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Il dolore

medicina



Il dolore



E' possibile definire il dolore secondo diversi punti di vista.

Il dolore può essere innanzitutto inteso come tutto ciò che fa male. In tal senso si intende il dolore come una esperienza; fonti principali dell'esperienza dolorosa sono stimoli fisici e stimoli psichici. Il dolore va dunque inteso come un qualcosa che è sia fisico che psichico.

Un'altra possibilità è di considerare il dolore come un mezzo di conservazione della specie. In tal caso dolori molto forti come quello di una frattura, del parto, di una colica renale, altro non fanno che mettere in guardia l'organismo da comportamenti nocivi; ad esempio, il dolore della frattura evita al paziente dei comportamenti che, se intrapresi, comprometterebbero la sua integrità (una deambulazione dolorosa causerebbe delle cadute, ecc).

Il dolore può, più compiutamente, anche definirsi come un sistema integrato per mezzo di connessioni con la sfera affettiva, neurovegetativa e psichica; importante in questa modulazione è il sistema neuroendocrino.


Nel dolore vi è quindi una componente fisica, una componente affettiva e una componente modulativa. Le tre componenti, integrate fra loro, costituiscono il dolore.


Il dolore è anche, però, una esperienza soggettiva. Questa esperienza è individuale, evoca risposte motorie, verbali e psicologiche, è legata a fattori ambientali e socioculturali. Esiste infatti una soglia di stimolazione del nocicettore che differisce tra i vari soggetti. Anche la sensazione che la stimolazione suscita varia tra i diversi soggetti, e anche nello stesso soggetto in situazioni differenti.



L'elemento soggettivo del dolore è estremamente importante, tanto che la motivazione del paziente di per sé è un importante aspetto terapeutico.


Dunque nel dolore è importante sia la stimolazione, che la sua trasmissione e modulazione; il tutto si traduce nella sua percezione. La terapia antalgica è solo parzialmente legata al semplice effetto sull'attività recettoriale; aspetto principale cui essa è legata, difatti, è la modulazione del dolore. Lo stesso stimolo può essere percepito diversamente grazie ad una sua differente modulazione.

Per fare un esempio, consideriamo il dolore da puntura di 858i88i un ago nella cute (così, genericamente) e il dolore provocato da una iniezione intramuscolare. Si tratta, ovviamente, dello stesso stimolo recettoriale. Però nel caso della puntura cutanea da parte di un ago il soggetto ha una risposta articolata (vocalizzazione, allontanamento, identificazione dello stimolo), mentre nel caso della puntura intramuscolo egli non darà nessuna risposta del genere.


Nel dolore vi è dunque una componente psicologica ed una nocicettiva. L'intensità del dolore viene decisa dal "quantum" di importanza che viene attribuita all'una e all'altra componente. Ad esempio una stimolazione nocicettiva di lieve entità che viene molto temuta dal soggetto provocherà un dolore equivalente ad una stimolazione nocicettiva di elevata entità a cui però il soggetto attribuisce scarsa importanza.

La stessa esperienza dolorosa può cambiare d'intensità con il cambiare delle situazioni collegate. Ad esempio, un intervento chirurgico - si sa - è molto doloroso. Un intervento effettuato così, repentinamente, ha una forte incidenza sia nocicettiva (carenze nell'anestesia) sia psicologica (mancanza di colloquio). Dopo il colloquio la componente psicologica del dolore si riduce parecchio e quindi il dolore stesso che potrà essere provato ha una intensità minore; con l'anestesia l'intensità del dolore, relativo allo stesso intervento, si riduce drasticamente.


In seguito ad una lesione tissutale che inneschi il meccanismo nocicettivo vengono messe in atto una serie di risposte che servono a minimizzarne gli effetti. Tali risposte sono di vario genere, e i loro effetti sono alcuni positivi, altri negativi.


Aspetti positivi della risposta al dolore acuto sono:

  1. mantenimento della PA e della perfusione cerebrale;
  2. mantenimento della gittata cardiaca;
  3. miglioramento dell'emostasi;
  4. mobilizzazione dei substrati, con aumento della disponibilità energetica;
  5. mantenimento del volume intravascolare;
  6. immobilizzazione per evitare dolore;
  7. memoria del dolore.

Aspetti negativi della risposta al dolore acuto sono:

  1. ipertensione, aumentato rischio di emorragia, ictus;
  2. tachicardie, aritmia, ischemia, scompenso cardiaco;
  3. tendenza all'ipercoagulazione;
  4. iperglicemia, bilancio azotato negativo;
  5. ipervolemia, ipernatriemia, ipercaliemia;
  6. riduzione della ventilazione, ipossia, rischio di polmonite;
  7. ansia, paura, depressione.

Come si vede, sono tutte "esagerazioni" degli aspetti positivi descritti subito prima.


Da tutto ciò si evince come esista un "alterno gioco psico-emotivo e neuro-ormonale di eccitazione-inibizione nella realtà del dolore"[1]. Il dolore attiva reazioni neurovegetative e interventi del SNC; le reazioni neurovegetative alimentano il dolore stesso, mentre gli interventi del SNC lo indeboliscono. Inoltre il sistema autonomo favorisce le reazioni emotive, "spente" invece dal SNC. L'emotività ha una azione favorente l'intervento del SNC e inibitorio nei confronti del sistema autonomo. Sembra complicato, ma in realtà non lo è.


Recettori nocicettivi



I recettori nocicettivi sono versatili e relativamente semplici. Essi non sono particolarmente specializzati. Sono costruiti da terminazioni nervose libere, e si attivano quando uno stimolo - sia esso termico, tattile, chimico o meccanico - che su essi viene esercitato supera un certo valore soglia. La loro attivazione trasmette dolore. Tali recettori sono presenti a livello di muscoli ed ossa, sottocutaneo, visceri.

Prima è stato detto che essi "non sono particolarmente specializzati". Esistono difatti parziali specializzazioni, per cui è possibile distinguere dei gruppi di recettori. A seconda della loro velocità di trasmissione e della capacità discriminativa essi possono essere di due tipi:

  1. rapidi e circoscritti;
  2. lenti e maldefiniti.

I recettori rapidi e circoscritti danno origine a sensazioni dolorose rapide e precise, localizzate nel tempo e nello spazio. La trasmissione di quest'impulsi è compiuta da fibre mieliniche di piccolo diametro. Un esempio di questo tipo di dolore è quello della puntura da spillo.

I recettori lenti e maldefiniti danno origine a dolori vaghi senza specifica localizzazione. Gli impulsi sono trasmessi da fibre amieliniche, di piccolo diametro, e a trasmissione saltatoria [?], da un nodo di Ranvier all'altro. Un esempio di questo tipo di dolore è il dolore da contusione.

