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IL VOLGARE NEL PERIODO DELLE ORIGINI
L'impiego del volgare nella scrittura presuppone un lungo periodo preparatorio. Nel Medioevo non tutte le opere assumevano la stessa dignità: alfabetizzazione equivaleva a studio del latino letterario, di teologia e filosofia, e bisognava essere ricchi o religiosi per poter studiare. La letteratura amorosa non si accordava con il pensiero filosofico e teologico ed era perciò relegata ad una posizione marginale, secondaria.
Il pensiero religioso si esprimeva solo in latino, ma era chiara l'esigenza di non perdere il contatto coi fedeli, che ormai parlavano idiomi diversi: i sacerdoti venivano perciò invitati a rivolgersi ai laici nel loro idioma per non trasformare la pratica religiosa in un culto senza senso per i fedeli. C'era anche la preoccupazione di rimediare all'ignoranza del basso clero, spesso incapace di somministrare i sacramenti: nascono così trattazioni enciclopediche e svelte operette di piccole dimensioni, importanti non tanto nella letteratura quanto per l'omogeneità culturale dell'Occidente cristiano, che rischiava infatti la frammentazione linguistica e di comunità.
Questa cultura, poco ambiziosa perché preoccupata degli incolti, tocca anche l'organizzazione sociale e politica. Per formare i membri della classe dirigente Muratori traccia il modello dell'uomo politico che si ispira ai valori della giustizia e della pace, dell'onestà e della concordia, e sa circondarsi di collaboratori adatti. La trattatistica politica, la letteratura erotica e la divulgazione religiosa sono i settori di minor resistenza al passaggio del volgare perché il fine è quello di raggiungere un pubblico più largo. La diffusione della cultura si potenzia nel '2-300.
Un ruolo di grande importanza hanno i volgarizzamenti, cioè le traduzioni di classici latini, opere mediolatine e testi francesi in volgare, senza pretese di fedeltà.
Nel 13esimo secolo nascono gli ordini mendicanti (domenicani e francescani), che danno nuovo impulso alla cultura religios 838g63i a e s'impegnano nella diffusione della fede servendosi del volgare (Fioretti di S. Francesco). La cultura volgare prosegue le componenti meno elevate della tradizione mediolatina ancora nella seconda metà del '300 e alla metà del 14esimo secolo due opere testimoniano che certi territori continuano ad essere interdetti al volgare: Specchio della vera penitenza di Passivanti dice che è compito del clero approfondire i punti + difficili della fede, e Filocolo di Boccaccio raccomanda di evitare le sottigliezze e le profondità, perché tutti gli autori del periodo, tranne Dante, sono convinti che gli argomenti sottili siano di pertinenza del latino, poiché dispone di un patrimonio espressivo adeguato. Nell'intenzione del Boccaccio il romanzo vuole evitare sia il livello basso degli ignoranti, sia quello elevato di Virgilio e dei grandi versi, per collocarsi nel mezzo. Gli utenti intermedi e le donne diventano i principali destinatari della letteratura volgare (c'è la necessità di far capire alle donne, che non sanno il latino, il senso della poesia amorosa). Dante in seguito ha esteso la competenza del volgare oltre che all'amore anche alla guerra e alla virtù.
Il risveglio della cultura nel Basso Medioevo è dovuto alla riorganizzazione dell'istruzione scolastica: si sviluppano gli studia universitari e le prime università di artes, medicina, diritto e teologia. Artes doveva approfondire la conoscenza del latino e delle regole teoriche e concrete per imparare le tecniche di costruzione di qualunque composizione scritta, per rivolgersi a qualsiasi autorità. Una ramificazione di questo insegnamento considera le regole del discorso orale in pubblico, in tribunale e nell'organizzazione comunale. La scuola di ars dictandi assicura dunque la formazione della classe dirigente e prepara gli studenti a carriere ben remunerate. Il discorso retorico non circola solo nelle università: l'ars dictandi, nata prima e fuori dalle università, nel 12esimo secolo, fiorisce nel 2-300 anche presso le scuole non universitarie. Mentre il discorso filosofico selezione rigidamente i suoi adepti, nel settore della retorica maestri e dirigenti degli uffici amministrativi e delle organizzazioni statali sono concordi nell'invocare l'accesso più largo alla scuola di ars dictandi, per favorire un reggimento civile e pacifico. Boncompagno da Signa alla composizione di libri di testo per studenti bolognesi unisce un'attività disinteressata di argomento morale sull'amicizia, sulla vecchiaia, sull'amore.
La letteratura nata presso questi ambienti è dominata dalla tematica erotica: l'amante conquista la donna con l'astuzia e l'eloquenza, inconcepibili nel codice cortese. Delle 5 parti dell'epistola la + importante è la petitio, che coincide con la richiesta di fedeltà e d'amore. Ma la volontà del mittente contrasta con quella del destinatario.
Un'altra figura professionale importante per le vicende e l'espansione del volgare è quella del notaio, che fungeva da interprete traducendo i documenti latini. La retorica è connessa alla filosofia, che prepara alla facoltà giuridica.
L'articolazione delle scuole fiorentine riguardava la scuola elementare, per l'alfabetizzazione dei fanciulli, seguita da due indirizzi: uno centrato sulla grammatica (latino) e sulla logica (filosofia), e uno più professionale, che aveva il compito di preparare i mercanti e gli operatori delle aziende commerciali (scritture contabili e lettere mercantili). La cultura dei mercanti s'indirizza, per esigenze di viaggio, alle lingue vive. Così come l'ars dictandi stimola la produzione extrascolastica, che contribuisce alla rinascita della letteratura, così i libri di conti e le lettere d'affari favoriscono la scrittura mercantesca, anche dal punto di vista della confezione del libro mercantile, piccolo, tascabile, poco elegante. Il volgare dei mercanti e quello dei maestri di retorica non sono separati, lo scambio è continuo.
Durante il 13 e il 14 secolo interi settori della cultura elevata restano di dominio del latino e dell'istruzione universitaria, mentre il volgare si affianca al latino nei domini intermedi della divulgazione religiosa, della letteratura amorosa, della trattatistica politica legata all'oratoria e alla composizione dei dctamina, ma non prosegue solo generi preesistenti: la narrativa arturiana è una creazione romanza, così come la novella, la letteratura giullaresca e la lirica cortese nata in Provenza. In Italia le tradizioni volgari si costituiscono nel 1200 e in ambienti diversi: non solo i Comuni ma anche la corte di Federico II. Caduta la dinastia sveva la lirica siciliana non ebbe prosecuzione nell'Italia meridionale, bensì in Toscana, e non c'è traccia di una produzione volgare in Sicilia, che si limita alla poesia. Sono i copisti toscani a tradurre i codici della scuola siciliana e ad infondere così una toscanizzazione nelle composizioni siciliane. Napoli divenne presso gli Angioini la città principale del meridione, anche per il distacco dalla Sicilia provocato dai Vespri nel 1282. La classe dirigente al seguito degli Angioini rimase legata alla cultura francese ed estranea allo sviluppo della napoletana. Mentre la lirica siciliana non ha continuazione, per conto dell'aristocrazia si eseguono traduzioni dal latino in francese. Re Roberto promosse la cultura latina, perciò gli scritti volgari restarono marginali, nella letteratura municipale. Al sud esistevano anche comunità ebraiche che curavano la trasmissione dei testi religiosi e giuridici e scrivevano composizioni in alfabeto ebraico. Nel 1200 ancora non esiste una lingua italiana, ma tanti volgari quanti sono i centri culturali che elaborano una tradizione scrittoria che non può non risentire dell'idioma locale, oltre che del latino. Questi volgari non si possono definire dialetti, perché i dialetti sono in rapporto e in contrasto con la lingua, e una lingua comune prevarrà solo nel 1500, quando già si potrà distinguere una letteratura dialettale. Nel contemperamento di tradizione locale e scambio con l'Europa risulta indebolita proprio la dimensione nazionale, non sorretta da uno stato unitario.
