scienziati. Studiosi di tutto il
mondo chiedono la presenza di Monsieur e Madame Curie per essere aggiornati nei
dettagli sulla nuova scoperta.
I coniugi appena possono cercano di rendere partecipi i loro colleghi di tutto
ciò che sanno, ma rifuggono con ogni mezzo la celebrazione, le premiazioni, gli
elogi di cui avrebbero avuto bisogno semmai durante gli anni durissimi della
ricerca: "Siamo inondati di lettere, di visite di fotografi e giornalisti.
Si vorrebbe potersi nascondere sotto terra per avere un po' di pace. Abbiamo
ricevuto una proposta dall'America per andare a fare laggiù una serie di
conferenze sui nostri lavori. Ci chiedono che somma vorremmo ricevere. Quali
che siano le condizioni, la nostra intenzione è di rifiutare. A gran pena
abbiamo rifiutato i banchetti che volevano organizzare in nostro onore. Noi
rifiutiamo con l'energia della disperazione e la gente capisce che non c'è
niente da fare"(ib., p. 215).
La loro vita si fa leggermente più distesa, anche grazie alla situazione
economica decisamente migliore. Si concedono qualche mostra di pittura o
qualche spettacolo d'avanguardia; partecipano saltuariamente ai ricevimenti nei
circoli degli scienziati e nel frattempo nasce la secondogenita Eve. All'inizio
del 1904 finalmente Pierre ottiene la cattedra di Fisica alla Sorbona, e Marie,
che fino a questo momento ha lavorato gratis e senza che le venisse
riconosciuto nessun titolo, viene nominata capo dei lavori di fisica presso la
cattedra del marito. Ma il 19 aprile 1906, la tragedia: Pierre muore travolto
da un pesante carro lungo la Senna mentre torna da una riunione di professori.
Marie è disperata, ma non può mollare proprio ora e così prende il posto del
marito all'università: è la prima donna a ricoprire tale incarico; "Mi
viene offerto di prendere la tua successione, Pietro mio, il tuo corso e la
direzione del tuo laboratorio. Ho accettato. Non so se sia bene o male. Mi hai
detto sovente che avresti voluto ch'io facessi un corso alla Sorbona. E io
vorrei per lo meno fare un sforzo per continuare i lavori. Qualche volta mi
sembra che questo mi renderebbe più facile vivere, qualche altra mi sembra
d'essere pazza a intraprendere ciò" (ib., p. 257).
Anche il laboratorio di Pierre in Rue Cuvier necessita di attenzioni e Marie in
poco tempo accoglie una decina di scienziati apprendisti per iniziare nuovi
programmi di ricerca. Al suo fianco c'è l'amico Andrè Debierne con il quale
riesce ad isolare il radio-metallo, a studiare i raggi emessi dal polonio e
Marie da sola scopre un metodo per dosare il radio.
Per curare alcune malattie infatti, è necessario ottenere millesimi di
milligrammo di sostanza e la tradizionale bilancia serve a poco; è invece
possibile misurare la quantità di radio tramite le radiazioni che vengono
emesse. Viene così creato nel laboratorio un servizio di misurazione del radio
a disposizione di tutti quegli scienziati, medici e studiosi che ne
abbisognano. "La cosa più importante e preziosa del laboratorio era il
contatto intimo che si instaurava fra studenti e docenti... Marie Curie era ben
capace di comunicare a ciascun ricercatore la propria convinzione che un lavoro
coscienzioso è la base indispensabile a qualsiasi ricerca scientifica, che un
risultato non fondato non vale assolutamente nulla, mentre, al contrario, uno
sforzo laborioso dà un'estrema soddisfazione" (E. Gleditsch, discorso
tenuto alla Sorbona in occasione della celebrazione per il 50° anniversario del
primo corso di Marie Curie, I Curie, p. 76).
Nel 1910 la signora Curie presenta la sua candidatura per l'ammissione
all'Accademia delle Scienze. Il suo rivale è Edouard Branly. Una lotta senza
pari si scatena tra i partigiani dell'una e dell'altra parte: "Le donne
non possono far parte dell'Istituto", esclamano i suoi rivali e il giorno
dell'elezione il presidente ordina ad alta voce all'usciere: "Lasciate
entrare tutti, tranne le donne".
