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Questione Industriale - L'organizzazione scientifica del lavoro ovvero il taylorismo

management



Questione Industriale


L'organizzazione scientifica del lavoro ovvero il taylorismo


Frederick Taylor fondatore del taylorismo, applicò e diffuse le sue proposte per la cosiddetta "organizzazione scientifica del lavoro". Il suo metodo è scientifico perché è basato su analisi sistematiche, comparate e con misure esatte di tutti gli aspetti della produzione e perché si oppone all'empiria dei capireparto tradizionali discendendo direttamente dalla direzione centrale la quale deve centralizzare il potere, razionalizzare i metodi produttivi e stabilire gerarchie ferree.

-Attualmente quando si parla di taylorismo ci si riferisce a lavori ripetitivi, parcellari e standardizzati dove la mancanza di discrezionalità e di contenuti intelligenti è imposta come condizione necessaria per ottenere una produzione intensa e uniforme.


Il successo del taylorismo fu dato dalla determinazione di perseguire tre obbiettivi fondamentali:

  1. accentrare e razionalizzare le linee di autorità all'interno dell'impresa;
  2. aumentare la produzione e il rendimento degli operai e degli impianti attraverso la riorganizzazione e la trasparenza dei costi, dei tempi e dei metodi di lavoro;
  3. usare la scienza come criterio di azione e come base delle nuove proposte.



Verso fine '800 scienza e tecnica permettevano di progredire lungo tre dimensioni per una produzione industriale moderna:

  1. la standardizzazione dei prodotti e dei mezzi di produzione attraverso il perfezionamento dei metodi di misurazione;
  2. l'avvio alla produzione sistematica di pezzi intercambiabili che avrebbe portato ad un aumento della praticità ed economicità d'uso dei prodotti industriali che assieme alla standardizzazione poneva le basi p 616h78g er una produzione di larga serie;
  3. la specializzazione delle macchine utensili.

  • I progressi tecnologici si accompagnarono al progressivo ingrandimento dei complessi industriali. Espansione produttiva e fusione tra imprese facevano imboccare la strada giusta che avrebbe condotto al gigantismo industriale. L'espansione dell'industria esigeva una richiesta sempre più larga di manodopera che i membri del proletariato industriale non erano in grado di soddisfare. Si ricorse al reclutamento di masse di estrazione contadina per lo più provenienti dai paesi più poveri, i quali erano quasi tutti privi di una qualifica professionale e caratterizzati da un'alta mobilità, in quanto le imprese non assicuravano l'impiego, ma anche perché gli operai erano sempre alla ricerca di un lavoro migliore.
  • I sistemi tradizionali della conduzione aziendale erano l'empiria e l'arbitrio che venivano utilizzati dai capireparto per stabilire tempi e metodi di produzione, accertare i costi e la qualità del lavoro e assumere, utilizzare e licenziare la manodopera.
  • Il sistema con cui si otteneva la produzione in fabbrica è conosciuto come drive system, un metodo con il quale gli operai erano spinti a lavorare più velocemente e quindi più duramente. Ad essi non era riconosciuto nessun merito per il lavoro svolto e venivano posti sotto pressione allo scopo di8 aumentare la produzione.
  • I contrattisti erano operai qualificati che lavoravano all'interno dell'officina con il ruolo di dipendenti e piccoli imprenditori. L'impresa forniva loro i locali,i materiali, l'energia e le macchine,mentre i contrattisti svolgevano per essa un dato ammontare di lavoro ad un prezzo fisso ed entro un certo periodo di tempo. Spettava ai contrattisti assumere manovali e aiutanti che diventavano  loro dipendenti diretti.



L'Osl conduce alla fine dell'impero dei capireparto, i quali devono trasformarsi in capi intermedi. Essi dovranno essere giudicati non più per il dominio esercitato sui sottoposti, ma per la loro conformità agli ordini dei superiori. I capi intermedi sono legittimati a comandare in ambiti stabiliti e limitati dall'alto; agiscono come rappresentanti legali della direzione e non più come espressione di un semplice arbitrio e di un potere senza controllo.

Secondo Taylor l'attenzione degli operai e degli imprenditori è rivolta alla divisione del surplus prodotto con il lavoro, i primi attraverso i salari, i secondi attraverso i profitti. I conflitti sociali si innescano per la limitatezza delle risorse disponibili, che secondo Taylor possono essere superati attraverso l'Osl. E' necessario che essi collaborino l'uno con l'altro adoperando mezzi scientifici e non attraverso la lotta di classe che Taylor definisce soldiering e ne individua 3 cause:

  1. l'errata convinzione che un aumento della produttività porti a una perdita per un ampio numero di persone;
  2. i sistemi imperfetti di organizzazione che conducono gli operai a lavorare ad un ritmo lento al fine di tutelare i propri interessi;
  3. l'inefficienza dei metodi empirici nelle aziende che portano a uno spreco dello sforzo produttivo.

Secondo Taylor il lavoro operaio è talmente vasto e complesso che non può essere conosciuto nemmeno dal più esperto operaio di mestiere. Occorre uno studio apposito da condurre con metodologie scientifiche, organizzato e promosso dalle direzioni aziendali. Per ottenere risultati ottimali, una moderna direzione d'impresa deve assumere su di sé gran parte dei compiti che fino allora venivano lasciati agli operai. Questi devono limitarsi ad eseguire in modo scrupoloso e sistematico il task, cioè tutto ciò che la direzione attraverso i suoi tecnici ha stabilito. La completa trasparenza di ciò che realmente avviene nel processo produttivo è il primo passo per la programmazione produttiva, e questa a sua volta va inclusa in una riorganizzazione totale.


I principi essenziali dell'Osl sono:

  1. studio scientifico dei migliori metodi di lavoro in rapporto alle caratteristiche dei lavoratori e delle macchine;
  2. selezione e addestramento scientifico della manodopera;
  3. instaurazione di rapporti di stima e di cordiale collaborazione tra direzione e manodopera;
  4. distribuzione uniforme del lavoro e delle responsabilità tra amministrazione e manodopera.

Alla base dell'Osl vi è il principio metodologico del one best way che consiste nel presupposto che per ogni problema esiste sempre una sola soluzione ottimale, e che tale soluzione può essere raggiunta soltanto mediante l'adozione di adeguati metodi scientifici di ricerca.



  1. Secondo Taylor le prescrizioni che portano a decomporre il lavoro umano e a ricostruirlo in base a principi dettati dall'esterno sono:
  • selezione di un gruppo sperimentale di 10-15 lavoratori abili nel lavoro da analizzare;
  • scomposizione e analisi dei singoli movimenti in rapporto ai tempi di esecuzione, posizione fisica, forma, peso, frequenza d'uso degli attrezzi;
  • correzione ed eliminazione dei movimenti "falsi inutili e pigri" perché irrazionali rispetto allo scopo per cui sono eseguiti;
  • ricomposizione del comportamento lavorativo in base al montaggio dei singoli movimenti risultati più razionali;
  • standardizzazione degli utensili e delle attrezzature;
  • fissazione di un tempo teorico di lavorazione in base alla somma dei tempi registrati per i singoli movimenti;
  • addestramento del gruppo sperimentale dei lavoratori all'esecuzione del compito affidato secondo la nuova procedura;
  • osservazione sistematica dei tempi impiegati;
  • calcolo dei coefficienti di correzione del tempo teorico.



