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Teoria delle comunicazioni di massa - DeFleur Ball-Rokeach

comunicazione



Teoria delle comunicazioni di massa

DeFleur Ball-Rokeach


Presentazione

Eterogeneità di matrici disciplinari: fenomeno di "balcanizzazione".

Una chiave di lettura è individuata nel modello concettuale su cui si fonda la teoria della dipendenza dal sistema dei media, formulata dagli autori nel 1976. Questa teoria considera la società come una struttura organica, definita dalle relazioni che intercorrono tra i diversi ordini di sistemi (micro e macro) e in particolare delle relazioni di dipendenza, sia per il conseguimento di obiettivi che per il controllo delle risorse. In questa prospettiva, il sistema dei media costituisce una fonte di dipendenza per gli individui, i gruppi e gli altri sistemi sociali, in quanto controlla massicciamente le risorse comunicative funzionali a raggiungere obiettivi di ordine cognitivo, di orientamento all'azione e di intrattenimento, ma al tempo stesso risulta dipendente dagli altri sistemi sociali, che ne controllano le risorse sul piano normativo, economico e culturale.





PARTE PRIMA: LE ORIGINI DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA

CAPITOLO I. Gli stadi dello sviluppo della comunicazione umana

I mass media influenzano effettivamente i loro pubblici e la società nel suo insieme. Ciò che non comprendiamo è come ed in quale misura.

1. Una teoria delle transizioni

Un modo esplicativo di guardare allo sviluppo umano consiste nell'individuare una serie di "epoche" in cui i nostri progenitori, sia primitivi che moderni, realizzarono successivi progressi nella capacità di scambiare, tramandare, recuperare e diffondere informazione; considerare lo sviluppo dell'umanità dal punto di vista della crescente complessità della comunicazione.

E' proprio la capacità di produrre e controllare sistemi di informazione per l'immagazzinamento, lo scambio e la diffusione di informazioni il punto cardine del cambiamento nella storia umana e nella stessa preistoria.

Teoria delle transizioni: fasi distintive dello sviluppo della comunicazione umana. In sintesi, ciascuna di queste fasi è individuata, rispettivamente, dall'uso organizzato dei segnali, dalla parola, dalla scrittura, dalla stampa, e, infine, dalla comunicazione attraverso gli odierni mass media. L'analisi delle conseguenze della transizione dalle prime fasi alle ultime fornisce un'importante base di partenza per valutare la portata e le implicazioni de 939i85j lla fase in cui l'umanità è entrata all'inizio di questo secolo.

La prima di queste fasi fu probabilmente l'età dei segni e dei segnali (pre-ominidi). In questo tipo di comunicazione giocavano un ruolo determinante le risposte legate all'istinto e all'ereditarietà, mentre i comportamenti comunicativi frutto di apprendimento erano ridotti al minimo. Passarono milioni e milioni di anni prima che venisse adottato qualche sistema standardizzato - ovvero insegnato e appreso - di gesti, di suoni e di altri segnali. Non si trattava ancora di un linguaggio verbale.

Un cambiamento radicale ed improvviso si ebbe quando gli esseri umani entrarono nell'età della parola e del linguaggio. Comparsa dell'uomo di Cro Magnon, un nuovo tipo di homo sapiens tra 90.000 e 40.000 anni fa.

Soltanto 5.000 anni fa ci fu il passaggio all'età della scrittura, che fu inventata in diverse parti del mondo, dai cinesi come dai maya.

Passaggio all'età della stampa (1455 Magonza).

Età delle comunicazioni di massa: inizio del XIX secolo con i media elettrici come il telegrafo, il telefono e i quotidiani. E' più realistico collocare l'inizio dell'età delle comunicazioni di massa all'inizio del XX secolo, con l'invenzione e la diffusione capillare del cinema, della radio e della televisione.

Età dei computer: i computer e le tecnologie ad essi collegate stanno ridefinendo le funzioni e le potenzialità dei nostri mass media.

Per la teoria delle transizioni ciascun passaggio è una fase di un processo di accumulazione e non un periodo in sé distinto e concluso.

La natura dei sistemi di comunicazione di una data società è in stretta relazione con quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana degli individui che ne fanno parte.

Il presupposto, in sé ovvio, è che lo sviluppo della capacità comunicativa è intimamente connesso al progresso degli esseri umani.

1.1 L'età dei segni e dei segnali

Le prime specie di ominidi comunicavano attraverso rumori e movimenti del corpo che costituivano dei segni e dei segnali a tutti comprensibili. La capacità di apprendimento aumentò proporzionalmente al rapporto tra la massa cerebrale ed il peso corporeo.

Il grado di complessità dei messaggi era molto limitato, e, cosa forse ancora più importante, questi sistemi di comunicazione erano particolarmente limitanti per quanto riguarda la comunicazione interiore, cioè l'astrazione ed il pensiero.

Perché non parlavano? I paleoantropologi hanno dimostrato che la posizione della laringe non permetteva di articolare l'incredibile gamma di suoni necessari per sviluppare il linguaggio umano: non parlavano perché non erano fisicamente predisposti per farlo.

Problema della memoria a breve termine: gli psicologi sanno che le persone trovano difficile ricordare i primi elementi di un lungo messaggio trasmesso lentamente.

In generale, quindi, la mancanza del linguaggio verbale rappresentava un limite consistente alla capacità di trasmettere e ricevere insiemi di significato lunghi e complessi. Questa è un'osservazione importante perché i miti, le leggende, le istruzioni più complesse e le interpretazioni degli eventi del mondo fisico sono appunto messaggi lunghi e complessi. Ne deriva che lo sviluppo di una cultura relativamente complessa non era effettivamente possibile in un'epoca basata sulla comunicazione per segni e segnali. La natura della vita sociale del gruppo non poteva essere complessa, soprattutto per le modalità di elaborazione del pensiero. Le regole del pensiero corrispondono alle regole del linguaggio verbale. Pensiero e ragionamento sono manipolazioni interiori del linguaggio (Whorf).

Vediamo così uno dei primi "effetti" della comunicazione: il fatto che i processi di comunicazione non andassero oltre un insieme di suoni, gesti e mimica rudimentali impose limitazioni essenziali e insuperabili alla capacità dei primi uomini di pensare e di operare significative innovazioni. Il risultato fu che il progresso culturale fu molto lento e di portata limitata.

1.2 L'età della parola e del linguaggio

Con l'uomo di Cro Magnon per la prima volta la cultura umana si espresse in modo artistico. I dipinti di Cro Magnon rappresentano forse il primo tentativo di immagazzinare informazioni, una sorta di anticipazione della scrittura. Struttura del teschio, lingua e laringe simili alle nostre. Quando l'uomo di Cro Magnon fece la sua comparsa, la popolazione di Neanderthal era già presente e ben radicata nella stessa area geografica. Quando la popolazione di Cro Magnon sviluppò il linguaggio verbale, acquistò un vantaggio determinante sui suoi vicini. L'uomo di Cro Magnon inventò e trasmise ai discendenti le tecniche per conservare i cibi, per proteggersi dal freddo dell'inverno e in generale per superare gli ostacoli che rendevano difficile la sopravvivenza in un ambiente ostile.

A partire dal 10.000 a.C., mise a punto le tecniche necessarie per diventare agricoltore; quindi domesticazione degli animali. A partire dal 6.500 a.C. prevalsero l'agricoltura stanziale e la vita sedentaria di villaggio.

Lo sviluppo culturale acquistò un ritmo sempre crescente. Quelle popolazioni non impararono solo a lavorare la terra, ad allevare animali e a venerare gli dei, ma svilupparono e perfezionarono anche delle tecnologie importanti come l'uso dei metalli, la tessitura, la ruota, l'arte della ceramica. Il linguaggio si diversificò sempre di più. I vecchi linguaggi si modificarono attraverso le generazioni. La capacità di usare il linguaggio non fu causa diretta di grandi cambiamenti, ma certamente consentì all'esistenza umana di fare passi da gigante. Attraverso la padronanza dei sistemi simbolici gli individui potevano operare classificazioni, astrazioni, analisi, sintesi e ipotesi. Essi potevano ricordare, trasmettere, ricevere e comprendere messaggi di lunghezza, complessità e finezza molto superiori a quelle consentite dalle prime forme di comunicazione.

1.3 L'età della scrittura

La storia della scrittura consiste nel passaggio dalle rappresentazioni pittografiche ai sistemi fonetici, cioè dalla rappresentazione di idee complesse con simboli e disegni stilizzati all'uso di semplici lettere per rappresentare suoni specifici.

I pittogrammi convenzionalizzati. La standardizzazione delle immagini fu il primo passo nello sviluppo della scrittura. Uno stimolo importante allo sviluppo di tali sistemi fu il bisogno di registrare i confini delle terre e delle proprietà e la registrazione degli acquisti e delle vendite. Intorno al 4.000 a.C. fecero la loro prima comparsa in Mesopotamia e in Egitto delle iscrizione apparentemente associate a particolari significati. Le regole venivano inventate e convenzionalizzate, cosicché queste rappresentazioni suggerivano significati specifici. Sviluppando un elaborato sistema di caratteri simbolici detti geroglifici, gli egiziani furono importanti innovatori del sistema pittografico. Erano associati secondo regole che consentivano di veicolare complessi significati standardizzati: ogni simbolo rappresentava una particolare idea, cosa o concetto.

La scrittura fonetica. I Sumeri stilizzarono sempre più le figure rappresentate => scrittura cuneiforme: sistema semplice e veloce per produrre caratteri riconoscibili a cui si potevano assegnare significati specifici senza raffigurare direttamente gli oggetti. Intorno al 1.700 a.C. i Sumeri ebbero l'idea di far corrispondere ciascun simbolo stilizzato ad un particolare suono invece che ad un concetto. L'uso di caratteri per rappresentare le sillabe era il primo passo verso lo sviluppo della scrittura fonetica; facilitò immensamente l'alfabetizzazione. Alla scrittura alfabetica si arrivò in meno di un migliaio di anni. Furono gli antichi greci a sviluppare il sistema di standardizzazione più efficace e a semplificare tutto il sistema. Intorno al 500 a.C. disponevano di un alfabeto il cui utilizzo era molto diffuso.

L'importanza dei media trasportabili. Via via che le società diventarono più complesse, esse cercarono dei mezzi che consentissero di trasportare più facilmente la scrittura. Egiziani 2.500 a.C. papiro; Maya ficus. L'aspetto più importante di questo passaggio dalla pesante pietra ai media leggeri e trasportabili è che apportò un consistente cambiamento sia nella cultura che nell'organizzazione sociale delle civiltà che lo sperimentarono. L'intera struttura istituzionale ne fu influenzata. I grandi cambiamenti che interessarono le istituzioni politiche e religiose furono il risultato della scrittura e della possibilità di registrare e archiviare informazioni. La mente umana fu liberata dal gravoso compito di tenere a memoria intere culture e di riprodurle nelle menti e nella memoria di tutte le generazioni a venire.

1.4 L'età della stampa

Manu scripti: i libri erano a disposizione in un numero estremamente limitato. La stampa portò con sé una trasformazione inimmaginabile: si potevano riprodurre centinaia e perfino migliaia di copie dello stesso libro con grande precisione ed esattezza. La carta iniziò a sostituire la pergamena nel mondo islamico nell'VIII secolo.

La stampa e i caratteri mobili. Gutemberg: stampo in acciaio per ogni lettera, piombo fuso per fare la gettata della lettera, torchio da uva.

La diffusione dell'alfabetizzazione. La disponibilità di libri stimolò un interesse sempre maggiore ad imparare a leggere. Il fatto che la gente normale potesse leggere direttamente nella propria lingua le Scritture si tradusse ben presto in una sfida alle autorità ecclesiastiche ed alle interpretazioni di Roma. Così, un nuovo mezzo di comunicazione aprì la strada alla protesta contro le strutture sociali e religiose.

Si sviluppò una nuova forma di giornale rivolta agli strati più ampi degli artigiani e dei commercianti che costituivano le classi medie e lavoratrici che stavano emergendo nella società urbana e industriale. Penny press: il primo vero medium di massa, tra il 1830 e il 1840 a New York. Intorno agli anni Trenta lo sviluppo tecnologico della stampa e l'idea di fondo del quotidiano si combinarono nel primo vero mezzo di comunicazione di massa.

Due aspetti cruciali: il primo è che il giornale di massa, come gli altri media che seguirono, è un'idea che poté concretizzarsi soltanto dopo che nella società si era realizzato un complesso insieme di condizioni culturali; il secondo aspetto che, come quasi tutte le invenzioni, esso rappresentava una combinazione dei vari elementi culturali in un contesto sociale che consentiva di accettare e diffondere l'adozione del quotidiano come composito fenomeno culturale.

La stampa e la condizione umana. Verso la fine del XIX secolo i nuovi mass media stavano introducendo importanti cambiamenti nella condizione umana. Questi media rappresentavano una nuova forma di comunicazione che influenzava non soltanto i modelli di interazione nelle comunità e nella società, ma anche gli stessi profili psicologici degli individui. Nel 1909 il sociologo americano Cooley evidenziò che le caratteristiche dei media di informazione (a stampa) comparsi nel XIX secolo avevano definitivamente cambiato la struttura mentale di chi li usava.

1.5 L'età delle comunicazioni di massa

Verso la metà del XIX secolo il telegrafo; nei primi dieci anni del nuovo secolo il cinematografo; negli anni Venti si diffuse l'uso domestico della radio e negli anni Quaranta ebbe avvio la televisione.

Due fatti fondamentali: il primo è che le "rivoluzioni" nella comunicazione percorrono l'intera storia dell'umanità; il secondo aspetto è che l'ascesa dei mass media è un fenomeno davvero molto recente, i cui principali passaggi si concentrarono nell'arco di vita di gran parte della popolazione odierna.

2. La ricerca sulla natura e l'influenza delle comunicazioni di massa

Ogni volta che un nuovo mezzo di comunicazione è comparso sulla scena è diventato immediatamente oggetto di polemiche e dibattiti. Uno dei compiti principali degli studiosi delle comunicazioni di massa è quello di accumulare evidenze scientifiche circa l'impatto dei media sulle loro audiences. Fino a che i risultati delle ricerche non daranno prove convincenti che i media sono o non sono la causa degli effetti indicati dai loro critici o sostenitori, le polemiche continueranno ad infuriare.

Un altro importante compito che deve essere affrontato dagli studiosi della comunicazione è quello di spiegare la natura fondamentale del processo della comunicazione umana. Questo libro dedica molto spazio alle teorie che definiscono la comunicazione umana come un processo bisociale dipendente non soltanto dalla memoria umana ma anche da altri fattori come la percezione, l'interazione simbolica e le convenzioni culturali dei linguaggi specifici. Il libro affronta anche il nesso tra le comunicazioni di massa e questi processi di base.

Un ulteriore compito è quello di fornire i dati necessari per valutare le conseguenze dell'uso dei sistemi di comunicazione di massa in diverse condizioni di controllo e proprietà. In altri termini, la struttura degli stessi mass media può assumere diverse forme a seconda delle strutture politiche, del sistema economico e del contesto storico-culturale.

2.1 Le questioni centrali

La definizione della natura e dell'influenza delle comunicazioni di massa si concentra su tre punti essenziali:

Qual è l'impatto di una società sui suoi mass media? Quali sono state le condizioni politiche, economiche e culturali che hanno portato i mass media ad assumere la forma attuale?

Come si realizza la comunicazione di massa? In che misura differisce dalla comunicazione più diretta, di tipo interpersonale: in modo sostanziale o soltanto nei dettagli?

Quali conseguenze ha sulle persone l'esposizione alla comunicazione di massa? Come le influenza, socialmente e culturalmente?

Per diverse ragioni gran parte della ricerca sulle comunicazioni di massa si è concentrata in passato sulla terza domanda.

2.2 I paradigmi sociali: l'organizzazione della società

La ricerca sui processi e gli effetti delle comunicazioni di massa deve essere guidata da un insieme di ipotesi di base circa la natura della società, dell'individuo e della relazione tra questi due oggetti.

Le ipotesi che costituiscono un paradigma sono in realtà postulati. I principali paradigmi disponibili agli studiosi della comunicazione includono insiemi di assunti derivanti principalmente dalla psicologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia. I quattro postulati di derivazione sociologica più importanti per lo studio delle relazioni tra media, società e comunicazioni di massa sono quelli che attribuiscono un ruolo centrale:

ai processi con cui una società si mantiene stabile (struttural-funzionalismo);

ai processi con cui essa cambia nel tempo (evoluzionismo sociale);

alla natura ed al significato del conflitto sociale (modello del conflitto sociale);

alle forme dell'interazione personale tramite cui gli esseri umani scambiano i significati (interazionismo simbolico).

Se l'attenzione della ricerca sulla comunicazione si concentra al livello del comportamento individuale, allora si adotta di solito uno dei paradigmi psicologici: dalle teorie dell'apprendimento di tipo comportamentale alle formulazioni psicoanalitiche. Tuttavia, quello più usato nella ricerca sulla comunicazione è il paradigma cognitivo, che assegna particolare importanza a concetti come gli atteggiamenti, le convinzioni, le percezioni, i bisogni e le gratificazioni.

Lo struttural-funzionalismo. L'idea che l'organizzazione o la struttura di una società sia la fonte della sua stabilità è antica quanto la filosofia sociale: Platone stabilì un'analogia tra la società e un organismo, inteso quale sistema di parti collegate in un equilibrio dinamico. Comte, Spencer, Durkheim, Malinowski, Radcliffe-Brown, Merton, Parsons.

Il termine struttura si riferisce al modo in cui sono organizzate le attività ripetitive di una società. Il termine funzione si riferisce al contributo che una particolare forma di attività ripetitiva dà al mantenimento della stabilità o dell'equilibrio della società.

Merton nel 1957 sintetizzò i postulati dello struttural-funzionalismo sulla natura della società:

Una società può essere considerata come un sistema di parti interrelate: essa è un'organizzazione di attività interconnesse, ripetitive e strutturate.

Questa società tende naturalmente ad uno stato di equilibrio dinamico; se si verifica disarmonia, si creeranno delle forze tendenti a recuperare la stabilità.

In una società, tutte le attività ripetitive contribuiscono al suo stato di equilibrio. Detto in altri termini, tutte le forme continuative di azione strutturata contribuiscono a mantenere la stabilità del sistema.

Almeno una parte delle azioni formalizzate e ripetitive presenti in una società è indispensabile al mantenimento della sua esistenza. Ciò significa che ci sono fattori funzionali che soddisfano bisogni essenziali del sistema, senza i quali esso non potrebbe sopravvivere.

I media e il processo delle comunicazioni di massa sono azioni ripetitive e strutturate che hanno luogo nel sistema sociale in cui operano. I rapporti di dipendenza strutturale esistenti tra i media e gli altri sistemi sociali riguardano non soltanto il funzionamento quotidiano della nostra società ma influenzano anche il modo in cui gli individui usano i media nella vita di tutti i giorni.

La prospettiva evoluzionista. Uno dei più vecchi insiemi di postulati sulla natura fondamentale della società è centrato sul cambiamento. Il paradigma evoluzionista fu formulato negli anni di fondazione della sociologia. Questo paradigma è strettamente legato alla cosiddetta analogia organica. Dalla formulazione classica di Spencer derivò una posizione politica improntata al laissez-faire. Tentativo di spiegare il cambiamento sociale attraverso un insieme di leggi naturali. I meccanismi sociali del cambiamento che ricorrono più spesso nel paradigma evoluzionista sono la selezione naturale, la sopravvivenza del più adatto e l'ereditarietà delle caratteristiche acquisite. Possono spiegare l'inclusione nella società di nuove forme standardizzate di comportamento e la scomparsa delle forme originarie della cultura tramandata di generazione in generazione (es. coppie di fatto o industrie multinazionali).

Paradigma evoluzionista:

La società può essere considerata come un insieme di parti interrelate: essa è un'organizzazione di attività interconnesse, ripetitive e formalizzate.

Questa società è in continua trasformazione e le sue forme sociali diventano sempre più differenziate e specializzate.

Le nuove forme sociali sono inventate o prese a prestito da altre società da individui alla ricerca delle soluzioni più efficaci per raggiungere gli obiettivi per loro importanti.

Quelle forme sociali che in effetti facilitano il raggiungimento degli obiettivi individuali e che non sono in contrasto con i valori preesistenti, vengono adottate, mantenute ed entrano a far parte stabilmente della società, nel suo processo di sviluppo, mentre le forme meno efficaci vengono abbandonate.

Lo sviluppo delle comunicazioni di massa è stato un processo evolutivo sia sul piano tecnologico, meccanico e scientifico, sia per quanto riguarda le forme sociali necessarie ad utilizzare efficacemente quelle tecnologie per raggiungere gli obiettivi considerati importanti da chi nella società ha un ruolo decisionale.

Il modello del conflitto sociale. Si basa sull'assunto che il processo sociale più importante non sia la stabilità e neppure l'evoluzione, bensì il conflitto. Il principale motivo di interesse nasce dalla obiettiva difficoltà del modello struttural-funzionalista a spiegare il cambiamento sociale. L'idea secondo la quale attraverso la soluzione dei problemi si realizza qualcosa di nuovo, prese il nome di processo dialettico. Hobbes, Hegel, Marx, Engels: le idee di conflitto sociale e di processo dialettico furono sistematizzate in un'analisi del cambiamento sociale. Una delle formulazioni più chiare del modello del conflitto sociale fu espressa da Dahrendorf nel 1958:

Una società può essere considerata come un insieme di categorie e gruppi di persone i cui interessi personali sono molto diversi gli uni dagli altri.

Tutte queste componenti della società cercano di perseguire i propri interessi in concorrenza con gli altri oppure di difenderli, contrastando o resistendo all'azione concorrente degli altri.

Per una società così organizzata, il conflitto è un'esperienza costante in quanto le sue componenti cercano di acquisire nuove posizioni o di difendere i propri interessi. Il conflitto è quindi pervasivo.

Dal processo dialettico che si instaura tra interessi contrastanti e concorrenti deriva un costante processo di cambiamento: le società non sono in uno stato di equilibrio, ma, al contrario, sono in continua trasformazione.

In America i mass media sono imprese fondate sulla concorrenza e finalizzate a produrre profitti. Il modello ed il funzionamento delle comunicazioni di massa in America sono costantemente rimodellati. Il modello del conflitto sociale offre un paradigma teorico particolarmente efficace per concettualizzare e studiare gli aspetti significativi del nostro mutevole sistema delle comunicazioni di massa.

L'interazionismo simbolico. Un altro modo di considerare l'ordine sociale consiste nel mettere al centro dell'attenzione il ruolo cruciale che il linguaggio ha rispetto allo sviluppo e alla conservazione della società nonché per la strutturazione delle attività mentali individuali. Questo è un approccio più psico-sociologico, in quanto enfatizza le relazioni tra le attività mentali degli individui e il processo sociale del comunicare. Verso la fine del Seicento, John Locke disse: "il linguaggio è il grande strumento e il vincolo comune nella società". Kant: gli esseri umani non reagiscono al mondo esistente come realtà oggettiva, ma al mondo che essi costruiscono nella loro mente. Dewey, James, Peirce: nella loro prospettiva gli uomini formano collettivamente delle idee sull'ambiente circostante e agiscono di conseguenza. Uno dei loro assunti di base era che il senso degli oggetti o delle situazioni stesse non nella loro natura oggettiva ma nel comportamento degli individui nei loro confronti.

Cooley sviluppò il concetto, decisivo per la contemporaneità, secondo cui l'individuo acquisisce la propria natura umana e non la eredita geneticamente. Mead sviluppò un'elaborata analisi della centralità dei simboli linguistici nella vita umana individuale e collettiva.