Per un voto Marie non viene eletta, ma, come dice la figlia Eve: ".nella
storia dei Curie, si direbbe che l'estero corregga perpetuamente i gesti della
Francia" (ib., p. 281) e circa un anno dopo l'accademia delle Scienze di
Stoccolma le conferisce il premio Nobel per la Chimica.
Per ironia della sorte Marie, che per sua natura desidererebbe un'esistenza
solitaria, riservata e lontana dalle luci della ribalta, è costretta a fare i
conti con la popolarità. Non solo. Suo malgrado, è una delle prime donne che
coi suoi meriti ha preteso di penetrare nel geloso mondo maschile, reclamando
all'interno di esso un ruolo di rilievo. E questo non viene accettato. Scrive
ancora la figlia Eve: "Come una brusca raffica, la cattiveria s'abbatte su
di essa e tenta d'annientarla... Maria ch'esercita un mestiere maschile, ha
scelto tra gli uomini i propri amici, i propri confidenti. Questo essere
eccezionale esercita sui propri intimi, su uno di essi soprattutto, una
profonda influenza.
Non ci vuole di più!... è accusata di turbare la pace delle famiglie e di
disonorare un nome che essa porta splendidamente... Ogni volta che si presenta
l'occasione d'infamare questa donna unica, come nei giorni penosi del 1911, o
di rifiutarle un titolo... la sua origine le viene bassamente rimproverata:
trattata volta a volta come russa, tedesca, ebrea, polacca, essa è la
'straniera' venuta a Parigi da usurpatrice, allo scopo di conquistare
abusivamente un'alta situazione" (ib., p. 282).
Nel 1914 grazie ai fondi messi a disposizione dall'Università e dall'Istituto
Pasteur viene costituito l'Istituto del Radio in Rue Pierre Curie. Esso
comprende due sezioni: un laboratorio di radioattività che dirigerà la stessa
Marie e un laboratorio di ricerche biologiche e di Curieterapia, dove vengono
portati avanti gli studi sul cancro. Dopo la fine della guerra, durante la
quale Marie insieme alla figlia Irene, si era data da fare per dotare gli
ospedali militari di apparecchi per le radiografie e per formare personale che
sapesse utilizzarli, l'Istituto prende pieno ritmo.
Con l'instancabile dedizione di sempre Marie lavora per aumentare la quantità
di sali di radio puro nel mondo, per ottenere sempre nuove e rare materie
radioattive, per creare istituti per il trattamento di diverse malattie,
soprattutto il tumore maligno, e per combattere la troppa anarchia che esiste
nel mondo della scienza, soprattutto per quanto riguarda l'informazione scientifica.
Marie muore il 4 luglio 1934, mentre sta portando a termine un altro dei
suoi lavori, stroncata da un'anemia perniciosa aplastica, conseguenza della
lunga esposizione alle sostanze radioattive. Ci lascia numerosi testi
scientifici, tra i quali, a tratti, emergono parole come queste: "Sono tra
coloro che pensano che la scienza abbia in sé una grande bellezza. Uno
scienziato nel laboratorio non è soltanto un tecnico; è anche un bambino posto
di fronte a fenomeni naturali che lo impressionano come fossero fiabe. Dobbiamo
avere un mezzo per comunicare all'esterno questo sentimento; non dobbiamo
lasciar credere che i progressi scientifici si possano ridurre a meccanismi, a
macchine, a ingranaggi che, d'altronde, posseggono anch'essi una propria bellezza.
Non credo nemmeno che nel nostro mondo lo spirito avventuroso rischi di
scomparire. Se, intorno a me, vedo qualcosa di vitale è proprio lo spirito
d'avventura che non sembra sradicabile e che assomiglia alla curiosità. Sono
incline a credere che esso sia un istinto primitivo dell'umanità, e infatti non
vedo come l'umanità avrebbe potuto sussistere se ne fosse stata priva, allo
stesso modo in cui non potrebbe sopravvivere una persona completamente priva di
memoria. La curiosità e lo spirito d'avventura non sono completamente
scomparsi. Troviamo lo spirito d'avventura nei bambini, a tutte le età e a
tutti i livelli" (I Curie, p. 93).
di PAOLA MOCCHI
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
Vita della signora Curie, di Eve Curie - ed. Mondadori, 1980
I Curie, di Eugénie Cotton - ed. Accademia, 1974
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