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Definizioni: "medium", "media", "nuovi media"
Verso la fine degli anni cinquanta cominciò a diffondersi anche in Italia l'uso del termine mass-media per indicare i classici canali di comunicazione pubblicitaria, televisiva e giornalistica. L'espressione era di origine americana, e nella sua accezione originale (mezzi di comunicazione di massa) conteneva una certa sfumatura classista. La società postbellica era ancora fortemente stratificata. Diplomati e laureati costituivano una piccola frazione di una popolazione ancora prevalentemente operaia e contadina: dal 1945 ad oggi i tassi di scolarizzazione nel nostro paese sono aumentati di quasi cinque volte. I mass-media erano quindi visti come strumenti di manipolazione delle opinioni, in senso culturale e consumistico, manipolazione resa possibile dalla diffusa ignoranza della gente (vera o presunta che fosse). L'intellettuale, il medico, l'avvocato, giudicavano dall'alto della loro cultura universitaria le "masse" condizionate dalla propaganda, e il pubblicitario (mestiere che vide un'enorme espansione alla metà del novecento) diventava una sorta di pifferaio magico, capace di trascinare la gente (le masse, appunto) all'acquisto di ogni tipo di bene. La tecnica della persuasione venne analizzata in innumerevoli saggi di cui il più famoso resta quello di Vance Packard , un autentico best seller della sua epoca. Si faceva strada nell'opinione di intellettuali, sociologi e politici la consapevolezza dell'immenso potere che derivava loro dall'uso dei media come strumenti di controllo dell'opinione.
Dagli anni cinquanta del novecento a oggi l'immagine stessa dei media sembra essersi modificata in modo drastico. "Mass media" è diventato semplicemente "media" . La sfumatura classista è scomparsa, mentre è cresciuto il numero dei canali considerati di tipo mediatico. Non solo la radio, la televisione, la stampa e la pubblicità sono oggi incluse nella grande famiglia dei media, ma anche il telefono, la posta, gli SMS, il web, le chat su Internet. Le definizioni "moderne" del termine sono numerose. Qui mi atterrò a quella fornita da Barbier e Bertho Lavenir, che definiscono un medium come:
"...ogni struttura socialmente istituita per comunicare e quindi, per estensione, il supporto di questa comunicazione"
Malgrado la sua apparente semplicità, questa definizione merita un'analisi attenta.
Il termine struttura dev'essere inteso nel senso più ampio. Un giornale ha una sede, una o più stamperie, una redazione centrale, redazioni locali (almeno se si tratta di una testata nazionale), un circuito di distribuzione ecc. In gener 656i81g ale per i media moderni possiamo considerare aspetti della struttura tute le componenti fisiche, organizzative e logistiche che, nel loro insieme, concorrono a rendere possibile la gestione e la diffusione del medium.
L'espressione socialmente istituita fa riferimento a qualsiasi livello sociale, da quello interpersonale a quello di un'intera nazione se non dell'intero pianeta. La posta, ad esempio, è tradizionalmente un canale mediatico uno-a-uno; viceversa, le drammatiche immagini dell'attentato alle torri gemelle di New York sono state viste in tempo reale praticamente in ogni paese del globo. Il fatto che la definizione non si riferisca a una scala precisa di aggregazione umana permette di estendere la nozione di medium anche ad ambiti che fino a non molto tempo fa non sarebbero stati considerati propriamente mediatici. Ad esempio una intranet (se ne parlerà in seguito) raggiunge per definizione solo ed esclusivamente il personale afferente a una determinata struttura (un'azienda, un ente pubblico ecc.) Tuttavia la intranet deve essere considerata a buon diritto un canale mediatico.
L'espressione per comunicare è volutamente ampia. Si comunicano idee, conoscenze, fatti, opinioni, direttive, credenze, emozioni, sensazioni ecc. La comunicazione si estende nello spazio ma anche nel tempo. Noi siamo in grado oggi di leggere testi scritti migliaia di anni fa. Da questo punto di vista i media costituiscono anche la memoria della specie, non solo ciò che ci permette di comunicare socialmente qui e ora.