La società può essere considerata come un sistema di significati. Gli individui condividono un patrimonio comune di significati legati ai simboli della lingua e da questa attività interpersonale derivano le aspettative - stabili e ugualmente condivise - che guidano il comportamento secondo modelli prevedibili.

Dal punto di vista del comportamento, sia le realtà sociali che quelle fisiche sono costruzioni di significati (singolarmente) definiti. Come conseguenza della partecipazione individuale e collettiva di ciascuno all'interazione simbolica, l'interpretazione della realtà del singolo individuo è allo stesso tempo convenzionalizzata e individualmente interiorizzata.

I legami che uniscono gli individui, le idee che gli uni hanno degli altri e le loro convinzioni su se stessi sono costruzioni di significato personali che risultano dall'interazione simbolica. Così, le opinioni soggettive che gli individui hanno degli altri e di se stessi diventano i fatti più importanti della vita sociale.

La condotta individuale in una certa situazione è guidata dal modo in cui la situazione è stata classificata e dai significati che gli individui vi associano. Così, il comportamento non è una risposta automatica a stimoli di origine esterna ma è il prodotto di una costruzione soggettiva circa il sé, gli altri e i requisiti sociali implicati nelle singole situazioni.

I media forniscono delle interpretazioni della realtà che le loro audience interiorizzano. A partire da ciò che leggono, sentono o vedono, gli individui possono sviluppare costruzioni di significato soggettive e condivise per quanto riguarda la realtà fisica e sociale in cui vivono. Così, il loro comportamento personale e sociale può essere in parte modellato dalle interpretazioni fornite dai media in merito agli eventi sociali e ai temi per cui gli individui dispongono di poche fonti di informazione alternative.

2.3 I paradigmi psicologici: l'individuo umano

I paradigmi psicologici sono importanti in quanto concettualizzano possibili spiegazioni delle relazioni tra i messaggi dei mass media e fenomeni come gli atteggiamenti, i modelli percettivi, l'imitazione di modelli di comportamento, l'elaborazione di decisioni e di azioni più esplicite come il voto o l'acquisto. Contribuiscono alla comprensione del perché un certo stimolo può sollecitare una particolare forma di risposta.

Approccio neurobiologico: strettamente legato alla prospettiva comparativa, visione della natura umana che mette l'accento sulla continuità tra l'homo sapiens e le altre forme di vita animale; i modelli di comportamento riscontrati negli animali possono trovare corrispondenza in quelli umani e viceversa => le analogie nascono dai principi biologici comuni a tutti gli esseri viventi.

Dal comportamentismo alla psicoanalisi

Approccio comportamentista: l'accento è posto sull'opposizione tra processi "mentali" e fenomeni osservabili esternamente. Il comportamentismo è la psicologia dello stimolo-risposta (S-R); mira ad esplicitare i modelli di ricompensa e punizione che sono alla base di queste risposte e le modificazioni del comportamento che si verificano quando cambiano le sequenze di ricompensa/punizione.

All'opposto del comportamentismo si situa il paradigma psicanalitico: assegna un posto centrale alle attività mentali dell'individuo ma con particolare attenzione per i processi inconsci. Il sistema psicologico dell'uomo è visto come un insieme di componenti (es, io, super-io) in conflitto tra loro per il controllo del comportamento.

Il paradigma cognitivo. Assegna all'attività mentale degli esseri umani un ruolo assolutamente centrale nella determinazione del comportamento individuale. Diversamente dall'interazionismo simbolico, l'approccio cognitivo non sottolinea con la stessa intensità l'importanza della lingua e dei significati. Esso insiste piuttosto su una varietà di concetti e di processi che si ritiene facciano parte della struttura della personalità di tutti gli esseri umani. Una questione fondamentale è come queste componenti operino in equilibrio o in conflitto per dare forma ai comportamenti reattivi.

I postulati fondamentali sono:

Si possono considerare i singoli membri di una società come riceventi attivi di input sensoriali, le cui risposte in termini di comportamento sono determinate da processi mentali interiori (cognitivi).

I processi cognitivi consentono agli individui di trasformare gli input sensoriali in vari modi: codificarli, immagazzinarli, interpretarli selettivamente, distorcerli e recuperarli più tardi al momento di decidere in merito al comportamento da tenere.

I processi cognitivi che determinano maggiormente le forme di comportamento di un individuo sono la percezione, l'immaginario, i sistemi di credenze, gli atteggiamenti, i valori, la tendenza a cercare un equilibrio tra questi fattori e inoltre il ricorda, il pensiero e molte altre attività mentali.

Le componenti cognitive dell'organizzazione mentale di un certo individuo sono prodotti dalle sue precedenti esperienze di apprendimento, che possono essere state intenzionali, accidentali, sociali o solitarie.

Lo studio degli effetti delle comunicazioni sugli individui fa ampiamente ricorso all'approccio cognitivo, in particolare per studiare come vengono percepiti i messaggi, come vengono appresi i modelli di azione dalle rappresentazione dei media e come possono cambiare gli atteggiamenti, le conoscenze, i valori e i comportamenti in seguito ad un'azione di persuasione.


CAPITOLO II. La nascita della stampa di massa

Le forze socioculturali che hanno dato forma al mondo dei media sono molto diverse da società a società. All'interno della stessa società, non sono le stesse ad agire per tutti i media. Inoltre sono cambiate molto nei diversi periodi storici. => è necessario ricostruire lo sviluppo della stampa, del cinema, della radio e della televisione trattando separatamente ciascun mezzo e considerando lo specifico contesto sociale che caratterizzava il periodo di massima affermazione.

Ci sono due paradigmi sociali generali utili come quadri teorici per l'analisi dello sviluppo dei media. Essi sono la prospettiva evoluzionista (nella sua forma sociale) e il modello del conflitto sociale.

Come paradigma generale, la prospettiva evoluzionista cerca di spiegare l'aumento della complessità della società, o di alcune parti specifiche (come le comunicazioni di massa) come un adattamento alle mutevoli condizioni della vita sociale organizzata. L'evoluzione sociale è un processo di cambiamento: i cambiamenti minimi si accumulano e diventano innovazioni utili per raggiungere più efficacemente determinati obiettivi. Gradualmente ed inevitabilmente, questi cambiamenti modificano in modo sostanziale il modo in cui sono organizzati alcuni processi sociali.

Il modello del conflitto rende conto del cambiamento dei processi e delle soluzioni sociali in base a differenti principi. Esso considera la società come un insieme composto di categorie e gruppi di persone con interessi diversi l'uno dall'altro, ciascuno impegnato a perseguire scopi personali che sono spesso particolaristici. In un sistema sociale siffatto, il conflitto è inevitabile e pervasivo e i cambiamenti si verificano quando una delle parti prevale o quando si raggiunge un compromesso accettabile per tutte. In entrambi i casi si ha una trasformazione, Molti tratti tipici dei media sono stati originati dall'esistenza di conflitti tra gruppi diversi e dalla necessità di porvi soluzione. Tra queste caratteristiche dei mass media vi sono la libertà di stampa, il finanziamento pubblicitario, la protezione delle fonti di informazione e la proprietà privata. In generale, quindi, come risultato sia di un lento processo evolutivo che dell'esistenza e della soluzione di molti conflitti diversi, i mass media hanno una struttura pressoché unica di controlli, un particolare insieme di norme istituzionalizzate che riguarda il loro rapporto con il pubblico e forme caratteristiche di contenuto. Essi hanno elaborato particolari sistemi di finanziamento e hanno stabilito relazioni chiaramente definite sia tra loro sia con istituzioni sociali importanti come il governo.

1. I modelli ricorrenti nello sviluppo dei media

Lo studio delle modalità con cui vengono adottati e delle variabili sociali e culturali connesse alla loro diffusione può rivelare alcuni dei modi in cui una società condiziona le caratteristiche dei suoi mass media. Lo studio storico dei mass media in un certo contesto sociale che si proponga di evidenziare i modelli ricorrenti comparsi nel corso del loro sviluppo deve concentrarsi in particolare su tre domande:

Quali elementi tecnologici o culturali si accumularono in quali modelli per combinarsi in nuove unità culturali complesse come i giornali di massa, i film, la radio o l'industria televisiva?

Quali erano le condizioni sociali e culturali della società in cui si realizzò questa accumulazione e in che modo queste condizioni crearono un clima favorevole alla comparsa e alla diffusione delle innovazioni?

Quali sono stati i modelli di diffusione delle innovazioni nella società e quali condizioni socioculturali sono in relazione con i loro modelli di sviluppo e i tassi di crescita?

2. La stampa di massa

Il quotidiano contemporaneo è la combinazione di elementi emersi in società ed in epoche storiche diversi. Romani: acta diurna; Venezia il gazzettino.

2.1 I precursori del quotidiano

Il XVII secolo si caratterizzò per la tendenza a controllare strettamente tutte le forme di stampa. Uno dei modelli che si possono individuare nella storia della stampa indica che nelle società con un forte potere centrale lo sviluppo di una stampa libera da vincoli e controlli è stato molto lento. Al contrario, dove il potere del governo centrale era debole, la stampa è stata sottoposta ad un minore controllo e si è sviluppata più rapidamente. In generale, quindi, più la forma di governo di una società dipende dal consenso dell'opinione pubblica, più è possibile sostenere una stampa libera.

La lunga lotta per stabilire l'importante principio della libertà di stampa venne combattuta nel periodo in cui si avviò il declino delle antiche monarchie feudali e incominciarono ad affermarsi nuovi concetti di democrazia politica. Ciò suggerisce che uno dei più importanti cambiamenti avvenuti nella società occidentale a favore dello sviluppo delle comunicazioni di massa, fu la trasformazione delle istituzioni politiche, terminata con il conferimento del potere di voto alla maggioranza dei cittadini. Quando comparvero gli altri grandi media, questa trasformazione politica si era di fatto compiuta.

2.2 Quotidiani per tutti

Prima che si potesse affermare una stampa davvero di massa doveva realizzarsi una serie di cambiamenti radicali della società occidentale. Si è già accennato al cambiamento di ruolo politico del cittadino comune e allo sviluppo del mercantilismo, che portò alla nascita della classe media e ad una diversa stratificazione sociale. A questi aspetti si può aggiungere lo sviluppo della tecnologia della carta e della stampa e l'istruzione di massa.

Benjamin H. Day 1883: il "New York Sun": dava molto spazio alle notizie locali, alla cronaca spicciola e ai servizi sensazionalistici sugli eventi più scioccanti. Il successo del Sun fu decretato soprattutto dai lettori che non erano mai stati raggiunti da un quotidiano. Una delle caratteristiche più importanti del penny paper di Day e di quelli che ne seguirono le orme fu la ridefinizione del concetto di "notizia" operata a misura dei gusti, degli interessi e delle capacità di lettura degli strati sociali meno istruiti. Il giornale di Day era volgare, dozzinale e sensazionalistico. La penny press era un successo economico perché era molto interessante per gli inserzionisti pubblicitari. Fu infatti nei primi anni di sviluppo della stampa di massa che si costituì un modello istituzionalizzato di rapporti sociali che legavano gli inserzionisti, gli operatori dei media e i lettori in un sistema funzionale alla produzione di particolari tipi di contenuto per le comunicazioni di massa.

Bennet: "Herald" di New York: pubblicava resoconti scandalistici e allo stesso tempo articoli di buona qualità su temi politici, finanziari e sulla vita dell'alta società => grande capacità di attrazione e grande successo finanziario.

3. Il periodo della rapida diffusione

I giornali di massa comparvero intorno al 1830, ma la loro affermazione era ostacolata dalla limitatezza dei mezzi allora disponibili per la raccolta delle informazioni, per la stampa e la distribuzione.

Col tempo i giornali si mobilitarono sempre più attivamente per la ricerca delle notizie. Il ruolo del reporter diventò sempre più complesso e specializzato. Si affermò così completamente la funzione di "vigilanza" della stampa. Per far fronte alla crescente domanda di notizie fresche si formarono agenzie cooperative per la raccolta di informazioni, che si servivano del telegrafo per trasmettere le notizie ai giornali.

Negli Stati Uniti, la Guerra civile contribuì alla maturazione della stampa quotidiana in quanto rafforzò il concetto secondo cui la funzione essenziale dei giornali è quella di raccogliere e riportare le notizie. L'idea precedente, secondo cui i giornali erano prima di tutto un mezzo di espressione di precise posizioni politiche, era quasi del tutto scomparso.

L'ultima decade dell'800 ha un particolare significato per la diffusione della stampa perché coincide con la nascita di un nuovo tipo di giornalismo.

4. Il conflitto e la trasformazione dei quotidiani

4.1 Il giornalismo giallo

Il contesto sociale in cui maturò e si diffuse la stampa di massa fu caratterizzato da conflitti culturali e da una conseguente anomia.

Verso il 1880 ci fu il fenomeno del giornalismo giallo: aspra lotta tra giornali concorrenti per guadagnare altri lettori: fumetti a colori, espedienti sensazionalistici. Superarono abbondantemente i limiti tollerati dalla società e in particolare dai rappresentanti delle istituzioni depositarie delle norme e delle regole.

4.2 I nuovi sistemi di controllo sociale

I capi religiosi, gli educatori, i rappresentanti della legge e del governo fecero sentire sempre di più le loro proteste. Ciò spinse una parte dei maggiori editori ad intervenire sui propri giornali. La soluzione dei conflitti portò a nuovi assetti ed equilibri sociali. Gradualmente, la stampa divenne meno sensazionalistica e più responsabile e si definì sempre più chiaramente un insieme di regole e di norme che ne stabilivano i limiti di responsabilità.

5. Il futuro della stampa di massa

Il tasso di diffusione dei quotidiani per famiglia segue la curva ad S tipica del modello di crescita di molte innovazioni culturali quando vengono adottate da una certa popolazione. Tra il 1880 e il 1890 il quotidiano si diffuse molto rapidamente nella popolazione americana fino a raggiungere un nuovo punto di saturazione alla fine del secolo. I fattori che determinarono questo fenomeno furono i progressi nella tecnologia della stampa e nei trasporti e la diffusione dell'alfabetizzazione. Dal 1910 l'aumento della diffusione cominciò a calare: negli anni Venti fecero la loro prima comparsa in società altri tipi di media, che soddisfacevano le stesse necessità a cui davano risposta i quotidiani: negli anni Trenta incominciarono a diffondersi i settimanali di informazione ed il cinema, negli anni Quaranta e Cinquanta la televisione.


CAPITOLO III. Lo sviluppo del cinema

Come nel caso del quotidiano, lo sviluppo del cinema può essere analizzato alla luce sia del paradigma evoluzionista che di quello del conflitto. Il processo culturale da cui nacque la tecnologia del cinema si realizzò attraverso l'accumulazione graduale di scoperte scientifiche operate in campi diversi e separati.

Ci fu però anche un processo evolutivo di carattere sociale: l'industria del cinema partì da squallidi saloons e peep shows per diventare infine un imponente, rispettabile e complesso sistema economico per la produzione, la distribuzione e la proiezione di film.

Il conflitto ha percorso integralmente tutto questo processo evolutivo.

Possiamo mettere a confronto diretto lo sviluppo del cinema, che ebbe luogo entro l'ambito istituzionalizzato della scienza, con quello del quotidiano. La storia della stampa di massa era strettamente legata agli importanti mutamenti delle istituzioni economiche e politiche della società occidentale. Importanza del commercio e interesse per il confronto politico; pubblicità come modo per garantirsi l'autosufficienza finanziaria.

Al contrario, per il cinema la presentazione di contenuti pubblicitari in senso stretto è stata un fenomeno più che marginale, così come il loro utilizzo a fini ideologici. Per capire fino in fondo quale sia stato l'impatto della società sui suoi mezzi di comunicazione è necessario capire perché negli Stati Uniti il cinema diventò una dei principali mezzi di comunicazione dedicato essenzialmente all'intrattenimento invece che alla persuasione o all'edificazione dei costumi e perché il più importante mezzo di finanziamento diventò il biglietto di ingresso anziché la pubblicità o i contributi governativi.

1. L'evoluzione della tecnologia

Il primo problema era lo sviluppo di un mezzo atto a mostrare delle immagini, sotto forma di ombre, attraverso l'uso di un proiettore illuminato.

Archimede "specchi ustori"; Leonardo da Vinci "camera oscura".

Althanasius Kircher: proiettore illuminato 1645.

1.2 L'illusione del movimento continuo

Il secondo fondamentale problema da risolvere era scoprire il modo in cui gli esseri umani percepivano l'illusione del movimento continuo. All'inizio dell'800 il thaumatrope si basava sul principio del ritardo nei processi visivi. Il belga Plateau fenachistiscopio o fantascopio.

1.3 La cattura delle immagini della camera oscura

Ultimo dei tre fondamentali problemi tecnici: la tecnologia della fotografia in generale.

Daguerre, Talbot e Herschel. Dagherrotipo: non c'erano negativi e quindi si poteva ottenere soltanto un'immagine alla volta.

La domanda di ritratti. la fotografia prese piede immediatamente e la domanda di ritratti diventò quasi insaziabile. Nacque una nuova professione. la domanda di ritratti era certamente legata a diverse caratteristiche dell'epoca. Gli Stati Uniti erano una società in movimento. I ritrattisti erano un mezzo per ridurre almeno un po' il dolore della separazione. Il ritratto d'artista aveva anche una solida tradizione di status symbol.

I progressi della fotografia. Nacquero e crebbero industrie per la produzione di sostanze chimiche, di apparecchiature e di lastre per la fotografia. Eastman: la sua pellicola in rullino era stata progettata per la sua macchina fotografica "a prova di stupido" che poteva essere usata senza difficoltà anche dai principianti (la famosa Kodak).

1.4 Il cinematografo diventa realtà

Fu Thomas Alva Edison a formulare la combinazione essenziale per dare vita al cinema. Pensava che l'impiego commerciale della proiezione di immagini in movimento sarebbe stato un fenomeno passeggero che avrebbe presto perso interesse per la gente, perciò aveva poca fiducia nel valore commerciale delle sue scoperta. Egli pensava di sfruttare commercialmente il suo apparecchio per proiettare immagini da mostrare ad uno spettatore pagante per volta.

2. L'evoluzione sociale: il cinema come mass medium

Nel 1895 a Parigi fu inaugurato uno spazio chiamato "cinematografo". Era chiaro che si trattava di un grande affare con cui si potevano guadagnare fortune. In quell'epoca anche Edison si era convinto e aveva deciso di unire i suoi sforzi con quelli di un giovane inventore americano, Thomas Armat, che aveva ottenuto un brevetto per il perfezionamento del proiettore.

2.1 I contenuti e il pubblico dei primi film

Fin dal principio le immagini in movimento riguardarono contenuti di gusto modesto e di basso livello intellettuale. Si possono mettere a confronto questi primi film, con il loro incontri di boxe, le commedie di basso livello e le ballerine con gli sforzi dei primi stampatori. Il primo prodotto del lavoro di Gutemberg rappresentava le idee più importanti e rappresentative della sua epoca. I primi libri erano opere di filosofia, scienza, arte o politica. Al contrario, il cinema del primo periodo si esercitò con soggetti futili ed insignificanti. Il contenuto non importava più di tanto: ciò che contava era la novità del movimento delle immagini. I tentativi di filmare soggetti più seri o di contenuto artistico non furono accolti con grande entusiasmo. I film che incassavano di più erano quelli che soddisfacevano le esigenze più elementari. Fin dall'inizio, dunque, la scelta dei contenuti fu regolata dalla relazione sistematica tra i gusti del pubblico e la struttura finanziaria "dell'industria" allora appena nata.

Si può essere tentati di sostenere che sia stato proprio il basso livello culturale del primo pubblico a lasciare al cinema un marchio permanente di mediocrità.

2.2 L'era del "nickleodeon"

Le caratteristiche più importante erano che richiamava le persone collocate ai livelli inferiori della scala sociale, e che faceva grandi affari. Dopo un po' i nickleodeon incominciarono a ripulire gli interni e a rifare le facciate. Il film si preparava a diventare un mass medium vero e proprio.

Presto il contenuto dei film cambiò in modo evidente. I film diventarono più lunghi e tecnicamente sofisticati. Il pubblico era composto da una quota determinante di poveri immigrati, di persone senza un lavoro fisso, di anonimi abitanti dei quartieri di recente urbanizzazione.

2.3 Il cinema diventa adulto

La gente voleva vedere film più lunghi con contenuti più interessanti. Il fatto di vedere immagini in movimento aveva esaurito la spinta della novità. Per soddisfare la domanda di film nacquero diverse società di produzione, lo star system; i film scoprirono i classici, furono messe a punto tecniche fotografiche più flessibili e i film si allungarono raggiungendo la durata cui siamo abituati.

L'influenza della Prima guerra mondiale. La Grande Guerra diede la spinta decisiva all'industria cinematografica. Il cinema muto era un prodotto particolarmente adatto ad essere esportato all'estero. La posizione politica degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale ebbe un impatto determinante sul cinema americano perché ne fece un mass medium di importanza mondiale. George Creel, capo del Comitato per l'informazione pubblica mobilitò anche il cinema nello sforzo incondizionato di "vendere la guerra al pubblico americano".

In generale, il cinema aveva seguito il gusto e le aspettative del pubblico anziché guidarli. Per alcuni l'esperienza della guerra fu rivelatrice di nuove potenzialità e di nuovi obiettivi da dare al cinema per farne un mezzo di persuasione.

Immagini parlanti. Alla fine degli anni Venti al film si unì la colonna sonora. Più o meno all'epoca della Seconda guerra mondiale si incominciò a produrre film a colori e ben presto questo divenne la norma.

3. Gli aspetti quantitativi

L'adozione del cinema come innovazione culturale di massa fu veloce e vastissima. Tra il 1900 e il 1930 gli Stati Uniti si trasformarono letteralmente in una nazione di frequentatori di cinema (curva ad S).

Forse la discontinuità è l'aspetto più significativo del modo in cui il cinema è stato accolto dalla società americana. Grande depressione: tra il 1930 e il 1932 gli ingressi crollarono di più del 30%. Al contrario, la fine degli anni Trenta e il decennio successivo furono anni d'oro per il cinema. La rapida ascesa della televisione, iniziata alla fine degli anni Quaranta, ebbe l'impatto più devastante sul consumo di massa del cinema. Tentativi dei produttori: occhiali speciali per le immagini tridimensionali, schermi più grandi, effetti speciali sonori; l'aspetto forse più interessante è che i vecchi standard morali che avevano sempre regolato il contenuto dei film saltarono del tutto.

La spinta determinante al cambiamento ha origine e motivi economici. La previsione più logica per il futuro indica che il cinema non riguadagnerà più la popolarità che aveva negli anni Trenta. Ciò non significa che non si faranno più film. Mentre l'industria cinematografica può sopravvivere o perfino prosperare, il comportamento di consumo del pubblico sembra destinato a mantenere lo stesso trend.

L'obsolescenza, che è la naturale contropartita dell'innovazione, è un aspetto necessario per la teoria che voglia spiegare il cambiamento sociale.

Nel caso del cinema in sala, le cause dell'obsolescenza non sono particolarmente oscure: la depressione economica, il trasferimento della popolazione nelle periferie, e, naturalmente, la continua crescita dei media elettronici hanno inciso profondamente sui livelli di frequenza del cinema. A questi fattori abbastanza ovvi si possono aggiungere la crescente congestione dei centri cittadini e l'onere sempre più gravoso del costo del lavoro che ha originato il continuo aumento del prezzo del biglietto e una corrispondente riduzione degli spettatori.