Taylor chiama il nuovo metodo task management. Ogni giorno verrà stabilito un dato ammontare di lavoro che dovrà essere eseguito dai lavoratori senza apportarvi né diminuzioni né aumenti. Il ritmo ottimale del lavoro è quello per cui un lavoratore al termine della giornata avverte il bisogno di riposarsi senza sentirti affaticato. Questo metodo venne applicato agli addetti al carico e scarico di materiali pesanti. Per far accettare il nuovo metodo Taylor propone una politica di alti salari. La paga più alta viene considerata come un premio di rendimento che percepirà integralmente solo chi esegue per intero la produzione fissata e secondo i metodi previsti. In caso di mancato raggiungimento del task il lavoratore subirà una diminuzione proporzionale del salario. Il nuovo sistema favoriva l'omogeneizzazione della manodopera nella categoria intermedia dei semiqualificati, ma ciò poteva condurre anche a proteste collettive. Per ovviare a tale problema, Taylor diede una notevole importanza ai lavori individuali e alle paghe personalizzate.


  1. L'assegnazione del lavoro ai dipendenti deve rispettare criteri scientifici: secondo Taylor bisognava posizionare l'uomo giusto al posto giusto. Allo scopo di pervenire a una organizzazione scientifica del lavoro è necessario utilizzare gli operai di prima categoria. Secondo Taylor ciascun individuo sa svolgere nel modo migliore una data mansione, ma ci sono anche soggetti inoperosi per i quali non c'è posto nell'Osl e vanno rigettati ai margini del mercato.

  1. Il meccanismo principale per ottenere il consenso operaio all'Osl è la ricompensa economica, ma secondo Taylor non è sufficiente; risultano necessari dei contatti diretti tra direzione e operai, i quali potranno favorire contratti di lavoro individuali ed evitare la contrattazione collettiva con i sindacati per i quali Taylor si oppone.

  1. Secondo Taylor l'efficienza di un'officina dipende dalle sue ristrutturazioni interne e dalla riorganizzazione radicale dell'intero apparato direttivo dell'impresa. Quest'ultima viene attuata restringendo l'arco delle responsabilità affidate ai singoli soggetti, e quindi ovviando al problema della scarsità di individui con alte capacità di comando che Taylor definisce molto rare nel mercato del lavoro. Il restringimento dei campi di competenza si accompagna ad un aumento numerico dei capi intermedi e al fatto che la direzione centrale prestabilisce norme e procedure sulle prestazioni lavorative. I capi intermedi risponderanno del loro operato a diversi superiori responsabili ciascuno di un diverso aspetto lavorativo. All'interno dell'azienda il passaggio delle informazioni ai livelli superiori e le richieste di intervento devono essere regolate secondo il principio di eccezione, mediante il quale Taylor estende ai livelli direttivi superiori gli incidenti per i quali non è prevista una competenza a livello inferiore.









Dopo Taylor. Nascita e fortuna delle "Relazioni Umane"


In opposizione al taylorismo vi sono delle posizioni contrastanti che considerano il taylorismo come uno strumento per intensificare lo sfruttamento del lavoro operaio.

-Secondo una critica marxista il cui esponente più noto è H. Braverman, il taylorismo viene visto come espressione organica del capitalismo monopolistico. Questo regime determina la tendenza di una progressiva degradazione del lavoro umano attraverso la crescente separazione tra lavoro intellettuale e manuale. Tale situazione può cambiare solo con la fine del capitalismo.

-Secondo la critica umanistica rappresentata da G. Friedmann, la soluzione dei problemi umani provocati dall'applicazione del taylorismo in un contesto di macchinismo industriale spinto, si trova nel recupero del significato da dare al lavoro. L'ideale a cui tende Friedmann è una sviluppata democrazia industriale in cui le esigenze di profitto si accompagnino al rispetto dei valori umani e sociali delle componenti che partecipano al processo produttivo.

-Secondo una critica neo-marxista che affronta il tema della crisi della razionalità nel tardo-capitalismo, la legittimazione dell'agire in nome della scienza è un'apparenza dietro la quale si cela la reale dimensione politica delle scelte conformi al potere costituito.


La teoria della contingenza contesta l'esistenza del one best way immutabile e universale nella progettazione organizzativa e sottolinea la necessità che i ruoli di lavoro e le strutture dell'impresa cambino in funzione del maggiore o minor grado di turbolenza dei fattori ambientali.


Un paradosso nella storia del taylorismo è che mentre cresceva il suo successo delle fabbriche, crescevano anche le voci che denunciavano i limiti e ne reclamavano il superamento. Tali limiti cominciarono ad essere denunciati nelle ricerche di psicologia industriale a partire dagli anni '20. Le critiche al taylorismo riguardavano la mancata attenzione agli aspetti psicologici del lavoro e la corrispondenza tra incentivo monetario ed esecuzione passiva di un lavoro privo di senso.

Le Relazioni Umane furono criticate per il carattere limitato e strumentale delle loro proposte che non affrontarono il problema dei contenuti reali del lavoro ma si limitavano di fatto a interventi psicologici sui dipendenti.


I primi studi di psicologia industriale erano basati sulla fatica e sulla monotonia. Secondo Taylor si poteva stabilire una soglia standard di fatica valida per tutti gli addetti ad una data mansione, ma ciò contrastava col fatto che la reazione dei soggetti agli stessi sforzi è diversa in rapporto allo stato fisico, mentale, in base all'età e al grado di soddisfazione. Quindi ci si accorse che non è possibile stabilire dall'esterno una soglia oggettiva e universale della fatica, ma che tale soglia è radicata nella soggettività delle persone. Fatica e monotonia sono legati da complesse interazioni. Entrambe provocano un rallentamento dei ritmi lavorativi e uno scadimento dell'attenzione.


Wyatt, Fraser e Stock dimostrarono che la noia poteva essere evitata o ridotta in due condizioni: quando il lavoro è provvisto di significato e responsabilità in modo tale da concentrare l'attenzione di chi lo esegue, e quando il lavoro è così meccanico e semplice da richiedere la minima attenzione e da permettere di pensare anche ad altro. In conclusione alla loro ricerca, i tre autori proposero cinque rimedi per combattere la monotonia sul lavoro:

  1. la rotazione di attività nel corso dello stesso turno lavorativo;
  2. la retribuzione a cottimo;
  3. organizzazione del lavoro in modo da favorire nell'operaio la percezione della propria attività;
  4. collocazione degli operai in modo che si formino gruppi spontanei;
  5. introduzione di turni di riposo nei turni di lavoro.


Elton Mayo è il principale esponente della scuola delle "Relazioni Umane". Tra gli anni '40 e '50 si verificò un fenomeno di consonanza cognitiva. Negli USA vi era una diffusa propensione ad abbracciare un sistema di convinzione che attenuasse il contrasto tra la durezza delle prescrizioni che regolavano il lavoro subalterno in un'economia di mercato e la nobiltà dei valori umani esaltati nella democrazia americana. Il successo delle Relazioni Umane attiene più ad un'analisi di sociologia della consonanza.


Nel 1924 la direzione degli stabilimenti della Western Electric Company di Hawthorne promosse un programma di ricerche sperimentali sul grado di connessione esistente tra illuminazione e rendimento. L'aumento della luce, indusse un aumento della produzione. Tale programma durò dal 1927 al 1932 nel corso dei quali, vennero effettuate tre ricerche.