E' necessario fare questa distinzione, dal momento che questi due tipi di dolore hanno una proiezione centrale diversa.


Ai nostri fini è importante conoscere che sono particolarmente importanti due tipi di fibre: le fibre C e le fibre Ad. Le fibre C sono amieliniche, e hanno un piccolo diametro; la loro velocità di conduzione è inferiore a 2m/sec. Ad esse sono collegati i nocicettori C polimodali (si chiamano polimodali poiché servono indistintamente per gli stimoli termici, chimici e meccanici). Le fibre Ad hanno una conduzione di 20m/sec, e ad esse sono collegati i nocicettori meccanotermici. Questo tipo di nocicettori viene definito HTM, cioè "High Threshold Mechanoreceptors" [meccanocettori ad alta soglia]; essi necessitano di essere sensibilizzati per poter rispondere al calore. Il contingente più importante è ad ogni modo composto dalle fibre C, che costituiscono i ¾ degli assoni dei nervi periferici. Gli assoni a largo diametro hanno una soglia inferiore a quella degli assoni a diametro più ristretto. Ciò significa che la prima soglia che viene superata, in una stimolazione dolorosa, è quella delle fibre Ad, e ciò causa la sensazione di bruciore acuto e intenso. Successivamente, con l'aumentare dell'intensità dello stimolo, vengono sollecitate le fibre C, che causano dolore intenso e prolungato.


I nocicettori sono caratterizzati da:

  1. soglia di attivazione; essa è collegata ovviamente allo stimolo lesivo, ed è uniforme e riproducibile per ogni nociettore;
  2. frequenza di scarica; essa è proporzionale alla intensità dello stimolo algogeno [che genera dolore];
  3. sensibilizzazione; interviene nel cosiddetto "dolore lento", dovuto alle fibre C. Per via del fenomeno della sensibilizzazione, per stimoli ripetitivi si ha che diminuisce la soglia di attivazione e aumenta l'intensità di scarica. Tutto ciò porta ad una iperalgesia, e ad un dolore cronico. Lo stimolo doloroso è dunque, in questi casi, più doloroso del normale.

Mediatori del dolore



I mediatori del dolore possono fuoriuscire da cellule lesionate, possono essere rilasciati da mastcellule o da piastrine, possono essere liberati dallo stesso stimolo nocicettivo.


Nel primo caso (cellule lesionate) si fa riferimento a sostanze come istamina, serotonina o bradichinine, oppure a K+ o ATP (questi ultimi agiscono sui nocicettori di tipo C). Nel secondo caso (mastcellule o piastrine), oltre a istamina, serotonina e bradichinine, anche acido arachidonico e leucotrieni; prostaglandine e leucotrieni favoriscono la sensibilizzazione e l'iperalgesia. Nel terzo caso (stimolo) si ritiene che lo stesso stimolo nocicettivo possa liberare una sostanza come la sostanza P, che potrebbe agire facendo rilasciare sostanze algogene da parte di mastcellule e piastrine, oppure agire come sostanza algogena di per sé.


L'attività di questi mediatori del dolore fanno sì che la durata del dolore sia maggiore rispetto a quella effettiva dello stimolo (dolore "lento").


Vie del dolore



La trasmissione del dolore è effettuata attraverso vie nervose, che adesso andiamo a considerare.


Innanzitutto ci sono le fibre, che abbiam detto essere di due tipi: Ad e C. Le prime sono mieliniche e sono responsabili di un dolore "rapido" e circoscritto; le seconde sono amieliniche e sono responsabili di un dolore "lento". Entrambe queste fibre fanno parte ovviamente di un nervo e, nel loro decorso centripeto, incontrano il ganglio della radice posteriore del nervo di appartenenza. Consideriamo dunque le radici del nervo: quella anteriore e quella posteriore. Di queste, quella seguita dalle fibre del dolore è quella posteriore, ma c'è un contingente di fibre C che passa per la radice anteriore.


A livello del midollo spinale, le fibre si ramificano per 2-3 segmenti, prendendo il nome di fibre del Lissauer; il tutto avviene nel corno posteriore del midollo spinale. Le fibre Ad si stratificano a livello della lamina II e della lamina V del midollo spinale; ricordiamo che queste fibre sono responsabili del dolore "rapido". Giunte a livello di questa lamina, esse si decussano e vanno così a costituire il fascio spinotalamico laterale (o neospinotalamico). Le fibre C, invece, si stratificano a livello delle lamine VI, VII e VIII, e si decussano solo in parte, entrando così nella costituzione del fascio spinotalamico e del fascio spino-reticolo-talamico mediale (o paleospinotalamico).


La sostanza grigia del midollo è suddivisa, secondo un criterio topografico e funzionale, in lamine. Per la terapia del dolore è importante ricordarne alcune. Le lamine II, III e IV sono centri interneuronali di modulazione ed elaborazione dei segnali provenienti dai neuroni di primo ordine. I mediatori coinvolti non sono ancora stati tutti quanti identificati. Quelli certi sono la sostanza P (lamine I e II) e il VIP (lamina I). In fase di studio sono ATP e Glutamato. Gli interneuroni della lamina II sono importanti per la modulazione del dolore. A livello delle lamine I, II (parte più esterna) e V vi sono neuroni nocicettivi specifici. La lamina I è collegata direttamente al talamo. La lamina II è collegata con alcuni neuroni al talamo, mentre è costituita per la maggior parte da interneuroni. La lamina V è collegata al tronco encefalico e al talamo. Le lamine VII e VIII hanno una proiezione rostrale. La lamina X è collegata al tronco encefalico.[2]


Andando avanti col discorso, vediamo dunque come il dolore "rapido" e il dolore "lento" hanno diverse vie di trasmissione. Il dolore "rapido" difatti viaggia lungo il fascio spinotalamico laterale, raggiungendo così il talamo laterale (NVB) e la corteccia sensitiva (aree SM I e II). Il talamo raggiunto è specifico. Il dolore "lento" invece viaggia lungo il fascio spino-reticolo-talamico, e raggiunge la sostanza reticolare mesencefalica, il talamo mediale e la corteccia associativa frontale. Il talamo raggiunto non è specifico.


Esiste pertanto una rappresentazione corticale del dolore, ed è possibile anche individuare un sistema "specifico" (detto anche lemniscale; è il primo di cui abbiamo parlato) e uno "non specifico" (extralemniscale; si tratta del secondo di cui abbiamo parlato). [Questo da due lucidi del prof.].


Modulazione del dolore



Accanto al meccanismo che consente la generazione del dolore, esiste un sistema di modulazione del dolore. Esistono difatti centri e vie neuronali che, se stimolati, danno origine al fenomeno della Stimolazione che Produce Analgesia (SPA). In assenza di dolore la stimolazione di questi centri non dà origine ad alcuna sensazione! Questo sistema può essere attivato da:

a.   stimoli elettrici;

b.  farmaci oppiacei;

c.   stress psico-fisici;

d.  fattori psicologici.