Il supporto della comunicazione, lungi dall'essere un mero accidente, è viceversa fondamentale da diversi punti di vista. Il supporto può ammettere o non ammettere messaggi di differenti lunghezze e complessità. Supporti diversi hanno durate diverse, e permettono quindi una conservazione dei messaggi stessi per tempi variabili. I supporti possono essere più o meno costosi, dunque più o meno accessibili a tutti. I miglioramenti tecnici dei supporti mediatici sono stati spesso punti di svolta di enorme importanza. Il papiro è più maneggevole della tavoletta di creta; la pergamena ammette (a differenza del papiro) che se ne possano fare libri; la carta costa meno della pergamena; i supporti digitali permettono risparmi di spazio enormi rispetto alla carta, e non richiedono (necessariamente) la manipolazione di oggetti fisici. La storia dei media è caratterizzata da un aumento sistematico della richiesta di canali mediatici, dal corrispondente aumento nel numero e nella complessità dei messaggi trasmessi, e dalla ricerca continua di supporti in grado di sostenere tale aumento. Nel corso di questa storia si sono verificati alcuni eventi critici, come appunto la disponibilità di supporti elettronici, che hanno permesso autentiche rivoluzioni nella natura e nel significato stesso dei media.
Con il termine nuovi media si intendono precisamente i media nati in seguito alla rivoluzione informatica e in qualche modo correlati ad essa. Rientrano quindi nell'ambito dei nuovi media il World Wide Web, la posta elettronica, le chat, i gruppi di discussione su Internet come i blog, le social network ecc. Di tutto ciò si parlerà in dettaglio nel seguito.
Caratteristiche generali dei media
Qualsiasi messaggio può avere contenuti espliciti o impliciti. Spesso queste due tipologie di contenuto sono mescolate insieme in modo inestricabile. Per contenuto esplicito intendo ciò che viene percepito direttamente, o ciò che risulta direttamente intelligibile nel messaggio stesso. Se su un giornale appare il titolo: "Il presidente Rossi inaugura un nuovo teatro a Roma", esso rimanda evidentemente a una notizia oggettiva, a un fatto. Se un altro giornale titola: "Mentre crolla la borsa il presidente Rossi inaugura un nuovo teatro a Roma", non c'è dubbio che il titolo rimandi a due fatti; tuttavia la loro giustapposizione non può che suonare ironica al lettore, e suggerire che Rossi si curi di inezie trascurando i gravi problemi del paese. L'ironia è del tutto implicita. Tutto l'impianto mediatico di oggi si basa sulla trasmissione di contenuti sia espliciti che impliciti, e questi ultimi sono a volte estremamente sottili e studiati ad arte per colpire determinate persone o gruppi sociali. La stessa scelta dello spazio assegnato a una notizia su un giornale sottolinea implicitamente l'importanza che deve essere assegnata al fatto stesso.
Esistono oggetti che trasmettono solo messaggi impliciti. Si pensi ad esempio alla statua della Libertà nel porto di New York. Essa rappresentava visivamente al viaggiatore in arrivo lo spirito della nazione che lo avrebbe ospitato (oggi la gente tende ad arrivare a New York in volo, e il messaggio trasmesso dalla statua della Libertà è sensibilmente diminuito). La cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze venne eretta (anche) per significare lo stato di ricchezza, prosperità e potenza della Firenze rinascimentale. Gli esempi che si potrebbero fare sono infiniti.
Parleremo di media in senso stretto riferendoci a qualsiasi strumento di comunicazione "socialmente istituito" che sia dotato di contenuti espliciti (giornali, radio, televisione, cinema, pubblicità).
Parleremo invece di valore mediatico a proposito di oggetti capaci di trasmettere valori, messaggi o contenuti impliciti (la statua della Libertà, la cupola di Firenze, gli "alberi della libertà" piantati per ogni dove nella Francia post-rivoluzionaria o il profilo di Cesare sulle monete romane).
Dal punto di vista della modalità comunicativa, dobbiamo distinguere tra:
Comunicazione uno-a-uno: è il tipo di comunicazione che avviene tra singole persone. Riferendoci alla definizione di Barbier e Bertho Lavenir, ogni strumento che consenta un'estensione della possibilità di comunicazione interpersonale al di là della semplice trasmissione orale deve essere considerato un medium. Rientrano quindi in questa categoria la posta, il telefono, le chat, gli SMS ecc.
Comunicazione uno-a-molti: il messaggio viene generato da un'entità (persona o gruppo di persone) e raggiunge più utenti contemporaneamente.
Broadcasting: e la forma di comunicazione uno-a-molti in cui il messaggio, qualunque esso sia, è in grado di raggiungere chiunque sia in grado di riceverlo. Un giornale può essere acquistato in edicola da chiunque; una trasmissione radiofonica o televisiva può essere ascoltata da chiunque possieda un apparecchio ricevente; un sito Internet può essere visitato da chiunque abbia a disposizione un computer connesso alla rete; eccetera. La necessità di distinguere tra molti-a-molti e broadcasting deriva dall'esistenza di ambiti mediatici intrinsecamente limitati, come il personale di un'azienda nel caso della intranet. Anche un giornale di circolo la cui diffusione è strettamente limitata ai membri rientra nella modalità uno-a-molti ma non fa broadcasting.