1) La prima era basata sui fattori formali e informali del rendimento operaio. Scopo di tale ricerca fu di accertare se i fattori più efficaci nello stimolare il rendimento operaio siano di natura economica o psico-sociale. Cinque operaie addette al montaggio dei relé telefonici furono trasferite in un apposito locale munito dei materiali per svolgere il loro lavoro e ad esse si aggiunse un osservatore in rappresentanza della direzione. L'esperimento durò due anni e fu articolato in 13 periodi ciascuno dei quali caratterizzati da una modificazione dell'orario e dall'introduzione di pause all'interno del turno lavorativo. Da tale ricerca si dedusse che l'aumento del rendimento operaio dipende soprattutto dall'instaurarsi di un supervisore amichevole e dall'introduzione di pause di riposo; l'incentivo economico calcolato sul lavoro di gruppo ha solo un effetto modesto. Tale ricerca fu ampiamente criticata per le grandi scorrettezze di metodo e le interpretazioni infondate dei risultati. Gli aumenti della produzione risultano dagli interventi disciplinari da parte dei supervisori nei confronti delle operaie, dall'introduzione di pause di riposo, e all'inizio della crisi economica del 1929 ci fu un aumento della produzione che fu attribuito alla paura che l'azienda licenziasse per prime le operaie meno produttive.


2) La seconda era basata su interviste riguardanti i motivi di lamentela e soddisfazione dei dipendenti aziendali. Un' indagine preliminare mostrò che i commenti negativi sull'azienda superavano di gran lunga quelli positivi, e tra le lamentele più frequenti vi erano le paghe basse, la sorveglianza stretta, gli orari di lavoro troppo lunghi e la condizione degli armadietti. In conclusione a tale ricerca, le reazioni estreme degli operai risultano dalle condizioni di lavoro.


3) La terza era basata sui fattori di solidarietà e di antagonismo informale. Scopo di tale ricerca fu quello di verificare le dinamiche informali di un gruppo di lavoro in rapporto all'andamento produttivo. Un gruppo di 14 operai addetti al montaggio di quadri telefonici furono trasferiti in una sala di osservazione. In conclusone a tale ricerca, la restrizione del rendimento risulta l'espressione di norme sociali che agiscono a livello informale per cercare di sfuggire al controllo organizzativo.




Elton Mayo sottolinea la necessità di una visione più completa del rapporto uomo-azienda, che recuperi il cosiddetto fattore umano, cioè l'insieme dei fattori psicologici latenti che condizionano il comportamento manifesto delle persone. E' possibile soddisfare il fattore umano mediante la creazione di un ambiente di lavoro socialmente gradevole e armonico; l'intervento di psicologi aziendali può evitare frustrazioni e ansie agli operai. Secondo Mayo chi protesta contro tale sistema è un disadattato per motivi psicologici. Spetta al management, mobilitare gli uomini per raggiungere i suoi programmi e contemporaneamente sviluppare politiche integrative capaci di soddisfare le esigenze emozionali degli individui.



Mayo cerca di spiegare l'anomia delle società industriali con il concetto di anomia di Durkheim. L'anomia per Durkheim indica una condizione di allentamento delle norme morali che regolano il funzionamento di una società e si manifesta quando il primitivo ordine sociale viene alterato da fenomeni innovativi come l'introduzione di nuovi metodi di produzione, il troppo rapido aumento della ricchezza e la concentrazione di molte persone nello stesso spazio urbano. Secondo Mayo i problemi posti dalla società industriale non possono essere risolti se non vengono instaurati i vecchi valori morali; egli scarta l'intervento politico statale. L'anomia è dovuta alle cosiddette istituzioni secondarie, che per Durkheim sono le più adatte che possano garantir all'uomo un'identità sociale. Ora l'istituzione secondaria più tipica della società è la fabbrica; essa deve garantire programmi sociali che assicurino una identificazione emozionale degli operai con l'azienda. Il lavoro deve essere riorganizzato riunendo gli operai in piccoli gruppi. Le officine, devono saper ascoltare, consigliare e consultarsi con gli psicologi d'azienda in modo da intervenire con tatto in situazioni delicate.


Nonostante le critiche suscitate negli ambienti scientifici, le Relazioni Umane riscossero un prolungato successo nelle pratiche aziendali e secondo alcuni influenzarono negli Stati Uniti l'ideologia manageriale; inoltre la loro insistenza sull'importanza dei rapporti informali acquistava nel tempo un significato sempre più pregnante.

















Chester Barnard. L'azienda come sistema cooperativo

Nel pensiero di Barnard si riflettono due cambiamenti che nella prima parte del XX secolo, interessano il mondo manageriale degli USA e in generale dell'Occidente. Il primo attiene alla storia delle idee e consiste nel progressivo declinare dell'individualismo utilitaristico a favore di una filosofia che considera la società come un'entità cooperativa regolata da principi morali. Il secondo cambiamento riguarda la progressiva distinzione tra proprietà e management; tale distinzione porta all'avvento di una figura sociale nuova, quella dei manager non proprietari.

Nell'opera di Barnard "la funzione del dirigente", l'uomo è un essere caratterizzato dal fatto di proporsi degli scopi per trasformare l'ambiente in cui vive, ma che sperimenta continuamente l'esistenza di limiti. Il modo più efficace per superarli è di passare dallo sforzo dell'individuo isolato alla cooperazione tra più persone. Nel momento in cui cominciano a cooperare per conseguire fini comuni, gli uomini entrano nella realtà delle organizzazioni formali. L'ambizione di Barnard è di sviluppare una teoria valida per qualsiasi tipo di organizzazione.

Barnard riconosce che i rapporti informali creano le condizioni in cui può sorgere l'organizzazione formale, ma i rapporti informali si limitano a favorire atteggiamenti, opinioni, usanze; di per sé sono privi di fini consapevoli, di strutture e suddivisioni interne. Se Mayo vedeva i rapporti informali come l'anima che dà senso e tono alle strutture formali, Barnard restituisce all'organizzazione formale la funzione di sede privilegiata in cui gli uomini stabiliscono una cooperazione nel senso specifico del termine in quanto dotata di scopo consapevole. Inoltre è la stessa organizzazione formale ad essere per Barnard la matrice di nuovi rapporti di tipo informale.

Nel momento in cu il fine comune viene perseguito tramite l'organizzazione formale esso diventa il fine dell'organizzazione, quindi un fine impersonale. Non ci si può limitare a perseguire solo  fini impersonali dell'organizzazione ma vanno tenuti presenti anche moventi dei singoli membri. A tal fine è necessario riuscire a mobilitare consensualmente un insieme di individui per un fine che non è loro e di offrire allo stesso tempo a tali individui, incentivi sufficienti a soddisfare la loro motivazione personale a partecipare.

Ogni partecipante ad una organizzazione può essere visto come dotato di una duplice personalità: organizzativa e individuale. Quella organizzativa riguarda le modalità delle prestazioni che l'individuo svolge. Quella individuale è rilevante per analizzare i moventi del soggetto nell'equilibrio tra il suo contributo all'organizzazione e i benefici che ne ricava.

L'azione organizzativa è caratterizzata da due dimensioni fondamentali: efficacia ed efficienza. L'efficacia di un'organizzazione è sempre definita dal grado con cui essa coordina le risorse umane e tecnologiche per garantire giorno per giorno quelle specifiche prestazioni. L'efficienza è la misura in cui si soddisfano le motivazioni individuali a far parte di un sistema cooperativo. Vi possono essere organizzazioni efficaci ma non efficienti o viceversa; nel primo caso l'organizzazione raggiunge i propri obiettivi ma non soddisfa gli individui che partecipano; nel secondo caso l'organizzazione soddisfa gli individui partecipanti ma a scapito del raggiungimento del fine per cui essa è sorta.