Fino al 16esimo secolo il romanesco è un idioma caratterizzato in senso meridionale; un'ampia area comprendente il Lazio sud, la Campania sud e l'Abruzzo costituisce un insieme dotato di relativa unità linguistica e di un'ancora più spiccata omogeneità culturale. Risalgono al centro di Montecassino manifestazioni importanti in ambito latino e volgare. Il prestigio dell'abazia decadde nel 14esimo secolo a causa dei nuovi movimenti francescani e domenicani e per il deciso affermarsi di centri culturali cittadini. Al monastero risalgono alcune fra le più antiche attestazioni scritte del volgare documentario e letterario, come la Carta di Capua del 960 o quella di Teano del 963; al monachesimo benedettino risalgono anche generi come la lauda e la lirica. La lauda è il frutto, mistico e popolare, della sensibilità francescana, ma a quanto pare certi ambienti benedettini ne hanno trasmesso ai francescani la tematica religiosa e i primi schemi metrici. L'impegno di evangelizzazione dell'ordine francescano si tradusse nella lotta alle correnti eretiche e in una forte opera di direzione morale delle popolazioni cittadine. Si formarono così due ali nel francescanesimo: alla comunità, favorevole a correre il rischio della mondanizzazione, si opponevano gli Spirituali, ostili alla costruzione di chiese e conventi troppo sontuosi come alla filosofia universitaria, sostenitori della povertà e in genere del rispetto della regola di San Francesco. Jacopone da Todi, il maggior autore di laude, fece una feroce polemica contro Bonifacio 8, sottolineando il suo disprezzo per il mondo e la riflessione sulla Passione di Cristo.
Nel 13-14esimo secolo si afferma a Roma una cultura volgare piuttosto fiorente, svincolata dall'ipoteca toscana, e caratterizzata da un idioma mediano connesso all'area meridionale, insieme ad una letteratura municipale volta alla narrazione del passato lontano, sospeso tra storia e leggenda, ma anche all'esposizione dei fatti recenti.
Tornando alla Sicilia aragonese e alla Napoli angioina, si scrivono alcune liriche in provenzale, e ciò mette fine ad ogni interesse precedente per il volgare siciliano. La cultura qui rinasce grazie alla spinta dei Francescani spirituali, che volevano affidare la lettura e la meditazione dei testi sacri ai laici, riducendo o annullando il ruolo del clero come mediatore delle verità religiose dei fedeli. Occorreva volgarizzare i testi sacri per permettere ai laici di usarli e di ragionarci sopra. Dal 1310-20 il volgare conosce una notevole fioritura: dal punto di vista linguistico è caratterizzato da una sicilianità più marcata e più aperta alla presenza fiorentina. Ciò significa che il siciliano aveva piena dignità di lingua rispetto al latino, mentre l'influsso fiorentino era scarso.
In Italia, come nel resto d'Europa occidentale, sono altissimi il prestigio e la diffusione della lingua e della cultura francese. Particolarmente forte è la concorrenza che nell'Italia settentrionale il volgare subisce da parte del francese e del provenzale, oltre che del latino. Per esempio, il Milione dettato dal veneziano Marco Polo è scritto in francese. Sono poi di origine veneta alcune rielaborazioni del ciclo carolingio, che danno vita alla letteratura franco-veneta, risultato appunto della mescolanza di lingua d'oil e di veneto.
Il volgare si afferma saldamente nel campo della poesia ispirata ai temi dell'orgoglio municipale e del sentimento religioso (culto mariano, exempla). Resta il problema del superamento della frammentazione linguistica, almeno per l'espressione letteraria, poiché l'unificazione della lingua parlata avverrà molto più tardi. Nel De vulgari eloquentia infatti Dante critica il municipalismo letterario, poiché l'indipendenza di tradizioni regionale equivale spesso a ignoranza reciproca.
L'UNIFICAZIONE DEL VOLGARE LETTERARIO NEL RINASCIMENTO
Il latino umanistico va interpretato come un'opposizione al mediolatino, o meglio alla lingua e alla cultura di età medievale. L'imitazione dei classici avrebbe consentito di assimilare il patrimonio concettuale e lo smalto linguistico e stilistico, all'insegna di quella fusione tra retorica e filosofia. Valli (umanista) pensa che fu la lingua latina a educare i popoli nelle arti liberali e ad insegnare le leggi, ad aprire la strada alla sapienza e a liberarli dalla barbarie, perché lingua e cultura superano la durata delle formazioni politiche e statali. Il latino degli umanisti non fu un sogno di retori, per gli umanisti l'insegnamento morale e politico dei classici erano dure conquiste che si riproponevano al dotto moderno, e la grammatica propone un metodo di lettura unitario che garantisce l'accesso al sapere. Dalle file degli umanisti uscirono cancellieri come Machiavelli.
Nel '400 si verificò la separazione tra le funzioni del latino, universale nel tempo e nello spazio, ma socialmente ristretto all'èlite umanistica e circoscritto alla scrittura, e le funzioni del volgare, lingua madre per tutti i parlanti, ma usato solo per le scritture pratiche o per una letteratura provinciale, ridotta ad un circuito municipale. C'era quindi un regime di diglossia tra varietà elevata (per gli scritti pubblici) e varietà inferiore (per comunicazione informale).
Nei Libri della Famiglia dell'Alberti confluiscono una morale nutrita dai libri antichi e una tradizione volgare di cultura mercantile di matrice tardomedievale. La validità dell'opera consiste proprio nell'aver usato categorie teoriche ed esempi storici per conferire maggior respiro culturale alle attività dei ceti formatisi nella Firenze comunale. Sosteneva che il volgare può arrivare alla stessa dignità del latino, e pensava ad un travaso contenutistico, metrico e formale dal latino al volgare.
D'altra parte pare che le lettere dei mercanti servissero per insegnare l'alfabeto ai fanciulli, perciò il volgare poteva perfezionarsi, grazie ad una fonte capace di arricchirlo, come appunto il latino.