CAPITOLO IV. L'affermazione della radio e della televisione

Come per gli altri media, lo sviluppo della radio e della televisione come mass media è stato condizionato da numerosi conflitti e le loro attuali caratteristiche sono state determinate dalla soluzione di quei conflitti.

1. L'evoluzione delle telecomunicazioni

E' necessario chiarire tre aspetti distinti. Il primo è che ci sono numerosi e complessi fattori sociali che originarono il bisogno e la ricerca di un mezzo di comunicazione istantaneo. Il secondo è che c'è una catena di innovazioni scientifiche e tecniche, l'una collegata all'altra, tutte risultante dalla ricerca di soluzioni che permettessero di soddisfare i bisogni che abbiamo detto. Infine, ci sono gli eventi risultanti dalla trasposizione del telegrafo senza fili e dalla tecnologia del radiotelefono in un mass medium atto a trasmettere programmi a tutte le case della nazione. Ulteriore aspetto: la nascita della televisione da una costola della radio, e più avanti si chiarirà che la televisione, oltre a condividere con la radio la stessa storia, ne ereditò l'organizzazione finanziaria, le tradizione, la struttura di controllo e molti dei suoi talenti.

1.1 La moltiplicazione dei bisogni comunicativi

Il termine "telegrafo" deriva dal greco antico ed è composto da due parole che significano "a distanza" e "scrivere".

La ricerca delle soluzioni. I popoli primitivi: tamburi per trasmettere i segnali; segnali di fumo; piccioni viaggiatori; colpi di cannone; specchi e lanterne. Napoleone: stazioni delle "semafori".

Con la rivoluzione industriale gli scambi commerciali tra le nazioni erano diventati sempre più intensi e veloci. A fronte di una sempre maggiore complessità della società c'era un forte bisogno specifico di un mezzo di comunicazione come il telegrafo.

Il sogno di una comunicazione istantanea.

1.2 Il progresso scientifico nella conoscenza dell'elettricità

La piena comprensione del fenomeno dell'elettricità fu raggiunta nel corso del XIX secolo.

1.3 Il telegrafo

Un passo decisivo del progressivo avvicinamento della tecnologia al telegrafo fu lo sviluppo dell'elettromagnete. Samuel B. Morse ottenne il brevetto del suo sistema.

Il principio della proprietà privata. Il telegrafo venne gradualmente accettato nel mondo degli affari, da quello militare e da altri gruppi. Il governo federale, che aveva finanziato la prima linea a lunga distanza, gettò via la possibilità di controllare i brevetti e rinunciò a tutti i suoi diritti. La rinuncia del governo a rimanere nel business del telegrafo stabilì un precedente importante per gli Stati Uniti, dove la proprietà privata dei mezzi di comunicazione di interesse pubblico è una delle condizioni più importanti tra quelle che hanno determinato gli attuali contenuti dei media.

L'attraversamento degli oceani. Cyrus Field fece posare i cavi del telegrafo sul fondo dell'oceano atlantico (27 luglio 1866). Nel 1876 Alexander Bell riuscì a trasmettere la voce umana attraverso cavi elettrici.

1.4 Il telegrafo senza fili

Il congegno di Marconi. Intorno al 1890 in Italia il primo telegrafo senza fili.

La realizzazione dell'antico sogno. Alla fine fu attraversato anche l'Atlantico. Passo avanti essenziale per lo sviluppo della radio come mezzo di comunicazione istantaneo a grande distanza.

2. Dal telegrafo senza fili al radiotelefono

Mentre i pionieri della radio si dedicavano a migliorare l'affidabilità, la potenza e la chiarezza dei messaggi trasmessi col telegrafo senza fili, le varie invenzioni furono oggetto di aspre battaglie legali. Per cercare di stabilire le regole per la trasmissione e la ricezione dei segnali si tennero diverse conferenze internazionali.

2.1 La trasmissione della voce umana

Reginald Fessenden aveva realizzato un apparecchio che consentiva di trasmettere segnali infinitamente più complessi di quelli a tono unico del punto-linea. Nel 1906 si scoprì che si potevano ricevere trasmissioni radio con circuiti molto semplici realizzati con delle particolari sostanze minerali, al punto che chiunque avesse avuto delle elementari conoscenze di meccanica avrebbe potuto costruire una "radio a galena" a costi bassissimi perché i componenti erano molto economici. Quando il codice delle trasmissioni diventò patrimonio comune, l'ascolto diventò una specie di sport assai diffuso.

Lee De Forest inventò la valvola: era l'elemento chiave degli amplificatori elettronici con i quali si poteva potenziare sia la trasmissione che la ricezione dei segnali radio.

2.2 La proprietà privata e il profitto

L'aspetto più imbarazzante delle condizioni sociali che fecero da sfondo allo sviluppo della radio furono la proprietà privata e il profitto. Essi facilitarono e contemporaneamente rallentarono lo sviluppo del nuovo medium. Ogni invenzione piccola e grande fu immediatamente brevettata negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri paesi. Diventò quasi impossibile apportare cambiamenti pur necessari ai componenti o commercializzare le apparecchiature senza essere coinvolti nelle più aspre cause legali per i brevetti.

Contemporaneamente, però, associazioni e privati spesero milioni di dollari per aiutare gli inventori a perfezionare le loro idee fino a tradurle in prodotti da mettere sul mercato.

La Prima guerra mondiale generò un'urgente domanda di miglioramento dei sistemi radio a scopi militari. Per tutta la durata della guerra furono sospese d'autorità le cause legali e le limitazioni di utilizzo legate al sistema dei brevetti. Il governo federale acquisì il controllo totale del settore industriale e questo controllo centrale produsse un impegno collettivo grazie al quale il progresso tecnico si realizzò in tempi molto più brevi di quanto sarebbe potuto accadere in tempo di pace.

3. la "radio music box"

David Sarnoff: affondamento del Titanic. Nel 1916 spedì un memorandum ai suoi superiori, dove indicava un modo economicamente vantaggioso di usare la radio come mezzo di comunicazione di massa per le famiglie.

3.1 Il problema del controllo

I deboli tentativi di mantenere il controllo del governo anche dopo la fine della guerra si infransero contro le resistenze degli interessi privati. La General Electric riuscì a comprare le azioni inglesi della Marconi americana e formò una nuova società: la Radio Corporation of America (RCA), risolvendo così una serie di conflitti di interesse legati ai brevetti e assegnò il controllo delle telegrafia senza fili e della radiofonia negli Stati Uniti agli azionisti americani.

3.2 L'inizio delle trasmissioni radiofoniche

Frank Conrad della Westinghouse aveva costruito a casa un trasmettitore. Presto scoprì che la gente del quartiere ascoltava le sue trasmissioni con le apparecchiature amatoriali di cui disponeva. Gli ascoltatori si misero a richiedere particolari canzoni e a chiamarlo negli orari più strani per richiedere i dischi preferiti.

L'incentivazione delle vendite di apparecchi. Questa attività incrementò la domanda di apparecchi nel quartiere e diventò sempre più chiaro che con la produzione di ricevitori per uso domestico si potevano fare grandi affari. Le potenzialità commerciali non sfuggirono all'attenzione dei dirigenti della Westinghouse che decisero di costruire un trasmettitore più potenti dalle parti di Pittsburgh per stimolare le vendite di ricevitori domestici prodotti dalla loro società. Così nel 1920 nacque la stazione KDKA di Pittsburgh. Per stimolare l'interesse nella nuova emittente e, naturalmente, per promuovere la vendita di apparecchi riceventi, fu annunciato che la stazione avrebbe trasmesso i risultati delle elezioni presidenziali del 1920.

L'aumento dell'interesse del pubblico. L'esperimento di Pittsburgh ebbe un tale successo che in breve tempo furono inaugurate altre stazioni radiofoniche. Quando effettivamente le stazioni radiofoniche cominciarono a trasmettere ad orari regolari programmi parlati e musicali che la gente poteva ricevere a casa propria, l'interesse latente dei primi tempi esplose improvvisamente in una specie di mania collettiva: nel 1922 la produzione di ricevitori domestici non riuscì assolutamente a tenere il passo con gli ordini.

3.3 I problemi delle interferenze e del finanziamento

Uno dei primi problemi che la radio di uso domestico si trovò ad affrontare derivò proprio dalla sua popolarità. Infatti lo spettro di frequenze disponibili ed utilizzabili era limitato.

I conflitti dell'etere: le trasmissioni concorrenti. Sovrapporre i segnali. Si tentò la strada del network, scoprendo che diverse stazioni collegate via cavo potevano trasmettere contemporaneamente lo stesso programma.

Il problema dei costi di esercizio. La vendita dei ricevitori era un sistema di corto respiro.

I tentativi di trovare una soluzione. Il nuovo sistema di acquisto a rate contribuì alla grande espansione del credito che caratterizzò la nuova organizzazione economica. Il ministro del Commercio Herbert Hoover escogitò un sistema per assegnare ad ogni stazione una frequenza diversa. Anche l'industria stava esercitando forti pressioni sul ministero del Commercio non soltanto perché regolasse le frequenze, ma anche perché limitasse il numero delle stazione autorizzate a trasmettere in una certa area. Il problema delle interferenze stava diventando insopportabile. Tra il 1922 e il 1925 si tennero a Washington quattro importanti conferenze: secondo il governo era compito dell'industria fare pulizia in quella che considerava la sua casa privata. I quotidiani ce l'avevano fatta senza l'intervento del governo; anche l'industria cinematografica stava "ripulendo" i suoi prodotti; un controllo federale sulla radio avrebbe costituito un pericoloso precedente.

La proprietà pubblica dell'etere. Nel 1926 questo sistema del tutto arbitrario giunse al collasso. Un tribunale federale stabilì che il ministero del Commercio non era competente per imporre qualunque tipo di restrizione alla potenza di emissione, agli orari o alle frequenze di trasmissione della radio. Di fronte al caos totale che seguì, il presidente Coolidge chiese al Congresso di approvare una legislazione per regolamentare il settore. Nel 1927 il Congresso enunciò il principio fondamentale secondo cui "l'etere appartiene al popolo" e poteva essere usato da privati soltanto col permesso formale del governo, concesso con licenze a breve termine.

Il "Federal Communications Act" del 1934. Il Radio Act del 1927 sarebbe stato una soluzione temporanea. Si istituì la Federal Communications Commission (FCC) che riscrisse un corpo di leggi (1934), il principale strumento di regolamentazione dell'industria radiotelevisiva negli Stati Uniti.

Le fonti di finanziamento. Si tentò di raccogliere fondi direttamente dagli ascoltatori. Gli spettatori sopportavano il fastidio delle interruzioni pubblicitarie piuttosto che pagare direttamente per seguire i programmi.

3.4 La radio si commercializza

La pubblicità stava silenziosamente affermandosi come una fonte stabile e sicura di finanziamento della radio. All'inizio gli sponsor non facevano annunci pubblicitari diretti per propagandare i loro prodotti; il loro nome veniva soltanto menzionato come sponsor oppure precedeva il titolo del programma. Il ministro del Commercio era assolutamente contrario all'idea di aprire la radio alla vendita diretta. Con il pubblico più interessato alla gratuità del servizio che alla qualità dei programmi; il governo che svolgeva soltanto un ruolo tecnico, rivolto essenzialmente a evitare la sovrapposizione delle frequenze di trasmissione; con la proprietà dei media nelle mani di società e corporations rivolte al profitto, la nobile posizione del ministro del Commercio era incompatibile con il sistema di valori e con la struttura politica ed economica della società in cui si stava sviluppando il nuovo medium.

All'inizio, la pubblicità era contenuta nei toni e modesta nell'approccio, ma ben presto divenne sempre più diretta ed esplicita. La gente era ben disposta a sentire l'annuncio dello sponsor per poter poi ascoltare i programmi. Questo atteggiamento era rinforzato dal fatto che i programmi vennero da subito concepiti appositamente per raccogliere il più ampio consenso di pubblico.

3.5 L'epoca d'oro della radio

Negli anni Trenta e Quaranta la radio conobbe una straordinaria fioritura. Il notevole aumento dell'uso della radio si verificò nonostante i dieci anni di depressione economica che seguirono al crollo della Borsa del 1929. La radio sembrò prosperare proprio grazie alla depressione. Le entrate pubblicitarie, invece di ridursi, aumentarono sempre a ritmo più intenso. In quei tempi così duri la radio soddisfaceva i bisogni di milioni di persone estremamente provate. La stampa e la radio avevano imparato a convivere dopo lunghe battaglie e la radio aveva pieno accesso a tutte le agenzie di informazione.

Durante la Seconda guerra mondiale l'industria radiofonica mise tutte le sue risorse a disposizione del governo federale. La radio diffuse bollettini di guerra, sostenne la propaganda interna, pubblicizzò l'emissione di obbligazioni di guerra, promosse campagne per ridurre l'uso civile di materiali e prodotti utili allo sforzo bellico. Durante la guerra la produzione di apparecchi radio fu praticamente azzerata.

La concorrenza della televisione. Anche in questo caso possiamo vedere come il conflitto produca cambiamento sociale. Se la radio avesse mantenuto il formato e i contenuti che aveva in origine, sarebbe rimasta una concorrente diretta del nuovo medium, che sembrava però più adatto a soddisfare i bisogni fondamentali del pubblico di massa. Di fronte alla prospettiva di cadere nell'oblio, la radio si trovò costretta ad individuare i bisogni del pubblico che non potevano essere adeguatamente soddisfatti dalla televisione. L'operazione riuscì perfettamente e la radio si ristrutturò sulla base di nuovi principi. La radio fu spostata dal soggiorno alla camera da letto, alla cucina, all'automobile, alla spiaggia. Attualmente la radio sembra aver trovato una formula efficace. Essa fornisce i suoi servizi al pubblico nelle ore in cui la televisione non è adatta a farlo.

4. Lo sviluppo dell'industria televisiva

Diversi fattori contribuirono a fare dello sviluppo tecnico e della diffusione della tv nella società americana un processo molto più veloce e meno caotico rispetto alla radio. La FCC e la relativa legislazione furono semplicemente trasferite dalla radio alla televisione. Le modalità di finanziamento della televisione furono chiare fin dall'inizio. Non ci fu alcun periodo di ostilità con i quotidiani. Anche l'idea del network si era già affermata con la radio.

4.1 Il televisore come status symbol

4.2 Gli ostacoli alla diffusione

In realtà, la televisione avrebbe potuto diventare un medium di uso domestico già molto tempo prima se non si fossero verificati due fattori che ne rallentarono lo sviluppo: la Seconda guerra mondiale e un congelamento imposto dal governo.

La Seconda guerra mondiale. Questo blocco può in parte spiegare la rapida crescita della televisione che si verificò non appena negli Stati Uniti si ripristinò l'economia di pace. Durante la guerra erano state messe a punto delle tecniche di produzione di materiale elettronico utili anche per la produzione di apparecchi televisivi.

Il blocco delle licenze. Memore del caos delle interferenze che era verificato nel primo periodo della radio, il governo svolse un ruolo molto più attivo per il controllo delle frequenze televisive. Nel 1948 la FCC sospese la concessione dei permessi a trasmettere.

4.3 La rapida adozione della televisione

Nel 1952 fu revocato il blocco delle licenze. La curva di adozione si impennò. Nel 1980 raggiunse il punto di saturazione.

4.4 L'arrivo della televisione via cavo

I cavi coassiali sono fili rivestiti in plastica e protetti da una schermatura metallica per impedire interferenze o perdite di segnale.

Nel 1950 Talton in Pennsylvania montò una grande antenna e, in cambio di una quota mensile, installò una presa per il cavo a ciascun abbonato. L'idea si affermò molto rapidamente e il sistema CATV (Community Antenna Television) divenne commercialmente operativo in tutto il paese. Le stazioni da cui partivano i segnali cominciarono a protestare. Dal loro punto di vista, i sistemi CATV erano parassiti perché non pagavano nulla per il segnale che distribuivano ma allo stesso tempo ne traevano profitto. Inoltre il cavo poteva offrire agli abbonati anche i segnali provenienti da città molto lontane e per le emittenti locali ciò rappresentava una concorrenza sleale e assai poco desiderabile. Da questo conflitto derivò il principio secondo cui la televisione via cavo ricade sotto la giurisdizione della FCC, esattamente come la trasmissione via etere. Dal 1979, tuttavia, la FCC riconobbe ai governi locali il potere di assegnare a compagnie private licenze esclusive per allestire un sistema via cavo nell'area di propria competenza. Pagando una quota mensile si riceve il servizio di base (basic); pagando una quota addizionale si possono aggiungere canali di film o altri servizi particolari. Alcuni pensavano che la televisione via cavo avrebbe migliorato la qualità dei programmi, ma così non è stato e i contenuti dei sistemi via cavo hanno deluso moltissimi abbonati. La ragione per cui il livello dell'offerta non è migliorato sta nel fatto che anche la televisione via cavo non si distingue per un diverso livello di gusto; essa costituisce solo un'aggiunta a ciò che era già disponibile.

Il lettore di periodici si è estremamente specializzato. Ma, contrariamente alle previsioni, le molteplicità di canali offerti dal cavo non ha spezzato l'audience in una pletora di nicchie tematiche o di gusto.

4.5 Il videoregistratore

Nel 1952 Charles Ginsberg, insieme ad altri 5 ingegneri dell'Ampex, si mise a progettare un sistema per registrare i programmi televisivi su nastro magnetico. Nel 1956 il registratore fu introdotto nell'industria televisiva, che comprese immediatamente il vantaggio pratico del nuovo sistema. La CBS fu il primo network ad adottarlo e il 30 novembre 1956 trasmise il primo spettacolo in differita registrata. Per gli studi di produzione era un dono del cielo. Si potevano preparare in anticipo programmi del tutto privi di errore e poi mandarli in onda nell'orario più conveniente. Inoltre il montaggio era facile e si poteva regolare la durata in base alle esigenze della programmazione.

La nuova tecnologia entrò anche nelle scuole.

La versione su cassette. All'inizio degli anni Settanta le dimensioni del VTR (Video Tape Recorder) si ridussero e si studiarono diversi modelli che impiegavano nastri più piccoli. Ma la cosa più importante fu che si riuscì ad inserire il nastro in una cassetta, in modo che per usarla bastava inserirla e premere un bottone per registrare o leggerla.

Ci fu una vera e propria corsa a produrre videocassette di ogni genere. Ma la grande corsa al VCR (Video Cassette Recorder) stentava a partire, prima di tutto perché i prezzi erano troppo alti. Un altro importante fattore deterrente fu la confusione generata dal fatto che i produttori non si accordarono sugli standard tecnologici. Alla fine, e dopo che diversi produttori persero milioni di dollari, si raggiunse uno standard unico. A quel punto, però, arrivarono i giapponesi, che apportarono miglioramenti alla tecnologia di partenza e incominciarono a produrre apparecchiature più leggere e relativamente meno costose con un sistema chiamato Betamax.

I conflitti legali. L'intrusione dei giapponesi nel mercato nazionale non passò inosservata al mondo degli affari americano, che ricorse alle vie legali e diede inizio ad un gran numero di cause riguardanti non sola la vendita ma perfino il possesso di videoregistratori e di cassette. Gli americani persero la causa. Il tribunale stabilì che la gente aveva il diritto in casa propria di registrare e vedere tutto ciò che voleva, finché fosse di uso strettamente personale. Il nodo della questione era che i produttori cinematografici non volevano che la gente avesse il videoregistratore, perché temevano che essa avrebbe preferito guardare i film in casa. La principale preoccupazione dei pubblicitari era il telecomando, con cui il pubblico poteva far partire il videoregistratore non appena incominciava la pubblicità.

Dopo sette anni di lite, il caso ebbe finalmente soluzione. Nel 1984 la Corte suprema stabilì che l'uso domestico del VCR era legale e non violava le leggi del copyright. Ironia della sorte, mentre la Sony vinceva la battaglia legale nei tribunali americani, perdeva la guerra per il controllo del mercato del VCR a favore di un concorrente giapponese. Il gigante Matsushita aveva introdotto il cosiddetto VHS (Video Home System).

L'aumento della penetrazione. Nel 1986 circa il 4o% delle famiglie americane lo possedeva. Un importante incentivo all'acquisto del VCR venne dalla diffusione di centri di noleggio delle videocassette.

5. Uno sguardo d'insieme

Lo studio dei media mette in evidenza il processo evoluzionistico del mutamento sociale in quanto mette a fuoco il processo di accumulazione della cultura tecnologica. Questo tipo di analisi dà molto spazio ai conflitti sociali, economici e politici che hanno caratterizzato la società nel periodo di sviluppo di ciascun medium. Fattori come la guerra, la depressione economica, il benessere, l'immigrazione, l'urbanizzazione, l'aumento della scolarizzazione e la presenza di determinati elementi tecnologici nella cultura di una società, producono tensioni che facilitano, inibiscono o influenzano in vari modi lo sviluppo e l'adozione di un certo mass medium. La vecchia idea che i media siano delle forze indipendenti che modellano e danno la forma che vogliono alla società, è semplicistica ed ampiamente superata. I media sono condizionati dalla vita della società nel suo insieme e sono profondamente influenzati dal processo dialettico rappresentato dal conflitto tra forze, idee e tendenze opposte sia all'interno del sistema dei media che tra i media ed altre istituzioni sociali. In altri termini, ci sono molti modi in cui una società esercita una profonda influenza sui suoi media.


CAPITOLO V. I mass media come sistemi sociali

Ogni mass medium, quando si affacciò sulla scena, si confrontò con un particolare insieme di circostanze sociali, economiche e politiche che ne definì le modalità di adozione da parte della società. Dovette scavarsi una nicchia tra quelli preesistenti e in qualche caso le conseguenze dei nuovi arrivi furono decisive. Tuttavia la storia dei media negli Stati Uniti è qualcosa di più della somma delle singole parti. Anche se le analisi mezzo per mezzo sono necessarie, è comunque essenziale capire in che modo i media costituiscono un sistema globale profondamente inserito nella società americana.

Sembra molto evidente che oggi le comunicazioni di massa rappresentano una parte centrale della struttura istituzionale della società americana; sono una parte essenziale dell'istituzione economica perché sono fornitori fondamentali di beni e servizi e quindi soggetti primari del sistema industriale e commerciale. Sono diventati elementi importanti dell'istituzione politica perché hanno un ruolo sempre più rilevante nello svolgimento delle elezioni. Sono un fattore indiscutibilmente centrale nell'istituzione familiare perché con i loro prodotti, consumati quasi completamente in ambito familiare, sono i principali veicoli di intrattenimento e cultura popolare. Per molte persone il culto praticato attraverso la radio o la televisione è divenuto parte dell'istituzione religiosa. In certa misura i media sono anche parte dell'istituzione educativa.

Questo aspetto istituzionale del sistema dei media americano implica un concetto di equilibrio piuttosto che di trasformazione. Fino a questo punto abbiamo indicato nel cambiamento l'aspetto più importante dei mass media, ma in questo capitolo è importante cambiare prospettiva e dimostrare che il sistema odierno è composto da elementi che possono garantire una crescente stabilità. Ciò significa che, anche se ci sarà certamente un ulteriore perfezionamento dei nostri media, si può pensare che l'attuale sistema delle comunicazioni di massa sia destinato a perdurare nella forma attuale per un periodo piuttosto lungo. Il sistema dei media sopravviverà perché espleta funzioni essenziali per la società nel suo complesso. Finché i media attuali soddisferanno quei bisogni che la società considera importanti, il sistema capace di svolgere questa funzione resterà al suo posto. Anche se si inventasse un medium totalmente nuovo e questo entrasse nelle nostre case, il sistema complessivo dei media sopravviverebbe in modo più o meno stabile perché non cambierebbero le funzioni che soddisfa.