Comunicazone molti-a-molti: è la tipica modalità comunicativa che si realizza negli spazi virtuali creati dalle nuove tecnologie: chat (aperte), gruppi di discussione, blog ecc. Nel seguito si parlerà a lungo delle implicazioni di questa novità.
Il broadcasting rappresenta certamente la modalità comunicativa più rilevante nel mondo dei media tradizionali. Esso comporta la diffusione di idee, conoscenze, valori, ma anche di credenze non dimostrabili, o perfino di menzogne. Si pensi ai documentari del III Reich che ci mostrano Hitler e Eva Braun "simpaticamente" in vacanza sui monti della Baviera, o alle immagini di Stalin in cui il dittatore appare bello, rassicurante, saggio e giusto. Due esempi in cui quello che abbiamo chiamato "valore mediatico" sembra essere di immensa importanza.
I media e i loro utenti
Un medium può essere gratuito o a pagamento. Giornali e riviste sono tipicamente a pagamento; molti canali televisivi richiedono un abbonamento mentre altri sono liberi. Si è discusso a lungo all'inizio del decennio sul fatto che Internet dovesse restare un canale gratuito o meno. Attualmente di fatto non lo è, nel senso che se si vuole disporre di un'ampiezza di banda sufficiente per scopi pratici è ormai inevitabile ricorrere a un provider (che si farà certamente pagare). Tuttavia la tariffa associata permette di connettersi alla rete, e non riguarda i singoli siti che rimangono sostanzialmente gratuiti (con le dovute eccezioni). Il fatto che un medium sia a pagamento o no è di estrema importanza da almeno due punti di vista.
Il primo è quello legato alla possibilità del medium stesso di autofinanziarsi. Come si è detto qualsiasi medium comporta una struttura, più o meno complessa, che lo supporti. Tale struttura difficilmente può essere implementata a costo zero; ne segue che, a parte casi particolari, i media hanno bisogno di garantirsi introiti adeguati per sopravvivere. I media a pagamento possono pensare di far pagare agli utenti i costi di gestione. Questo non è possibile per i media gratuiti, che sopravvivono essenzialmente vendendo spazi pubblicitari. Qui si pone il fondamentale problema dello share. Con questo termine si intende di solito l'ampiezza dell'utenza raggiunta da un medium. Uno spazio pubblicitario è tanto più prezioso quanto maggiore è lo share. Un canale televisivo nazionale, ad esempio, ha uno share potenziale enormemente maggiore di una rete locale; di conseguenza è in grado di far pagare a prezzi molto più elevati gli spazi pubblicitari. Ci sono due tipologie di media che sostanzialmente fanno eccezione:
Media gestiti da organizzazioni private senza scopo di lucro, il cui scopo è essenzialmente quello di diffondere determinate idee e conquistare simpatizzanti. Si pensi a strutture come Greenpace o Amnesty International, che si sobbarcano i costi di stampa dei rispettivi giornali grazie a campagne di sottoscrizione libere e al denaro proveniente da sponsor.
Media pubblici, come le televisioni di stato. Qui il discorso è complesso. Radio e televisione, come vedremo, sono nate essenzialmente come strutture pubbliche, e successivamente sono state privatizzate. Oggi le strutture pubbliche che fanno broadcasting sono in grande declino. In Italia, ad esempio, permane la RAI, ma con caratteristiche piuttosto peculiari. La RAI fa pagare da sempre un canone di abbonamento, che tuttavia è considerato in Italia una tassa. Malgrado questo, i costi di gestione della struttura non potrebbero essere sostenuti con i semplici introiti del canone; questo fa sì che la televisione pubblica sia costretta a fare pubblicità. Ne segue che anche la televisione pubblica è interessata allo share. Questo fatto, tuttavia, genera una sorta di anomalia. La logica della televisione pubblica dovrebbe infatti essere quella di un servizio, non di un business; ma nel momento in cui entra in gioco lo share, la logica di business è destinata a prevalere in modo inesorabile. Dal punto di vista del servizio, ad esempio, occorrerebbe badare alle nicchie di utenza. Se esiste una fetta di ascoltatori appassionati della lirica, costoro avrebbero diritto, in linea di principio, a poter ascoltare (saltuariamente, s'intende) opere liriche in prima serata senza interruzioni pubblicitarie. Tuttavia una simile scelta farebbe evidentemente crollare lo share. Fino alla metà degli anni '80 questa è stata precisamente la politica dell'emittente radiotelevisiva pubblica. Le interruzioni pubblicitarie non esistevano, la pubblicità era relegata in appositi spazi (tipicamente fasce orarie che sarebbero comunque ad alto share, come quella tra le 20 e le 20:30). Si potevano vedere sui canali RAI film da cineteca, opere liriche, trasmissioni culturali di varia natura. Dal momento in cui la RAI è entrata di fatto in competizione con le emittenti private, questa natura di servizio è stata eclissata dalle logiche di business, e i palinsesti della RAI attuale non sembrano essenzialmente diversi da quelli di qualsiasi altro network nazionale.