Se l'egemonia politica a Firenze venne stroncata dalla crisi politica di fine secolo, certo è invece che il fiorentino era destinato di lì a pochi decenni ad imporsi come lingua scritta comune, precedendo di 3 secoli l'unificazione politica. Fuori Firenze, al contrario, non si riscontra la compresenza di fiorentino letterario e parlato, ovviamente per la mancanza del secondo termine: si registra invece un triangolo i cui vertici sono il latino, il fiorentino letterario e il dialetto locale; inoltre in molti centri i dialetti si erano indeboliti a favore delle scrittorie ibride regionali (koinaì). Per esempio Boiardo non aveva conoscenza del fiorentino come lingua viva, ma l'aveva imparato dalla lettura delle opere e suppliva all'incompleta assimilazione e ai dubbi ricorrendo al latino o alla koiné padana. La strada verso la toscanizzazione non poteva naturalmente essere un processo uniforme. La lingua cambia non solo in conseguenza dell'origine geografica e della cultura, ma anche in relazione ad altri generi letterari. Fra 3 e '400 accanto al latino si comincia ad usare sempre + spesso il volgare negli atti emessi dalle cancellerie, e una spinta potente fu data dalla mobilità della popolazione sul territorio della penisola e dalla crescente ricchezza di rapporti tra le diverse comunità linguistiche. Senza dimenticare i comunicatori per eccellenza del tempo: i predicatori e le compagnie di ventura. Altri due fenomeni importanti furono la penetrazione della cultura fra le classi dirigenti e lo sviluppo della stampa. Il primo si verificò con il confronto tra le lettere e le armi: Orlando sosteneva che il cavaliere non può fare a meno della cultura e dei sentimenti religiosi. La supremazia delle lettere si temperava con le esigenze del mondo della prassi, guadagnando in diffusione e in realismo. Le corti offrivano uno sbocco importante agli uomini di lettere, la cui altra via era la vita religiosa. Il volgare forniva il terreno d'incontro di nuova formazione politica, etica e mondana con le corti: in tal modo si rendevano + civili quegli ambienti contrassegnati di solito dalla violenza dei puri rapporti di forza. La stampa poi dal 1470 diffonde il libro (anche in volgare) sostanzialmente in toscano.
Alla fine del '300 e soprattutto nel '400 tornano a farsi sentire le esigenze del rigorismo morale e di esperienza religiosa manifestatesi nei due secoli precedenti. Il movimento prende il nome di Osservanza, nel senso del rispetto e dell'applicazione delle regole degli ordini, e investe in primo luogo i Francescani, che trovano il loro punto di forza in san Bernardino da Siena. Il popolo si affolla intorno agli oratori, rinuncia alle vanità del gioco d'azzardo o agli ornamenti femminili, le famiglie nemiche si riconciliano e così via.
Alla popolarità di umanesimo latino e volgare degradato fa riscontro l'integrazione di cultura popolare e cultura religiosa. Come la seconda penetri nella sensibilità popolare è dimostrato dalle Visioni di san Francesca Romana. Il sacerdote Mattiotti espose in romanesco i miracoli e le visioni della santa, che era sposata con figli (quindi laica): la prevalenza della componente mistica è netta, ma non vanno trascurati gli interventi di critica della vita dissoluta del laicato romano e il richiamo polemico alle gerarchie ecclesiastiche perché siano all'altezza dei loro compiti.
Decisamente regionale è invece la vicenda da cui sorge la Leggenda della Beata Eustochia, il racconto agiografico dedicato alla messinese Smeralda Calafato che, dopo essere entrata in un monastero di clarisse, insoddisfatta dell'applicazione lassista della regola, riuscì a fondare una comunità osservante alla regola primitiva. Affinché la biografia si estendesse venne copiata a Perugina e quindi smeridionalizzata. Per quanto Francesca da Roma che Eustochia provengano da famiglie aristocratiche, sono popolari la sensibilità e i contenuti che manifestano nelle Visioni e nella Leggenda; è inoltre notevole l'omogeneità culturale delle comunità religiose. I canali che mettono in relazione centri monastici di religioni diverse, ma ispirati ad un comune ideale di rinnovamento, hanno un ruolo importante nel superamento degli usi linguistici locali. Essi propiziano poi l'irradiazione del modello letterario di Jacopone e del genere laudistico, contribuendo al superamento delle tradizioni locali e attirando utenti estranei alla letteratura d'arte ma pienamente partecipi della religiosità popolare.
Leopardi sostenne che la letteratura toscana del '300 diventa italiana solo due secoli dopo, perché l'unificazione della lingua scritta in direzione toscana si coglie in opere significative del primo Rinascimento, come per esempio l'Orlando Furioso (1516). Nell'episodio in cui Astolfo va sulla Luna per recuperare l'ampolla contenente il senno di Orlando assiste ad una scena allegorica e la sua guida, S. Giovanni, gli spiega che gli adulatori vorrebbero salvare dalla dimenticanza i nomi dei potenti, dopo la morte, ma che solo i poeti assicurano fama duratura ai grandi, perché la poesia va oltre la durata della comunicazione comune. Si era quindi diffusa la convinzione che anche alla letteratura volgare potesse riuscire di superare le contingenze storiche.
Il volgare italiano era però instabile e precario, mutevole nel tempo e frammentato da luogo a luogo: occorreva regolarlo e fissarne una grammatica. La soluzione vincente l'ebbe Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525), in cui suggerì che chi scrive in volgare deve cmq allontanarsi dalla lingua parlata e ispirarsi al Decameron come prosa e al Canzoniere per la poesia, ponendo così fine alla contaminazione tra dialetto, latino e toscano.
La separazione tra lingua parlata e tradizione letteraria suscitò l'opposizione dei fiorentini, che si ripeté nell''800 col Manzoni, ma alla fine la teoria del Bembo s'impose, anche se il suo rigore fu attenuato, soprattutto in direzione regionalistica. L'altra soluzione, proposta da Castiglione (Cortegiano 1528) e Trissino, che sostenevano il fondamento cortigiano e italiano della lingua, con disponibilità di accogliere termini francesi e spagnoli non ebbe successo perché privo di regole precise. Purtroppo erano ancora esclusi dalla scrittura i generi più vicini al parlato, esclusi dalle possibilità dei non toscani che non volevano ricorrere al latino. Questo problema fu colto da Machiavelli nel Dialogo intorno alla nostra lingua: ribadì che la fiorentinità è un requisito fondamentale per le scritture comiche, burlesche, per gli argomenti quotidiani, ma si richiede anche nei generi elevati.
La situazione linguistica italiana di quel periodo è ben rappresentata dalla Gerusalemme Liberata di Tasso: nel poema la conquista di Gerusalemme e la fedeltà ad un dovere religioso e cavalleresco-militare sono valori assoluti e collettivi, che contrastano con le defezioni e i cedimenti, ma soprattutto con l'ansia di una felicità individuale che, inconciliabile con il bene comune, è destinata ad essere schiacciata. La rappresentazione del bene e del male è condotta su registri elevati, sublimi, che non consentono il minimo ingresso alla quotidianità. Anche quando ricorre alla Divina Commedia si tiene lontano dalle parti plebee e realistiche, perché forse non è capace di rappresentarle. Si crea insomma la demarcazione netta fra lingua letteraria e scritture vicine al parlato, che ormai vengono relegate a dialetto. Solo di rado però la letteratura dialettale è espressione di cultura popolare, anche quella espressa in modi convenzionali (a parte il teatro del Ruzante, in cui dialetto e lingua si alternano, ed è anche rilevabile una differenza nel grado di dialettalità in relazione al ceto dei personaggi).