In questo capitolo considereremo il sistema americano dei mass media secondo questa prospettiva. Ciò richiederà di adottare un approccio teorico molto diverso rispetto a quello più spesso usato per studiare le comunicazioni di massa e le loro influenze. L'accento è sul sistema dei media come insieme e sul suo rapporto con la società in cui agisce. Nell'analisi che segue ci si concentrerà sulla stabilità del sistema dei media e per far questo si farà ricorso al paradigma dello struttural-funzionalismo.

1. La stabilità dei media nella società americana

Capacità dei media di sopravvivere in una società per lunghi periodi. Questo fenomeno non è difficile da comprendere in una società autoritaria. Per alcune società è necessario che i propri media mantengano il consenso ed il sostegno popolare, ma, in una società democratica, dove il governo svolge un ruolo limitato, la stabilità e la sopravvivenza del sistema dei media sono fenomeni molto più difficili da spiegare.

Molti ci coloro che attaccano i media vorrebbero che smettessero di trasmettere prodotti di cultura "popolare", cioè di basso livello, e che invece offrissero al pubblico più arte, letteratura e altre forme tipiche della cultura di élite. Resta il fatto che i mass media americani continuano a privilegiare prodotti di livello modesto, di gusto semplice, com'è proprio della cultura popolare. La questione è: perché le cose stanno così, e in che modo questo tipo di comportamento dei media contribuisce alla stabilità del sistema delle comunicazioni di massa americano?

Paradigma struttural-funzionalista: dimostreremo che nella società americana i media costituiscono un sistema profondamente istituzionalizzato, funzionale a bisogni importantissimi della società, e che per questa ragione non è facile cambiare il sistema dei media in modo significativo.

2. Le radici del problema

3. I fondamenti dell'analisi funzionalista

Il problema può sembrare semplice: i media si rivolgono alle masse e le masse chiedono il tipo di contenuto che ricevono, e quindi i media continuano a darglielo.

Molti scienziati sociali, come ad esempio Skornia, hanno evidenziato l'inadeguatezza di questa spiegazione, che ripropone il vecchio problema dell'uovo e la gallina. La risposta sta probabilmente nel mezzo, per cui i gusti del pubblico sarebbero sia una causa che un effetto dell'offerta dei media. Il rapporto tra i gusti del pubblico e il prodotto dei media è quindi circolare.

Il paradigma struttural-funzionalista offre un approccio molto utile per comprendere questo rapporto e spiegare la straordinaria continuità con cui i media hanno mantenuto la stessa (bassa) qualità di contenuti. Questo tipo di analisi prende le mosse dalla considerazione dei media come sistemi sociali.

L'analisi struttural-funzionalista dei sistemi sociali si occupa dei modelli di azioni espressi dagli individui o dai sottogruppi che sono in rapporto reciproco all'interno di tali sistemi. Il sistema sociale, quindi, è un complesso di azioni stabili, ripetitive e strutturate che sono in parte una manifestazione della cultura condivisa dagli attori e in parte una manifestazione dei loro orientamenti psicologici (che a loro volta derivano da quella cultura). Il sistema culturale, il sistema sociale e i sistemi della personalità (dei singoli attori) costituiscono quindi diversi tipi di astrazioni derivanti dagli stessi dati di partenza.

La "funzione" di alcuni particolari fenomeni ripetitivi (insiemi di azioni) all'interno di un sistema sociale: in questo contesto il termine funzione ha un significato molto vicino a quello di "conseguenza".

4. Struttura e funzione nei sistemi dei media

Una"analisi funzionalista" cerca di dimostrare come questi fenomeni abbiano conseguenze che contribuiscono alla stabilità e alla conservazione del sistema nel suo insieme.

4.1 I contenuti di bassa qualità

Possiamo identificare la parte di contenuto dei mass media che è di bassa qualità o che fornisce al grande pubblico quel tipo di gratificazioni generalmente considerate potenzialmente degradanti, come "il tratto o la disposizione piuttosto persistente" dei mass media che stiamo cercando di spiegare.

Si può suddividere il contenuto di ogni medium in tre categorie:

contenuti di bassa qualità (fiction televisiva concentrata sulla violenza; pornografia; i telefilm dei daytime; i settimanali di confessioni private; i fumetti concentrati sul crimine; la musica che istiga a comportamenti trasgressivi)

contenuti non controversi (le previsioni del tempo; alcuni contenuti informativi; i periodici specializzati; i film su temi "sani")

contenuti di alta qualità (la musica seria; la fiction più raffinata; i dibattiti politici; i film di qualità o i settimanali dedicati all'analisi politica)

4.2 Le componenti e i confini del sistema

E' necessario ora incominciare ad identificare le componenti e i confini del sistema sociale entro cui prendono forma i contenuti di bassa qualità.

Schema concettuale generale in cui è possibile collocare qualsiasi medium apportando soltanto delle modifiche di dettaglio.

Il pubblico. La prima e principale componente del sistema sociale delle comunicazioni di massa è il pubblico, e si tratta di un soggetto estremamente complesso. Il pubblico è stratificato, differenziato e interrelato in molti modi diversi. Alcune delle principali variabili che intervengono a determinare il comportamento di questa componente del sistema sono i bisogni e gli interessi fondamentali dei membri del pubblico, le varie categorie sociali in esso presenti e la natura delle relazioni sociali tra gli individui che lo compongono.

Gli istituti di ricerca. Gli istituti di ricerca, misurando le preferenze del pubblico o svolgendo vari tipi di indagini di mercato, forniscono informazioni ai responsabili della scelta delle categorie di contenuto da distribuire al pubblico.

I distributori. Il contenuto, di qualunque tipo esso sia, passa da un distributore al pubblico. In primo luogo, ci sono i soggetti locali, che hanno il contatto più diretto con il pubblico. Ad essi sono poi collegati inestricabilmente altri sottoinsiemi: le catene di quotidiani, le syndications, i network televisivi, i distributori di libri e giornali e le catene di cinema trasmettono i propri contenuti alle proprie strutture locali. Il legame tra questi due sottoinsiemi è a due vie.

La relazione tra il pubblico e il distributore sembra invece a senso unico. Il distributore fornisce contenuti di intrattenimento ma il pubblico ci mette molto poco, direttamente. Esso offre però la propria attenzione.

I produttori e i loro sponsor. Il principale legame di questa componente è con il suo finanziatore (o sponsor) e con il distributore: dalla prima componente riceve denaro e per la seconda produce varie forme di intrattenimento.

Le agenzie di pubblicità. Le agenzie di pubblicità collegano sponsor, distributori, produttori e istituti di ricerca. Finanziata soprattutto dagli sponsor, questa componente fornisce in cambio determinati servizi e idee.

I sottosistemi di controllo. Una parte importante di questa componente di controllo è costituita dagli organi legislativi che approvano leggi per la regolamentazione dei media; oppure dagli enti o istituzioni che mettono in atto le politiche sancite per legge.

4.3 Le condizioni esterne

Le condizioni esterne che circondano tutta la struttura sono costituite dalle norme generali della nostra società riguardanti il gusto e la moralità e dalla loro espressione formale nel corpo delle leggi. Simili ad esse, ci sono le norme culturali generali e le convinzioni su ciò che dovrebbe intrattenere o comunque gratificare il pubblico.

Ognuno dei diversi media entrerà in questo modello generale di sistema sociale in un modo leggermente diverso. Per aggravare la complessità di questo schema concettuale va ricordato che, anche se ogni medium costituisce un sistema sociale in qualche modo separato, i media sono sistematicamente in relazione anche tra se stessi. Così, possiamo definire tutto l'insieme dei mezzi di comunicazione come il sistema delle comunicazioni di massa degli Stati Uniti.

La fiducia nella libera impresa, la legittimità della ricerca del profitto, i vantaggi del capitalismo controllato e il valore generale della libertà di espressione rappresentano ulteriori condizioni esterne entro i quali il sistema americano delle comunicazioni di massa si trova ad operare.

5. Il mantenimento della stabilità del sistema

La principale condizione interna del sistema è, ovviamente, quella economica. Per qualsiasi medium, un cambiamento radicale di comportamento del pubblico comporterebbe quasi senza eccezione un grave disgregamento del sistema. Per prevenire i grandi cambiamenti nel comportamento del pubblico la soluzione sta nel fornire contenuti che soddisfino il maggior numero possibile di utenti e lo spingano a svolgere il proprio ruolo di pubblico nel modo più consono ai bisogni del sistema. In altri termini, sarà il contenuto veicolato a mantenere la stabilità del sistema. Dal punto di vista del sistema l'ideale è rappresentato dai contenuti che catturano l'attenzione del pubblico, lo persuadono ad acquistare dei beni e allo stesso tempo rispettano i limiti delle norme morali e dei canoni di gusto in modo da non provocare reazioni controproducenti da parte delle componenti normative.

Dal momento che il principale obiettivo del sistema dei media è il profitto economico, il sesso, la violenza e qualsiasi altro contenuto capace di catturare e mantenere l'attenzione sono funzionali nel senso che, anche so possono essere di bassa qualità, massimizzano le dimensioni dell'audience esposta ai messaggi pubblicitari. In generale, più numerosa è l'audience, più i distributori e i produttori possono alzare le tariffe della pubblicità.

Il sistema attuale, di forte dipendenza dalla pubblicità, fa si che vengano nettamente privilegiati i contenuti più vicini al gusto delle classi medio-basse. Questo segmento della popolazione costituisce nel suo insieme il blocco a maggior potere di acquisto: è la classe medio-bassa che compra la maggior parte dei prodotti pubblicizzati dai media. Il secondo segmento più importante per potere d'acquisto complessivo è il livello immediatamente inferiore, quello degli operai specializzati.

Un altro fattore che rende conto dell'importanza di queste due categorie della popolazione è che i segmenti basso e medio-basso sono quelli che fanno maggior uso dei media nel loro insieme. Ci sono molti dati che dimostrano che i meno scolarizzati dedicano ai mass media più tempo di chi è istruito.

E' forse superficiale pensare che la ragione essenziale per cui la gente dedica tempo ai media stia nell'attrattiva intrinseca dei contenuti. I media forniscono molte forme di gratificazione e di appagamento, oltre quelle del divertimento e dell'essere informati: per esempio la compagnia e il baby-sitting.

Ciò detto, è comunque vero che i contenuti di bassa qualità vendono, e vendono alla grande e questo fatto si afferma come l'elemento chiave del sistema sociale dei media. I contenuti di bassa qualità hanno una tale varietà di forme che l'assenza temporanea o anche definitiva di una di esse non cambia la sostanza del quadro.

Quando si scopre una formula per attirare l'attenzione e influenzare le scelte d'acquisto dei più ampi segmenti di pubblico, i media la abbandonano soltanto con grande riluttanza.

La funzione di ciò che abbiamo chiamato contenuto di bassa qualità è quella di mantenere la stabilità economica di un sistema sociale profondamente istituzionalizzato, che è strettamente integrato con l'insieme delle istituzioni sociali americane.

Un principio fondamentale espresso da Emile Durkheim è che la crescita di un organismo o di un sistema si accompagna ad una maggiore differenziazione o complessità. Partendo da questo assunto, e considerando lo straordinario progresso tecnologico verificatosi negli ultimi anni nel settore della comunicazione elettronica, si può ipotizzare che i sistemi dei media diventeranno più specializzati.



PARTE SECONDA: GLI EFFETTI DELLE COMUNICAZIONI DI MASSA

CAPITOLO VI. La società di massa e la teoria del proiettile magico

Ogni medium introdusse delle modifiche fondamentali sia sul pensiero umano a livello individuale che nello sviluppo culturale a livello collettivo.

Siccome le tecnologie di comunicazione che l'ordinamento sociale sono in un costante processo di trasformazione, ci sono tutte le ragioni di sospettare che le influenze dei mass media non siano sempre le stesse in tutti i momenti storici.

Fin dall'inizio dell'era delle comunicazioni di massa gli studiosi hanno cercato di comprendere quali fossero gli effetti dei media sui loro pubblici.

I prossimi capitoli del libro presenteranno sinteticamente queste formulazioni, cosa non facile perché lo sviluppo teorico nel campo delle comunicazioni di massa non ha seguito un percorso ordinato. Ciò di cui disponiamo oggi è infatti il risultato di una ricerca caotica e scoordinata.

Forse l'unico elemento unificante le varie spiegazioni che costituiscono la nostra eredità intellettuale nello studio delle comunicazioni di massa è che tutte le teorie principali si basano sulle concezioni dell'individuo o dell'ordine sociale fornite dalle varie scienze sociali.

Questo capitolo si occupa, nello specifico, delle prime formulazioni che hanno segnato il pensiero sugli effetti delle comunicazioni di massa. Esse ci aiutano a comprendere le teorie delle comunicazioni di massa che si sono affermate successivamente e che hanno rimpiazzato quelle precedenti. La seconda e la terza generazione di teorie delle comunicazioni di massa erano sotto molti aspetti delle reazioni ai postulati delle prime formulazioni, e per capire gli odierni modelli esplicativi è necessario partire dall'inizio.

1. Il paradigma evoluzionista e il concetto di società di massa

1.1 L'organismo collettivo di Comte

Fu Auguste Comte a propugnare l'applicazione del metodo (scientifico) positivista allo studio della società e a dare il nome alla nuova disciplina della sociologia. Concezione della società come organismo. Comte riteneva che la società fosse un organismo di tipo particolare. Egli osservò che la società aveva una struttura; che vi erano delle parti specializzate che operavano in modo coordinato; che l'insieme era qualcosa di più della somma delle singole parti e che era soggetto ad una trasformazione di tipo evolutivo.

Il ruolo della specializzazione. Anche se ogni individuo o gruppo può sembrare impegnato a raggiungere scopi strettamente privati, il risultato finale è comunque un sistema che funziona in modo armonioso. Egli riteneva che la divisione delle funzioni che la gente assume volontariamente fosse la chiave non soltanto della permanente stabilità della società, ma anche della sua possibile disorganizzazione.

Le conseguenze dell'eccesso di specializzazione. Comte vide anche un pericolo nell'eccessiva specializzazione. Questo punto è particolarmente importante per chi studia le comunicazioni di massa perché la stessa idea è stata usata in seguito dai successivi teorici per sviluppare il concetto della società di massa, un concetto di importanza centrale per le prime teorie sui media. L'aspetto più importante dell'idea di specializzazione eccessiva era che un'organizzazione sociale inefficiente non potesse stabilire i legami tra gli individui atti a mantenere un sistema di controllo sociale integrato e stabile. Egli pensava che quanto più gli individui erano in posizioni diverse nel sistema sociale, tanto più si sarebbe ridotta la loro capacità di comprendere gli altri. Secondo questo paradigma, a mano a mano che l'organismo sociale si evolve, sviluppa armonia e stabilità attraverso la divisione del lavoro. Allo stesso tempo, però, c'è la possibilità che uno sviluppo eccessivo porti alla disorganizzazione e al declino. Se le differenziazioni arrivano a minacciare l'efficienza dei legami tra le parti del sistema, allora anche l'equilibrio e l'armonia dell'organismo sono minacciati. Questo è uno dei punti di partenza fondamentali del dibattito sulla comunicazione "di massa".

1.2 L'analogia organica di Spencer

Le sue famose leggi dell'evoluzione. Dopo aver definito la società come un sistema di funzioni, egli analizzava approfonditamente l'ordine sociale in termini di crescita, strutture, funzioni, sistemi di organi e così via, sviluppando un'analogia estremamente elaborata tra la società e un organismo individuale. Ma Spencer non fece il passo successivo, e non considerò le possibili difficoltà che sarebbero derivate alla società se la specializzazione si fosse spinta troppo oltre. Egli era convinto che il processo fondamentale della natura fosse l'evoluzione e che l'evoluzione fosse naturale, quindi positiva. Non era pensabile sostenere che i mutamenti sociali indotti dalle leggi dell'evoluzione naturale fossero indesiderabili.

Mentre Comte era a favore del mutamento sociale pianificato, Spencer sostenne con molto vigore una politica di quasi totale laissez-faire. Entrambi postularono un processo che portava ad una differenziazione sociale sempre maggiore. Il primo nutriva molte riserve circa le possibili conseguenze della specializzazione eccessiva e il secondo aveva grandi riserve circa qualsiasi tentativo di interferire in ciò che considerava la naturale evoluzione della società. Nessuno dei due aveva piena coscienza delle trasformazioni radicali della struttura sociale che si sarebbero realizzate nel XX secolo.

1.3 La teoria dei vincoli sociali di Töennies

Nel 1887 Ferdinand Töennies: Gemeinschaft und Gesellschaft: mise a confronto due tipi di società molto diversi, una preindustriale e l'altra molto segnata dall'industrializzazione.

Gemeinschaft versus Gesellschaft. Per Gemeinschaft si intende un'organizzazione in cui le persone sono strettamente legate le une alle altre dalla tradizione, dalla parentela, dall'amicizia o da qualche altro fattore socialmente coesivo. Un'organizzazione di questo genere pone gli individui al centro di una serie di sistemi straordinariamente forti di controllo sociale informale. Questo idealtipo può essere utile per analizzare le trasformazioni dell'organizzazione sociale e i nuovi tipi di vincoli che si stabiliscono tra i suoi membri se la società si evolve in forme diverse.

Nella Gesellschaft la condizione essenziale su cui si basa la relazione sociale è il contratto. Il contratto è, nel senso più ampio del termine, un accordo raggiunto razionalmente nell'ambito dei rapporti sociali volontari, in cui le due parti si impegnano reciprocamente a rispettare obblighi specifici o a perdere determinati beni in caso di inadempienza.

La società impersonale e anonima. La Gesellschaft, quindi, colloca l'individuo all'interno di un sistema sociale impersonale e anonimo. La Gesellschaft è un sistema di rapporti competitivi dove gli individui cercano di massimizzare ciò che possono ottenere dagli scambi e minimizzare quello che danno, imparando allo stesso tempo come diffidare degli altri.

1.4 L'analisi di Durkheim della divisione del lavoro

1893: Durkheim pubblica La divisione del lavoro.

Solidarietà meccanica versus solidarietà organica. L'ampia analisi di Durkheim mirava soprattutto a dimostrare come nella società la divisione del lavoro fosse la principale fonte di solidarietà sociale e come a una modificazione della divisione del lavoro (come per esempio quella che deriva dall'evoluzione sociale) corrispondesse un cambiamento delle forze unificanti della società. Per mostrare le conseguenze sociali della divisione del lavoro, Durkheim mise a confronto la solidarietà meccanica con la solidarietà organica. La solidarietà meccanica è quella che unisce popolazioni sostanzialmente simili. Dove non c'è divisione del lavoro - o c'è soltanto in minima parte - non solo le azioni, ma anche i sentimenti delle persone sono molto simili. In questo tipo di società, la "solidarietà può dunque soltanto aumentare in ragione inversa alla personalità", perché la personalità è ciò che distingue una persona dall'altra. Se la solidarietà meccanica è basata sull'omogeneità, la solidarietà organica è basata sull'eterogeneità. Durkheim notò la dipendenza reciproca creata dalla specializzazione e la identificò in un tipo di forza sociale che lega i membri di una società a formare un insieme operante in modo più o meno armonioso. Ma il fattore importante è che la divisione del lavoro, che produce solidarietà organica, incrementa sensibilmente anche il grado di individualità e di differenziazione sociale all'interno della società.

L'isolamento psicologico. Durkheim continuava mostrando come l'aumento della divisione del lavoro accresca la dipendenza di ogni individuo specializzato dagli altri individui. Così, mentre per un verso le persone altamente specializzate sono collegate da una rete di dipendenza funzionale reciproca, allo stesso tempo esse sono isolate in senso psicologico nella misura in cui la specializzazione le porta a sviluppare un'individualità sempre più accentuata.

L'anomia. Infine, Durkheim notò che in alcune circostanze la divisione del lavoro poteva originare ciò che chiamò "forme patologiche". Se le funzioni sociali, cioè le parti della struttura organica, non sono ben articolate tra loro, la solidarietà organica si può spezzare. Ne sono un esempio le crisi commerciali, le depressioni economiche, la conflittualità tra lavoratori e dirigenti, le rivolte civili, le dimostrazioni e le proteste dei sottogruppi.

Dunque la stessa divisione del lavoro, che fino ad un certo punto produce armonia, se spinta oltre getta il seme della disarmonia sociale. Naturalmente questa era la tesi di Auguste Comte. Durkheim chiamò questo stato di disarmonia anomia.

2. La nascita della teoria della società di massa

Il concetto di società di massa non si riferisce alle grandi dimensioni di una società composta da grandi masse di individui. Il concetto di società di massa si riferisce al tipo di relazione che intercorre tra gli individui e l'ordine sociale che li circonda. Nella società di massa si presuppone che:

gli individui siano in condizione di isolamento psicologico rispetto agli altri;

nelle loro interazioni con gli altri prevalga l'impersonalità;

gli individui siano relativamente liberi dalla pressioni di obblighi sociali informali e vincolanti.

3. La società di massa e la teoria del proiettile magico

3.1 La propaganda bellica e la fiducia nel potere dei media

La Prima guerra mondiale fu il primo conflitto globale a cui presero parte attiva e coordinata intere popolazioni. In quasi tutte le guerre precedenti, le forze militari contrapposte combatterono le loro battaglie perlopiù indipendentemente dalle popolazioni civili. Questo nuovo tipo di guerra era, in effetti, uno scontro tra la capacità produttiva delle diverse nazioni coinvolte e gli eserciti in campo furono sostenuti e dipendevano totalmente dai grandi complessi industriali del proprio paese. Questi enormi sforzi industriali richiedevano che la popolazione civile che vi lavorava collaborasse con slancio ed entusiasmo.

La propaganda e il bisogno di una "Gemeinschaft". Ma le popolazioni eterogenee e differenziate delle società industriali non erano tenute insieme da vincoli effettivi. Diventò essenziale mobilitare sentimenti di lealtà, instillare nei cittadino l'odio e la paura del nemico, tenerne alto il morale nonostante le privazioni e convogliarne le energie in un contributo efficace alle esigenze della nazione. Il mezzo per raggiungere tutti questi scopi fondamentali fu la propaganda. I mezzi di comunicazione di massa dell'epoca diventarono gli strumenti principali per convincerli a farlo.

La teoria delle comunicazioni di massa su cui si basava l'attività della propaganda era piuttosto semplice, coerente con l'immagine della società di massa ereditata dalla produzione intellettuale del XIX secolo. Essa partiva dal presupposto che gli stimoli creati allo scopo avrebbero raggiunto ogni singolo membro della società di massa attraverso i media, che ogni persona li avrebbe percepiti in modo più o meno simile e che avrebbero provocato una risposta più o meno uniforme da parte di tutti.

I messaggi dei media come proiettili magici. Si pensava che i media potessero plasmare l'opinione pubblica e influenzare le masse a favore di qualunque punto di vista, secondo i desideri del comunicatore. Lasswell: "La comunicazione è uno dei mezzi più potenti del mondo moderno".

La tesi di fondo delle comunicazioni di massa sottintesa da questa conclusione non è semplice come sembra. Certo, è una teoria piuttosto semplificata del tipo stimolo-risposta, ma presuppone anche un particolare insieme di assunti impliciti che riguardano non soltanto l'organizzazione sociale della società, ma anche la struttura psicologica degli esseri umani che vengono stimolati e rispondono ai messaggi che giungono tramite le comunicazioni di massa. E' importante riconoscere tutti questi assunti impliciti perché è stato attraverso la loro sistematica sostituzione o modificazione che si sono sviluppate le teoria delle comunicazioni di massa più recenti.