Qui entra in gioco il secondo aspetto rilevante del problema dei media gratuiti. L'acquisto di un determinato medium (a pagamento) è un gesto proattivo esercitato dall'utente. Esco di casa, vado all'edicola e compro un giornale, cioè pago un euro (alla tariffa attuale): una cifra ridicola, ma tuttavia maggiore di zero. Mi abbono a un canale televisivo a pagamento: questo significa che intendo accedere ai contenuti trasmessi da quel canale. La possibilità di selezionare il tipo di informazione che si desidera è un aspetto fondamentale della libertà di pensiero. Se ho un determinato orientamento politico, il fatto di poter accedere a informazione orientata nel senso a me gradito fa parte dei miei diritti inalienabili. Diverso è il caso dei media gratuiti. L'informazione trasmessa da tali media finisce col raggiungermi in modo involontario. Non sono più proattivo, ma del tutto passivo. Di conseguenza posso diventare vittima di campagne mediatiche volte a condizionare la mia opinione. Questo fatto ha impatti pesanti sull'impianto democratico del mondo di oggi; se ne discuterà nel seguito. Vorrei sottolineare che l'aspetto critico di questo discorso non è in particolare legato al costo di acquisto dell'informazione, ma alla proattività richiesta per procurarsela. In questo senso ritengo che i nuovi media rientrino nella stessa categoria dei media a pagamento, anche laddove sono gratuiti. L'accesso al Web è per sua natura proattivo, dato che richiede scelte precise da parte dell'utente (seguire un collegamento, effettuare una ricerca.).
Un discorso a parte va fatto per i nuovi media, e in particolare per i servizi veicolati da Internet. Se si misura il valore di un medium sulla base dello share (per lo meno potenziale), è evidente che Internet rappresenta una novità di estremo rilievo. Gli utenti di Internet sono infatti potenzialmente tutti gli abitanti del mondo. L'unico aspetto che vincola lo share di Internet come canale mediatico è l'ostacolo della lingua; tuttavia la conoscenza dell'inglese si sta diffondendo così rapidamente, che è ragionevole pensare che nel giro di un paio di generazioni al massimo questa utenza potenziale diventi praticamente attuale. Nella figura seguente ho cercato di rappresentare graficamente come stanno le cose.
L'immagine è del tutto indicativa. Tuttavia è chiaro che i media più interessanti, dal punto di vista del business, sono quelli che si collocano nella regione in alto a sinistra del grafico (basso costo e alto share). In questo senso la novità di Internet è davvero rivoluzionaria. Se non si pretende troppo, infatti, la costruzione di un sito può essere affrontata con costi ridottissimi. Esistono addirittura strumenti che permettono di costruire blog e altri spazi mediatici di tipo nuovo a costo zero. Se ne parlerà nel capitolo dedicato al cosiddetto Web 2.0.
Lo share può essere limitato da diversi fattori.