Esistono delle molecole peptidi oppioidi endogeni; questa dizione in realtà è un termine generico che si riferisce ai peptidi naturali che contengono una sequenza aminoacidica particolare[3] e che sono derivati dalla segmentazione metabolica di uno dei tre percursori peptidici; questi precursori sono la proencefalina, la prodinorfina e la proopiomelanocortina (POMC). Dalla proencefalina derivano le encefaline; esse sono due, e cioè la Leucina-encefalina e la Metionina-encefalina, che differiscono per un solo residuo aminoacidico. Dalla prodinorfina deriva la dinorfina e la a-neoendorfina. Dalla POMC deriva il gruppo delle b-endorfine, oltre ad altre molecole estremamente importanti come l'ACTH e l'a-MSH, l'ormone melanocito-stimolante[4].


Le encefaline si ritrovano a livello di intestino, sistema nervoso simpatico, midollare del surrene, SNC (in particolare a livello della PAG - cioè il grigio periacqueduttale -, nel RVM - nucleo magno del rafe - e delle lamine I, II, V e X). La dinorfina si trova nel SNC negli stessi punti ove si repertano le encefaline. Le b-endorfine si trovano nell'ipotalamo, nel PAG, nel "tratto solitario". In pratica tutti gli oppiodi endogeni si trovano nel SNC, in varie zone, tranne le encefaline che si trovano anche nel simpatico, nella midollare del surrene e nell'intestino.


A livello del tronco encefalico si trovano cellule modulatrici del dolore, che hanno tre modi differenti di funzionare. Dopo uno stimolo doloroso, infatti, esse possono aumentare la scarica, diminuire la scarica, o non influire sulla scarica. Per quanto riguarda l'estinzione o la amplificazione del dolore, dunque, vi sarà una "on cell" e una "off cell". La prima darà luogo ad un aumento della scarica prima ancora che avvenga il movimento riflesso di retrazione dallo stimolo nocivo; la seconda invece darà luogo ad una diminuzione della scarica fino alla sua estinzione prima della retrazione.


Nella modulazione del dolore sono inoltre coinvolte vie noradrenergiche e vie serotoninergiche. Infatti a livello delle lamine I, II e V arrivano vie noradrenergiche, e sono stati dimostrati recettori tipo a sensibili alla clonidina. Tale via noradrenergica proviene dal ponte. Sempre a livello di queste lamine perviene anche una via serotoninergica, che proviene dal RVM (nucleo magno del rafe). Ponte e RVM ricevono influenze dal PAG - grigio periacqueduttale - il quale, a sua volta, è connesso, tramite l'ipotalamo, alla corteccia associativa, principalmente quella frontale.

Dunque nella modulazione del dolore vi sono anche queste vie discendenti di controllo.


Nella modulazione del dolore, inoltre, è stata anche introdotta una teoria (cosiddetta teoria del cancello) riguardante il controllo sull'ingresso dello stimolo. Secondo questa teoria vi sono innanzitutto fibre efferenti di grosso diametro. Queste fibre efferiscono alla sostanza gelatinosa (cioè alla lamina II) e alle cellule centrali di trasmissione del midollo spinale; si tratta di fibre di tipo Aa e Ad. Queste fibre hanno un'attività stimolatoria. Questa attività viene svolta sia sulla sostanza gelatinosa che sulle cellule di trasmissione dell'impulso. Tuttavia le cellule della sostanza gelatinosa hanno un'attività inibitoria nei confronti delle cellule di trasmissione, per cui una loro attivazione si traduce - nei fatti - in una inattivazione della trasmissione. Quando, quindi, l'attività delle fibre di grosso calibro provenienti dai centri superiori è elevata, l'effetto inibitorio della sostanza gelatinosa sulla trasmissione dell'impulso è anch'essa aumentata. Esiste però, sempre a questo livello, un altro sistema di fibre efferenti, stavolta di piccolo diametro, di tipo cioè C. Esse hanno attività inibitoria sulla sostanza gelatinosa e stimolatoria sulle cellule di trasmissione. Ciò significa che l'effetto inibitorio esercitato dalla sostanza gelatinosa sulle terminazioni delle fibre afferenti è diminuito quando è aumentata l'attività nelle fibre di piccolo diametro. Alla fine, quindi, il "cancello" per l'ingresso del segnale viene a trovarsi "aperto" o "chiuso" a seconda che, rispettivamente, sia più operante il sistema delle fibre a piccolo diametro o quello delle fibre a diametro più elevato.


Dunque, nella modulazione del dolore, vanno tenuti in conto:

a.   SPA;

b.  i peptidi oppiodi endogeni;

c.   attività troncoencefalica;

d.  vie discendenti di controllo;

e.   integrazione midollare (teoria del cancello).


Clinica del dolore




TIPI DI DOLORE



Somatico

Superficiale




Cutaneo

Sottocutaneo


Profondo


Miofasciale

Tendineo

Ligamentoso

Osteoperiosteo

Articolare

Vascolare



Viscerale


Diretto



Riferito


Con iperalgesia

Senza iperalgesia (segmentale o irradiato)



Neuropatico


Da compressione del tessuto nervoso



Ecco schematizzati i vari tipi di dolore. Il dolore può essere somatico, viscerale o neuropatico. Ovviamente le caratteristiche semeiologiche saranno diverse, e le vedremo. Il dolore somatico può essere superficiale (e in tal caso origina da strutture cutanee o sottocutanee) o profondo (e in tal caso fa riferimento a vasi, articolazioni, strutture osee - periostio - legamenti, tendini, fasce muscolari). Il dolore viscerale può essere diretto (cioè riferito alo stesso viscere da cui origina) o riferito (si tratta del caso contrario; nel dolore riferito vi può essere o meno una iperalgesia). Il dolore neuropatico, infine, deriva dal tessuto nervoso.


Il dolore va valutato per:

a.   sede;

b.  estensione (circoscritto, diffuso);

c.   localizzazione spaziale (superficiale, profondo);

d.  discriminazione spaziale (grado preciso, medio, scarso);

e.   qualità (puntorio, urente, sordo, gravativo, oppressivo, tensivo, costrittivo.);

f.    intensità;

g.   modalità di insorgenza (improvvisa, progressiva);

h.   componente emotiva (assente, scarsa, dominante);

i. segni neurovegetativi (pallore, vomito, sudorazione, poliuria).


I territori di ricezione nocicettiva sono le sedi somatiche superficiali e profonde, e quelle viscerali.