Le soddisfazioni nette che inducono un uomo a contribuire con i suoi sforzi ad una organizzazione derivano dal confronto tra i vantaggi positivi e gli svantaggi che questa comporta.    L'economia degli incentivi ha un dominio di applicazione molto più esteso della sfera economica in senso stretto. Essa è applicabile a qualsiasi tipo di organizzazione in cui si realizzano delle transizioni tra contributi forniti da membri che partecipano e gli incentivi che ricevono come contropartita. Tutti gli incentivi offerti da un sistema cooperativo possono essere distinti in materiali e non materiali. Gli incentivi materiali sono quelli di tipo monetario ma comprendono anche condizioni fisiche generali; quelli non materiali comprendono giustificazioni morali, stima e prestigio e quelle che Barnard chiama condizioni di comunione, cioè "quel sentirsi a proprio agio nei rapporti sociali che è talvolta detto solidarietà, integrazione sociale o sicurezza sociale". Quando parla di incentivi non materiali Barnard si riferisce all'importanza delle gratificazioni fondate sulla dimensione morale dell'agire cooperativo.

Va riconosciuto a Barnard il merito di avere dato il primo contributo alla fondazione di una teoria generale delle organizzazioni, ma la sua analisi presenta anche dei limiti. Barnard non offre strumenti per esaminare le differenze che il contributo dei membri assume a seconda del tipo di organizzazione, e neanche per il trattamento di fenomeni economici rilevanti come la speculazione di capitali, lo sfruttamento di forza lavoro e la contrattazione di affari.

L'economia degli incentivi trae origine dall'assunto liberistico di soggetti individuali che decidono in base a calcoli razionali sulla propria utilità. L'uomo di Barnard calcola, giudica e confronta; oggetto dei suoi giudizi è il significato che egli ricava dalla cooperazione e i benefici materiali sono solo una minima componente di tale significato. E' un uomo che decide soprattutto in base a criteri ispirati da sentimenti morali e da convinzioni. Secondo Barnard la caratteristica di un sistema cooperativo efficace è quella di saper organizzare il contributo dei singoli in modo da ottenere dal loro complesso un valore economico globale che è superiore alla semplice sommatoria. La cooperazione è la base su cui si crea un coefficiente che può moltiplicare il valore dei singoli contributi. Affinché l'intero possa divenire superiore alla somma delle parti è necessario che una direzione generale del sistema cooperativo presieda al coordinamento degli sforzi.

Barnard concepisce l'autorità come una funzione necessaria e legittimata; tanto più l'autorità è di basso profilo, conforme a procedure e rituali, tanto maggiori sono le sue probabilità di essere accettata e di raggiungere i suoi obiettivi. L'autorità presenta due caratteristiche formali. La prima è che la fonte dell'autorità risiede nel fatto di essere accettata da parte dei sottoposti. L'autorità è tanto più efficace quanto più riesce ad ottenere il consenso offrendo incentivi positivi e dotati di valore morale. La seconda caratteristica sta nel fatto che i sottoposti riconoscono un carattere d'ordine a particolari tipi di comunicazioni che provengono da quelle posizioni. Affinché l'autorità sia accettata i detentori di posizioni di responsabilità devono preoccuparsi che i loro comandi siano conformi ad alcun codici di efficacia e di correttezza procedurale. Una condizione fondamentale per la circolazione e l'accettazione degli ordini è il buon funzionamento del sistema di comunicazioni.

l'ordine deve essere capito; le linee di autorità devono essere stabilite chiaramente;

il contenuto dell'ordine non deve contrastare con i fini generali dell'organizzazione;

il contenuto dell'ordine deve essere compatibile con gli interessi legittimi delle persone a cui l'ordine è diretto;

gli individui a cui è diretto l'ordine devono essere in grado di eseguirlo.



L'esercizio dell'autorità ha come obiettivo quello di gestire il rapporto tra contributi e incentivi in modo tale che i sottoposti allarghino la sfera della propria disponibilità ad obbedire ai comandi che servono agli scopi dell'organizzazione. Quanto maggiore è la soddisfazione dei moventi individuali, tanto più estesa sarà l'area delle prestazioni a cui gli individui sono disponibili.

Barnard individua tre principali funzioni del dirigente:

assicurare un efficiente sistema di comunicazioni e costruire una struttura generale di ruoli dove collocare persone adatte a garantire il flusso ottimale delle comunicazioni;

garantire l'acquisizione regolare e costante delle risorse necessarie per il funzionamento dell'organizzazione: risorse intese come membri e come servizi che essi possono fornire, e membri intesi come dipendenti, clienti e fornitori;

determinare i fini dell'organizzazione.

Un buon dirigente è quello che garantisce l'equilibrio attraverso atti discreti e poco visibili piuttosto che quello che decide con atti di imperio. Secondo Barnard le doti di comando di un buon dirigente consistono in una complessità morale e in un senso di responsabilità superiore alla media. Per complessità morale, Barnard intende il riferimento ad un insieme di codici di comportamento pubblici e privati concernenti diverse realtà. Ma quanti più codici morali sono presenti nella personalità di un soggetto tanto maggiori sono le possibilità di conflitti. Per dominare tale situazione provvede il senso di responsabilità, cioè una sorta di meta-codice che negli inevitabili conflitti garantisce l'affidabilità della persona e la sua coerenza ad un principio.


Il declino dell'individualismo utilitaristico a favore di una fondazione etica della società trova la sua espressione nell'agire cooperativo. Per quanto riguarda l'avvento della classe dei manager non proprietari, Barnard è consapevole che quest'ultimi possono scontrarsi non solo con dipendenti ma anche con la proprietà; il management ha bisogno di una legittimazione per portar avanti le sue ragioni e la sua autonomia. Egli quindi elabora una visione più generale dell'azienda dove sono considerate tutte la componenti sociali.

Egli indica nella mediazione tra fini dell'organizzazione e vari moventi di tutti i membri il banco di prova della razionalità etica del management problematica e aperta.



















Le teorie della crescita della personalità


Nel dibattito sui modi in cui uscire dall'afflizione tayloristica si possono individuare due schieramenti, uno che convenzionalmente viene detto volontarista e uno tecnologico. Secondo il primo schieramento, lavori più ricchi di contenuti intelligenti e responsabili procurano maggiore soddisfazione e consentono una crescita della personalità di chi li compie; la tecnologia non predetermina un solo modo di lavorare ma consente margini di libertà che devono essere scoperti e sfruttati per ridisegnare le mansioni con contenuti lavorativi più ricchi del passato. La posizione tecnologica vede il tratto saliente dell'afflizione tayloristica nell'erogazione continua di sforzo in condizioni disagiate e ritiene che la via per superarla sia offerta dal progresso tecnologico con il conseguente aumento della produttività e riduzione della forza lavoro.


La scuola motivazionalista è caratterizzata dall'aver impostato in termini favorevoli all'uomo il rapporto tra organizzazioni e soggetti che vi lavorano. Al primo posto ci sono i bisogni dell'uomo in particolare quello dell'autorealizzazione sul lavoro; le organizzazioni vengono giudicate in base al grado in cui si adattano a questa esigenza. La tesi di tale scuola è che i fini dell'organizzazione possono essere tanto più proficuamente perseguiti quanto più sono soddisfatte le esigenze di crescita personale dei soggetti. Tali esigenze verranno realizzate in ambito lavorativo. L'ipotesi generale della scuola motivazionalista è che al variare dei lavori variano in modo significativo e coerente anche i rapporti sociali sul luogo di lavoro. Quanto più stimolanti sono i lavori, tanto più democratici e diffusi sono i processi decisionali, meno burocratici i controlli, più spontanea la cooperazione di gruppo. I motivazionalisti si propongono di suggerire strumenti operativi che partendo dalle esigenze di autorealizzazione umana giungano a suggerire una riprogettazione generale delle organizzazioni. A. Maslow presenta una teoria in grado di prevedere e comprendere le motivazioni presenti nel comportamento degli uomini. Egli parte dalla premessa che la motivazione di un comportamento nasce dalla tendenza a soddisfare dati ordini di bisogni. Quest'ultimi differiscono tra loro per natura e per grado di complessità. Maslow distingue 5 grandi ordini di bisogni che è possibile collocare lungo una scala gerarchica. Dal livello più basso a quello più alto essi sono:

-bisogni fisiologici (sopravvivenza immediata);

-bisogni di sicurezza (sopravvivenza sul lungo periodo);

-bisogni sociali (esistenza di un ambiente sociale gradevole);

-bisogni dell'ego (aspirazione ad un riconoscimento sociale del proprio status);

-bisogni di autorealizzazione (aspirazione ad un lavoro che arricchisca la dimensione interiore dell'uomo).