Teoria del proiettile magico ("magic bullet theory"; teoria dell'ago ipodermico; teoria della cinghia di trasmissione): l'idea di base è che i messaggi dei media vengono ricevuti in modo uniforme da ogni membro dell'audience e che questi stimoli innescano risposte dirette ed immediate.

3.2 La teoria del proiettile magico come corollario di postulati impliciti

Quali erano gli assunti psicologici da cui fu derivata la teoria del proiettile magico? Sotto l'influsso di Darwin, la teoria degli istinti era al suo massimo. Fino a quel momento si pensava che il comportamento di un dato individuo fosse governato in buona parte da meccanismi biologici ereditari di una certa complessità, che intervenivano tra gli stimoli e le risposte. Di conseguenza, si pensava che la natura umana fondamentalmente fosse sostanzialmente uniforme da un essere umano all'altro.

Data una concezione della natura umana di base come qualcosa di uniforme, con l'accento posto sui processi non-razionali, e data una concezione dell'ordine sociale come società di massa, la teoria del proiettile magico, basata sul meccanismo istintivo stimolo-risposta (S-R) e sulla convinzione che i media fossero strumenti potenti, sembrava del tutto valida. Essa asseriva che i forti stimoli, portati uniformemente all'attenzione dei singoli membri della massa, provocavano sollecitazioni interiori, emozioni o altri processi su cui l'individuo aveva un limitato controllo volontario. Data la natura ereditaria di questi meccanismi, tutte le persone rispondevano in modo più o meno uniforme.

La propaganda bellica sembrò offrire una valida prova del potere dei media. Non c'è nessun dubbio che la propaganda della Prima guerra mondiale sia stata efficace. Ma ciò non significa che una sola teoria sia in grado di spiegarne gli effetti. La teoria del proiettile magico era stata costruita sulla base di assunti che la teoria generale non considerava più sostenibili e di conseguenza gli studiosi dei mass media dovettero abbandonarla, sia pure con riluttanza. Nel frattempo, mentre si ideavano nuovi paradigmi generali capaci di descrivere meglio la natura umana e quella dell'ordine sociale, lo studio delle comunicazioni di massa si dotò di una base empirica.


CAPITOLO VII. Le teorie dell'influenza selettiva

All'inizio del XX secolo si iniziò a condurre su vasta scala la ricerca empirica sui processi e gli effetti della comunicazioni di massa, e i risultati delle ricerche rivelarono poco a poco un quadro che non si conciliava con la teoria del proiettile magico. I sociologi e gli psicologi giunsero a conclusioni del tutto nuove sulle caratteristiche personali e sociali degli esseri umani. I nuovi paradigmi fornivano elementi utili alla comprensione degli effetti delle comunicazioni di massa, ma erano del tutto inconciliabili con le teorie generali da cui derivava la teoria del proiettile magico. Le due circostanze insieme resero necessario un ripensamento radicale delle influenze personali e sociali dei media.

Gli studi empirici sugli effetti delle comunicazioni di massa incominciarono negli anni Venti con le ricerche del Payne Fund, un programma ad ampio raggio per lo studio degli influssi del cinema sui bambini. Le ricerche del Payne Fund studiarono l'impatto dell'esposizione ai film sui pensieri e il comportamento di migliaia di bambini; suscitarono grandi allarmi perché sembravano confermare l'idea che i film influenzassero pesantemente il pubblico.

Lo sviluppo teorico dei primi anni fu scoordinato e perfino caotico. Molte delle teorie cui facciamo riferimento sono in molti casi delle formulazioni postume.

Nonostante la mancanza di coordinamento della ricerca dei primi anni, si formò gradualmente un corpus di conoscenze sui media e i loro effetti ed emerse anche una convergenza sempre più accentuata sul modo più opportuno per studiarli. Da questa accumulazione di saperi nacque molti anni più tardi una disciplina chiamata comunicazioni di massa.

"Teorie dell'influenza selettiva": si tratta di tre formulazioni distinte ma collegate tra loro, che nacquero dall'identificazione sempre più puntuale di precisi modelli di comportamento individuale e di gruppo. Il ricorso a questi modelli per spiegare come le persone usano le comunicazioni di massa e ne sono influenzate ha dato vita alla teoria delle differenze individuali, alla teoria della differenziazione sociale e alla teoria delle relazioni sociali.

1. La teoria delle differenze individuali

Dopo la fine del secolo la psicologia subì una drastica mutazione: l'interesse per l'origine fisiologica del comportamento e l'impegno ad usare il metodo sperimentale come mezzo valido per raccogliere conoscenze fondate.

All'inizio del XX secolo scoppiò un acceso dibattito sulla contrapposizione "natura versus cultura", centrato sulla questione delle origini della variabilità e dell'unicità della persona umana. Quando gli psicologi si misero a studiare i meccanismi dell'apprendimento e della motivazione nell'essere umano, divenne sempre più chiaro che ogni persona aveva un profilo psicologico diverso dalle altre. Mentre tutti condividevano i modelli di comportamento della propria cultura, ogni individuo aveva una particolare struttura cognitiva di bisogni, modi percettivi, opinioni, valori, atteggiamenti, capacità e via dicendo.

1.1 Apprendimento "versus" ereditarietà come origine delle differenze individuali

Una questione fondamentale per quanto riguarda l'origine della natura umana era se la struttura cognitiva venisse ereditata dall'individuo come parte del proprio patrimonio genetico, o se invece la si acquisisse in qualche modo per il fatto di vivere in un ambiente sociale.

Prospettiva evoluzionista di Charles Darwin. Per capire gli esseri umani era necessario studiare il comportamento animale in generale. Gli psicologi ritenevano che il comportamento degli esseri viventi fosse in gran parte il prodotto di capacità, tendenze e modelli di comportamento ereditari, giunti agli esseri umani contemporanei attraverso un lungo processo di evoluzione. Questa psicologia "comparativa" sottintendeva che il comportamento avesse un'origine fisiologica.

E' per questo che uno dei concetti più comuni a quell'epoca era "l'istinto", con cui si spiegavano tutti i tipi di comportamento sia umano che animale; questo era il partito della "natura".

D'altra parte c'era chi sosteneva che gli esseri umani acquisiscono le proprie caratteristiche individuali e le proprie specifiche capacità dalle esperienze che fanno nel loro ambiente; questo era il partito della "cultura".

Proprio all'inizio del secolo si inaugurò una nuova branca della psicologia: anch'essa si occupava di animali con un ampio ricorso all'approccio sperimentale, ma il suo obiettivo centrale era comprendere come l'individuo veniva plasmato dal proprio ambiente attraverso un processo di apprendimento. In particolare, essa era interessata al modo in cui la struttura psicologica interiore acquisita di un individuo (la struttura cognitiva" condizionava le risposte della persona all'ambiente esterno.

Questa "psicologia dell'apprendimento" era destinata ad avere un'importanza fondamentale per lo studio degli effetti delle comunicazioni di massa.

Lo sviluppo della teoria dell'apprendimento John Locke, David Hume. Herman Ebbinghaus: sillabe senza senso. Studiando la dinamica della perdita di memoria, egli formulò la famosa "curva dell'oblio" che dimostrava la relazione tra il tempo e la qualità del ricordo.

Già alla fine del secolo scorsa Thorndike, attraverso esperimenti oggi famosi come trial and error, riuscì a descrivere delle curve di apprendimento e a giungere a conclusioni importanti sulla relazione tra l'apprendimento e ciò che sarebbe stato più tardi chiamato "rinforzo).

Più tardi Skinner formulò le complesse teorie del condizionamento operante, della estinzione delle risposte e del condizionamento del comportamento attraverso il rinforzo periodico. Pavlov.

Tutti questi esperimenti sono importanti perché dimostravano che gli animali, attraverso un processo di apprendimento, potevano acquisire dall'ambiente modelli di comportamento che non erano semplicemente ereditati o inscritti nel patrimonio genetico.

Imparare ad essere motivati. Al riconoscimento dell'importanza dell'apprendimento si accompagnò un analogo interesse per la motivazione. Si accertò che le esigenze biologiche potevano essere motivazioni essenziali sia negli animali che negli esseri umani, ma una conclusione forse più importante fu che molte delle motivazioni che sostengono il comportamento umano sono anch'esse acquisite. In altri termini, noi impariamo ad avere bisogno di determinate sostanze, situazioni ed esperienze che ci spingono a tenere particolari comportamenti.

Dagli istinti agli atteggiamenti. La classica formulazione con cui si definiva la forza motivante di tipo biologico era l'istinto. Con l'abbandono del concetto di istinto la psicologia sociale si trovava di fronte ad una sorta di vuoto. Il concetto che avrebbe preso il posto centrale fino allora occupato dall'istinto era l'atteggiamento. Fu introdotto come strumento sistematico di analisi da Thomas e Znaniecki alla fine della Prima guerra mondiale. Essi lo definirono come un "processo di consapevolezza individuale che determina le attività reali o possibili dell'individuo in un mondo sociale"; c'era l'idea che gli atteggiamenti fossero una sorta di "predisposizione" che veniva appresa e che svolgeva un ruolo determinante nel dare forma al comportamento.

Negli anni Venti venne messa a punto una serie di tecniche matematiche complesse e sofisticate per la misurazione degli atteggiamenti.

C'erano almeno tre ragioni alla base della straordinaria popolarità di questo concetto: erano disponibili diversi modelli matematici relativamente facili da usare; questi fornivano dati numerici immediatamente utilizzabili per l'analisi statistica; il concetto di atteggiamento si prestava facilmente ad essere impiegato negli esperimenti del tipo "prima/dopo" per verificare se era intervenuto qualche mutamento negli atteggiamenti degli individui.

C'erano altri due aspetti del concetto di atteggiamento che in poco tempo ne fecero un elemento centrale nello studio degli effetti delle comunicazioni di massa: il primo era che al tempo della Seconda guerra mondiale si credeva fermamente che la comunicazione sotto forma di messaggi persuasivi potesse cambiare gli atteggiamenti; inoltre si riteneva senza ombra di dubbio che gli atteggiamenti ed il comportamento fossero strettamente correlati.

L'idea che le differenze individuali avessero un ruolo decisivo nel confermare le risposte alle comunicazioni di massa ebbe una funzione di guida assolutamente centrale nelle ricerche sui media, da prima della Seconda guerra mondiale fino a una buona parte degli anni Sessanta.

1.2 Le psicografie e la segmentazione del mercato

Problema: quando si usano i mass media a scopi persuasivi, come si può trasferire il messaggio in modo tale da aumentare le probabilità che il pubblico vi aderisca?

Le ricerche psicologiche indicavano con sempre maggior chiarezza che sul piano delle strutture cognitive esisteva una gamma molto ampia di differenze individuali. La logica conseguenza era che, per essere persuasivi, i messaggi dovevano essere tagliati a misura degli interessi specifici, dei bisogni, dei valori, delle convinzioni dei destinatari.

Si preparava così il terreno per il concetto di segmentazione del mercato come principio utile all'ideazione e allo sviluppo di strategie per vendere al grande pubblico dei media prodotti, uomini politici e comportamenti socialmente utili. A sua volta, questo approccio evidenziò il bisogno di ricerche di mercato che identificassero quali tipi di persone compravano, votavano o compivano altre azioni, sulla base di quali motivazioni, interessi, atteggiamenti o altri fattori psicologici.

2. La teoria della differenziazione sociale

Divenne chiaro che i membri delle società contemporanee urbano-industriali non erano tutti uguali. Li si poteva invece collocare concettualmente in categorie sociali ben definite in base alla classe sociale, alla religione, all'identità etnica, all'area di residenza rurale o urbana, e così via. Lo studio di queste categorie rivelò che i membri dei singoli gruppi presentavano molte analogie che avevano conseguenze rilevanti sul loro comportamento.

2.1 L'importanza del cambiamento sociale

Diverse forme di cambiamento importanti contribuivano alla complessità della società: l'urbanizzazione, la modernizzazione, le migrazioni; l'aumento della divisione del lavoro, della stratificazione e della mobilità sociale.

L'urbanizzazione, era una conseguenza inevitabile dell'industrializzazione

La modernizzazione fu il risultato dell'affermazione dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione. Le famiglie si trasformarono da soggetti di produzione (i contadini nelle fattorie) a soggetti di consumo (gli abitanti nelle città).

Le migrazioni hanno accompagnato la nascita dell'industrializzazione con grandi spostamenti di popolazioni che hanno mescolato individui di provenienze e culture diverse e li hanno concentrati in nuove aree abitata.

La divisione del lavoro aumentò in modo corrispondente all'industrializzazione.

La stratificazione, cioè il sistema delle gerarchie sociali, cambiò profondamente. Le linee divisorie tra le classi sociali tradizionali, che fino a quel punto erano state entità distinte e separate (bassa, media e alta) divennero meno definite e più confuse. I nuovi sistemi di stratificazione erano basati meno su elementi ereditati e più su elementi acquisiti come il reddito, il livello di istruzione e il prestigio della posizione lavorativa.

La mobilità verso l'alto divenne un obiettivo comune.

2.2 La differenziazione sociale nella società moderna

Per i grandi cambiamenti che abbiamo detto, le società urbano-industriali svilupparono strutture sociali estremamente differenziate. In parole semplici, la "differenziazione sociale" significa complessità sociale.

2.3 La nascita della ricerca empirica in sociologia

Ebbe veramente inizio con il famoso studio di Durkheim sul suicidio.

All'inizio del secolo i sociologi cominciarono a fare dell'indagine a campione la metodologia di ricerca principale. La ricerca confermava che la differenziazione sociale produceva modelli di comportamento diversi.

2.4 Le subculture

Metodo dell'osservazione partecipante. I ricercatori si trovarono ogni volta di fronte all'evidenza che all'interno di ogni categoria le persone condividevano un modo di vita distintivo, che ne faceva una "microcultura" separata da quella della società nel suo complesso. Quasi senza accorgersene, i ricercatori che studiavano gli effetti dei mass media sugli individui incominciarono a farlo secondo i presupposti della differenziazione sociale. Si comprese che a seconda della categoria sociale di appartenenza, gli individui selezionavano particolari contenuti, interpretavano gli stessi messaggi in modi diversi rispetto ai membri di altre categorie, ricordavano i messaggi in modi diversi rispetto ai membri di altre categorie, ricordavano i messaggi in modo selettivo e le loro azioni risultanti dall'esposizione ai media erano molto diverse.

2.5 La teoria degli usi e gratificazioni

Negli anni Quaranta, quando ci si rese conto delle conseguenze delle differenze individuali e della differenziazione sociale sul comportamento legato alle comunicazioni di massa, si aprì una nuova prospettiva teorica sul rapporto tra le audiences e i media. Si trattava di un passaggio da una concezione passiva del pubblico alla consapevolezza del fatto che i suoi membri sono soggetti attivi, che selezionano dai media i contenuti e i messaggi preferiti. Le prime teorie (per esempio quella del proiettile magico) consideravano l'audience come relativamente inerte.

La ricerca sui tipi di bisogni soddisfatti dai media e sulle gratificazioni fornite attraverso i loro contenuti cominciò presto. Alcuni critici ritengono che l'approccio degli usi e delle gratificazioni non sia una vera e propria teoria indipendente, ma piuttosto una riformulazione abbastanza ristretta di alcuni aspetti delle teorie dell'influenza selettiva. Essi si riferiscono al fatto che l'ipotesi di fondo della teoria degli usi e gratificazioni (cioè che i bisogni individuali dei membri del pubblico e le gratificazioni che ottengono influenzano i modelli di attenzione ai contenuti dei media e i modi di utilizzo delle informazioni ricevute) è in sostanza una versione semplificata della teoria delle differenze individuali, basata sulla considerazione della struttura cognitiva.

Un altro limite è che, fino ad oggi, la ricerca basata sulla teoria degli usi e gratificazioni non ha prodotto molto più che liste di "motivi" o liste di "soddisfazioni".

2.6 Le demografie come base per la segmentazione del mercato

2.7 Il collegamento fra la ricerca di base e la ricerca applicata

I concetti di differenza individuale e di differenziazione sociale sono stati le fondamenta su cui nacquero le teorie dell'influenza selettiva.

2.8 L'influenza selettiva nel processo delle comunicazioni di massa

Negli anni Quaranta si era compreso che tra i fattori che era necessario studiare c'erano le caratteristiche del comunicatore, il contenuto dei messaggi e i canali attraverso cui le persone ricevono le informazioni. 1948 Lasswell:

Chi? Dice che cosa? Attraverso quale canale? A chi? Con quale effetto?

Lo sviluppo delle teorie delle differenze individuali e della differenziazione sociale indicarono chiaramente ai ricercatori almeno alcuni dei fattori che era necessario considerare per sviluppare teorie generali più esplicative o per pianificare strategie efficaci di utilizzo pratico delle comunicazioni di massa per manipolare il comportamento dei pubblici. Emerse un terzo fattore, quello delle relazioni sociali tra i membri del pubblico.

3. La teoria delle relazioni sociali

Nel 1940 Lazarsfeld, Berelson e Gaudet misero a punto un elaborato progetto di ricerca per studiare l'impatto sugli elettori della campagna presidenziale di quell'anno. Lo studio fu condotto nella conte di Erie, Ohio. Il contenuto dei media sottoposto ad analisi erano i discorsi elettorali e gli altri messaggi politici riportati nei quotidiani, nei settimanali e alla radio durante il confronto tra Wendell Wilkie e Franklin D. Roosvelt. Per la prima volta su vasta scala si impiegò un panel di 600 persone, intervistati ad intervalli regolari di un mese. Alcuni degli effetti sotto analisi erano la partecipazione alla campagna attraverso la richiesta di informazioni sui candidati e sui temi in discussione; le dichiarazioni di voto come risultato dell'esposizione alla campagna elettorale e il fatto di andare effettivamente a votare. Nel corso della ricerca si scoprirono però anche altri effetti: alcuni intervistati erano attivati dai media (avevano una "predisposizione latente"che i media rendevano poi manifesta); altri individui avevano già preso una decisione all'inizio della campagna e rinforzavano le loro scelte; le prime intenzioni di voto venivano ribaltate dai messaggi veicolati dai mass media soltanto in una piccola percentuale di casi. Così, la conversione non poteva dirsi un effetto diffuso.

Lo studio non diede molto spazio al possibile ruolo delle relazioni sociali informali, quelle definite dal concetto di gruppo primario. Gli intervistatori ricevettero quasi sempre la stessa risposta imprevista: le discussioni politiche venivano citate più spesso della radio o della stampa.

3.1 Il flusso di comunicazione e di influenza a due stadi

Il risultato finale della felice scoperta del ruolo delle relazioni informali tra gli abitanti della contea di Erie fu la formulazione di una nuova prospettiva teorica sul processo delle comunicazioni di massa. A ricerca finita, risultò chiaro che le relazioni sociali informali avevano avuto un certo peso nel cambiare il modo in cui gli individui selezionavano i contenuti dei media riguardanti la campagna e il modo in cui venivano influenzati da quei contenuti. Si creava un flusso indiretto ma importante di idee e di influenze, che passava dai media a coloro che erano direttamente esposti ai media e da questi alle altre persone che non avevano letto o sentito i messaggi originali. Questo processo di comunicazione venne chiamato "flusso di comunicazione a due stadi" ("two-step flow of communication").

Gli individui che erano più a contatto con i media furono chiamati opinion leaders perché si scoprì presto che non erano semplici trasmettitori di informazioni. Essi svolgevano invece un ruolo importante nel fornire interpretazioni della campagna elettorale.

3.2 L'adozione delle innovazioni

A differenza degli studiosi della comunicazioni di massa, i sociologi rurali si erano accorti da tempo che, negli ambiti da loro osservati, le relazioni sociali informali svolgevano un ruolo importante nella formazione delle decisioni. In particolare, essi si rendevano conto che l'influenza esercitata dal rapporto diretto tra gli agricoltori era un fattore importante nella decisione di adottare una certa innovazione nel settore agricolo. Nella società rurale la famiglia aveva forti legami sociali con le famiglie delle fattorie vicine.

La ricerca empirica stabilì presto che l'adozione delle innovazioni era un processo sociale di carattere generale simile a quello che si verifica durante le campagne elettorali. Furono condotti studi approfonditi per identificare gli opinion leaders. Si scoprì che in quali tutte le situazioni in cui la gente deve prendere delle decisioni per gli acquisti, i candidati o altre cose, senza disporre di informazioni di prima mano, esiste un flusso di informazione e di influenza a due livelli.

In generale si è scoperto che gli opinion leaders che hanno potere di influenza nel processo di adozione assomigliano molto a coloro che essi influenzano, tendono a conformarsi più strettamente alle norme del proprio gruppo e sono considerati particolarmente ben informati su un settore ma non necessariamente su altri. L'opinion leadership non è necessariamente esercitata da persone collocate più in alto nella scala gerarchica.

Nello studio decisivo su questo tema, Katz e Lazarsfeld scoprirono che la "posizione nel ciclo di vita" era una variabile critica che determinava chi avrebbe influenzato chi e su quale argomento.

4. L'importanza odierna delle teoria dell'influenza selettiva

Con il superamento della teoria del proiettile magico e l'introduzione delle teorie dell'influenza selettiva si passava da una concettualizzazione relativamente semplice ad una molto complessa. Improvvisamente, tutti i fattori, sia psicologici che sociologici, che differenziavano i singoli individui diventarono potenziali variabili intervenienti. Esse agivano tra lo stimolo (S) da una parte (il contenuto diffuso dai mass media) e la risposta (R) dall'altra (i cambiamenti prodotti nei sentimenti, nei pensieri o nelle azioni dei membri del pubblico che erano venuti in contatto con quel contenuto). Invece della semplice dinamica S-R della teoria del proiettile magico, priva di fattori operanti tra i media e la massa, c'erano ora diversi insiemi di variabili intervenienti che modificavano la relazione.

S => differenze individuali => R

S => categorie sociali e socioculture => R

S => relazioni sociali => R

Si trattava di insiemi distinti di variabili intervenienti, che caratterizzavano i singoli pubblici ma che, nel processo delle comunicazioni di massa, avevano effetti in qualche modo simili. Il concetto può essere compreso meglio se consideriamo i quattro principi di base che governano le azioni dei pubblici influenzati da questi tre insiemi di variabili intervenienti.

Il principio dell'attenzione selettiva. Per evitare il sovraccarico informativo, le persone sviluppano dei "filtri mentali" che escludono grandi quantità di informazioni. Anche l'appartenenza alle categorie sociali influenza l'attenzione degli individui. Per esempio, le trasmissioni religiose sono poco interessanti per gli ascoltatori laici, ma sono accolte con entusiasmo dai devoti. Inoltre le persone che hanno forti legami sociali tendono a seguire con particolare attenzione i temi e gli argomenti che sanno che interessano agli amici e ai famigliari (tante mogli sopportano il calcio per far piacere ai mariti). Dunque il principio dell'attenzione selettiva dice che la struttura cognitiva, la categoria di appartenenza e i legami sociali significativi danno origine a modelli di attenzione ai contenuti dei media collegati a questi fattori.

Il principio della percezione selettiva. A causa delle differenze dei fattori cognitivi come gli interessi, le opinioni, le conoscenze pregresse, gli atteggiamenti, i bisogni e i valori, gli individui percepiscono (cioè danno significato a) pressoché qualsiasi insieme di stimoli in modo diverso rispetto a chi ha diverse strutture cognitive. Il termine "percezione" fa riferimento all'attività psicologica per cui gli individui organizzano interpretazioni dotate di senso dagli stimoli sensoriali che ricevono dall'ambiente circostante. I membri di determinate categorie sociali, corrispondenti a particolari subculture, attribuiranno modelli distintivi di significato a determinati contenuti mediali. I veterani della Seconda guerra mondiale vedono nei messaggi dei media sui tedeschi e giapponesi significati diversi. La percezione selettiva e l'attribuzione di significato sono influenzate anche dalle relazioni sociali. Dunque, il principio della percezione selettiva dice che le persone diverse per caratteristiche psicologiche, orientamenti subculturali e reti sociali di appartenenza interpreteranno gli stessi contenuti mediali in modi molto diversi.