Il dolore somatico superficiale (principalmente cutaneo) è circoscritto, di intensità elevata, accompagnato a riflessi di allontanamento. Sue caratteristiche sono l'immediatezza, la localizzazione, la fuga. Il dolore somatico profondo (principalmente per ossa, articolazioni e muscoli) è invece poco localizzato e poco circoscritto; presenta il fenomeno del dolore riferito e della sensibilizzazione. Sua caratteristica è la reazione di immobilizzazione.


Andando a valutare il dolore somatico in sede superficiale secondo i parametri visti in precedenza, e aggiungendo ancora qualcosina, avremmo:

a.   sede: cutanea;

b.  estensione: circoscritto;

c.   localizzazione spaziale: superficiale;

d.  discriminazione spaziale: grado perfetto;

e.   qualità: puntorio o urente a seconda dello stimolo;

f.    intensità: da lieve a insopportabile;

g.   andamento nel tempo: istantaneo, continuo, subcontinuo, ondulante;

h.   durata: variabile in relazione alla noxa;

i. reazione emozionale: assente;

j.    segni vegetativi di accompagnamento: generalmente assenti;

k.  stimoli addizionali sull'area del dolore: incrementano il dolore.


Per quanto attiene il dolore somatico profondo, prima di andare a rappresentarne compiutamente le caratteristiche, facciamo prima un esempio: il dolore articolare. Nell'ambito del dolore articolare esistono recettori che fanno riferimento sia alle fibre Ad che C. Circa la metà del contingente Ad e tutti i C rispondono ai movimenti estremi e/o alla pressione intorno alla capsula articolare. Per questi recettori è verificata una "attività di fondo" [?] e il fenomeno della sensibilizzazione. Stimoli algogeni possono essere di carattere fisico (torsione, pressione) o flogistico (portano a sensibilizzazione e "dolore di fondo" [?!?]). Un altro esempio di dolore somatico profondo è il dolore muscolare. Anch'esso portato dalle fibre Ad e C, vede come stimolo algogeno principale l'ischemia da contrattura.


Adesso possiamo considerare le caratteristiche semeiologiche del dolore somatico in sede profonda:

a.   sede: struttura interessata;

b.  estensione: media diffusione, talora ad andamento scleromerico [?] o miomerico con interessamento del dermatomero;

c.   localizzazione spaziale: medio grado;

d.  qualità: terebrante, crampiforme, costrittivo, lacerante, urente, tipo gravativo;

e.   intensità: da lieve a sopportabile;

f.    andamento nel tempo: continuo, subcontinuo, accessionale;

g.   durata: variabile in base alla noxa;

h.   reazione emozionale: assente;

i. segni vegetativi di accompagnamento: pallore, sudorazione, nausea;

j.    stimoli addizionali sull'area del dolore: incrementano il dolore.


Il dolore viscerale può presentare il fenomeno del dolore riferito. Per quanto attiene[5] il dolore viscerale, non sono stati individuati con chiarezza i recettori; probabilmente hanno importanza in questo i plessi nervosi perivascolari. Si tratta di fibre in prevalenza di tipo C. Le afferenze splancniche fanno riferimento alle lamine I, V, VII e VIII, e comunque non esistono neuroni che ricevono solo afferenze viscerali. Gli stimoli algogeni sono incerti. Si ipotizzano ruoli per stimoli meccanici (torsione, stiramento; non pinzettamento o taglio), chimici (ulcera), flogistici (si accompagnano al fenomeno della sensibilizzazione). Per tutti gli amanti degli schemi ecco qua quello riferito alla semeiologia clinica del dolore viscerale:

a.   sede: toraco-addominale, in genere lungo l'asse centrale, prevalentemente in regione sternale bassa ed epigastrica;

b.  estensione: molto diffuso;

c.   localizzazione spaziale: profondo;

d.  discriminazione spaziale: scarso grado;

e.   qualità: sordo, gravativo, oppressivo, urente, tensivo, lacerante;

f.    intensità: da lieve a insopportabile;

g.   andamento nel tempo: continuo, subcontinuo, ondulante, accessionale (colico);

h.   durata: variabile da qualche minuto a qualche ora, comunque limitato nel tempo in quanto cessa o parietalizza;

i. reazione emozionale: presente (grave angoscia, senso di morte imminente);

j.    segni vegetativi di accompagnamento: pallore, sudorazione, distermia, nausea, vomito, bradi- o tachi- cardia, pollachiuria, disturbi dell'alvo (stipsi, diarrea);

k.  stimoli addizionali sull'area del dolore: non incrementano il dolore.


Il dolore riferito è una condizione per cui il dolore viscerale, e parte del dolore somatico profondo, sono proiettati su territori superficiali anche distanti dalla sede viscerale di insorgenza. Per spiegare tutto questo sono state proposte varie teorie. Il dolore riferito potrebbe essere imputabile ad una sovrapposizione del messaggio, ad un riflesso antidromico, ad una attivazione riflessa, alla proiezione nocicettiva. In realtà possono anche coesistere più meccanismi.


La "sovrapposizione del messaggio" prevede che esista una singola fibra afferente che faccia riferimento ad un viscere ed ad un tratto cutaneo.

Il "rilascio antidromico" prevede che lo stimolo del viscere determini una conduzione antidromica (cioè in senso non centripeto ma centrifugo), con rilascio di sostanza P in una terminazione nervosa che va a ramificarsi nella cute, con conseguente sensibilizzazione dei nocicettori.

La "attivazione riflessa" prevede che lo stimolo doloroso dia luogo ad un riflesso di contrazione muscolare, che attivi recettori più distanti.

La teoria della "proiezione nocicettiva", la più seguita, prevede che nocicettori viscerali facciano convergere le proprie fibre su neuroni di II ordine (cioè midollari) sui quali convergono anche nocicettori somatici.


In base a quest'ultimo concetto è possibile elaborare una "mappa neuronale" di rappresentazione del dolore, per cui, ad esempio:

a.   angina: il dolore riferito è presente nella metà inferiore del collo, in sede nucale, in sede precordiale e nella parte mediale dell'avambraccio;

b.  uretere sinistro: fianchi e fossa iliaca sx;

c.   vescica urinaria: sede perineale;

d.  esofago: metà inferiore del collo, quadranti alti addominali (soprattutto a sx).

.e così via.


Per via del dolore riferito è possibile comprendere forme di dolore che in passato suscitavano grande timore, soprattutto nei riguardi nella massa più incolta e credulona, e cioè il dolore da deafferentazione, o sindrome dell'arto fantasma; anche nel nome comune ("arto fantasma") dato a questa situazione è evidente l'ignoranza in cui versavano le scienze neurologiche[6].