Secondo Maslow l'ordine gerarchico dei bisogni stabilisce anche l'ordine di priorità nella loro soddisfazione.








Chris Argyris: il conflitto tra individuo e organizzazione

Per Argyris, autore d'ispirazione motivazionalista, il processo di crescita psicologica dell'individuo consiste nel passaggio dallo stato di infanzia a quello di maturità. Si passa quindi da una situazione caratterizzata da passività, dipendenza, pochi e rituali modi di comportamento, interessi superficiali, prospettive di breve termine, subordinazione familiare e mancanza di consapevolezza di sé, a una situazione totalmente opposta, contraddistinta da attività, relativa dipendenza, pluralità di modi comportamentali, interessi profondi, prospettive di lungo termine, posizione di uguaglianza o superiorità, e crescita di autocoscienza e controllo su se stesso. Non è detto che lo stato adulto venga sempre pienamente realizzato. Un requisito fondamentale della maturità psicologica di un essere umano è quello di non inibire la crescita di altri soggetti verso la loro personale maturità. Secondo tale autore, il modo in cui si impone di lavorare nelle grandi organizzazioni moderne impedisce lo sviluppo di queste caratteristiche e condanna gli uomini a restare in uno stato psicologicamente regredito e infantile. Bisogna creare dei gruppi informali di lavoro che si autogestiscono in modo democratico. Argyris si aspetta dalle organizzazioni che incoraggino lo sviluppo di spazi interni autogestiti con forme di leadership non autoritaria eletta dagli stessi dipendenti. Negli anni '70 Argyris con D. Schön perviene a concepire l'organizzazione come una struttura dove i soggetti non sono soltanto agenti di azione ma anche agenti di apprendimento organizzativo, ossia concorrono attivamente a modificare il modo di vedere la realtà utilizzato dall'organizzazione. L'apprendimento individuale si differenzia dall'apprendimento organizzativo in quanto si ha quando la scoperta e la correzione di un errore resta esperienza dei singoli soggetti e non diviene conoscenza allargata dell'intera organizzazione, mentre l'apprendimento organizzativo prevede il contrario con la modifica della memoria e della mappa cognitiva usata dall'organizzazione. Invece l'apprendimento a giro doppio si differenzia da quello a giro semplice perché la scoperta e la correzione di un errore determinano la modifica della mappa cognitiva. Lo scopo di Argyris resta dunque quello di creare stili di leadership, comunicazione, controllo e autoresponsabilizzazione che favoriscano il più possibile la formazione di personalità mature.

Frederick Herzberg: igiene e motivazione

Frederick Herzberg è l'autore che nella scuola motivazionalista affronta in termini teorici e pratici l'esistenza di due tipi di popolazione: coloro che soffrono le maglie strette dell'organizzazione formale e che reagiscono positivamente a programmi di autorealizzazione, e coloro che in quelle maglie trovano il proprio rifugio e che non apprezzano programmi volti a modificare la routine. Herzberg analizza i fattori di spinta che inducono le persone a lavorare; ci sono fattori igienici cioè che riguardano le condizioni esterne al lavoro, come l'ambiente fisico e sociale, la remunerazione, e fattori motivazionali cioè che riguardano il contenuto interno al lavoro come la capacità di procurare una crescita psicologica della personalità di chi lavora. Secondo Herzberg il miglioramento dei fattori igienici può portare solo a una minore insoddisfazione; per ottenere una soddisfazione reale, occorre agire sui fattori motivazionali. Herzberg afferma che le persone possono essere classificate secondo due diversi atteggiamenti rispetto al lavoro: i ricercatori di "motivazione" e i ricercatori di "igiene". I primi cercano nel lavoro una gioia che dia loro una crescita psicologica. Solo essi possono trovare una reale soddisfazione nel lavoro. Per i ricercatori di motivazione la situazione ideale che Herzberg definisce di salute mentale è quella di un lavoro che soddisfa le esigenze di crescita dell'ego e le esigenze igieniche; se sono soddisfatte solo quest'ultime essi si troveranno in una situazione infelice. I ricercatori di igiene si preoccupano invece degli aspetti esterni del lavoro come ad esempio la remunerazione; vengono definiti "noninsoddisfatti". Essi vengono classificati come inadatti nel caso svolgano lavori provvisti di motivazioni non apprezzate, o come soggetti in condizioni di sofferenza mentale quando svolgono lavori privi dei requisiti ricercati.

Herzberg aggiunge un'altra categoria, detta tipo monastico che corrisponde alle situazioni in cui il soggetto trascura sia la soddisfazione del lavoro che le condizioni igieniche. Secondo Herzberg affinché la crescita psicologica sia effettiva occorre che siano soddisfatte alcune condizioni riguardanti l'esecuzione del lavoro:

  1. ampliamento della conoscenza
  2. incremento delle relazioni nell'ambito delle cose conosciute
  3. creatività
  4. efficacia in condizioni di incertezza
  5. crescita reale
  6. principio di individuazione

Secondo Herzberg Il premio più ambito per un lavoro ben fatto, è il passaggio ad un nuovo lavoro che richiede più talento del primo. I criteri per raggiungere questo obiettivo sono: eliminare le costrizioni inutili, accrescere la responsabilità degli individui nel loro lavoro, dare agli individui compiti specifici che permettano di diventare esperti in un campo particolare di competenze.


Le teorie motivazionaliste si reggono sul giudizio di valore che lavori con forma compiuta, svolti in un clima di collaborazione non competitiva, con leadership non autoritaria e coinvolgimento nelle decisioni sono un bene in sé perché favoriscono la crescita della personalità umana. Affinché questo giudizio di valore sia ascoltato negli ambienti manageriali è necessario dimostrare che lavori ricchi di contenuto e leadership non autoritaria sono una soluzione conveniente alle imprese perché migliorano il clima interno, diminuiscono assenteismo, conflitti e favoriscono prestazioni migliori. Verso la fine degli anni '30, al fine di dimostrare la connessione tra senso e lavoro, leadership democratica ed efficienza aziendale, fu condotta una ricerca sperimentale da Kurt Lewin presso l'Università di Iowa su 3 gruppi di studenti. Il primo era guidato con criteri autoritari, il secondo con criteri democratici e il terzo con criteri permissivi. Inizialmente il primo e il terzo gruppo avevano raggiunto un risultato soddisfacente, ma le pressioni autoritarie e le permissività avevano portato a dei conflitti. Solo il secondo gruppo aveva ottenuto buoni risultati. Con il prosieguo delle ricerche si constatò che contenuti del lavoro e stile di leadership non era sufficienti da soli a spiegare la complessa fenomenologia dei rapporti tra atteggiamenti e rendimento.






