Dal 1540 cresce in misura massiccia la produzione del libro a stampa e si moltiplicano le case editrici. Massima parte della produzione è in volgare, e anche questo fa capire come si stia formando un pubblico di cultura media, che ama leggere i classici tradotti, le opere d'intrattenimento, la narrativa, i dialoghi, i trattati ecc. Nasce la nuova professione del consulente editoriale (letterato), cioè colui che consiglia all'editore le opere da mettere in catalogo, scrive prefazioni e corregge il testo (modernizzandolo). Almeno ha il merito di sottrarre i testi di Boccaccio o Poliziano ad una circolazione esclusivamente fiorentina e ne favorisce l'acquisizione al patrimonio della cultura nazionale. Il lessico si arricchisce anche di francesismi, di latino, di americano, di spagnolo e di arabismi.
GERGO = funzione di tipo criptolinguistico. Serve a dire in modo artificiosamente diverso, allo scopo d'esser capito dall'interlocutore ma non da estranei, ciò che si potrebbe esprimere nella lingua corrente. Non si spiega in realtà coi motivi di sicurezza, ma risponde all'esigenza di una giocosa identificazione di gruppo. Oltre che negli ambienti malavitosi è vitale presso girovaghi, artigiani, venditori ambulanti, giovani.
Mentre gli utenti del libro aumentano sorgono nuove forme di organizzazione della cultura, intorno al 1540: i circoli intellettuali. La cultura universitaria, generalmente priva di echi al di fuori dell'ambiente scolastico ottiene in tal modo + risonanza. Nelle Accademie fa la sua comparsa anche l'elemento femminile, escluso dall'istruzione superiore. La prosa si arricchisce di argomenti e Gelli sostiene perfino la necessità di divulgare conoscenze filosofiche e religiose in volgare.
Il problema della divulgazione scientifica però non era solo una questione di lingua: la sostituzione del volgare con il latino non era sufficiente, data la mancanza di un'adeguata istruzione soprattutto scolastica, rivolta ad ampi strati della popolazione. Diretta efficacia sulla lingua ebbe l'Accademia della Crusca, che individuò una norma di base fiorentina orientata sul fiorentino trecentesco che riduceva le oscillazioni della lingua scritta. Fu pubblicata nel Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612).
Il volgare acquista la stessa dignità del latino anche nella filosofia e nella scienza quando viene usato da Galileo per spiegare le sue scoperte e difendere il sistema copernicano (Lettere copernicane e Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo).
L'espansione del volgare non si verifica solo in Toscana, ma anche nelle opere del napoletano Vico. La situazione cambia a metà '700, quando la penetrazione dell'illuminismo provoca la svalutazione della pedagogia umanistica e della tradizione letteraria. Parini accusa l'illuminismo di essere una moda. La lingua formata lungo la tradizione classico-umanista dura fino alle soglie del Romanticismo, fino a Foscolo e Monti.
L'ITALIANO CONTEMPORANEO E I MODI DELLA SUA DIFFUSIONE
Solo quando un idioma si afferma fino ad imporsi come lingua, le altre varietà di una comunità linguistica vengono ridotte al rango di dialetti. Solo con l'affermarsi di una lingua comune di base fiorentina nel '500 si può parlare di letteratura dialettale, perché da lì la norma dell'italiano si è ormai liberata dai compromessi con le differenti tradizioni locali o regionali e la scelta per il dialetto diventa + netta.
Definizione di dialetto: il dialetto ha la stessa origine della lingua, ma è meno prestigioso. Il prestigio è di tipo sociale, riguarda il giudizio con cui la comunità sancisce la superiorità della lingua sul dialetto. In + la lingua si sovrappone a una pluralità di dialetti (L/D1, D2..).
Per la ricerca dialettologia 8-900esca le migliori condizioni per lo studio di un dialetto si verificano quando i membri di una comunità linguistica vivono in un ambiente appartato, isolato dalle grandi vie di comunicazione, estraneo ai movimenti migratori, non ancora raggiunto da un'istruzione diffusa (utopia). Nello scorso secolo, quando la grande maggioranza della gente viveva ancora nelle campagne, non erano pochi i centri relativamente isolati. Comunque, per la crescente diffusione dell'italiano i dialetti non scompaiono ma si modificano. Il dialetto da arcaico diventa urbano (koiné), e in esso prevalgono forme che cancellano o riducono le particolarità dei dialetti locali. Il koiné è quindi un dialetto condiviso da un territorio ampio.
Al termine dialettale se ne affianca un secondo, di provenienza italiana, ma con una fonetica conforme a quella dell'idioma in questione. La recessione del dialetto non è limitata al lessico, ma investe anche morfologia e fonetica. E' noto che per molta terminologia fino a non molto tempo fa i parlanti disponevano solo della designazione dialettale, mentre ora si verifica il contrario: il dialetto viene impiegato anche in domini, come il politico-sindacale, in cui non dispone di una propria terminologia. In alcuni casi la parola viene assimilata e tradotta senza che il dialetto possieda un termine corrispondente: si tratta di paretimologia o etimologia popolare, cioè di un procedimento che modifica il significante mantenendo inalterato il significato di base, e immette il termine in una nuova rete di relazioni. Oppure un unico significante ingloba ormai anche 2 significati.
Se l'italiano preme sui dialetti è anche vero che questi esercitano la loro azione sulla lingua, tanto che adesso si distingue l'italiano regionale da quello standard. Si parlerà allora d'interferenza della L1 sulla L2, mentre l'indebolimento del dialetto è dovuto a un'interferenza che procede nel senso opposto, dalla L2 alla L1. La maggior parte degli enunciati prodotti oggi dai parlanti del nostro Paese va in questo senso, e dunque una varietà distinta dal dialetto ma neppure coincidente con lo standard. L'italiano regionale s'individua in virtù di peculiarità tonetiche, fonetiche, sintattiche e lessicali.
Le possibilità espressive della comunità sono:
dialetto arcaico;
dialetto urbano;
italiano regionale;
italiano standard.
I quattro registri non si riscontrano ovunque: a Firenze non si va oltre la distinzione tra lingua e vernacolo.
AL NORD: nella pronuncia milanese la E tonica in sillaba libera non finale di regola è chiusa, ed è aperta quella di fine parola. A Bologna l'accento in sillaba libera si allunga e in sillaba chiusa si ha una realizzazione breve della vocale e intensa della consonante. L'opposto avviene a Milano. La maggior parte dei dialetti settentrionali ignora le palatali, e qualora siano realizzati la pronuncia è breve, non essendo la lunghezza segnalata dalla grafia. Il congiuntivo retrocede a vantaggio dell'indicativo e si preferisce il passato prossimo al passato remoto. Frequente omissione dell'articolo davanti agli aggettivi possessivi.
AL CENTRO: predomina il romanesco. Lenizione di P, T, K intervocaliche; allungamento di B e G; passaggio di C intevocalica a S. Scempiamento di RR in R. Scarso uso del passato remoto e del congiuntivo. Difficile a volte stabilire il confine tra le voci dell'italiano regionale e quelle del dialetto o dello standard.
AL SUD: lenizione di P, T, K intervocaliche, allungamento di B e G, fricativa dentale S in posizione postnasale evolve in affricata dentale sorda (penzo). Rafforzamento di R iniziale in Sicilia. Più usato il passato remoto del passato prossimo, costruzione periodo ipotetico dell'irrealtà (se potrei farei). Nei pronomi personali ancora radicata alternanza tu/voi al posto di tu/lei normale.