Interessante è anche notare le condizioni per cui a volte si ha dolore in assenza di lesione, oppure compaiono inspiegabilmente disestesie o crisi parossistiche di dolore. Per spiegare tutto questo si può pensare che alla base vi sia una iperattività dei neuroni nocicettivi, con perdita di inibizione centrale e aumento dell'attività delle efferenze simpatiche. Inoltre la lesione di un nervo periferico può danneggiare le afferenze mieliniche risparmiando le afferenze amieliniche, conservando dunque la trasmissione dolorosa!


La complessità della trasmissione dolorosa può spiegare anche un certo circolo vizioso che può venire a stabilirsi. La diffusione degli impulsi nervosi, conseguenti ad uno stimolo nocivo cutaneo attiva, per via riflessa, vie motrici somatiche e vie simpatiche che innervano la cute, i vasi e i visceri. Le efferenze somatiche provocano ovviamente una contrazione muscolare; il tono muscolare aumentato altro non fa che aumentare il dolore: si realizza un feedback positivo per modificazioni del microcircolo e dell'ambiente biochimico.


Da ultimo, nella considerazione della clinica del dolore, bisogna valutare le cosiddette scale del dolore. Siccome, cioè, il dolore è un sintomo, e dunque, come tale, un qualcosa che viene riferito dal paziente, occorre pure che possa essere oggettivato e misurato quantitativamente! A quest'uopo sono state progettate delle scale di valutazione del dolore, e ne esistono di diverso tipo:

a.   descrittiva. E'divisa in sei gradi (assente, leggero, moderato, severo, molto severo, il peggiore) ed il paziente deve indicare a quale grado il suo dolore appartiene;

b.  numerica. Da 1 a 10, con 5 che vale "moderato";

c.   visiva. Si tratta di una segmento non graduato; si sa solo che il punto d'inizio di tale segmento corrisponde all'assenza del dolore, il punto di fine al dolore più grande mai vissuto; il paziente indica con una croce a che punto si trova il suo. Questa scala è indicata con l'acronimo VAS.


La scala VAS è importante perché, specie nel dolore oncologico, è in grado di indicare il "grado di terapia", cioè i provvedimenti terapeutici più utili vista la situazione del dolore del paziente lungo la scala stessa. Di seguito è riportata una tabella esemplificativa:



GRADI DELLA TERAPIA DEL DOLORE ONCOLOGICO






Dolore lieve (VAS 0-2)


Non oppiacei adiuvanti

Dolore moderato (VAS 2-4)

Oppiacei deboli non oppiacei adiuvanti

Dolore grave (VAS 4-6)

Oppiacei potenti adiuvanti non oppiacei (os, via perdurale, analgesia regionale)

Dolore gravissimo (VAS 6-8)

Oppiacei potenti adiuvanti non oppiacei (e.v., infusione continua, PCA)

Dolore atroce (VAS 8-10)


Come il dolore gravissimo + procedure neurochirurgiche o neurolitoche



Controllo farmacologico del dolore


Nel campo della terapia del dolore oggi è molto importante il dolore dei pazienti neoplastici. Il controllo del dolore da cancro - ma questo è in linea di massima valido per altre situazioni -  può attuarsi secondo tre diverse modalità di trattamento:

a.   farmacologica, tramite FANS, oppioidi, adiuvanti;

b.  non farmacologica, e può essere di vario tipo;

c.   psicologica, con psicoterapia, ipnosi, biofeedback.


La terapia farmacologica del dolore da cancro in particolare può avvalersi di alcune linee guida dettate dall'OMS. Secondo tali linee guida l'approccio è di tipo sequenziale; ciò significa che per un dolore di lieve entità bastano FANS ed, eventualmente, adiuvanti. Per dolori di moderata entità si utilizzeranno oppioidi deboli, eventualmente associati a FANS e/o adiuvanti. Per dolori molto accentuati si impiegano oppioidi forti eventualmente coadiuvati, anche in questo caso, da FANS e/o adiuvanti. A parte la qualità del farmaco da somministrare, è importante anche l'individuazione della giusta dose, da somministrare ad orari fissi, così come definire la via di somministrazione (di prima scelta la via orale) e valutare le necessarie associazioni farmacologiche.


Effettuata la valutazione del dolore da cancro, si inizia un trattamento "scalare", del tipo appena indicato. Il dolore può così passare (pain relief) oppure continuare. In questo caso bisogna considerare meglio l'etiologia del dolore e valutarne il trattamento.

Il dolore potrebbe avere una origine ossea, neuropatica, da movimenti, da mucositi. Oppure potrebbe rappresentare un effetto collaterale della terapia radio-farmacologica. Naturalmente il trattamento potrà essere quindi di vario genere. E così, nei dolori ossei si possono somministrare fosfati, oppure si può ricorrere alla rimozione dell'ipofisi. Nel dolore da movimenti si può intervenire con una stabilizzazione chirurgica o fisica, fino all'intervento neurochirurgico. Altro presidio terapeutico può essere rappresentato dai blocchi neurolitici. Le mucositi possono avvalersi di un trattamento topico.


Abbiamo detto che la terapia non farmacologica può avvalersi di diverse possibilità. Eccole elencate di seguito:

a.    neuromodulante - si effettuano blocchi (dei nervi periferici, blocchi peridurali, blocchi subaracnoidei, blocchi simpatici);

b.    neurostimolante - stimolazione (midollare, stimolazione endocranica, TENS);

c.    neurolesiva chimica - rizotomia[7] subaracnoidea, gangliolisi celiaca, gangliolisi gasseriana, gangliolisi simpatica, ipofisectomia;

d.    chirurgica termica - rizotomia delle radici dorsali, termorizotomia trigeminale, termorizotomia glosso-faringea, cordotomia anterolaterale, ipofisectomia.

Questo per completezza, così stiamo tutti più contenti, compresi quei maniaci degli schemi che adesso non staranno già più nella pelle dalla felicità.


Abbiamo parlato del controllo farmacologico del dolore da cancro. Tra i farmaci che possono essere utilizzati vi è una categoria, cosiddetta dei farmaci adiuvanti. Si tratta di co-analgesici, sintomatici, o agenti sulla componente psicologica e affettiva. Essi sono i corticosteroidi, i farmaci psicotropi (neurolettici, antidepressivi, ansiolitici) e gli anticonvulsivanti.


I corticosteroidi costituiscono un gruppo di farmaci naturali (ad es., cortisone, cortisolo) e sintetici (ad es., prednisolone, betametasone, desametasone) con attività anti-infiammatoria, analgesica, antipiretica, anti-edemigena (agiscono sull'edema citotossico perilesionale). Il meccanismo con cui vengono realizzati questi effetti è l'inibizione della sintesi di prostaglandine e leucotrieni, ottenuta inibendo l'enzima fosfolipasi A2, che libera l'acido arachidonico, loro precursore, dai fosfolipidi di membrana.