Rensis Likert e gli stili di leadership


Secondo Likert il maggior rendimento dipende sempre e unicamente dalla soddisfazione dei dipendenti e dal loro atteggiamento favorevole all'azienda. Secondo Likert dove i lavori sono più ripetitivi è possibile raggiungere un alto rendimento anche in assenza di soddisfazione da parte dei dipendenti; da questo punto di vista appoggia il taylorismo, ma riconosce anche che ci sono lavori che implicano un grado di creatività, responsabilità e iniziativa, ed è in questi lavori che le regole dell'organizzazione tradizionale tendono ad essere smentite. Tali lavori vengono detti variati e in questi il rendimento è tanto maggiore quanto minore è la pressione esercitata dall'alto, il controllo gerarchico è più distaccato e le reazioni in caso di errore sono orientate a una comprensione dei motivi dello sbaglio. La leadership desiderata da Likert richiede cambiamenti sostanziali nell'intera struttura organizzativa e nel sistema e nel modo di comunicazione. L'autonomia dei collaboratori è un elemento fondamentale nel nuovo modello direttivo. Il capo ideale è colui che riesce a conciliare il rispetto dell'autonomia dei suoi dipendenti con continui e collaborativi scambi di idee. L'organizzazione di lavoro deve essere ristrutturata in modo da favorire una dimensione collettiva, comunitaria e non competitiva tra i suoi membri. Likert sostiene i cosiddetti gruppi di lavoro dotati di un alto grado di lealtà verso il gruppo stesso, di effettive capacità di interazione e con fini che richiedono un alto rendimento. Tali gruppi devono essere collegati dai perni connettori, membri che fanno parte allo stesso tempo di gruppi sovrapposti in modo gerarchico. Essi permettono la specializzazione dei gruppi e la loro interconnessione.

Likert definisce 4 modelli di management:

autoritario-sfruttatorio

autoritario-benevolo

consultivo

partecipativo di gruppo

Secondo Likert il problema di ogni azienda dovrebbe essere quello del progressivo passaggio al modello partecipativo da lui proposto. Questo è un processo complesso che si può attuare solo attraverso lo sviluppo organizzativo di tutti i livelli aziendali e si deve ripercuotere sui modelli mentali e sulle strutture organizzative.




















Nuove professionalità e consenso operaio


Nell'ultimo quarto del XX secolo il passaggio da una società industriale a una società di servizi ha fatto entrate in crisi i grandi temi su cui si era sviluppata la sociologia industriale. L'affiorare di un modello pluralistico dell'industria segnala anche la progressiva perdita di importanza teorica e pratica della questione industriale in quanto tale; tale perdita è legata al passaggio dei paesi più avanzati da società industriale a società di servizi. Tale situazione ha delle ripercussioni nelle aziende di produzione industriale: aumenta la componente terziaria, tecnica e impiegatizia e diminuisce quella operaia, la tecnologia e le conquiste sociali della componente operaia attenuano la specificità delle sue condizioni di lavoro, e i lavori manuali tradizionali vengono ristretti ai settori marginali o trasferiti nei paesi sottosviluppati. I fattori che concorrono al miglioramento sono: progresso tecnologico, maggiore professionalità dei lavoratori, l'affermarsi di rapporti sociali ispirati a maggiore collaborazione e fiducia sui luoghi di lavoro. Tali cambiamenti determinano una profonda trasformazione che causa dei problemi sociali, come: deindustrializzazione, declino industriale, disoccupazione.


Secondo Braverman, il taylorismo con la proposta di separare la progettazione dall'esecuzione del lavoro si pone come la forma organizzativa per eccellenza del capitalismo monopolistico. In un tale sistema, il lavoro umano è destinato a una crescente dequalificazione professionale. Tale tesi diede origine a un dibattito sulla cosiddetta teoria del processo lavorativo (Labour Process Theory) e un programma di ricerche empiriche fu condotto in diversi settori lavorativi con lo scopo di accreditare la tesi del crescente impoverimento dei contenuti professionali del lavoro.

All'interno del campo marxista Andrew Friedman contestò tale tesi. Secondo Friedman per aggirare la resistenza operaia contro i tentativi di dequalificare il lavoro, il management elabora una strategia detta de "l'Autonomia responsabile". Secondo Richard Edwards invece, nel corso del tempo sono cresciute le condizioni che favoriscono il consenso anche se limitato al segmento più forte e centrale della classe operaia, mentre il segmento più debole e periferico è spesso sottoposto a controllo diretto e ad abusi.

Michael Burawoy, rispetto a Braverman, sviluppa un approccio più laico all'evoluzione storica del processo lavorativo. Egli parte dall'analisi di Marx secondo cui la fabbrica capitalistica è concentrata sul prelievo del surplus del lavoro subalterno, ed arriva a sostenere che la logica di sviluppo del capitale consiste nell'assicurare ed oscurare il prelievo del surplus. L'impossibilità di distinguere la quota di surplus che va al capitale dalla quota di lavoro necessario alla riproduzione sociale non è un difetto, ma rappresenta un requisito intrinseco al sistema capitalistico ed è necessario al suo funzionamento. Secondo Burawoy se per ipotesi si potesse calcolare quel surplus saremmo tornati a rapporti di produzione di tipo feudale, dove i servi della gleba lavoravano per il loro padrone e conoscevano a priori la quota di lavoro che veniva loro prelevata perché era conosciuta a priori ed era prefissata a prescindere dall'ammontare del loro raccolto. Riprendendo una espressione di Gramsci, Burawoy sostiene che con l'evoluzione storica del capitalismo, le politiche di produzione passano dal dispotismo all'egemonia, cioè una politica caratterizzata da forza, persuasione, coercizione, consenso, e che fornisce una base ideologica di legittimazione al proprio esercizio accettata anche da coloro su cui il potere è esercitato.


Il consenso operaio è una variabile che dipende dalle politiche di produzione messe in atto dall'azienda. Burawoy decise nel 1974 di fare osservazione partecipante passando circa un anno come operaio in una fabbrica di motori, per dichiarare attraverso la sua esperienza diretta in che cosa consiste una politica di produzione e come si modifica in concreto una politica di produzione nella storia di un'azienda. Lavorò dove aveva lavorato Donald Roy. Quest'ultimo fu autore di alcuni importanti articoli sui fattori che inducono gli operai ad aumentare o restringere la quota di produzione prevista dal cottimo. Egli sviluppò un'analisi del modo in cui il lavoro tende ad acquistare una forma di gioco.

Un insieme di regole sollecitano gli operai a fare il making out, cioè a raggiungere le quote di produzione stabilite come se si trattasse di una sorta di percorso ad ostacoli da eseguire in un certo tempo. Per Roy, vincere al gioco significa avere più tempo libero, acquistare prestigio agli occhi dei compagni e gustare una rivalsa nei confronti della gerarchia di fabbrica. I giochi di produzione sono una spontanea iniziativa operaia dentro gli spazi di libertà, che risultano dall'adattamento delle regole formali dell'azienda alla realtà dell'officina. Tali giochi sono realizzabili anche nei lavori non qualificati e ripetitivi purché gli operai possano ricorrere ad iniziative tali da coinvolgerli in una competizione dotata di senso. I giochi di produzione sono attraversati da un continuo contrasto tra il vantaggio personale di massimizzare la quota prodotta e l'interesse collettivo del gruppo a tenere basse le quote. Il conflitto nasce quando la direzione modifica le regole del gioco in modo che venga giudicato sleale, o quando impedimenti tecnici che l'azienda trascura, compromettono la possibilità di vincere.