Un geosinonimo è un segno diverso per una stessa nozione, distribuito in territori diversi o anche negli stessi. Quando un geosinonimo prevale sugli altri i termini concorrenti restano in un ambito regionale o addirittura sono sospinti verso il registro dialettale, mentre la designazione prevalente è accolta in lingua, eventualmente affiancando 1 o + sinonimi preesistenti. Vanno distinti dai geosinonimi quei termini di ambito regionale o addirittura locale, che hanno corso nella zona circoscritta in cui esiste la nozione da essi designata. Qualora la nozione si diffonda su un territorio + vasto, anche la parola relativa avrà maggior circolazione, e potrà essere accolta dalla lingua. Il fenomeno si avverte con evidenza in settori particolari, per esempio nel lessico gastronomico, ogni volta che un prodotto locale si diffonde sul mercato nazionale (come da Venezia doge e gondola).
Attraverso l'accetazione dei regionalismi il patrimonio lessicale s'incrementa; nello stesso tempo entrano nella lingua parole estranee al mondo fiorentino. I geosinonimi riescono ad imporsi per l'affermazione di un prodotto locale su scala nazionale, oppure per fenomeni spiegabili sul piano del costume e dell'amplificazione dei mass media.
La concezione della lingua come struttura a + strati ha sostituito il concetto del prestito dialettale, fatto momentaneo e accidentale, con il concetto del passaggio dall'uno all'altro stile, fenomeno ricorrente e duraturo.
La lingua alta gode di maggior rispetto della lingua bassa, perché nell'attivo della prima c'è la tradizione letteraria ed è oggetto d'insegnamento a scuola, è descritta nelle grammatiche e dispone di una norma che le conferisce unità e stabilità; è + completa. La lingua bassa invece è acquisita nell'ambiente familiare come lingua madre. Il concetto di BILINGUISMO si applica alla competenza individuale, mentre con DIGLOSSIA s'indica la dimensione sociale del fenomeno.
Mentre nei paesi stranieri l'uso della lingua alta nelle interazioni di tipo colloquiale susciterebbe ilarità, in Italia le situazioni informali sono compatibili sia col dialetto sia con la lingua, perciò c'è la possibilità di scelta fra diversi registri, senza una rigida funzionalizzazione.
INFLUSSO DELL'INGLESE. Si parla di ADSTRATO quando 2 lingue s'influenzano senza che l'una estingua o releghi in posizione d'inferiorità l'altra. Si verificano allora degli scambi linguistici. Si parla di SOSTRATO quando un popolo vinto abbandona la sua lingua per quella del vincitore. Si parla di SUPERSTRATO quando invece è la lingua del popolo vincitore ad estinguersi.
Dal '700 la cultura illuminista favorisce la penetrazione di gallicismi, e il francese fu nell'Ottocento, la lingua meglio nota agli italiani. Da alcuni decenni invece ci influenza molto l'inglese. Il gioco di queste interferenze ha preso il nome di prestiti. A volte tra lingua ricevente e lingua donatrice si frappongono una o più lingue intermediarie: numerose parole esotiche sono arrivate all'italiano non direttamente, ma attraverso la mediazione dell'inglese. Mentre dalle lingue esotiche derivano prestiti saltuari, francese e inglese sono le sole lingue affini all'italiano, per la compatta assiduità di scambi, antichi e moderni.
Il prestigio in campo tecnologico e scientifico, e l'influenza delle mode e dei fenomeni culturali, sono fattori potenti che internazionalizzano certe parole. Nello studio dei prestiti si sogliono distinguere gli esotismi o prestiti integrali (quando la parola è trapiantati in italiano nella sua forma originale) e i calchi o prestiti adattati, per tutti i casi in cui la parola viene adattata alla struttura linguistica dell'italiano. I dialettismi e i regionalismi promossi al rango di italianisti sono l'effetto di scambi tra i diversi registri del parlato; la penetrazione dei prestiti, integrali e adattati, avviene invece attraverso la scrittura.
Il patrimonio dei forestierismi inglesi è cospicuo, ma non si colloca sulla fascia delle parole usate + di frequente e sono numerose le coppie sinonimiche composte da un termine inglese e uno italiano.
Già nel '500 Machiavelli nel Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua osservava che il volgare accoglie parole di provenienza esterna, che vengono assimilate e rese omogenee alla lingua. Egli coglieva il fenomeno detto calco o prestito adattato; oggi prevale la tendenza ad accogliere il prestito nella forma integrale. Il settore + cospicuo è costituito dai sostantivi, poi dagli aggettivi, da interiezioni e infine da espressioni intere e da verbi. Il modello originale talvolta è abbreviato (night). Anche le sigle e le espressioni dei fumetti passano dall'inglese all'italiano.
Dal punto di vista grafico è da segnalare la penetrazioni di parole contenenti le lettere j, k, w, x, y, che non trovano riscontro nei nostri 21 segni alfabetici italiani. Un problema fonetico è poi costituito dalla pronuncia degli anglicismi, mai uguale a quella della lingua donatrice, perché ispirate soprattutto alla grafia e non al suono. Anche la pronuncia radiotelevisiva ricalca questo errore.
L'italiano conserva il genere grammaticale inglese quando questo coincide con il genere naturale; i nomi neutri sono prevalentemente attribuiti al maschile.
Si distinguono vari tipi di CALCO:
termini inglesi riprodotti con un minimo di assimilazione morfologica (dollaro); detti omonimici perché è analogo il modo con cui l'italiano accoglie e assimila parole dialettali.
sinonimici, cioè i calchi ispirati all'inglese, ma formati con materiale nuovo, sicché si può parlare anche di traduzione (grattacielo). L'ordine germanico determinante + determinato è capovolto, perché preferito dalle lingue romanze.
aggiunta di un nuovo significato a una parola preesistente dell'italiano.
MUTAMENTI INTERNI ALLA LINGUA:
l'opposizione tra i pronomi personali soggetto egli ed ella e le forme oblique corrispondenti lui e lei;
spinta alla semplificazione, all'economia linguistica, per cui un'unica forma copre lo spazio prima occupato da due termini;
costruzione del verbo al plurale in frasi che iniziano con una serie;
Una virtualità ampiamente sfruttata dall'italiano è l'arricchimento per via di derivazione. Attraverso la derivazione della lingua si arricchisce, producendo nuove formazioni che sostituiscono i termini latini mancanti o estinti, e soddisfano esigenze nuove. Nell'italiano contemporaneo sono molto produttivi suffissi come -izzare, -ista, -mento. La suffissazione permette passaggi interni alla stessa categoria (da nome a nome; da nome a verbo), oppure provoca il cambiamento della categoria grammaticale della base (cioè una transcategorizzazione: da aggettivo a verbo o contrario). A differenza dei suffissi, i prefissi escludono la transcategorizzazione e modificano il significato della base. Poi ci sono i prefissoidi, ovvero elementi di composti + frequentemente adoperati che hanno finito con l'assumere un valore quasi di prefissi (auto, bio).
I linguaggi settoriali proliferano in misura non minore nell'attività intellettuale, per via della progressiva specializzazione. Tale terminologia consiste in voci raramente usate al di fuori della lingua speciale, o di parole tratte dalla lingua comune ma usate con diverso significato (gambero in tipografia è la ripetizione di una riga). Quando i destinatari del messaggio sono degli specialisti come colui che ha emesso il messaggio, allora il linguaggio settoriale diventa professionale (di solito avviene a causa dell'internalizzazione della terminologia). Queste parole penetrano nella lingua comune non coi trattati specialistici, ma con la volgarizzazione o per fatti eccezionali.