I corticosteroidi rappresentano il trattamento di scelta nelle ipertensioni endocraniche, nella compressione di radici nervose, nella compressione midollare, nelle paraplegie compressive, nel dolore osseo. Inducono stimolazione dell'appetito, miglioramento del tono dell'umore e dell'astenia. Gli effetti collaterali (effetto mineraloattivo, iperglicemizzante, gastrolesivo) sono tempo-dipendenti, cioè si mostrano dopo un utilizzo alquanto prolungato.


I FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei) agiscono solo dopo che si è formato l'acido arachidonico, che è un substrato degli enzimi ciclo-ossigenasi e lipo-ossigenasi. Dalle reazioni a partenza dalla ciclo-ossigenasi si formano le prostaglandine, mentre dalle reazioni a partenza della lipo-ossigenasi si formano i leucotrieni. Ne consegue che i FANS impediscono la formazione di questi mediatori finali, PG e LT.

I FANS hanno azione analgesica, anti-infiammatoria e antipiretica. L'azione antalgica è dovuta ad effetti periferici (sulla ciclo- e lipo- ossigenasi) e centrali (sul sistema di modulazione discendente serotoninergico). I FANS sono efficaci nel dolore somatico profondo (muscoli, ossa) ed in alcuni dolori viscerali. Ovviamente anch'essi presentano effetti collaterali:

a.   gastrolesività, per inibizione delle PG E gastriche; questo indipendentemente dalla via di somministrazione;

b.  alterazione della funzionalità piastrinica, impedendo la formazione di TxA2 (trombossano A2);

c.   tossicità renale (iperazotemia, ipercaliemia, nefrite acuta interstiziale, necrosi papillare acuta);

d.  tossicità epatica (aumento transaminasi);

e.   alterazioni della crasi ematica.

Giusto a titolo di esempio, qualche FANS (anche detti NSAIDs): acido acetilsalicilico, diflunisal, naprossene, indometacina, piroxicam, ketoprofene, diclofenac, ibuorifene, nimesulide.


I FANS sono classificabili in base alla loro struttura chimica, e così abbiamo:

a.    derivati indolici: indometacina, sulindac;

b.   derivati aril-antranilici: acido mefenamico;

c.    derivati aril-propionici: naprossene, ketoprofene, ibuprofene;

d.   derivati pirazolonici: fenilbutazone, dipirone;

e.    derivati para-aminofenolici: paracetamolo;

f. oxicam: piroxicam;

g.   acido acetilsalicilico e suoi derivati.


Bene; adesso passiamo ai farmaci oppiacei. Una prima divisione da fare in quest'ambito è tra i derivati dell'oppio e gli oppioidi di sintesi. I derivati dell'oppio si dividono a loro volta in alacaloidi dell'oppio e derivati semisintetici. Tra i primi ci sono morfina (da Morfeo, dio dei sogni), codeina, tebaina (quest'ultimo non ha effetto analgesico), tra i secondi ci sono eroina (formulata nel 1890 come di-acetil-morfina), idromorfone, ossicodone, buprenorfina. Tra gli oppioidi di sintesi, meperidina e metadone.


I meccanismi implicati nell'analgesia riguardano la modulazione nocicettiva, attraverso un sistema di recettori. Questi recettori sono legati dagli oppioidi solo quando tali sostanze sono conformate in forma levogira. L'effetto degli oppioidi è periferico e centrale. L'effetto periferico è esplicato diminuendo l'intensità dello stimolo algogeno. L'effetto centrale consiste in una diminuita reazione allo stimolo.


E' stato visto, ad es., che stimolando interneuroni inibitori serotoninergici del midollo spinale, vengono anche stimolati interneuroni encefalinergici; la loro azione è su due fronti, e cioè si verifica una inibizione su neuroni di II ordine, e una inibizione presinaptica sulla liberazione del neurotrasmettitore dal nocicettore, cioè dal neurone di I ordine.


I recettori oppioidi più importanti sono 4, e qui c'è subito una tabella che mette in relazione il recettore con le azioni che il legame oppioide-recettore induce.


m


Analgesia sovraspinale

Depressione respiratoria

Euforia

Dipendenza fisica


Miosi, stimolazione poi depressione della frequenza respiratoria, bradicardia, ipotermia, diminuzione dei riflessi nocicettivi flessori

k


Analgesia spinale

Miosi

Sedazione



Miosi, nessuna variazione della frequenza respiratoria, cardiaca e della temperatura, sedazione, diminuzione dei riflessi nocicettivi flessori


s


Allucinazioni

Disforia

Tachicardia

Tachipnea


Midriasi, stimolazione della frequenza respiratoria, tachicardia, delirio, modesta diminuzione dei riflessi nocicettivi flessori

d


Analgesia spinale

Effetti cardiovascolari




Esistono recettori oppiacei sulle membrane delle cellule neuronali, a livello principalmente del PAG (grigio periacqueduttale) e delle corna posteriori del midollo spinale. Questi recettori sono di tipo m d k ed e , e danno tutti quanti analgesia. Esistono difatti degli oppioidi endogeni, come abbiano detto in un altro capitolo. Questi sono rappresentati da Leu-encefalina e Met-encefalina; queste sostanze hanno una azione simile a quella della morfina e vengono antagonizzate da una sostanza, che è il naloxone. Si verifica inoltre il fenomeno della "tolleranza crociata" con la morfina.




Gli oppioidi inducono una farmacodipendenza; ciò significa l'insorgenza di crisi da astinenza alla loro sospensione. E' verificabile inoltre il fenomeno della tolleranza, cioè della necessità di aumentare le dosi per ottenere lo stesso effetto antalgico. La tolleranza si stabilisce in 1 o 2 settimane; essa non è dovuta a problemi farmacocinetici (cioè assorbimento, distribuzione.) ma a problemi farmacodinamici/recettoriali. Cosa succede, in realtà?

Consideriamo l'azione della morfina. L'enzima adenilatociclasi nelle membrane neuronali sintetizza il cAMP, che agisce da secondo messaggero una volta che il ligando si è legato al suo recettore. La somministrazione acuta di morfina inibisce la adenilatociclasi e riduce i livelli intracellulari di cAMP. In risposta alla somministrazione cronica di morfina, tuttavia, le cellule neuronali si adattano, sintetizzando nuove molecole di enzima, così ripristinando il normale livello intracellulare di cAMP. La cellula neuronale diviene così "tollerante" verso la dose iniziale di farmaco.