Secondo Burawoy il consenso nasce dalla partecipazione del lavoratore alla produzione. Trent'anni dopo il making out, gli operai percepivano salari più alti, e le dispute erano meno frequenti. I capireparto erano meno numerosi e non erano tanto importanti come un tempo. Nel complesso quindi diminuisce l'importanza della gerarchia e aumenta il numero degli operai qualificati che svolgono compiti di autocontrollo prima affidati ai capi.


Burawoy, analizza altri fattori del consenso operaio, come il mercato interno del lavoro e il consolidamento dello Stato interno. In sociologia economica il mercato interno del lavoro rappresenta i movimenti di forza lavoro che avvengono all'interno di un'unità amministrativa regolati da procedure e regole amministrative. Le conseguenze dello sviluppo di un mercato interno del lavoro sono l'allungamento dell'anzianità aziendale e lo sviluppo di una formazione professionale legata alle esigenze e alle tecnologie di una data impresa. La possibilità di cambiare lavoro attraverso un trasferimento interno può funzionare come valvola di sfogo in caso di contrasti. Il consolidamento dello Stato interno invece è l'insieme delle istituzioni che organizzano, trasformano o reprimono i conflitti riguardanti i rapporti di produzione. Lo Stato interno, rappresenta l'istituzionalizzazione di un interesse comune tra management e sindacato, che presuppone la crescita di profitti aziendali. Esso oscura i rapporti capitalistici di produzione nel processo lavorativo costituendo  lavoratori come individui titolari di diritti e doveri.


Nell'analisi di Burawoy, vi sono dei problemi aperti e dei limiti. Una prima questione attiene alla logica di sviluppo del capitale. Burawoy non è riuscito a rispondere ad alcuni quesiti in proposito, cosicché il surplus finisce per restare una realtà di cui si ritiene ancora necessario postulare l'esistenza e che si sottrae all'esperienza fenomenica dei soggetti. Una seconda questione riguarda la natura del consenso dato dal lavoro subalterno. Le ambiguità sulla natura del consenso evidenziano un limite strutturale dell'analisi di Burawoy.  La fabbrica da lui descritta appartiene a una fese produttiva oggi in via di sparizione; la tecnologia automatizzata sostituisce quella appartenente all'epoca della meccanizzazione, e la "produzione snella" sostituisce il tradizionale impianto fordista. L'insieme di queste condizioni fa si che il making out descritto da Burawoy non è più realizzabile, in quanto le quantità di produzione sono prestabilite secondo cadenze incorporate nelle macchine e perché l'organizzazione del flusso produttivo non permette più di giocare sugli accumuli informali di tempo.








Horst Kern e Michael Shumann sostenevano che nel lavoro operaio si stava verificando una polarizzazione tra una maggioranza di lavoratori non qualificati a cui erano affidati compiti di addetto macchina, e una minoranza qualificata a cui erano affidati compiti di manutenzione e regolazione. Quindici anni dopo abbandonarono tale tesi a favori della tesi che le più recenti innovazioni tecnologiche favoriscono una qualificazione professionale generalizzata, con differenze tra i vari settori industriali e le varie fasi del processo produttivo. Essi partono dalla premessa che il capitale è indifferente di fronte alle ripercussioni che la tecnologia provoca sul lavoro umano. La tesi di Kern e Shumann è che la microelettronica e l'automazione flessibile sollecitano una concezione delle razionalizzazione produttiva profondamente diversa dal passato. Ciò avviene per due motivi. Innanzitutto con le nuove tecnologie diventa possibile controllare e integrare aspetti della produzione che nel passato erano scarsamente collegati. In secondo luogo, con le nuove tecnologie si capovolge il modo tradizionale di intendere il rapporto tra produzione e lavoro umano. Il ricorso a tecnologie sempre più avanzate si scontra però con il paradosso che quanto la tecnologia è complessa tanto più essa ha bisogno di lavoro umano altamente professionalizzato per minimizzare i rischi di interruzione. Il consenso operaio trova la sua base nella delega fiduciaria che l'impresa dà ai lavoratori di un lavoro qualificato e responsabile, dentro un quadro istituzionale di garanzie dove il sindacato ha un ruolo rilevante nella tutela collettiva della forza-lavoro e nella partecipazione alle decisioni aziendali. Kern e Shumann verificano le loro tesi con una ricerca su tre principali settori produttivi: quelli dell'auto, delle macchine utensili e della chimica. Analizzando nel dettaglio le fasi della produzione, essi constatano che la riqualificazione del lavoro investe la produzione diretta; questa è la principale novità simboleggiata dalla figura professionale del conduttore di sistema. Egli è un lavoratore altamente qualificato che presiede al funzionamento di un sistema di macchine, che svolge compiti integrati di controllo, di regolarità e qualità, e interpreta i segnali deboli che possono indicare anomalie degli impianti.


Kern e Shumann sostengono che il progresso tecnologico presenta due effetti opposti: migliora le condizioni professionali e ambientali di chi lavora e restringe il numero di coloro che possono beneficiare di questi effetti. I vincenti delle innovazioni sono i lavoratori più giovani e qualificati, mentre i perdenti sono quelli anziani e meno qualificati, e che hanno mansioni diventate inutili nel nuovo regime di produzione.




















Nel post-fordismo: specializzazione flessibile, produzione snella e fabbrica modulare


Il fordismo risale agli anni '10 quando Ford adottò nelle sue officine la catena di montaggio semovente. Tratti tipici del fordismo sono le grandi dimensioni dei complessi industriali e la produzione di massa di beni standardizzati. Negli anni '70 questo modello entrò in crisi per troppa rigidità a favore di un altro definito post-fordista caratterizzato dalla flessibilità dei processi produttivi e dell'impiego della manodopera. Secondo Piore e Sabel la crisi economica delle concentrazioni fordiste rende possibile uno sviluppo diverso basato su un sistema specializzato e flessibile di piccole e medie industrie. Quest'ultime configurano un modello economico e sociologico completo e alternativo a quello della grande industria. Secondo Piore e Sabel, le piccole imprese garantiscono una produzione flessibile e articolata in piccoli lotti, cioè non di serie, mentre le grandi imprese organizzate secondo criteri fordisti possono offrire solo una produzione rigida e di massa che non va incontro alle crescenti esigenze di personalizzazione del consumo. Anche nei sistemi lavorativi ci sono delle differenze: il lavoro operaio proprio perché variato e svolto in ambienti piccoli è più ricco di opportunità professionali e meno anonimo che non nella grande industria. Il distretto industriale è l'espressione socio-economica in cui più tipicamente si realizza il modello alternativo alla grande impresa; è un agglomerato definito geograficamente da piccole imprese e specializzato nella produzione di beni simili. All'interno di esso, le imprese proliferano per imitazione mediante una micro-imprenditorialità diffusa; i rapporti di concorrenza e tutela degli interessi collettivi sono regolati sul piano formale e informale. Istituzioni politico-sociali di controllo e di sviluppo delle capacità tecniche, produttive e innovative sono considerate un patrimonio collettivo interno al distretto industriale.