Diverso è il caso dei TRASLATI, che s'ispirano ai linguaggi settoriali: penetrano nella lingua comune perché tratti dai settori + moderni (partire in quarta). Nella situazione comunicativa dei linguaggi settoriali o professionali o speciali l'eventuale incomprensione è data dall'insufficiente conoscenza dell'argomento.
Non è settoriale la lingua della pubblicità, che è solo una nuova applicazione della retorica come arte del persuadere. Non crea idee nuove, ma fa leva su valori già esistenti per esaltarli e incanalarli verso l'acquisto. Si va dal richiamo al comportamento della maggioranza alla messa in rilievo dell'esclusività, dal bisogno di sicurezza al desiderio di evasione, all'associazione del prodotto con uno stile di vita ecc. Il linguaggio può essere: italiano pseudo-antico, registro colloquiale, frasi fatte, espressioni stereotipe. La lingua pubblicitaria ricorre con abbondanza agli elativi (super), alle comparazioni senza termine di paragone (lava meglio), a rime.
Le scritte murali, tracciate da individui anonimi, con contenuti che esprimono adesione o ripulsa per un gruppo politico, esprime una tesi nella forma dello slogan. Gli utenti sono tali non per una scelta consapevole e la stessa cosa vale per i cartelloni pubblicitari, che hanno in comune coi murales lo spazio fisico e l'integrazione di parole e immagini, volte a catturare l'attenzione involontaria dei passanti.
I comunicati terroristici invece sono un incrocio contraddittorio tra clandestinità e ricerca di risonanza. All'azione si accompagnano rivendicazione e autointerpretazione, che giustifica ed esalta l'azione. E' un mezzo di propaganda politica e fa da risarcimento alla clandestinità e all'anonimato in cui opera un gruppo desideroso di protagonismo. Alcuni terroristi sono riusciti a condurre la loro lotta contro la società servendosi del sistema d'informazione dell'avversario, la stampa.
Nella stampa notizia e commento s'intrecciano continuamente, non si accontenta di registrare i fatti ma giunge a determinarne il peso e si pone come rimaneggiatore dell'evento, non come mezzo d'informazione. Il giornale arriva al lettore come un prodotto omogeneo e finito, articolato al suo interno (servizi scritti dai giornalisti, notizie delle agenzie, correzioni della redazione..). Gli articoli di politica oscillano tra il pastone e l'intervista; la cronaca è divisa in sottounità, nelle quali si enuncia l'accaduto, si descrivono le circostanze e si conclude col riepilogo. Gli articoli scandalistici, per stupire, partono dall'antefatto che non svela le conclusioni, con una parte ascendente e una ascendente.
I linguaggi settoriali trovano la loro cassa di risonanza e diffusione nei mass-media. E' ovvio che il passaggio da un ambito limitato di utenti a un pubblico + ampio e differenziato per cultura e interessi comporta la ristrutturazione del messaggio. Il discorso è riferito solo nelle sue linee essenziali. Alla selezione si accompagna un'operazione di chiarimento. E' molto usato il sottocodice burocratico, con termini ridondanti e repertorio di frasi fatti per quando si scrive in fretta. Anche la terminologia economico-finanziaria, ricca di metafore ed eufemismi, passa alla lingua comune grazie alla stampa, e pure i termini sociologici, grazie alla fortuna generata dalle scienze sociali sul pubblico.
4 stili individuati nella prosa dei quotidiani:
discorso brillante: pieno di metafore per far colpo con una scrittura spigliata, ma a volte anche generica e elusiva. La metafora può essere isolata, su più punti del discorso o accumulata eterogeneamente;
parlato-informale: per rendere vivace un fatto il giornalista improvvisa una narrazione dialogata;
registro pubblicitario, per titoli a effetto o per definire qualcosa di particolare;
registro aulico, in disuso.
Nella prosa giornalistica sono comuni i periodi senza verbo (stile nominale) e sono numerosi i participi passati usati in funzione appositiva. Gli articoli alternano periodi brevi (inizio) a lunghi (fine).
PREMESSE ROMANTICHE: la nascita dell'italiano come lingua della maggioranza della popolazione cominciò dopo che fu realizzata l'unità d'Italia, quando cominciò ad affiancarsi ai dialetti. Nell''800 c'era chi pensava che la lingua del '300 fosse la soluzione alla questione linguistica e all'ondata di gallicismi e chi, al contrario, come il Monti, che critica il purismo dell'Accademia della Crusca e sostiene che è dal '500 che la lingua si è perfezionata. Leopardi teorizzò il concetto del "pellegrino", cioè di uno stile capace di staccarsi dalla lingua comune per essere divulgativa e poetica; per lui era giusto staccarsi dai troppi gallicismi, ma era aperto agli europeismi; vagheggiò un Vocabolario universale europeo da contrapporre alla pigra accettazione dei gallicismi. Pensava che l'italiano era una lingua morta perché parlata solo dai toscani, mentre invece il francese si prolunga dal parlato allo scritto, al contrario dell'italiano che si trova solo nei libri. Anche il Manzoni percepiva quanto fosse scarsa la cultura italiana, e diceva che gli scrittori erano incapaci di comunicare col pubblico perché avevano a disposizione un italiano troppo povero.
INTRODUZIONE AL FERMO E LUCIA:
Manzoni riconosce che al dialetto è legata la personalità di coloro che lo usano. Lingua e dialetto non sono un abito esterno al corpo delle riflessioni intellettuali e dei sentimenti; il dialetto è un patrimonio vivo della personalità individuale e di comunità, e non va perso.
Chi si esprime in dialetto non sbaglia mai, non fa errori.
L'abitudine all'espressione dialettale non può non riverberarsi sulla lingua scritta: parole e locuzioni locali, anche se italianizzate, rivelano il tempo e il luogo dello scrittore, e conferiscono alla prosa un colore municipale.
Solo che anche nel romanzo manzoniano non ci sono lombardismi, ma anche latinismi, arcaismi, gallicismi.
Il fatto è che una lingua comune non esiste perché la cultura toscana si è estraniata dalle correnti moderne o vi ha partecipato poco.
Dopo la prima stesura Manzoni si convinse che una lingua doveva essere qualcosa di + di un misto risultante da apporti di provenienza diversa. Per essere identificata, appresa e usata una lingua dev'essere unitaria, mentre la lingua manzoniana era eterogea e incerta. La lingua cercata esisteva già e doveva solo essere assunta da tutti gli italiani: il fiorentino. Era unitario perché usato per ogni esigenza sociale di comunicazione, mentre la lingua mista non si fondava sull'uso. Il cammino da un italiano regionale a una lingua sprovincializzata si muove tra i due poli del municipalismo (per non rinunciare al passato) e della lingua comune sovracomunale.
Pubblicata la Ventisettana ora Manzoni si riconosce nella lingua comune, che deve eliminare ogni municipalismo. Fa infatti un'attenta revisione linguistica e stilistica, che conclude con l'edizione definitiva dei Promessi Sposi del 1840-2.