Se il farmaco è sospeso, viene meno l'azione "frenante": la morfina, rimanendo nel nostro esempio, ha un'azione finale per cui diminuisce la liberazione di NorAdrenalina dai neuroni noradrenergici presinaptici. Quando la morfina non c'è più, la liberazione di NorAdr torna a essere effettuata a livelli normali, relativamente elevati; questo neurotrasmettitore trova però un neurone post-sinaptico che, nel frattempo, si è "potenziato" con il meccanismo, visto prima, della tolleranza. La combinazione dei due eventi porta alla manifestazione della sindrome da astinenza. In pratica si verifica il ripristino della normale neurotrasmissione in un ambiente con popolazione recettoriale soprasensibile.


La dipendenza fisica dagli oppioidi è dovuta quindi alla latente eccitabilità del SNC e del SNP, manifesta (mediante l'astinenza) quando si interrompa la somministrazione di morfina, o - il che è lo stesso - se si somministra un antagonista.


Naturalmente anche per gli oppioidi, accanto all'effetto desiderato, che è quello dell'analgesia, si verificano effetti collaterali. Essi sono:

a.   a livello del SNC, sedazione (per stimolo dei recettori k), euforia, disforia, depressione respiratoria (ridotta sensibilità alla CO2), effetto antitussigeno (la tosse è un riflesso!), nausea/vomito/miosi (questi sono fenomeni eccitatori, in realtà);

b.  a livello cardiovascolare, riduzione della P.A.;

c.   a livello gastroenterico, ritardato svuotamento gastrico e stipsi (riduzione della peristalsi[9] e aumento del tono degli sfinteri);

d.  a livello urinario, ritenzione urinaria (per aumento del tono dello sfintere vescicale; c'è anche una azione sul tono del detrusore).

Una "overdose", cioè un sovradosaggio, si manifesta con una triade patognomonica, e cioè coma, miosi, bradipnea.


A seconda del loro meccanismo d'azione, distinguiamo agonisti puri, agonisti-antagonisti, agonisti parziali e antagonisti (come il naloxone). Che significa? In genere si verifica che ciascun composto è massimamente attivo su un recettore, e meno sugli altri. Ad esempio, la morfina è attiva soprattutto su recettori m, ma ha un effetto, sia pur minore, anche sui d e, minimo, su k. Può accadere però che qualche sostanza abbia effetto agonista su certi recettori e antagonista su altri. Ad esempio, la pentazocina ha un effetto antagonista sui recettori m ed e, agonista su k e s, dubbio su d. Oppure, una sostanza può avere effetti solo antagonisti, come nel caso del naloxone, antagonista di tutti i recettori, e soprattutto di m. Gli agonisti parziali, invece, funzionano come la buprenorfina; cioè a basse dosi si legano ai recettori, ma dosi successive trovano il recettore occupato e acquistano potere antagonista.


Gli agonisti sono rappresentati da codeina, ossicodone, morfina, levorfanolo, destropropoxifene, metadone, idromorfone, meperidina. Gli agonisti parziali di tipo morfinico sono rappresentati dalla buprenorfina. Gli agonisti-antagonisti di tipo nalorfinico sono rappresentati da pentazocina, nalbufina, butorfanolo. Antagonsita tipico è il naloxone.


Naturalmente il controllo sulla trasmissione del dolore che il singolo farmaco possiede varia da sostanza a sostanza, per questo motivo i dosaggi sono così diversi. Esistono numerose tabelle che indicano le dosi equianalgesiche di alcune sostanze. Indicano cioè come possa essere raggiunto un certo livello di analgesia utilizzando varie sostanze, e a quali dosaggi. Ad es., 30-60 mg di morfina per os (o 10 mg i.m.) corrispondono a 90-200 mg di codeina per os (o 120 i.m.), oppure a 10 mg di metadone per os (o 10 mg i.m. - sì, è lo stesso dosaggio).

Questo è utile per poter brevemente calcolare i dosaggi nel caso in cui un paziente debba cambiare farmaco e via di somministrazione.


La morfina è un agonista puro dei recettori m; si lega anche ai recettori k e d. La morfina è il farmaco tradizionalmente "narcotico", che induce cioè il sonno (Morfeo è infatti il dio dei sogni)[10]. L'efficacia antalgica della morfina è evidente soprattutto nel dolore viscerale, un po' meno su quello somatico profondo; è scarsa l'azione sul dolore neuropatico.

L'assorbimento è buono per qualsiasi via di somministrazione: os, s.c., i.m., e.v., spinale, epidurale. La biodisponibilità per os è di 1/3 a causa del primo passaggio attraverso il circolo enteroepatico: il dosaggio iniziale per os è di 10 mg. La morfina è scarsamente liposolubile, ed ha un alto legame proteico; la sua metabolizzazione è epatica, mediante glicuronazione, e la sua eliminazione è biliare e renale.

La morfina è commercializzata con il nome di MS CONTIN ; sono compresse di morfina solfato, ed esistono nei dosaggi da 10, 30, 60 e 100 mg a lento rilascio per somministrazioni ogni 8-12 ore. Quando si rendono necessari dosaggi eccessivamente elevati per os, si deve passare ad altre vie di somministrazione, come s.c., epidurale, spinale. In peridurale si usa 1/6 della dose parenterale, in spinale 1/10 della dose peridurale!


La codeina è la metilmorfina. La codeina è meno attiva rispetto alla morfina, come effetto analgesico, di un 20%. E' anche meno affine ai recettori rispetto alla morfina (solo uno 0,1%)[11]; viene assunta come profarmaco. Può essere associata ai FANS. Il suo metabolismo è epatico, e, una volta metabolizzata, diviene di fatto morfina; la epatoliberazione è lenta.


Il metadone è un farmaco di sintesi. Ben assorbito per os, ha un t1/2 elevato, è potente come analgesico, e dà una sindrome da astinenza più lenta, meno violenta. La morfina ha un'emivita di circa 3 ore, mentre il metadone ha un'emivita di 25 ore.


La buprenorfina ha un diverso impegno recettoriale; a basse dosi si lega ai recettori m e dà una analgesia. La dissociazione dal recettore è lenta. Dosi successive trovano il recettore occupato e acquistano potere antagonista.


Blocchi nervosi



Si effettuano mediante l'utilizzo di anestetici locali. Consideriamo due tipi di blocchi nervosi:

a.   blocchi nervosi centrali (epidurale o subaracnoideo);

b.  blocchi del simpatico (anestetici o neurolitici).


Quali sono gli anestetici locali più utilizzati?

a.   lidocaina 1-2%;

b.  mepivacaina 2%;

c.   bupivacaina 0,50%, 0,25%, 0,125%.


Questi farmaci diminuiscono la velocità di propagazione dello stimolo nervoso (diminuiscono la velocità di depolarizzazione e l'ampiezza del potenziale d'azione, agendo sui canali del Na+). La "cronologia" e l'intensità dell'azione di un anestetico locale dipendono dal diametro e del grado di demielinizzazione delle strutture nervose incontrate.