Il principio della memorizzazione selettiva.

Il principio dell'azione selettiva.

Possiamo riassumere le proposizioni di base delle teorie dell'influenza selettiva nei termini che seguono:

Le variazioni nelle strutture cognitive degli individui sono il risultato delle esperienze di apprendimento nell'ambiente sociale e culturale.

Nelle società complesse le categorie sociali sviluppano subculture distintive in quanto i loro membri elaborano e condividono opinioni, atteggiamenti e modelli di azione che soddisfano i loro bisogni e li aiutano ad affrontare i loro problemi specifici.

Nelle società urbano-industriali le persone conservano importanti legami con la famiglia, gli amici, i vicini di casa, i colleghi di lavoro e così via.

Le differenze individuali nelle strutture cognitive, nelle subculture delle singole categorie e nelle relazioni sociali tra i membri del pubblico generano negli individui modelli selettivi di attenzione, percezione, memorizzazione e azione relativi a specifiche forme di contenuto mediale.


CAPITOLO VIII. La socializzazione e le teorie dell'influenza indiretta

Una delle principali caratteristiche delle teorie dell'influenza selettiva è che si concentrano sul qui ed ora. Le teorie dell'influenza selettiva non sono pensate per spiegare gli effetti a lungo termine sugli individui o per occuparsi degli effetti indiretti delle comunicazioni di massa sulla società e la cultura.

C'è motivo di pensare che la vera importanza delle comunicazioni di massa nella società non stia negli effetti immediati su pubblici particolari ma nelle influenze indirette, sottili e a lungo termine sulla cultura umana e sull'organizzazione della vita sociale.

1. Prospettive a breve termine "versus" prospettive a lungo termine

Ci sono due ragioni fondamentali per cui le teorie dell'influenza selettiva si riferiscono ad una prospettiva di breve termine. La prima è che esse derivano dal paradigma cognitivo generale della psicologia, che è poco interessato alle trasformazioni delle attività sociali che hanno luogo in lunghi archi temporali. L'altra ragione è che a queste teorie si arrivò usando strategie metodologiche che erano idealmente tagliate per scoprire le influenze immediate e puntuali delle variabili indipendenti sui fattori dipendenti e non l'accumulazione a lunga scadenza di effetti ritardati nel tempo.

1.1 I limiti del paradigma

Le teorie dell'influenza selettiva sono varianti della forma concettuale S-O-R. Esse postulano che le caratteristiche cognitive, subculturali e sociali degli individui siano tutte in qualche modo insiemi distinti di fattori O che operano come influenze intervenienti.

1.2 I limiti del metodo

Una seconda ragione per cui le teorie dell'influenza selettiva si occuparono principalmente delle influenze a breve termine è che si svilupparono sulla base di procedure metodologiche adatte allo studio degli effetti immediati e diretti e non a quello delle relazioni tra variabili di tipo indiretto e a lungo termine. In particolare, fin dall'inizio la psicologia ha assunto l'esperimento come strategia metodologica preferenziale e lo stesso ha fatto la sociologia con il sondaggio campionario.

La prospettiva generale che fornisce un quadro di riferimento entro cui studiare le influenze indirette e a lungo termine delle comunicazioni di massa è la socializzazione. Si tratta di un termine-ombrello. Un aspetto della socializzazione riguarda direttamente i sistemi di risposta personale dell'individuo, cioè il modo in cui la persona acquisisce nuove forme di azione, o nuove idee, che modificano i suoi modi abituali di rispondere all'ambiente fisico o sociale. Un altro aspetto della socializzazione colloca gli individui in una cornice di interazione sociale in modo da comprendere come vengono preparati ad entrare e a prendere parte a gruppi organizzati e a percorrere i vari passaggi attraverso il proprio ciclo di vita.

2. I media come agenti di socializzazione

2.1 La natura della socializzazione

Andando avanti nel ciclo di vita, gli individui sono chiamati ad assumere nuovi ruoli, ad accettare status diversi, a cambiare responsabilità e a modificare la percezione di sé.

Nelle società tradizionali le fasi del ciclo di vita sono chiaramente segnate da vari riti di passaggio. Questo sistema garantisce che i passaggi avvengano in modo ordinato e che l'individuo sia adeguatamente preparato a passare da una fase all'altra. Nelle società urbano-industriali contemporanee questo processo non è affatto chiaro. Nelle società moderne i mass media sono diventati una fonte pervasiva, onnipresente e irresistibile di definizioni di come la gente dovrebbe comportarsi.

Il termine "socializzazione" è un'etichetta per un insieme complesso, a lungo termine e multidimensionale di scambi comunicativi tra gli individui e vari agenti della società, che dà origine alla preparazione dell'individuo alla vita in un ambiente socioculturale.

2.2 La socializzazione e l'individuo

Gli antropologi usano il termine "acculturazione" per definire il processo di acquisizione per cui i nuovi membri di una società interiorizzano tutti gli aspetti della loro cultura: non soltanto i costumi e le tradizioni di un popolo, ma anche il linguaggio, l'uso dei manufatti e tutto l'insieme delle leggende, dei miti, delle credenze condivise e del folklore. Quando le persone passano da una società all'altra, si ha una ri-socializzazione e questo processo è chiamato assimilazione.

Gli psicologi tendono ad identificare la socializzazione con l'apprendimento dei modi per controllare le pulsioni innate. Freud: es, io e super-io. Egli pensava che questi tre aspetti della natura umana fossero in costante conflitto per il controllo del comportamento dell'individuo. Per lui il compito della civiltà nell'educazione di bambini è di "ingabbiare la bestia". La socializzazione, in altre parole, stimola l'individuo ad accettare gli standard della società che stabiliscono cosa è giusto e cosa è sbagliato e a controllare le pulsioni innate alla gratificazione che produrrebbero disgregazione e disappunto sociale.

Domanda: qual è il ruolo dei mass media come agenti della socializzazione?

I sociologi sottolineano che la socializzazione prepara gli individui alla partecipazione alla vita di gruppo. Si tratta di un processo formativo complesso da realizzare perché per interagire con un gruppo, o con la società considerata nel suo insieme, ciascuno di noi deve tenere a mente insiemi dettagliati di aspettative riguardanti il funzionamento di molti gruppi di tipo diverso.

2.3 La socializzazione e la società

La socializzazione è fondamentale per la sopravvivenza della società come sistema stabile e continuativo. Come risultato della socializzazione, i membri di una società arrivano a dare per scontate molte cose, a condividere gli stessi assunti su numerosi aspetti del proprio sistema sociale e a relazionarsi gli uni agli altri in modi considerati accettabili. Tutte le scienze sociali presumono che ciò accada tramite un processo di apprendimento, deliberato o casuale, e che questo sia un prodotto delle influenze sociali. Ciò significa che ci sono vari tipi di agenti formali o informali che agiscono da istruttori, dei quali i soggetti interessati possono anche non essere consapevoli. Questi agenti possono essere casuali, come nel caso delle influenze della famiglia sui bambini, o possono essere progettati deliberatamente dalla società, com'è il caso della scuola.

Il punto importante è che nelle società contemporanee, tra gli agenti non intenzionali, i mass media sembrano svolgere un ruolo sempre più importante.

3. La teoria del modellamento

Albert Bandura la formulò negli anni Sessanta all'interno di una più vasta teoria dell'apprendimento sociale.

3.1 La teoria dell'apprendimento sociale o dell'apprendimento per osservazione

La teoria dell'apprendimento sociale (o dell'apprendimento per osservazione) è particolarmente importante per lo studio delle comunicazioni di massa perché nei contenuti dei media ci sono moltissime rappresentazioni o descrizioni della vita sociale. La teoria dell'apprendimento sociale parte dal presupposto che le persone acquisiscono nuovi collegamenti tra particolari condizioni di stimolo presenti nel loro ambiente e modelli di azioni stabili (che imparano a compiere) in risposta a quelle condizioni. Questi collegamenti, che gli psicologi chiamano "abitudini", tendono a diventare relativamente stabili o ricorrenti quando vengono in qualche modo rinforzati. Il rinforzo è solitamente una conseguenza della ricompensa, cioè una piacevole esperienza che spinge a rispondere ad un certo stimolo con un determinato comportamento. Anche l'eliminazione di qualche situazione irritante o punitiva può avere come effetto il rinforzo. Se un modello di azione usato come risposta ad uno stimolo viene rinforzato, aumenta la probabilità che quel particolare comportamento diventi un modello consueto (abituale) di rispondere a quel determinato stimolo.

In sintesi, il rinforzo o il rafforzamento della relazione tra S e R si realizza di solito quando l'adozione di un modello di azione adeguato da parte dell'individuo dà origine a qualche gratificazione, compreso il sollievo da una situazione stressante.

Un altro importante concetto della teoria dell'apprendimento è il condizionamento "operante". Esso si riferisce all'acquisizione di un modello di risposta per mezzo delle sequenze di rinforzo di un dato collegamento S-R che si realizzano in modo causale.

Al centro della teoria dell'apprendimento c'è un processo molto vicino alla vecchia idea dell'imitazione del comportamento, però associata al concetto di rinforzo.

Se una figura-modello agisce secondo una particolare forma di comportamento, e se questa è identificata come soluzione ad un problema o come gratificazione o comunque come qualcosa di desiderabile per le sue conseguenze, aumentano le probabilità che venga adottata. Se questa adozione ha effettivamente conseguenze positive, è probabile che quel particolare modello (abitudine) resti come una parte più o meno permanente del repertorio personale dell'individuo.

L'apprendimento può aver luogo in modo involontario, inconsapevole, senza un piano o una precisa volontà di manipolazione.

Una delle principali ragioni per cui i teorici dell'apprendimento sociale ritengono che l'adozione del comportamento per modelli sia una scelta deliberata deriva dall'osservazione del ruolo determinante del linguaggio sul comportamento.

Un'altra caratteristica importante che la teoria dell'apprendimento sociale condivide con altre spiegazioni psicologiche è il fatto di adottare una prospettiva a lungo termine.

3.2 Il processo di modellamento

La teoria del modellamento è utile per descrivere l'applicazione della teoria generale dell'apprendimento sociale al fenomeno dell'acquisizione di un nuovo comportamento delle rappresentazioni dei media.

Il processo di modellamento consiste in diverse fasi:

Un singolo membro di un pubblico osserva (o legge) nel contenuto mediale una persona (un modello) che esplica un particolare modello di azione.

L'osservatore si identifica con il modello, cioè crede di essere come il modello, vuole essere come lui o lo considera affascinante e degno di essere imitato.

L'osservatore riconosce consapevolmente - o inconsapevolmente - che il comportamento osservato o descritto è funzionale. Cioè la persona si fa l'opinione che quel comportamento produrrà qualche risultato desiderabile se lo si imita in una determinata situazione.

Quando si trova in circostanze pertinenti (situazioni di stimolo), l'individuo ricorda le azioni della figura-modello e riproduce il comportamento come risposta a quella situazione.

Compiere l'azione riprodotta in una situazione di stimolo pertinente dà all'individuo qualche sollievo, ricompensa o soddisfazione, facendo così in modo che il legame tra quegli stimoli e la risposta venga rinforzato.

Il rinforzo positivo aumenta le probabilità che l'individuo usi l'attività riprodotta ripetutamente come mezzo per rispondere a situazioni simili.

La teoria del modellamento è riuscita a creare un interesse molto forte per le procedure di analisi di contenuto. Non si può pensare che, per il solo fatto che nei contenuti dei media sono massicciamente rappresentate determinate forme di comportamento, queste saranno massicciamente adottate. L'analisi del contenuto non dice nulla a proposito dell'acquisizione di modelli di comportamento stabili tra gli individui esposti a specifiche azioni rappresentate o descritte nelle comunicazioni di massa.

La teoria del modellamento mostra chiaramente che i media possono operare come agenti dei processi di socializzazione. La teoria del modellamento non presuppone che, per il fatto che i media offrano modelli di comportamento, allora i fruitori debbano necessariamente fare propri quei modelli. Per questo motivo è una teoria efficace, capace di spiegare almeno alcune delle influenze dirette e immediate e quelle indirette e a lungo termine sugli individui esposti ai contenuti dei media.

Allo stesso tempo, però, ci sono molti effetti delle comunicazioni di massa che non possono essere efficacemente studiati con questa teoria, che riguarda l'azione individuale e non il comportamento condiviso, e può dire poco o niente della forma dell'organizzazione sociale di qualsiasi gruppo o società, o del contributo delle comunicazioni di massa alla cultura.

4. La teoria delle aspettative sociali

4.1 La teoria dell'organizzazione sociale

Il postulato fondamentale delle spiegazioni di tipo sociologico è che ciò che guida il comportamento umano è un modello definito di interazione sociale: le persone di preoccupano di "ciò che penseranno gli altri". I modelli che nascono dalla fissazione di regole per l'interazione interpersonale sono chiamati nel loro insieme organizzazione sociale (termine-ombrello). Si possono far risalire le principali componenti dell'organizzazione sociale a quattro concetti fondamentali: le norme, i ruoli, le posizioni sociali, le sanzioni. Le norme sono regole generali che vengono apprese e seguite da tutti i membri del gruppo. Anche i ruoli sono regole, ma essi riguardano particolari posizioni nell'organizzazione delle attività di un gruppo. I fattori chiave sono la specializzazione delle attività e la loro interdipendenza. Posizione sociale: differenze in termini di privilegi, ricompense e diritti accessori (status). Le sanzioni sono applicate allo scopo di mantenere il controllo sociale nel gruppo.

In generale la teoria dell'organizzazione sociale dà molto rilievo agli eventi che hanno luogo tra le persone piuttosto che dentro le loro teste. Dimostra come le aspettative consolidate che caratterizzano un sistema sociale siano un forte fattore di influenza del comportamento.

4.2 Le rappresentazioni dei media come fonti di aspettative sociali

I mass media sono una fonte primaria di aspettative sociali formalizzate relative all'organizzazione sociale di gruppi particolari nella società contemporanea. La teoria delle aspettative sociali riguarda le influenze sulla socializzazione derivanti dalle comunicazioni di massa come risultato delle rappresentazioni dei modelli consolidati di vita di gruppo. I concetti fondamentali:

I contenuti dei media rappresentano con una certa frequenza i modelli di organizzazione sociale in forma di norme, ruoli, posizioni sociali e sanzioni relative a tipi particolari di gruppi.

Tali rappresentazioni possono essere più o meno veritiere per ciascuno dei diversi tipi di gruppo, possono essere cioè affidabili o fuorvianti, accurate o distorte.

Qualunque sia la loro relazione con la realtà, i membri del pubblico assimilano tali definizioni, che diventano così l'insieme appreso di aspettative sociali circa il modo in cui si attende che agiscano i membri di tali gruppi.

Queste aspettative costituiscono una parte importante delle conoscenze preventive del comportamento che gli individui dovranno necessariamente tenere quando diventeranno membri di un dato gruppo.

L'insieme delle aspettative che gli individui nutrono circa il comportamento dei membri dei molti altri gruppi che compongono la comunità e la società è una parte importante della loro conoscenza generale dell'ordine sociale.

Le definizioni che derivano da queste aspettative funzionano come indicazioni di comportamento in quanto riguardano il modo in cui gli individui dovrebbero comportarsi verso chi ricopre altri ruoli nei vari gruppi e il modo in cui gli altri agiranno nei loro propri confronti nelle varie circostanze sociali.

Questi assunti coniugano due complesse aree di studio presenti nelle moderne scienze del comportamento: l'apprendimento in forma di socializzazione e il modellamento delle attività umane in forma di organizzazione sociale. La teoria delle aspettative sociali è una formulazione concettualmente semplice. Essa si basa sull'idea che:

i media veicolano informazioni circa le regole di condotta sociale che gli individui ricordano e

che modellano direttamente il comportamento manifesto.

In sintesi, la teoria delle aspettative sociali è una spiegazione o resoconto delle influenze indirette e a lungo termine operate dai media. Secondo questa teoria, i media sono agenti (involontari e non intenzionali) delle istruzioni che collegano socializzazione e organizzazione sociale.

La teoria del modellamento e quella delle aspettative sociali sono utili per spiegare come certe modalità di presentazione e certi contenuti dei media possano svolgere una parte importante nella socializzazione a lungo termine in una società in cui le comunicazioni di massa sono disponibili in grande quantità.

Sia la teoria del modellamento che quella delle aspettative sociali sono spiegazioni di ordine diverso da quelle derivate dal modello cognitivo. Esse sono piuttosto delle ampie cornici concettuali utili ad organizzare ed interpretare le relazioni tra diverse categorie di contenuto mediale e le influenze a lungo termine sugli individui e sulla società.


CAPITOLO IX. Le comunicazioni di massa e la costruzione del significato

1. La ricerca dei principi in un'epoca di transizione

La teoria delle transizioni è basata sull'osservazione che, nelle varie fasi della preistoria e della storia, gli esseri umani hanno realizzato trasformazioni distintive e determinanti dei sistemi di comunicazione.

Le caratteristiche importanti di queste transizioni non sono le loro specifiche tecnologie o le date in cui avvennero. Ciò che importa sono i principi della comunicazione e le conseguenze che mostrarono di avere per la vita umana. Ad ogni fase aumentò moltissimo la capacità esclusivamente umana di innovare e di accumulare soluzioni ai problemi posti dall'ambiente fisico. Queste transizioni diedero sempre origine a mutazioni fondamentali dell'organizzazione sociale, la cultura diventò sempre più sofisticata e aumentò la capacità di pensiero degli individui.

Le comunicazioni di massa rimangono totalmente e fondamentalmente dipendenti dall'uso del linguaggio. Conoscere i modi in cui le persone condividono o non riescono a condividere i significati attraverso l'uso del linguaggio è indispensabile per comprendere come avviene la comunicazione e quali conseguenze ha sul pubblico.

La scrittura è ancora il sistema preferito e più considerato per immagazzinare, richiamare e scambiare informazioni.

La comunicazione è ancora il processo fondamentale tramite cui le persone acquisiscono conoscenze soggettive della realtà oggettiva. In questo processo, il ruolo di mediazione della comunicazione diventa sempre più importante mano a mano che l'uomo contemporaneo fa un uso sempre più massiccio dei mass media. Per questo motivo, la restante parte del capitolo è dedicata al modo in cui la comprensione dei rapporti tra la realtà esterna e la costruzione interna di quella realtà si è evoluta nell'arco di svariati secoli.

2. Un problema antico: come conosciamo la realtà?

Fondamentalmente, l'antico problema della conoscenza include tre questioni basilari: una è il problema di dividere il mondo con cui entriamo in contatto con i nostri sensi in segmenti mentalmente trattabili e di dare un'etichetta a ciascuno di essi. Inseparabilmente dal primo è il problema di selezionare nella nostra memoria particolari insiemi di esperienze interiori che possiamo etichettare e riconoscere in seguito come il significato collegato a quell'etichetta. Da questi insiemi di esperienze etichettate derivano le definizioni personali corrispondenti a qualche particolare oggetto, condizione o stato di cose nell'ambiente fisico o sociale. Il termine concetto si riferisce all'insieme che risulta dai due elementi: l'etichetta e il significato.

Un passaggio cruciale nello sviluppo dei concetti e quello dell'accordo sulle regole in base alle quali si assocerà una particolare etichetta ad una specifica definizione che contiene il significato del concetto. Non si tratta soltanto di un comportamento individuale, ma di una specie di patto sociale. Dalle regole derivano le nostre convenzioni di significati e di definizioni, tramite la standardizzazione dei collegamenti e le nostre esperienze soggettive del significato che quelle parole comunicano.

Infine, la conoscenza che abbiamo degli aspetti del nostro ambiente è alla base del nostro modo di agire nei loro confronti. Quindi il problema delle conseguenze è compreso nell'antica questione della relazione tra mente e realtà.

2.1 I concetti: i fondamenti della conoscenza

Platone affermava che la conoscenza umana si sviluppa sulla base di universali, ovvero di idee generali riguardanti le principali caratteristiche di ogni categoria di cose a cui gli esseri umani possono pensare. Egli chiamò queste idee generali forme e pensava che la realtà stessa ne fosse composta.

Platone riteneva che, tramite la conoscenza degli attributi essenziali di una determinata classe di oggetti, reali o astratti, si potesse facilmente identificare, capire e discutere di qualsiasi particolare esempio di quella categoria.

Dunque i concetti sono i fondamenti della conoscenza e il punto di partenza di una teoria della comunicazione umana.

2.2 Le convenzioni: le basi della comunicazione

Qualunque sistema si impieghi per arrivare alla definizione di un oggetto, di una condizione o di uno stato di cose, si presenta il problema di usare quel significato in modo coerente. Si tratta di un problema più sociale che individuale, perché è una questione di accordo collettivo sulle regole che collegano i concetti ai loro significati. Platone: dibattito sistematico su un'idea per raggiungere un accordo sui suoi significati. L'interpretazione soggettiva della realtà è una questione sociale oltre che individuale. Allegoria della caverna. Le informazioni che vediamo sui nostri televisori o al cinema, dove si presentano come ombre proiettate, o anche sulla stampa, ci portano a costruire significati condivisi del mondo reale che non hanno corrispondenti effettivi in quel mondo? Ci sono molti elementi per ritenere che effettivamente costruiamo significati convenzionalizzati della realtà sulla base dei messaggi dei nostri media!

Le convenzioni linguistiche sono le regole socialmente concordate per interpretare le parole nate all'interno di una comunità linguistica. Le parole hanno significati che possono essere condivisi grazie alle regole o alle convenzioni che li collegano tra loro. Il linguaggio va oltre le espressioni orali: gesti non-verbali. Esistono oggetti che hanno convenzioni di significato di tipo linguistico (barrette d'argento sul colletto di un ufficiale; teschio e tibie incrociate). I concetti e le convenzioni non devono necessariamente avere a che fare con la "verità" (fantasma, disco volante). La gente possiede significati interiori per queste idee, indipendentemente dal fatto che ci sia una realtà "là fuori" che vi corrisponde.

Definizione della comunicazione umana: qualcosa che sollecita significati negli altri. Due importanti principi: i concetti (le etichette e i loro significati) sono i fondamenti della nostra conoscenza personale della realtà (e qualche volta di ciò che non è reale); possiamo comunicare perché sviluppiamo regole sociali, cioè convenzioni linguistiche che richiedono collegamenti coerenti tra le etichette e i loro significati.

2.3 Il comportamento: le conseguenze della conoscenza della realtà

Il problema del rapporto tra la conoscenza e il comportamento resta la centro della comprensione della vita contemporanea. Il senso comune ci dice che le nostre convinzioni circa la natura della realtà fanno da scenario alle nostre decisioni sulle azioni da compiere. In quanto danno forma sia al nostro comportamento manifesto che ai nostri pensieri, ciò che conta sono le nostre convenzioni condivise - cioè la nostra conoscenza soggettiva plasmata dalla convenzioni di significato che condividiamo con altri - e non la realtà in se stessa. Se alcune parole non hanno corrispondenti nel mondo oggettivo, ma noi crediamo che ce l'abbiano, possiamo ugualmente usarle per pensare e comunicare. Tali convinzioni assumono un'importanza davvero decisiva quando sappiamo che sono condivise da altri.