POLEMICA MANZONI-ASCOLI: Manzoni fu chiamato da Broglio a presiedere i lavori di una commissione incaricata di ricercare e proporre tutti i provvedimenti e i modi coi quali si potesse aiutare a rendere + universale la lingua e la buona pronuncia. La commissione si divise, nel 1868, in una sezione milanese e in una fiorentina. Grazie agli studi fatti in precedenza fu pubblicata in fretta la relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla.
Presupposto dell'unificazione linguistica, che deve tenere dietro all'unificazione statale e legislativa, è l'identificazione della lingua col fiorentino, tramite grammatica e vocabolario che raccolga l'uso di Firenze e tralasci fasi superate. Non si tratta di soffocare i dialetti ma di promuovere l'uso linguistico di Firenze al rango di lingua, relegando gli altri idiomi della penisola al ruolo di dialetti. Il luogo principale con il compito di diffondere la lingua è la scuola, da affiancare a vocabolari economici, in modo da favorirne l'acquisto.
Nel 1870 uscì il Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze.
Ascoli criticò Manzoni nel proemio del primo volume dell'Archivio Glottologico Italiano, una rivista da lui fondata e diretta. Dice che l'equazione Firenze come Parigi non regge perché, perché la Francia si è uniformata alla lingua parigina perché la città ha conquistato un'egemonia culturale e civile nella storia della nazione che Firenze non ha mai ottenuto. Più appropriato sarebbe paragonare l'Italia alla Germania, che si è unita con la versione tedesca della Bibbia di Lutero. All'Italia non sono mancate personalità di rilievo ma è sempre mancata cultura ed troppa preoccupazione per la forma. Uniformarsi con evoluzioni che rientrano nella normalità per i fiorentini equivarrebbe per i non fiorentini a seguire un capriccio. Per lui l'unificazione non si raggiunge elevando a modello la Toscana, ma infittendo il tessuto della cultura media., privilegiando l'azione degli intellettuali.
Manzoni invece non riconosce particolare autorità ai letterati, e riconosce che la forma NUOVO è più giusta di NOVO, perché ormai accettato ovunque tranne che a Firenze, ma è soprattutto importante evitare l'atomismo e sapere cos'è una lingua, oltre che come si forma. Manzoni poi predilige la cultura francese, l'Ascoli invece quella tedesca.
Dai censimenti risulta che nel 1861 era analfabeta il 75% della popolazione in età scolare (21.800.000 ab); nel 1871 tale percentuale era del 69% (26.800.000 totali). Fanno eccezione però la Toscana e Roma, perché l'idioma locale non era molto lontano dalla lingua scritta. Viceversa la popolazione alfabetizzata non può essere considerata come italofona, perché due anni di scuola non erano sufficienti ad una compiuta alfabetizzazione. In più in molte scuole rurali i maestri usavano il dialetto, e i Comuni non avevano i mezzi necessari per provvedere adeguatamente all'istruzione. Perciò la scuola potenziò le forme intermedie tra lingua e dialetto che già esistevano. A questo si aggiunga che solo il 2.5% (su 25 milioni) della popolazione frequentava la scuola secondaria. Coloro che conoscevano la lingua grazie allo studio erano quindi 390.000 persone, + i toscani, il clero e altri centri dell'Italia mediana facevano 2.220.000, cioè il 9,25%.
La popolazione delle campagne possedeva perciò la competenza passiva dell'italiano, almeno per gli scambi con la gente istruita. Tra i ceti borghesi e cittadini poi, la lingua era accessibile alle persone in possesso di un'istruzione post-elementare, ma anche a quanti entravano in contatto con esse. Solo che spesso il dialetto veniva usato anche in discorsi di alta cultura, esistevano varianti regionali e la lingua non aveva espressioni per descrivere fatti tecnici o concreti. Se il problema della lingua esplose, comunque, fu proprio perché l'italiano non era una lingua morta, ma aveva qualche diffusione ed era insufficiente sul piano qualitativo e quantitativo.
Tra il 1880 e il 1914 gli analfabeti scendono al 34% e la spesa per l'istruzione raddoppia (differenze tra nord e sud però). Ma ancora nel 1900 l'unità culturale e la piena alfabetizzazione non erano raggiunte. La divisione tra èlite laica borghese del Risorgimento e la popolazione contadina cattolica permane ancora. Spesso in campagna il prete è l'unico insegnante. La scuola media poi, per reazione ad una elementare invasa dal dialetto, coltiva l'ideale del "parlare come un libro stampato", perciò gli allievi riescono magari a scrivere bene, ma usano il modello fiorentino Trecentesco, perpetuando il divorzio tra lingua scritta e parlata. Nella realtà quindi si contrappongono il barbarismo gallicizzante e il purismo. La scuola doveva modernizzare il programma su autori più recenti e accettare le antologie (abbandonando lo studio di un unico autore per garantire la coerenza dello stile).
Intorno al 1880-90 la vitalità della corrente manzoniana si esaurì: la cultura elevata da un lato privilegia nuovamente il Carducci, dall'altro sceglie, col verismo, il colore municipale. Tuttavia, dopo il 1890 c'è un'apertura alla conoscenza della cultura moderna.
Ancora nel 1861 l'Italia era un paese agricolo, con un'industria poco sviluppata. Raggiuntà l'unità si avvia la rivoluzione industriale e il trasferimento dalla campagna alla città. Le migrazioni continuano verso l'estero e la città durante la prima guerra mondiale, rallenta nel periodo fascista e riprende dopo la seconda guerra con molti meridionali al nord. Partono soprattutto uomini giovani dei ceti non abbienti, con livello d'istruzione modesta. Ciò condiziona la lingua perché gli emigrati si rendono conto che un miglior livello d'istruzione è utile per una buona sistemazione lavorativa e lo dicono a casa; poi l'emigrato cerca di fare conoscenza fra gli altri emigrati e ha rapporti con i connazionali, non solo con gente della sua città e questo spinge ad abbandonare il dialetto d'origine.
MIGRAZIONI INTERNE:
intraregionali, dalla campagna al capoluogo; sviluppo dialetto urbano.
interregionale, da una regione all'altra; perdita dialetto in vari anni e apprendimento dialetto del luogo d'immigrazione, poi decremento perché s'impara ad esprimersi con l'italiano regionale del posto nuovo.
A partire dal periodo giolittiano i dialetti, per quanto indeboliti, rimangono vitali, ma il repertorio della comunità si arricchisce e si potenziano le varietà intermedie fra lingua e dialetto. Era inevitabile che Roma, capitale politica, e altre grandi città, ridimensionassero il ruolo di Firenze come capitale linguistica. Per esempio Pirandello distingue fra dialetto arcaico e dialetto borghese, cioè un idioma arrotondato che è l'italiano regionale. Il Manzoni cita il parlar finito per indicare l'italiano regionale.
A contribuire all'italianizzazione sono state proprio l'emigrazione e il servizio militare, dove si cercava di provvedere alle reclute analfabete. I contadini e i poveri avevano solo queste due occasioni per scrivere; lo facevano poco di solito perché materialmente non gli serviva e non ne vedevano l'utilità pratica, poi perché lo trovavano un esercizio difficile, visto che non erano abituati. Un'altra spinta è stata data dalla stampa periodica e quotidiana, a cui si sono poi aggiunte radio e tv.