Dopo una somministrazione peridurale o intratecale l'ordine di blocco è: fibre neurovegetative fibre sensitive dolorose termiche tattili fibre motrici.


I blocchi nervosi centrali possono essere effettuati in sede epidurale o in sede subaracnoidea.


Il blocco epidurale è effettuato iniettando l'anestetico locale nello spazio epidurale. Lo spazio epidurale si trova all'interno del canale spinale, esternamente alla dura madre. Gli anestetici locali diffondono verso l'alto e verso il basso, bloccando i nervi spinali tra la loro uscita dal midollo spinale e l'ingresso nei forami vertebrali. Il blocco epidurale interesserà tutte le funzioni: motoria, sensitiva e autonoma; è però possibile produrre un blocco differenziale aggiustando le [ ] dell'anestetico locale (è maggiore per fibre di minor calibro). Si può penetrare nello spazio epidurale in ogni punto della sua lunghezza dall'interspazio C3-C4 allo hiatus sacrale a livello S4-S5. Si utilizzano aghi particolari ("aghi per peridurale") da 16-18 G, che si inseriscono in sede mediana o paramediana. Il paziente giace in decubito laterale (a cane di fucile) o seduto, con i piedi su uno sgabello e piegato in avanti. L'anestesista identifica quindi lo spazio epidurale. L'infusione è continua tramite un cateterino.

Complicanze sono date dalla puntura accidentale della dura, dal posizionamento endovenoso, ipotensione (per esteso blocco simpatico), anestesia spinale totale, tossicità acuta generalizzata (vene), alterazioni neurologiche, cefalea (è tardiva, insorgendo dopo 24-48 ore, e peggiora nella posizione seduta), ematoma epidurale.


Il blocco subaracnoideo invece è effettuato somministrando l'anestetico locale nello spazio subaracnoideo, che si trova tra pia madre ed aracnoide. Tecnicamente è più semplice dell'epidurale. Si utilizzano aghi da 22-27 G, e bastano pochissime quantità di farmaco; la tossicità sistemica è impossibile. La puntura è effettuata in sede lombare.

Complicanze sono l'ipotensione, l'anestesia spinale totale, danni neurologici e cefalea. Molto dipende anche dall'età/sesso del paziente e dal calibro dell'ago.


Sia in somministrazione subaracnoidea che in somministrazione epidurale è possibile dare anche gli oppioidi.


I blocchi del simpatico possono avvenire a tre livelli: simpatico cervico-toracico, plesso celiaco, simpatico lombare. Il simpatico cervico-toracico innerva gli organi della metà superiore del corpo, il plesso celiaco l'addome alto, il simpatico lombare l'addome basso e gli arti inferiori.

Il blocco simpatico può essere transitorio, permanente o semipermanente. Il blocco transitorio è ottenuto mediante l'utilizzo di anestetici locali. Il blocco permanente tramite alcol, il semipermanente tramite fenolo.

I nervi simpatici possono essere bloccati a livello della catena simpatica, dei plessi autonomi, dei nervi splancnici, dello spazio peridurale.


Il blocco simpatico lombare viene effettuato sui gangli L2-L3-L4 della colonna simpatica; il blocco viene attuato tramite fenolo. Il blocco simpatico lombare è indicato nelle vasculopatie dell'arto inferiore, nella neuropatia diabetica in fase iniziale e nella distrofia simpatica riflessa. La catena simpatica lombare si trova in posizione anterolaterale rispetto alle vertebre, poggiata sulla fascia del muscolo ileopsoas; la sua posizione viene evidenziata con un m.d.c. e amplificazione di brillanza. L'ago si pone ad 8-10 cm dalla linea interspinosa, in direzione lateromediale dall'esterno all'interno. La neurolisi si completa in 10-15 giorni.


Il blocco del plesso celiaco ha una finalità antalgica nel caso di neoplasie dell'addome superiore e nelle pancreatiti acute e croniche. La neurolisi con alcol riesce ad eliminare il dolore nei casi resistenti a morfina. La sede è tra l'arteria celiaca e la arteria mesenterica superiore, in corrispondenza del corpo della prima vertebra lombare. E' necessario disporre di un m.d.c. e di un amplificatore di brillanza per verificare la posizione dell'ago. L'effetto massa del tumore può deviare i rapporti, per questo motivo è indicata la guida TAC alla neurolisi, che consente di visualizzare per bene la sede di ingresso dell'ago, la sua angolazione e la lunghezza del percorso. Prima di iniettare l'alcol si iniettano 4-5 cc di anestetico locale. La neurolisi si completa in 2-3 giorni.


Il blocco del simpatico cervicale (o del ganglio stellato) è indicato in condizioni vasculopatiche, nell'herpes zoster a carico del collo, arti superiori e regioni toraciche, nell'arto fantasma, nella distrofia simpatica riflessa. Il ganglio è posizionato sul processo trasverso della 6°-7° vertebra cervicale, in linea con la cartilagine cricoide, dietro il ventre dello sterno-cleido-mastoideo e con stretti rapporti con il fascio vascolonervoso del collo. Si iniettano solo anestetici locali. Complicanze sono il blocco del nervo laringeo inferiore (raucedine temporanea, completamente reversibile), la sindrome di Claude-Bernard-Horner (enoftalmo, miosi, ptosi palpebrale), ematoma, lesioni del plesso brachiale, lesioni pleuro-polmonari, iniezione epidurale o subaracnoidea (attraverso un forame intervertebrale), iniezione intra-arteriosa o nella giugulare interna.


Bibliografia



Appunti e lucidi delle lezioni




E' il titolo di uno dei lucidi che il Prof. mostra a lezione

Anche i lucidi sono un po'confusi

Tyr-Gly-Gly-Phe

Peraltro queste sostanze, derivando tutte dalla POMC, hanno gli stessi andamenti di [ ] nelle 24 ore, per cui, come l'ATCH, la b-endorfina ha i suoi livelli minimi nel sonno, e i massimi al risveglio

Sicuramente questa espressione è da preferirsi a "per quanto riguarda", abusatissima agli esami

Probabilmente anche per motivi religiosi (cfr. le lezioni del prof. Pierri)

Rizotomia significa taglio delle radici

I recettori e non sono stati inclusi nella precedente tabella, pur essendo anch'essi molto importanti e studiati

Alcuni oppioidi sono usati come antidiarroici; essi sono la loperamide e il difenoxilato

Si racconta che gli dei olimpici regalarono a Morfeo un letto che aveva la straordinaria capacità di far addormentare immediatamente chiunque vi si fosse sdraiato

Il prof lascia intendere che forse la valutazione non è esatta; è prudente non riferire agli esami questa percentuale






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