Negli anni '80 fece il suo ingresso un nuovo regime produttivo, né taylorista né fordista: il modello giapponese. La novità di tale modello consiste in una serie di soluzioni organizzative che consentono di ottenere una produzione flessibile e di alta qualità in misura superiore di quelle precedenti; tali soluzioni investono l'intera strategia d'impresa. Negli anni '40 la casa produttrice di automobili, la Toyota stava attraversando una crisi. Il direttore della Toyota, Tajichi Ohno riuscì a risollevare l'azienda abbassando il punto di profitto dall'economia di scala tipica delle produzioni d grande serie a un'economia di flessibilità basata su produzioni di breve serie, e utilizzando la pratica degli allestimenti veloci che riducevano i tempi da qualche ora a 15-20 minuti. La pratica degli allestimenti veloci portò a superare la tradizionale distinzione tra gli operai addetti all'allestimento dei macchinari e gli operai addetti alla produzione. Il frequente cambio di produzione aveva anche il vantaggio di poter disporre di poco spazio per i magazzini. Procedendo in tal senso si scopersero altri due vantaggi: Il primo è che la produzione a lotti piccoli e diversificati permetteva alla Toyota di rispondere alle variazioni di mercato e alle richieste personalizzate dei clienti con un tempismo ed una flessibilità ignote alle fabbriche di grande serie; il secondo vantaggio provenne dalla scoperta che la produzione a piccoli lotti permetteva un controllo della qualità estremamente più efficace a quello ottenuto nella produzione di massa. Si constatò la convenienza di fermare la produzione immediatamente per eliminare i difetti scoperti piuttosto che lasciar scorrere il flusso produttivo per intervenire sui difetti a fine linea, come prescriveva il modello fordista. Negli anni '80 Womack, Jones e Roos che formavano un gruppo di ricerca, concettualizzarono il modello giapponese, di cui il toyotismo appariva la versione più pura, come "produzione snella".








Il JIT (Just-in-time), è un sistema produttivo che garantisce la continua e perfetta simmetria tra l'offerta dei beni prodotti e la domanda proveniente dal mercato. A differenza della produzione di massa che punta su economie di scala attraverso la fabbricazione prolungato e uniforme di un dato prodotto e il rigido rispetto delle quantità programmate con largo anticipo, il JIT consiste nel produrre e consegnare merci finite al momento giusto e i materiali acquistati per trasformarli nel momento giusto. Il JIT rende possibile far uscire i prodotti in serie brevi e differenziate con aggiustamenti continui alle fluttuazioni della domanda. Per poter funzionare deve essere provvisto di quattro requisiti fondamentali:

  1. eliminazione delle risorse ridondanti, considerate spreco;
  2. coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni riguardanti la produzione;
  3. partecipazione dei fornitori;
  4. ricerca della Qualità Totale.

Le imprese fordiste si preoccupano di avere scorte in eccedenza in modo che se interruzioni o anomalie si verificano in qualche punto del flusso produttivo la produzione a valle possa continuare in attesa che la normalità sa ripristinata. Il modello giapponese richiede meno scorte, meno spazi, meno movimenti di materiale, meno tempi per allestire i macchinari, meno addetti, meno apparati informativi e tecnologie più frugali, opta cioè a una produzione snella. Lo spreco è una categoria concettuale molto vasta, le cui forme non si presentano nello stesso momento e con la stessa evidenza. Uno spreco appare tale quando un altro spreco è già stato eliminato.


Nel fordismo vige una divisione taylorista del lavoro con confini precisi tra le mansioni. Nel modello giapponese, il coinvolgimento dei dipendenti trova la manifestazione più evidente nel cosiddetto principio di autonomazione, ossia nel diritto-dovere degli operai di interrompere la produzione ogni volta che notano delle anomalie, e di segnalarlo attraverso indicatori luminosi in modo che si possa effettuare una correzione immediata. Le mansioni hanno confini poco precisi e i dipendenti sono sollecitati a partecipare alle decisioni riguardanti la produzione.

Koike indica il segreto dell'impresa giapponese nell'altissima capacità intellettuale degli operai; è un'abilità che si manifesta nella soluzione di problemi concettualmente nuovi, posti dalle innovazioni tecnologiche.

Aoki individua l'elemento unificante del modello giapponese nel concetto di coordinamento orizzontale la cui espressione più avanzata è il kanban, un sistema di cartellini posti su recipienti mobili che svolgono la funzione di moduli d'ordine e notifiche di consegna. Su ogni cartellino viene scritto il fabbisogno dei pezzi necessari ad una data posizione di lavoro e questi pezzi vengono prelevati dalla posizione precedente del processo produttivo. Si ottiene in tal modo un meccanismo che coordina le operazioni delle varie posizioni lavorative attraverso informazioni che muovono da monte a valle senza bisogno di ricorrere a sistemi centralizzati d controllo.


Le imprese fordiste costruiscono e assemblano la maggior parte del prodotto all'interno dei propri stabilimenti e per la quota restante si rivolgono a fornitori esterni ma non hanno nessun contratto con uno di loro in particolare riservandosi la possibilità di scegliere altri fornitori in una situazione futura. Le imprese ispirate al modello giapponese, scelgono i fornitori in base alla capacità di collaborare con l'impresa madre in piani di lungo termine. Si forma una fitta rete cooperativa basata su rapporti di fiducia e su contratti di lungo periodo. L'aspetto più visibile di tale rete è rappresentato dall'insediamento dell'impresa madre a breve distanza da quelle fornitrici in modo da garantire rapide e frequenti consegne.






Nelle fabbriche fordiste le produzione di massa impone di dedicare attenzione alla regolarità dei flussi programmati e di considerare la qualità dei prodotti come un problema separato. Di conseguenza si avrà una qualità insoddisfacente e costosa. Le fabbriche giapponesi invece si basano sull'espressione Qualità Totale; essa indica che la ricerca della qualità deve essere presente lungo tutto il processo lavorativo.


Il modello giapponese presenta delle ambiguità e ci si chiede se con esse, tale regime è esportabile. Una delle principali questioni ruota intorno al quesito se in questo modello il lavoro umano diventa realmente più intelligente o più gravoso, in quanto sembra che il modello giapponese sia più tayloristico del regime di Taylor. In realtà si hanno delle differenze. Ohno sostituisce l'one best way di Taylor con il principio della riduzione delle scorte. Un'altra ambiguità sta nel fatto che il JIT rinuncia alla costosa sicurezza fornita dalle risorse eccedenti.


In questi anni alcune imprese europee dell'auto (Fiat, Ford, Renault, Peugeot, Volkswagen) hanno imboccato la strada della produzione snella, che viene interpretata con il termine Fabbrica Integrata. Tali imprese presentano degli elementi comuni: uso di tecnologie avanzate che consentono di evitare o attenuare lo sfruttamento intensivo della manodopera, la ricerca di accordi con il sindacato per il coinvolgimento consensuale della manodopera in proposte di miglioramento, il ricorso a forme di organizzazione modulare della produzione e nei valori tipici della produzione snella. Per quanto riguarda la Fiat, le vecchie squadre di produzione dell'epoca fordista, erano state sostitute dalle UTE (Unità Tecnologiche Elementari), le quali funzionavano come delle minifabbriche dotate di tutte le risorse tecniche  e umane necessarie per svolgere in autonomia i compiti assegnati. La via Toyota ha puntato innanzitutto sul coinvolgimento umano e poi sulla tecnologia, e la via Fiat ha puntato prima sulla tecnologia e solo dopo ha scoperto l'importanza del coinvolgimento umano.


A cavallo tra il 20° e il 21° secolo, presero l'avvio dei processi di terziarizzazione. Per terziarizzazione si intende la cessione ad imprese esterne, di fasi e di servizi integranti del processo produttivo che si svolgono in siti appartenenti all'impresa madre. Tali siti sono anche detti moduli e la fabbrica così organizzata viene chiamata Fabbrica Modulare. Tale fabbrica deve imparare a far funzionare il sistema produttivo mediante la gestione dei contratti stipulati con le imprese terze. Uno dei problemi organizzativi affrontati da Fiat Auto è stato quello di come innestare la Fabbrica Modulare sulla Fabbrica Integrata, in quanto i due modelli si ispirano a logiche diverse.























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