2.4 La lunga ricerca dei principi della conoscenza

Tra il IX e il XIII secolo filosofia scolastica. All'epoca esistevano tre modi per raggiungere la conoscenza: uno era rappresentato dalla rivelazione e dalla fede; un altro dall'autorità; il terzo consisteva nell'applicazione del ragionamento metafisico, cioè di una logiche che non dipendeva da premesse, considerazioni o limitazioni di tipo fisico. Per ottenere conclusioni attendibili, gli Scolastici preferirono la logica metafisica all'osservazione del mondo fisico, per due ragioni. La prima era che essi non erano molto interessati alle faccende del mondo. La seconda ragione è che sentivano di conoscere già tutto ciò che c'era da sapere sul mondo fisico, perché disponevano degli insegnamenti di Aristotele. Da Aristotele gli Scolastici ereditarono un sofisticato sistema di ragionamento basato sul sillogismo.

Nel XVI e XVII secolo Thomas Hobbes e John Locke. Hobbes sostenne che attraverso le parole e il linguaggio sviluppiamo la capacità di pensare e ricordare. John Locke compì un passo avanti partendo da questi principi e fece del linguaggio anche il fondamento dell'ordine sociale. Egli descrisse la relazione tra le parole, i significati interiori e il ruolo del linguaggio come la base sia della mente che della società.

Uno dei grandi dibattiti in corso tra il XVI e il XVIII secolo riguardava il valore della conoscenza razionale rispetto a quella empirica, cioè se la vera comprensione della realtà oggettiva fosse raggiungibile attraverso i contatti sensoriali con la realtà stessa. Lentamente, le interpretazioni degli empiristi finirono per dominare la filosofia. Le realtà soggettive interiori sarebbero simili per tutte le persone rendendo possibile lo scambio interpersonale di significati attraverso il linguaggio. Questa era un'opinione generale molto importante. Era assolutamente necessario disporre di un'adeguata epistemologia, cioè di una teoria della conoscenza con cui i ricercatori potessero decidere della verità o della falsità delle conclusioni a cui giungevano attraverso l'osservazione empirica. Nel XIX secolo una delle principali risposte a quella domanda diventò la probabilità.

3. Le risposte contemporanee: le teorie della costruzione sociale

Tutte le scienze sociali si staccarono dal corpo centrale della filosofia nel corso del XIX secolo. Tutte hanno studiato come gli individui costruiscono i significati soggettivi interiori per gli oggetti e gli eventi della realtà; come questa conoscenza permette agli esseri umani di comunicare tra loro in modi diversi da quelli delle altre creature e come ciò incide profondamente sul comportamento sia individuale che sociale.

3.1 La linguistica: conoscere la realtà attraverso il linguaggio

Il campo della linguistica incominciò con lo studio comparativo delle lingue. La ricerca sulle lingue più antiche diede risultati interessanti. Oggi la linguistica consiste essenzialmente nella ricerca sistematica di tre aspetti fondamentali del linguaggio: la fonologia, cioè i suoni che si usano per comporre le parole; la sintassi, ovvero le regole con cui le persone usano insiemi di parole per veicolare altri significati oltre a quelli delle singole parole; la semantica, che studia i collegamenti tra le parole (o altri simboli) e i loro referenti, che sono gli aspetti della realtà di cui esse sono i sostituti, e i significati che le parole comunicano se chi parla segue le convenzioni stabilite dalla comunità linguistica.

La linguistica ha chiarito che la selezione di un determinato simbolo usato come etichetta per un certo referente (cioè un aspetto della realtà fisica o sociale) è un'operazione puramente arbitraria. Non c'è nessuna connessione naturale tra una particolare parola, suono, segno scritto o oggetto e ciò che rappresenta nel mondo che esperiamo.

Una conclusione interessante è che non c'è nessun linguaggio intrinsecamente "corretto". L'"esattezza" dei significati delle parole e l'"appropriatezza" della grammatica dipendono unicamente dalle convenzioni che i parlanti condividono in un dato momento.

3.2 L'antropologia: il relativismo culturale nella costruzione dei significati

Uno dei pionieri dello studio del linguaggio e della cultura fu Edward Sapir, che nel primo decennio di questo secolo iniziò a studiare le lingue di varie tribù di indiani americani. Sapir concluse che non soltanto le lingue, ma anche le concettualizzazioni del mondo fisico e del mondo sociale erano diverse da gruppo a gruppo. In altri termini, ciò che risultava non era soltanto che la lingua di ogni gruppo aveva termini diversi per lo stesso insieme di oggetti, condizioni e situazioni di una realtà più o meno uniforme, ma che le persone che usavano lingue diverse esperivano realtà molto diverse! "Il fatto è che il "mondo reale" è in larga misura costruito inconsapevolmente sulle abitudini linguistiche del gruppo. Non esistono due lingue abbastanza simili da poter essere considerate rappresentative di una medesima realtà sociale. I mondi in cui vivono società tanto diverse sono mondi distinti e non semplicemente lo stesso mondo etichettato in modi diversi". Ipotesi di Sapir-Whorf, o principio del relativismo linguistico.

I processi di comunicazione, unici e originale, di cui l'individuo è una parte sono adesso visti come un complesso aggiuntivo di fattori che danno forma e influenzano il modo in cui le realtà vengono esperite.

3.3 La sociologia: l'interazione simbolica e i concetti di realtà

Ci sono due filoni di pensiero in qualche modo separati che si sono sviluppati intorno all'idea che l'interazione sociale e i significati condivisi sono la base delle interpretazioni individuali del mondo oggettivo. Cooley si convinse che le persone possono relazionarsi le une alle altre non sulla base delle proprie caratteristiche oggettive nella realtà concreta, ma soltanto attraverso le impressioni che gli individui si fanno gli uni degli altri tramite l'interazione. Egli chiamò queste impressioni "idee personali". "La società nel suo aspetto immediato è una relazione tra idee personali". Ma dobbiamo quindi avere anche una dettagliata "idea personale" di noi stessi. Cooley definì la conoscenza di sé come "sé riflesso" (looking glass self), perché riteneva che l'impressione di ciò che siamo personalmente come esseri umani ci viene guardando le azioni degli altri.

In sostanza, la teoria della costruzione sociale di Cooley era un tipo di "organicismo psichico" che concepiva i gruppi umani e la società come un sistema di idee personali, più un'idea personale del sé che ogni persona sviluppava come costruzione di significati interiore e soggettiva.

La teoria delle conseguenze personali e sociali dell'interazione simbolica venne sviluppata e sistematizzata nella prima parte del secolo da George Herbert Mead. Mead usò il termine mente per indicare non una qualche entità eterea, ma la capacità umana di imparare e di usare simboli i cui significati sono condivisi con altri. Mead considerava che l'atto del pensare fosse una risposta interna a simboli interiori. Mise in evidenza che per relazionarci con le altre persone dobbiamo "assumere il loro ruolo". Questa costruzione è ciò che Mead chiamò "l'altro generalizzato". La mente, il sé e la società sono dunque tutte costruzioni, cioè valutazioni personali e definizioni di ruolo che formuliamo attraverso l'interazione simbolica.

Un'estensione contemporanea della posizione dell'interazionismo simbolico di Cooley e Mead è quella che i sociologi chiamano teoria dell'etichettamento (labeling theory). Essa è particolarmente importante per lo studio del comportamento deviante. L'idea di base è che una persona che viola la legge o trasgredisce qualche altra norma importante è ufficialmente "etichettata" da un organismo della società. Quell'etichetta diventa l'identità principale o significato pubblico dell'individuo, che ristruttura il modo in cui gli altri rispondono alla persona e alla fine cambiano il concetto che l'interessato ha di se stesso.

Una teoria della costruzione in una certa misura indipendente: "sociologia della conoscenza": Wissenssoziologie del filosofo tedesco Max Scheler. La sua tesi principale è che la conoscenza di qualsiasi cosa che si manifesti in una società si realizza nelle forme ed entro i limiti della cultura che prevale in quel momento. Questa è un'idea importante per valutare le opinioni passate e presenti sulla "verità".

3.4 La psicologia sociale: gli schemi come significati della realtà

L'idea fondante intorno a cui si organizza la maggior parte della ricerca psico-sociologica è il concetto di schema, introdotto nel 1934 dallo psicologo inglese Frederick Barlett. Nel tentativo di comprendere il funzionamento e i limiti della memoria umana, egli studiò la comunicazione interpersonale dei racconti popolari di diverse tribù africane. "Uno schema è una struttura cognitiva composta in parte dalla rappresentazione di qualche definito campo di stimoli ... Una delle funzioni principali di uno schema è quella di fornire delle risposte alla domanda "che cos'è" ... Esso può anche fornire una base per attivare sequenze di comportamento concrete oppure aspettative di particolari sequenze di comportamento, cioè copioni che descrivono il modo in cui un individuo agisce in una situazione sociale". In sostanza, si tratta di organizzazioni personali di significati soggettivi per cose, situazioni o eventi percepiti tramite i sensi.

Così la ricerca psico-sociologica contemporanea sta confermando ciò che è stato a lungo sostenuto dai filosofi, dagli antropologi, dai sociologi e da altri studiosi: c'è un rapporto fondamentale tra la conoscenza che acquisiamo dall'apprendimento in ambito sociale e il modo in cui reagiamo nei confronti del mondo fisico e sociale. Gli schemi, che assomigliano molto all'idea platonica delle forme, forniscono una spiegazione del funzionamento psicologico della memoria, della percezione, del pensiero e della comunicazione.

Gli schemi sono costruzioni acquisite in un processo sociale di apprendimento: i significati memorizzati sono le basi della conoscenza; questi significati, insieme alle loro etichette e convenzioni, sono le basi della comunicazione; la comunicazione è, a sua volta, il fondamento dell'ordine sociale.

4. Le comunicazioni di massa e gli effetti della realtà mediata

Diversamente dallo spettacolo delle ombre di Platone, i nostri media amplificano, invece di ridurre, ciò che giunge alle nostre orecchie e ai nostri occhi. Comunque, ciò che percepiamo sono rappresentazioni e non la realtà, e questo fatto deve avere sicuramente qualche effetto su di noi. Dunque, una delle principali caratteristiche dell'età delle comunicazioni di massa è che noi siamo sempre più in contatto con rappresentazioni mediate di un complesso mondo fisico e sociale e non soltanto con le caratteristiche oggettive del nostro ristretto ambito personale.

Gli studiosi di comunicazione hanno sviluppato, più o meno nello stesso periodo, quattro teorie che sono in un certo senso versioni attuali o derivazioni di ciò che chiamiamo il paradigma generale del significato. Esso si basa sui principi della conoscenza, del linguaggio e del comportamento:

la memoria umana rende possibile lo sviluppo della conoscenza;

la conoscenza ha la forma di concetti, che sono strutture di significato nominate ed etichettate, memorizzate dagli individui;

un individuo può elaborare i significati dei concetti o attraverso il contatto sensoriale diretto con vari aspetti della realtà, o attraverso l'interazione simbolica che ha luogo in una comunità linguistica;

il linguaggio è essenzialmente un insieme di simboli (verbali e non-verbali) che etichettano significati concordati;

le convenzioni standardizzano i legami tra il simbolo e il significato, rendendo possibile la comunicazione tra coloro che aderiscono alle regole;

i simboli e le convenzioni del linguaggio concordati ed usati da un particolare gruppo di individui ne determinano la percezione, l'interpretazione e il comportamento nei confronti del mondo fisico e sociale.

Si possono indicare almeno quattro teorie che affrontano la questione di come i media danno forma ai significati e delle conseguenze che ciò ha sul comportamento:

la funzione della stampa nella costruzione del significato, illustrata per la prima volta da Walter Lippmann negli anni Venti;

la teoria della coltivazione (cultivation theory), derivata dagli studi di George Gerbner sull'influenza della televisione nella paura della violenza diffusa nell'opinione pubblica;

la funzione di agenda-setting della stampa, sviluppata da Donald Shaw e Maxwell McCombs per comprendere come il pubblico assegna un certo ordine di importanza ai temi politici che occupano le notizie;

la funzione dei media nella formazione del linguaggio, formulata inizialmente da Melvin DeFleur e Timoty Plax.

4.1 La funzione della stampa nella costruzione del significato

Il lavoro di Lippmann Opinione pubblica dimostrava come le caratteristiche del mondo reale abbiano spesso uno scarso rapporto con le opinioni che le persone hanno di quello stesso mondo. Dimostrava anche che le interpretazioni che la stampa dà degli eventi possono radicalmente alterare l'interpretazione della realtà delle persone e i loro conseguenti modelli di azione (esempio Europa 1914).

Il punto centrale della tesi di Lippmann, tuttavia, era che le descrizioni della stampa erano spesse false nel senso che erano fuorvianti, creavano "nelle nostre teste immagini del mondo esterno" distorte o addirittura completamente false (es. quando nel novembre 1918 la stampa parlò erroneamente di armistizio, la gente si diede ai festeggiamenti).

Lippmann concludeva che le persone agiscono non sulla base di ciò che ha effettivamente luogo o che è effettivamente accaduto, ma sulla base di quella che pensano sia la situazione reale secondo le descrizioni fornite loro dalla stampa, cioè significati e interpretazioni che spesso corrispondono solo in parte a quello che veramente è successo.

Si tratta di una teoria della costruzione del significato, focalizzata sull'influenza della realtà mediata. Questa teoria è chiaramente legata all'industria dell'informazione esistente all'epoca di Lippmann, ed è quindi una teoria limitata alla stampa nel senso tradizionale del termine. Le finestre sulla realtà che ci vengono aperte dalla stampa hanno una forma determinata in parte dalla natura capitalistica dell'industria dell'informazione. In una società comunista o socialista la stampa è condizionata da fattori economici e politici di tipo diverso, ma, per molte simili ragioni, anch'essa distorce le immagini che il pubblico ha in mente.

La televisione aveva da poco fatto la sua comparsa quando venne realizzata una famosa ricerca che dimostra come la televisione fornisce al pubblico interpretazione degli eventi che differiscono in modo consistente dai fatti reali. Kurt e Gladys Lang: parata del MacArthur Day a Chicago nel 1952: un gruppo di osservatori seguì la parata di persona, un altro gruppo in televisione => i due gruppi si imbatterono in due mondi diversi: la parata in televisione era animata e piena di azione, mentre quella dal vero era piuttosto noiosa => i Lang conclusero che la televisione presentava una "prospettiva unica", selezionando con cura le scene e le angolazioni di ripresa in modo tale da rendere l'evento più emozionante possibile per gli spettatori.

4.2 La teoria della coltivazione

E' un'altra teoria della costruzione di George Gerbner. Nacque dalla preoccupazione diffusa a livello nazionale per gli effetti della violenza, che caratterizzò gli anni Sessanta e Settanta. Le analisi del contenuto condotte da Gerbner non volevano avere valore teorico; esse erano resoconti numerici dei diversi tipi di violenza che passavano sullo schermo televisivo. Le conclusioni furono che di violenza ce n'era molta. Negli ultimi anni Gerbner e altri studiosi hanno elaborato sia un modello teorico che una strategia empirica per studiare l'impatto della violenza televisiva sulle credenze degli individui. Hanno coniato l'idea secondo cui la realtà mediata può influenzare le credenze e quindi il comportamento. Essi chiamano questo meccanismo "mainstreaming" (formazione di una corrente dominante). Per quanto riguarda la televisione, essi affermano che i suoi contenuti "coltivano" le credenze delle persone.

Gerber e i suoi collaboratori si sono interessati in particolare a come la violenza mostrata in televisione aumenti la paura che vi sia criminalità nel proprio ambiente. Per fornire prove empiriche di questa dinamica, hanno messo a punto un sistema di misurazione, chiamato "differenziale di coltivazione", che consiste essenzialmente nel costruire il questionario ricorrendo ad una procedura di scelta obbligata. La teoria prevede che, se le credenze dello spettatore sono state "coltivate" dalla violenza mostrata in televisione, egli sceglierà la risposta televisiva. Ha il merito di focalizzare l'attenzione su forme molto specifiche di comportamento e di collegarle a forme molto specifiche di contenuto mediale.

I dati raccolti col sistema differenziale di coltivazione sembrano dimostrare che almeno una parte degli individui che guardano spesso la televisione sovrastima il livello di violenza del proprio quartiere, e teme in modo esagerato di esserne colpito direttamente. Interrogativi di ordine metodologico: i ricercatori che hanno tentato di riprodurre questi risultati con altre indagini hanno ottenuto dati che non confermano l'ipotesi.

4.3 La funzione di "agenda-setting" della stampa

L'idea di base è che nel corso di una campagna elettorale si stabilisca una relazione stretta tra il modo in cui i media d'informazione (la "stampa" in senso lato) presentano i vari temi e l'ordine di importanza assegnato agli stessi temi dagli individui esposti alle notizie diffuse dai media.

Questa teoria è compatibile con il più generale paradigma del significato. L'ipotesi di base fu messa a punto da Maxwell McCombs e Donald Shaw verso la fine degli anni Sessanta. Fu condotta un'analisi del contenuto relativa alla copertura riservata dalla televisione, dai quotidiani e dai settimanali d'informazione ai candidati e ai vari temi politici, per una certa durata di tempo. Inoltre, fu realizzato un piccolo sondaggio per indagare quali fossero le opinioni degli intervistati sul diverso grado di importanza dei temi trattati dai media.

In sostanza, risultò che c'era una forte corrispondenza tra la quantità di attenzione data dalla stampa ad un particolare tema e il livello di importanza assegnato a quel tema dagli individui esposti ai media.

Fu condotta un'indagine più estesa in occasione delle presidenziali del 1972, e la ricerca avvalorò l'ipotesi generale e nel complesso convalidò i risultati dell'indagine precedente: le agende (cioè i livelli di attenzione attribuiti ai temi) dei media erano strettamente collegate alle gerarchie di importanza assegnate dai loro pubblici.

4.4 Le funzioni dei media relative alla parola e al linguaggio

Nel 1985 in una famiglia media americana il televisore stava acceso 7 ore e 10 minuti al giorno, un aumento sostanziale rispetto alle 4 ore e 51 minuti del 1955.

Si può presumere che, aumentando la quota complessiva dell'attività di comunicazione che dedichiamo ai mass media, i prodotti dei media esercitino un'influenza crescente sui modi di parlare degli americani, sulle parole usate e sui significati convenzionalmente associati ai simboli. Chiameremo queste influenze funzioni dei media relative alla parola e al linguaggio.

Ci sono due modi in cui i media modificano l'intera gamma delle nostre attività comunicative. Uno passa attraverso l'influenza sui modi di parlare, cioè sulla pronuncia, la grammatica e la sintassi. L'altro influenza il linguaggio in modo più generale, ampliando e modificando il vocabolario. I media esercitano queste influenze in modi diversi: presentano nuove parole con significati collegati; ampliano i significati di termini già esistenti; sostituiscono con nuovi significati altri più vecchi; soprattutto consolidano le convenzioni in vigore per i significati delle parole della nostra lingua.

Funzione di presentazione: i nuovi termini si diffondono velocemente ed efficacemente a livello nazionale perché i media hanno un seguito molto vasto.

La funzione di ampliamento dei significati è in qualche modo diversa. A molte parole che hanno già definizioni stabilite i media aggiungono altri elementi di significato. Per esempio, la parola "ecologia" era in origine un termine tecnico usato principalmente da una ristretta comunità scientifica per indicare un sistema di relazioni equilibrate tra gli organismi di un ambiente circoscritto.

Funzione di sostituzione: "crack" era una parola semplice, dal significato piuttosto chiaro. Poi, tramite un uso molto forte del termine che ha sostituito i vecchi significati con altri nuovi, i media hanno creato un'interpretazione totalmente nuova. Alto esempio: la parola "gate" (Watergate, Irangate).

Infine, la funzione di consolidamento svolta dai media consiste nel fatto che essi rafforzano gli usi invalsi. I media non perpetuano le differenze legate alla classe sociale e alle parlate regionali. Al contrario, a livello sia scritto che parlato i media ci ricordano quotidianamente quali sono i significati standardizzati e condivisi delle nostre parole.

In questo senso, le funzioni che i media svolgono nella trasformazione del comportamento del pubblico sono a lungo termine, sottili e cumulative.


CAPITOLO X. Le strategie teoriche della persuasione

Affrontiamo la questione dell'impiego dei contenuti dei media diretto a condizionare o a controllare le risposte degli individui in modo intenzionale. Si vedrà che le stesse formulazioni teoriche che servono a spiegare le influenze delle comunicazioni di massa di tipo accidentale, involontario e a lungo termine, possono spiegare anche come si possono ottenere delle influenze in modo intenzionale.

L'idea di persuasione ha origini antiche: la retorica.

Noi concentriamo la nostra analisi sull'uso premeditato dei messaggi dei media per influenzare le azioni degli individui. E' chiaro che sono molte le forme di comportamento che possono essere influenzate da un messaggio persuasorio, ma qui consideriamo soltanto il comportamento manifesto e osservabile e non i cambiamenti interiori che si registrano a livello psicologico => comportamento manifesto assunto come variabile dipendente.

Ci sono due motivi per concettualizzare la persuasione in modo così rigido. Il primo è che così è possibile analizzare e valutare comparativamente diverse teorie. Un secondo motivo per assumere il comportamento manifesto come criterio principe per valutare l'efficacia della persuasione è che l'azione è il fattore che conta nel pragmatico mondo della pubblicità e della propaganda politica.

Perciò descriveremo tre strategie teoriche della persuasione molto diverse tra loro. Tutte e tre riguardano la stessa variabile dipendente: l'azione manifesta. E' necessario chiarire che queste strategie non sono teorie propriamente formulate come tali, cioè composte di postulati e teoremi formali. Esse sono al massimo degli orientamenti; comunque sono legate ai paradigmi generali, alle conclusioni filosofiche e alle teorie delle comunicazioni di massa. In particolare, delineeremo le strategie di persuasione derivate dal paradigma cognitivo, dalla teoria dell'organizzazione sociale e dal paradigma del significato.

1. La strategia psicodinamica

Formula S-O-R: per gli esseri umani, la O interveniente nella formula S-O-R è una struttura complessa di componenti della personalità di tipo biologico, emotivo e cognitivo, che orientano R, cioè il comportamento.

Tra queste, le strategie di persuasione selezionano i fattori di tipo emotivo o cognitivo, perché è ovviamente impossibile modificare un fattore biologico ereditario con messaggi veicolati dalle comunicazioni di massa.

Anche se le emozioni sono ovviamente la base delle strategie persuasorie, vi si può far ricorso soltanto in un numero limitato di situazioni. Per ideare le campagne di persuasione si ricorre molto più spesso ad un altro sistema, diretto a manipolare i fattori cognitivi. Gli assunti su cui si basa questa scelta sono abbastanza logici: da momento che la maggior parte dei fattori cognitivi è acquisita tramite un processo di socializzazione, essi sono i primi bersagli delle campagne di persuasione che cercano di realizzare un nuovo apprendimento per modificare i fattori cognitivi nei modi desiderati dal comunicatore.

Il secondo assunto è che i fattori cognitivi esercitano l'influenza fondamentale sul comportamento umano. Quindi, se si possono mutare i fattori cognitivi, allora si possono certamente cambiare i comportamenti. Questo assunto suggerisce che sia possibile acquisire il controllo del comportamento umano tramite informazioni abilmente progettate e distribuite dalle comunicazioni di massa.

1.1 I fattori cognitivi e il comportamento

La convinzione che l'agire umano sia diretto da processi soggettivi interni all'individuo è così radicata da sembrare una verità assiomatica. Numerosi sono i fattori che determinano il comportamento: bisogni, pulsioni, credenze, interessi, ansie, paure, valori, opinioni, atteggiamenti. Questi processi o fattori vengono distinti in ereditari (come i bisogni fondamentali) e acquisiti (come gli atteggiamenti o le ansietà) e questi ultimi sembrano essere i più affascinanti.