Innanzi tutto l'utenza raggiungibile deve disporre dei mezzi fisici per recepire il messaggio. Se non possiedo una radio il messaggio radiofonico è per me irraggiungibile. Questa constatazione è meno ovvia di quello che può sembrare. Negli anni '50, all'epoca in cui cominciò ad entrare nelle case, la televisione costituiva un oggetto costoso e non alla portata di tutti. Per diverso tempo la disponibilità di un televisore in casa venne percepita come uno "status symbol" che caratterizzava i benestanti; tutti gli altri erano tagliati fuori dal messaggio. L'abbassamento dei costi e l'aumento del benessere in Italia trasformarono la situazione, e alla fine degli anni '60 la televisione era ormai in tutte le case. Questo fatto ampliava enormemente lo share, quindi il valore economico degli spazi pubblicitari televisivi. Questa è senz'altro una delle ragioni per cui la pubblicità, quasi inesistente nelle trasmissioni televisive degli esordi, ha acquistato col tempo un peso sempre più rilevante. Il fenomeno è complesso, e verrà analizzato in seguito. Vale comunque la pena di anticipare una constatazione importante. L'aumento del valore associato alla pubblicità ha comportato uno sforzo collettivo notevole dal punto di vista del miglioramento tecnico e perfino qualitativo della pubblicità stessa. Se guardiamo oggi i "caroselli" degli anni cinquanta e sessanta, essi ci appaiono ingenui e tecnicamente inconsistenti. Perché sia efficace, una pubblicità somministrata in dosi massicce ha bisogno di catturare immediatamente l'attenzione. I vecchi caroselli erano spot della durata di qualche minuto, in cui la reclame era tipicamente confinata negli ultimi secondi. Oggi invece la pubblicità (in particolare quella televisiva) è caratterizzata dallo spreco di effetti speciali, che spesso si traducono in immagini di altissima qualità.
Il secondo fattore in grado di limitare lo share è la fruibilità culturale del medium. Per quanto riguarda i media tradizionali, ad esempio, la diffusione del libro è stata ostacolata, in epoche passate, dal basso grado di alfabetizzazione (oltre che dagli alti costi). Un discorso analogo si potrebbe fare a proposito dei nuovi media. L'accesso a Internet, ad esempio, comporta una certa familiarità con il computer, che è uno strumento nuovissimo. Molte persone sono oggi tagliate fuori dal mondo dei nuovi media semplicemente per motivi di età. Si tratta di gente che, formatasi in un'epoca in cui il computer non esisteva, trova culturalmente complesso accedere allo strumento.
Negli anni '70 tre sociologi americani, Tichenor, Donohue e Olien, hanno sostenuto la cosiddetta ipotesi del knowledge gap. Questi autori affermavano che i media tendono ad aumentare le differenze (gap) culturali tra le diverse classi sociali, anziché diminuirle. Il ragionamento si basava su semplici constatazioni (potremmo chiamarle "ipotesi molto verosimili"): le persone di elevato stato socio-economico leggono di più, con maggiore attenzione, sono più abituati a memorizzare, frequentano ambienti più informati, ecc.
L'ipotesi del knowledge gap non è mai stata smentita, ed ha avuto qualche conferma di tipo sperimentale. La prima è stata prodotta dagli stessi autori dell'articolo originale. Essi presentarono i risultati statistici ottenuti ponendo a un certo campione di persone la domanda: "secondo lei gli esseri umani riusciranno mai a sbarcare sulla Luna?". I test vennero fatti in vari anni, prima dello sbarco effettivo avvenuto nel '69. La risposta dipendeva naturalmente dal grado di cultura generale degli intervistati. Le persone informate avevano più possibilità di rispondere con cognizione di causa, essendo consapevoli dei progressi fatti dall'astronautica, senza dover essere necessariamente essere degli esperti. Gli autori suddivisero il campione in funzione del livello di istruzione: universitaria, scuola secondaria, media inferiore. Il risultato fu che tutte le categorie di intervistati si mostravano più fiduciosi rispetto a un possibile sbarco umano sul nostro satellite con l'avvicinarsi dell'anno in cui tale evento avvenne effettivamente. Tuttavia, la crescita di "fiducia" dei laureati era sensibilmente maggiore di quella delle altre due categorie.
L'ipotesi del knowledge gap è oggi sostenuta da diversi studiosi (anche se la sua misura effettiva spesso non è semplice); supponendo che questo effetto sia reale, dobbiamo concludere che l'esistenza di ostacoli di tipo culturale alla fruizione di messaggi mediatici non è solo legata alla nascita di strumenti nuovi (v. il caso di Internet), ma in qualche modo intrinseca ai media stessi. La povertà di strumenti culturali permette solo una fruizione limitata o distorta del messaggio, e spesso comporta l'impossibilità di decifrarlo al di là del suo contenuto esplicito. Le immagini di Hitler e Eva Braun in Baviera erano dirette a chiunque non avesse capito (o non volesse capire) cosa c'era veramente dietro il nazismo e la sua ideologia. Per tutti gli altri rappresentavano un'offesa, e una conferma della profonda iniquità del sistema. Si tratta di un aspetto del knowledge gap.
Essendo un termine americano, "media" dovrebbe essere indeclinabile. Tuttavia la lingua inglese ha preso in prestito dal latino la parola "medium". In italiano le parole latine si declinano; per conseguenza si usa dire "medium" al singolare e "media" al plurale. Nel testo mi atterrò a questa convenzione.
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