Un buon esempio di una condizione psicologica interiore acquisita che si ritiene influenzi il comportamento è la dissonanza cognitiva. Secondo Leon Festinger, che avanzò questa idea nel 1957, il bisogno di esperire un mondo coerente è un fattore motivante essenziale, che determina il nostro comportamento. La dissonanza, cioè uno stato psicologico interiore, agisce come una pulsione. Essa ci motiva a cambiare qualcosa: o il nostro comportamento o i nostri convincimenti.

Motivi e motivazioni sono concetti importanti per comprendere la persuasione. I termini "bisogno" e "pulsione": un bisogno è essenzialmente uno stato di deprivazione. Lo stato di deprivazione produce una stimolazione di energie rivolte ad ottenere ciò che soddisfa il bisogno. Questo stato di stimolazione si definisce "pulsione". Alcuni bisogni sono il prodotto della nostra natura biologica. Altri sono prodotti dall'apprendimento in un ambiente sociale.

Il fattore psicologico interno è spesso analizzato a proposito della determinazione di comportamenti complessi tramite la persuasione è l'atteggiamento. Si è radicata la convinzione che molte categorie di comportamento siano direttamente collegate con gli atteggiamenti, ma questo assunto non è stato adeguatamente dimostrato.

In generale, dunque, l'approccio psicodinamico insiste sulla potente influenza di fattori, condizioni, stati e forze interni all'individuo nella determinazione del comportamento. L'approccio cognitivo come strategia della persuasione sottolinea il fatto che la strutturazione interna della psiche è un prodotto dell'apprendimento.

1.2 Modificare i fattori cognitivi per influenzare il comportamento

L'essenza della strategia psicodinamica sta nel concetto che un messaggio efficace ha proprietà capaci di alterare il funzionamento psicologico degli individui in modo tale che essi risponderanno in modo manifesto (verso l'oggetto della persuasione) con le modalità di comportamento desiderate o suggerite dal comunicatore.

E' stato fatto un uso estensivo dei messaggi persuasori diretti agli atteggiamenti individuali in base all'assunto che ci sia un rapporto stretto tra l'atteggiamento dell'individuo, positivo o negativo, e il modo in cui si comporta in una data situazione sociale. Un esempio potrebbe essere una campagna per ridurre la discriminazione etnica (un comportamento manifesto) cercando di ridurre il pregiudizio etnico (un atteggiamento negativo che sembra portare alla discriminazione).

La paura è un fattore molto usato nella pubblicità e nelle iniziative persuasorie di altro genere. Esempio: la pubblicità con cui si promuove l'acquisto di una medicina (azione manifesta) suggerendo che se non la si usa si mette a repentaglio la salute.


Uno degli aspetti più problematici di questa strategia è che in effetti essa non sembra funzionare e nessuno sa perché, anche se poi l'approccio learn-feel-do è sempre quello privilegiato.

Alcune campagne sociali raggiungono i loro obiettivi, altre no, e nessuno sa veramente perché.

Dalla scarsa affidabilità della teoria del "cambiare-l'atteggiamento-per-cambiare-il-comportamento" si è occupato di recente Gerald Miller, che ha analizzato le ricerche sulla persuasione: conclude che, anche se la teoria cognitiva continua ad essere molto popolare, non ci sono prove che dimostrino che sia una strategia efficace per ottenere un cambiamento comportamentale attraverso la persuasione, specialmente se si considera l'atteggiamento come variabile chiave.

2. La strategia socioculturale

Gli assunti fondamentali della psicologia si basano sull'idea che il comportamento sia controllato dall'interno. Quelli delle altre scienze sociali, invece, partono dal presupposto che buona parte del comportamento umano sia determinata da forze esterne all'individuo.

Rispetto alla strategia cognitiva, che considera i processi interiori, le teorie del comportamento umano che partono dai fattori esterni all'individuo hanno avuto un ruolo secondario nello sviluppo di strategie persuasorie.

2.1 Aspettative sociali e comportamento

Non è difficile mostrare la potente capacità della cultura di controllare il comportamento umano (es.: codice del bushido; pratica indiana della sati; riti di passaggio degli indiani americani; tacchi alti; consumare alcool; ascolto della musica a volumi alti). Queste scelte di comportamento hanno poco a che fare con atteggiamenti e preferenze. Le aspettative sociali delle alte gerarchie del gruppo stabiliscono i modelli di comportamento richiesti. La sequenza efficace, quindi, non è learn-feel-do, ma learn-conform-or-be-punished (impara-conformati-o-sii-punito). Sono questi fattori esterni a determinare la nostra condotta, cioè le aspettative sociali e le richieste degli altri, e non soltanto i nostri sentimenti interiori, le preferenze o gli atteggiamenti. Per questo i fattori esterni possono essere la base dell'azione persuasiva.

2.2 Modificare le aspettative sociali per influenzare il comportamento

Le teorie della persuasione che hanno analizzato il ruolo della cultura e dell'organizzazione sociale hanno riguardato soprattutto i modi in cui questi fattori ostacolano il cambiamento del comportamento.

Un'efficace strategia socioculturale della persuasione richiede che i messaggi definiscano per l'individuo le regole del comportamento sociale o i requisiti culturali dell'agire che governano le azioni che il comunicatore cerca di stimolare. Oppure, se la definizione esiste già, l'obiettivo è quello di riformulare tali requisiti dell'agire. Un esempio classico è quello della pubblicità delle sigarette subito dopo la Prima guerra mondiale, quando non era socialmente accettabile che le donne fumassero.

Una strategia invalsa è quella di descrivere le aspettative sociali del gruppo entro cui deve avvenire l'azione, fornendo definizioni culturali del comportamento appropriato. La chiave è che il messaggio deve dare l'impressione che vi sia il consenso, cioè deve mostrare che le definizioni fornite sono sostenute dal gruppo e che quindi non seguirle costituirebbe un inaccettabile comportamento deviante.

La strategia socioculturale si avvale spesso della sinergia con le pressioni interpersonali a conformarsi attraverso una combinazione di messaggi mediali e di scambi individuali. Esempio: donazioni dello united appeal.

Pubblicità alla televisione: persone felici e sorridenti interpretano piccole rappresentazioni sulla birra, i lassativi, i deodoranti e la pasta adesiva per dentiere. Esse definiscono, ad uso degli spettatori, norme approvate e disapprovate, comportamenti di ruolo accettabili, modi per ottenere o mantenere lo status e mostrano quali effetti del controllo sociale possono abbattersi su chi devia dal sistema.

3. La strategia della costruzione del significato

Un terzo approccio alla questione della persuasione riguarda la manipolazione dei significati.

3.1 La costruzione dei significati e del comportamento

La proposizione secondo cui la conoscenza determina l'agire fu il primo grande postulato di quella che adesso chiamiamo scienza del comportamento.

La stampa determina le "rappresentazioni mentali" e influenza il nostro agire nei confronti dei temi di pubblico interesse che sono all'ordine del giorno. I media "coltivano" le nostre convinzioni sul mondo reale e influenzano il nostro comportamento. La stampa ci aiuta a definire i significati interiori sotto forma di una "agenda" di argomenti rilevanti e ad ordinarli in un certo ordine di importanza. Infine, le comunicazioni di massa definiscono, ampliano, sostituiscono e stabilizzano i significati del mondo contenuti nella nostra lingua.

3.2 Modificare i significati per influenzare il comportamento

Ma anche se i comunicatori di massa possono modificare i significati e influenzare il comportamento in modo non intenzionale, ci sono gli elementi per considerare la strategia della costruzione del significato come un mezzo per influire deliberatamente sul comportamento.

L'idea che la conoscenza influenzi il comportamento è in sé relativamente semplice. Questa strategie può essere definita learn-do (apprendi-fai), in contrapposizione agli approcci feel-do e learn-conform.

Il "significato" della Playboy di Jordan veniva fuori chiaro e forte: era, soprattutto, eccitante. L'acquisto della Playboy veniva associato ai significati della risata, della libertà, dell'avventura e forse ad un tocco di sesso disinibito.

Ma funziona veramente la formulazione learn-do? Il mondo della pubblicità sembra ritenere di si.


PARTE TERZA: I MEDIA NELLA SOCIETA' CONTEMPORANEA

CAPITOLO XI. La teoria della dipendenza dal sistema dei media

Ognuna delle teorie che abbiamo esaminato ha guidato un'importante attività di ricerca e ha migliorato la comprensione degli effetti dei media. Ma non è affatto chiaro quale di esse spieghi meglio la relazione tra i mass media e i membri della società in cui i media disseminano i messaggi. Nessuna spiegazione riesce a predire completamente questa relazione.

La discordanza tra le teorie contemporanee delle comunicazioni di massa si deve al fatto che ciascuna si concentra su differenti configurazioni di variabili indipendenti e dipendenti e quindi ogni teoria adotta ipotesi diverse e sistemi originali ed esclusivi per predire le influenze dei mass media sulla gente e sulla società.

La teoria della dipendenza del sistema dai media è una formulazione complessa che cerca di connettere in un'unica configurazione una parte delle idee che abbiamo esaminato nei precedenti capitoli.

1. Le radici delle teorie degli effetti dei media

I primi teorici dei media presero le mosse dal ragionamento di Durkheim e formularono una concezione secondo cui sarebbe la combinazione tra la complessità sociale, il consenso limitato, la mancanza di norme, la confusione personale e l'alienazione psicologica o l'isolamento a rendere potenti le comunicazioni di massa. Si pensava che in tali condizioni di "folla solitaria" le persone potessero essere facilmente influenzate dai media. In questo modo il paradigma struttural-funzionalista veniva usato ad un livello di analisi macro.

Ad un livello di analisi micro veniva usato il paradigma cognitivo. Le teorie psicologiche degli effetti dei media, quindi, ignoravano la "grande rappresentazione" della società, e si limitavano ad esaminare le conseguenze relativamente immediate delle esposizioni a breve termine ai contenuti delle comunicazioni di massa. Analogamente, le teorie psicodinamiche della persuasione si interessano ai processi psicologici interiori.

Sotto diversi aspetti le teorie degli effetti dei media derivate dalla psicologia sociale hanno un carattere più generale. Tendono a combinare gli elementi del paradigma cognitivo con alcuni aspetti del paradigma struttural-funzionalista. Per esempio, in queste teorie si combinano i processi di esposizione, percezione e memorizzazione selettiva con l'accento posto dallo struttural-funzionalismo sulla stabilità e l'ordine. Si sostiene che (in contrapposizione con la situazione di anomia) le reti di relazione interpersonale e i legami di gruppo forniscono agli individui norme stabili e convinzioni che li isolano dalle influenze arbitrarie dei media. Inoltre, si esaminano particolari atteggiamenti e forme di comportamento nel tentativo di dimostrare che questi sono i risultati dell'influenza interpersonale e non dell'influenza dei media.

Le teorie della costruzione del significato sono strettamente collegate al paradigma dell'interazionismo simbolico. Le formulazioni di questo tipo stanno diventando sempre più centrali nello studio degli effetti dei media. Le teorie della costruzione attribuiscono più potere ai media di quanto facciano le teorie dell'influenza selettiva, anche se sostengono che quel potere sia a lungo termine ed indiretto. Usare la comunicazione per determinare i significati condivisi dalle persone è una strategia molto efficace per ottenere e mantenere il controllo sociale, politico o economico. Se Karl Marx scrivesse oggi, arriverebbe certamente alla conclusione che chi controlla i mezzi economici di produzione sarebbe anche fortemente motivato a controllare la natura e la distribuzione delle comunicazioni di massa come mezzo per difendere i propri interessi e preservare la propria posizione dominante. Così il controllo dei mezzi economici di produzione richiederebbe anche il controllo dei mezzi della produzione mentale allo scopo di inculcare negli individui significati favorevoli al mantenimento da parte loro dell'esercizio del potere.

Marx non si sorprenderebbe di scoprire che i nostri media contemporanei - quotidiani, periodici, libri, radio, cinema, televisione - sono tutti caratterizzati da modelli di proprietà simili: i media americani sono nelle mani delle grandi catene, syndications, conglomerate e corporations. Non sembrano esserci dubbi sul fatto che nella società odierna l'informazione capace di determinare i significati sia una risorsa essenziale per molti scopi specifici.

Le teorie contemporanee delle comunicazioni di massa riguardano tendenzialmente il livello micro e non si occupano delle dipendenze a livello macro. Nessuna di queste teorie è del tutto errata, ma certamente nessuna di esse si occupa del modo in cui le varie componenti dell'intera struttura sociale si collegano alla presenza di un sistema dei media profondamente istituzionalizzato all'interno della società. La teoria della dipendenza del sistema dai media rappresenta appunto un tentativo di questo tipo.

2. La concettualizzazione delle relazioni della dipendenza dai media

Uno degli scopi principali della teoria della dipendenza del sistema dai media è di spiegare perché le comunicazioni di massa hanno effetti qualche volta potenti e diretti e altre volte piuttosto deboli e indiretti. Per far ciò, la teoria attinga ai temi centrali dei cinque paradigmi generali: l'interesse dello struttural-funzionalismo per la stabilità sociale, la concentrazione sul cambiamento del paradigma del conflitto, l'accento posto sull'adattamento sociale del paradigma evoluzionista, la concentrazione sulla costruzione del significato nella prospettiva dell'interazionismo simbolico e i fattori individuali (le motivazioni, i valori, gli atteggiamenti e il comportamento) tratti dal paradigma cognitivo.

Per descrivere la teoria della dipendenza del sistema dai media si può dire che è una teoria "ecologica": essa pone infatti l'accento sulle relazioni tra sistemi piccoli, medi e grandi e le loro componenti. Una teoria di questo tipo parte dall'assunto che il sistema dei media rappresenti una parte importante del tessuto della società moderna e che esso stabilisca relazioni con gli individui, i gruppi, le organizzazioni e gli altri sistemi sociali. Tali relazioni possono essere conflittuali o di cooperazione, dinamiche e mutevoli oppure statiche e ordinate. Possono avere diversi gradi di intensità, essere potenti e dirette e poi diventare deboli e indirette. Indipendentemente dalle caratteristiche specifiche della relazione, è comunque sempre la relazione in quanto tale che sorregge la spiegazione.

Come suggerisce il nome della teoria, la relazione chiave su cui si basa la logica di questo approccio è quella della dipendenza. Le relazioni di dipendenza possono instaurarsi con il sistema dei media nel suo insieme o con una delle sue parti, come l'industria televisiva, quella radiofonica, la stampa quotidiana o quella periodica.

Le relazioni di dipendenza dai media constano da una parte di obiettivi e dall'altra di risorse. Secondo la teoria della dipendenza, il sistema dei media è un sistema di informazione che controlla tre tipi di risorse informative "che generano dipendenza", a cui gli altri devono avere accesso per poter raggiungere i propri scopi. La prima risorsa è la raccolta o la creazione di informazioni (reporter). La seconda risorsa, il trattamento dell'informazione, consiste nel trasformare le informazioni create o raccolte (redattore). La terza risorsa controllata dal sistema dei media è la distribuzione dell'informazione (conduttore di telegiornale).

Il termine "informazione" è qui usato nella sua accezione generali in riferimento alla produzione e alla distribuzione di tutti i tipi di messaggi.

2.1 La natura bidirezionale delle relazioni di dipendenza dai media

Il potere del sistema dei mediaderiva dal fatto che esso controlla le scarse risorse di informazioni da cui dipende la possibilità che gli individui, i gruppi, le organizzazioni, i sistemi sociali e le società raggiungano i rispettivi scopi. Il rapporto di dipendenza che lega le risorse e gli scopi determina il grado di potere che i media esercitano in una data situazione ed è la variabile chiave nel definire se ciò di cui ci stiamo occupando riguarda le unità sociali grandi (macro) o piccole (micro).

Questo rapporto di dipendenza non è a senso unico. Il grado dell'equazione riguarda non soltanto la dipendenza degli altri soggetti dalle risorse dei media per l'ottenimento dei propri scopi, ma anche la dipendenza del sistema dei media dalle risorse controllate dagli altri. Il sistema dei media può essere concepito come un insieme di relazioni tra le sua varie parti.

Per illustrare la natura biunivoca dei rapporti di dipendenza dai media possiamo considerare le relazioni tra il sistema dei media e il sistema politico. In un modo che ricorda il paradigma struttural-funzionalista, possiamo definire la relazione tra il sistema dei media e un sistema sociale (politico o di altro genere) come una relazione di dipendenza strutturale, perché riguarda modelli ripetitivi di interdipendenza tra oggetti di analisi di tipo macro, in questo caso sistemi sociali.

Perché il sistema dei media raggiunga i suoi scopi, sono indispensabili alcune risorse controllate dal sistema politico. L'obiettivo prioritario del sistema nelle moderne società capitaliste è fare profitto. Un altro importante scopo è la legittimità della propensione di altri soggetti a garantire ai media certe libertà di diritto come la libertà di stampa e il diritto a svolgere determinati ruoli sociali come quelli di vigilanza e di investigazione. Altri scopi ancora riguardano l'espansione e la stabilità economica. Da parte sua, il sistema politico controlla la legislazione, gli organismi di controllo e le politiche tariffarie e commerciali che incidono sul profitto, sulle opportunità di espansione e sulla stabilità economica del sistema dei media. Il sistema politico controlla anche le meno evidenti risorse legate alla legittimazione. Esso sanziona il sistema dei media garantendogli diritti costituzionali ed altri diritti legali ad operare come sistema di informazione sulla base del fatto che i media sono indispensabili in una società democratica.

In via generale, si parte dall'assunto che il relativo gradi di potere del sistema dei media, in confronto ad altri sistemi sociali, è un prodotto della distribuzione delle risorse e delle dipendenze che interessano ogni singolo sistema (cioè la relazione di dipendenza strutturale). Un vantaggio della teoria della dipendenza del sistema dai media è che si possono usare gli stessi concetti di base che si applicano alle più astratte relazioni macro tra sistemi per esaminare le più concrete relazioni micro tra gli individui e i mass media.

2.2 I raqpporti di dipendenza tra gli individui e i sistemi mediali

Noi partiamo dal presupposto che la sopravvivenza e la crescita siano motivazioni umane fondamentali che spingono gli individui a raggiungere tre importanti scopi: la comprensione, l'orientamento e lo svago.

La dipendenza nella comprensione sociale si sviluppa quando gli individui utilizzano le risorse informative dei media per comprendere e interpretare persone, culture ed eventi del presente, del passato o del futuro. La comprensione di sé riguarda invece le relazioni con i media che ampliano o conservano la capacità dell'individuo di interpretare le proprie convinzioni, il comportamento, l'auto-percezione o la propria personalità.

Per dipendenza nell'orientamento sono centrali le questioni legate al comportamento. L'orientamento all'azione si riferisce ad una molteplicità di modi in cui gli individui stabiliscono rapporti con i media per trarne delle specifiche guide di comportamento.

La dipendenza nell'orientamento all'interazione implica che l'azione abbia per oggetto una o più persone.

Dipendenza nell'attività di svago: a livello individuale (solitary play) la dipendenza si stabilisce quando le proprietà esteriche del contenuto dei media e la loro capacità di intrattenere, stimolare o rilassare costituiscono in se stesse il motivo di attrazione. Al contrario, a livello sociale (social play), il rapporto di dipendenza si basa sulla capacità dei media di fornire il contenuto che stimola l'attivitò di svago congiunta delle persone.

Nelle società prenmoderne, le risorse informative più prezione, e cioè scarse, erano solitamente sotto il controllo dei capi della sfera politico-militare (i capi tribù e i re, per esempio), dell'ambito medico-religioso (gli sciamani) o dei sistemi di parentela (gli anziani). Nelle società moderne i media controllano una parte delle limitate risorse informative.

Non si dovrebbero comunque sottovalutare l'importanza dei mass media. Essi facilitano il raggiungimento degli scopi di comprensione, orientamento e svago, ma non sono l'unico mezzo per conseguire tali scopi. Dopotutto, gli individui sono collegati a reti interpersonali di amici e parenti e a sistemi di istruzione, religiosi, politici. La teoria della dipendenza dai media non condivide l'assunto della teoria della società di massa secondo cui i media hanno potere perché gli individui sono isolati e privi di legami di gruppo. Essa, invece, ritiene che il potere dei media consista nel controllo di quelle risorse informative di cui gli individui hanno bisogno per raggiungere i propri personali obiettivi. Inoltre, più la società è complessa, più è ampia la gamma di scopi personali che implicano l'accesso alle risorse informative dei media.

Per esempio, il pubblico può dipendere fortemente dai libri e dai periodici per la comprensione sociale (es. tramite le storie "vere") o per la comprensione di sé (con libri di divulgazione psicologica), mentre la dipendenza dalla radio può riguardare soprattutto l'orientamento all'azione (per il traffico e i bollettini metereologici) o all'interazione (talk-shows sul sesso e l'amore). In nessun caso si pensa che ogni tipo di mass medium produca un solo tipo di relazione di dipendenza. Al contrario, Ball-Rokeach scopre che la televisione è parte in causa in tutti i tipi di dipendenza. Non sorprende che abbiano scoperto che la comprensione sociale è il tipo più comune di relazione di dipendenza dalla televisione, ma scopriamo anche un'altra cosa meno prevedibile, cioè che è molto importante anche la dipendenza nella comprensione di sé.

Si può usare la dipendenza anche per descrivere le relazioni che gli individui hanno con specifici prodotti mediali, come per esempio particolari generi o trasmissioni televisive, film o pubblicazioni.

Le persone costruiscono sistemi mediali molto personali, ma il margine di libertà che gli individui hanno nella costruzione dei sistemi mediali non va sopravvalutato. Ci sono dei vincoli alle scelte che si possono fare e il fatto che alcuni vincoli riguardino tutti nella stessa misura spiega le analogie tra i sistemi mediali di individui diversi. Le differenze tecnologiche e organizzative rendono alcuni media più adatti di altri allo svago o alla comprensione o all'orientamento. Un altro importante vincolo che determina il profilo generale dei sistemi mediali individuali è la tendenza dei media a specializzare il loro contenuto, specializzazione che influenza il genere di scopi a cui possono servire. I media variano anche per la varietà di contenuti che producono: le videocassette e i compact disk sono molto specializzati, mentre la televisione e i libri sono molto diversificati.

3. I paradigmi generali e la teoria della dipendenza del sistema dai media

Modi in cui gku asoettu centrali del paradigma cognitivo, dell'interazionismo simbolico, della teoria del conflitto e dello struttural-funzionalismo forniscono prospettive utili ad interpretare i modelli di dipendenza tra gli individui, i media e la società.

3.1 Il contributo del paradigma cognitivo

Nella teoria della dipendenza del sistema dai media, la chiave per spiegare quando e perché gli individui si espongono ai media e gli effetti di tale esposizione sulle loro opinioni e comportamenti sta nei modi in cui le persone usano le risorse dei media per raggiungere i loro scopi personali.

Nel loro studio degli effetti dell'esposizione ai programmi televisivi finalizzati ad influenzare opinioni e comportamenti politici, Ball-Rokeach e i suoi colleghi forniscono prove a sostegno di questa chiave di lettura dell'esposizione e degli effetti selettivi dei media. Essi hanno effettivamente riscontrato che le persone si espongono ai media in modo selettivo a seconda del tipo di relazioni di dipendenza che stabiliscono con la televisione, e che lo spettatore che ha un rapporto di dipendenza di un certo tipo viene influenzato diversamente da quello che non ce c'ha.





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