Con l'esaurirsi del boom economico degli anni '50 la mobilità all'interno del Paese è diminuita (in seguito alla saturazione delle metropoli settentrionali, o alla minor disponibilità a cercar lavoro lontano) e con l'attuazione dell'ordinamento regionale si sono affermate spinte regionali in vari settori. Nella radio non ci sono più operatori standard, ma spesso vi lavorano quelli privi di tirocinio professionale, che parlano in italiano regionale. Il pendolo si è spostato a favore del colore municipale e verso i suoi limiti, perché ancora in Italia non esiste una lingua chiara e semplice, colta e popolare insieme.
4. LA LINGUA SELVAGGIA. ESPRESSIONE E PENSIERO DEI SEMICOLTI
Intorno al 700 d.C. nel monastero di Bobbio (Piacenza) si raschiarono i testi biblici di un codice contenente la versione detta Itala, cioè l'antica traduzione latina ormai sostituita dalla traduzione di s. Gerolamo. In coda aggiunsero osservazioni grammaticali con una lista di 227 parole errate, precedute dalla corrispondente forma giusta. Dalla posizione di tale lista nel codice l'elenco è stato chiamato APPENDIX PROBI (secondo lo schema A non B). La compilazione risale al III-IV secolo d.C. ed è possibile che l'autore vivesse a Roma, ma soprattutto nella resa dei grecismi i criteri di questo grammatico sconosciuto sono malsicuri e fa errori.
Numerosi fenomeni respinti nell'A.P. come erronei sono invece confermati nel Satiricon, il romanzo incompleto di Petronio, vissuto al tempo di Nerone e costretto al suicidio per essere caduto in disgrazia (66 d.C). Nella parte che ci rimane del Satiricon il protagonista Encolpio narra in prima persona le avventure sue e di Gitone. Frequenta la scuola del retore Agamennone e segue il suo maestro a cena da Trimalchione, un uomo liberto di umile origine che si è fatto da sé. Encolpio riferisce i discorsi di Trimalchione ed è una fonte preziosa per la ricostruzione del latino volgare (che indica il latino del volgo sia la lingua colloquiale delle persone non molto istruite). E' evidente una certa ostilità per i diminutivi nell'A.P., che dilagano nel Satiricon. Al silenzio dell'A.P. sui verbi supplisce il Satiricon, che fa confusione tra forma attiva e passiva. Molti fenomeni del latino volgare compaiono nella lingua plautina e nel latino arcaico; le attestazioni scompaiono per secoli, per riaffiorare nei testi latino volgari di epoca + tarda. Tali peculiarità continuano durante il periodo aureo del latino, ma sono state respinte dalla scrittura.
Mentre l'A.P. offre una raccolta di voci isolate il Satiricon permette di cogliere i fenomeni del latino volgare nella realtà viva del contesto. Gli attori della cena di Trimalchione sono schiavi liberati, persone di umile origine, che hanno saputo raggiungere il benessere o la ricchezza attraverso speculazioni. La conversazione procede non per veloci scambi di dialogo a battute brevi, ma per interventi di una certa lunghezza, nei quali il commensale di turno dice la sua. Questi discorsi saltano da un argomento all'altro, la conversazione si aggira intorno ai fatti e alle aspirazioni dell'io che parla, o tocca di persone e ambienti noti anche a chi ascolta. I discorsi vertono su un mondo conosciuto direttamente. Trimalchione ama ricorrere all'ornamento prestigioso della citazione letteraria e conosce un po' di filologia: per lui è prima di tutto mitologia (chiama il cuoco Dedalo, la moglie Cassandra) troiana mischiata alla storia romana. Dà persino un saggio delle sue capacità di poeta, facendo recitare a uno schiavo certi suoi componimenti, i cui versi sono metricamente incompatibili e scorretti. E' anche un appassionato di astrologia e dimostra sensibilità per argomenti come la vita, la morte e lo scorrere del tempo. Nel simposio alcune idee confuse sull'uguaglianza degli uomini vivono in un contesto di materialismo che non rinuncia a ornarsi delle massime filologiche e filosofiche. Agamennone viene ritratto come umile commensale alla tavola, disposto a sopportare gli strafalcioni di Trimalchione pur di non perdere i suoi inviti.
Eumolpo, compagno di Encolpio verso Crotone, prepara una truffa che lo pone sullo stesso piano dei cacciatori di testamenti rappresentati dalla letteratura satirica romana, e contemporaneamente discetta con elevatezza e convinzione su argomenti di alto respiro culturale ed epico (contrasto). L'autore Petronio era certo superiore alla rozza incultura dei liberti, ma è probabile che anch'egli fosse in parte coinvolto in quel mondo e che condividesse certe caratteristiche di licenziosità, ricerca di piacere e mancanza di freni morali.
Un altro testo per gli studi volgari è l'Itinerarium Egeria, una religiosa della Galizia di condizione elevata che lascia l'Europa e intraprende un pellegrinaggio fino a Gerusalemme nel 400 d.C. Ogni volta che raggiunge una nuova località legge i testi della Bibbia relativi a quel luogo e i fatti che vi si sono svolti. La sua lingua è ricca di volgarismi lessicali, di costruzioni e usi lontanissimi dal latino classico. Egeria è interessata alla dimensione spirituale del viaggio, ma non dimentica di descrivere luoghi e ambienti con un periodare ampio, ripetendo le stesse parole (stile epico accostabile alle chanson de geste francesi).
Perciò l'A.P. è la lista di un grammatico che ha voluto correggere alcuni errori ricorrenti nei suoi ambienti. Petronio dispone di una ricca tastiera di stili coi quali distingue i personaggi del suo romanzo. Le sue deviazioni sono in gran parte volute. Egeria, al contrario, conosce solo un modo di scrivere, il suo, proiettato nella direzione della lingua parlata e del riempitivo formulare. I discorsi riguardano materia autobiografica o esperienze sull'ambiente sociale circostante. Sulla verità della Bibbia già posseduta si saldano nuovamente le stesse verità e l'elemento autobiografico è preceduto e suggellato da una verità ormai scritta una volta per sempre ma che rivive continuamente nella coscienza del cristiano.
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente la distanza fra lingua scritta e parlata si accentua. La cultura classica non scompare, ma si esaurisce in un lungo declino nei primi secoli dell'Alto Medioevo. Fu Carlo Magno, + di 2 secoli dopo, a dare un impulso a un uso + corretto del latino, e la lingua riconquistò uniformità e regolarità anche se non si giunse a un'impossibile restaurazione del latino classico.
Il latino è la lingua della scrittura e della cultura, della spiritualità religiosa, delle cronache, delle legislazioni, dei documenti pubblici e privati, mentre la comunicazione orale avviene quasi esclusivamente in volgare. Le due varietà sono incluse nel repertorio linguistico della comunità. Invece nell'Occidente altomedievale tutta la popolazione conosce la varietà bassa, ma il latino è accessibile solo allo strato sottile dei chierici. Il punto di mediazione fra chierici e laici è il latino rustico, che consegue anche a uno sforzo di evangelizzazione delle campagne, poiché il cristianesimo aveva fatto i suoi proseliti soprattutto nelle città ed era diventato urgente per la Chiesa misurarsi con le sopravvivenze del paganesimo radicate soprattutto nelle campagne.
Un'altra situazione che esige uno scambio culturale tra varietà bassa e alta è quella degli atti stilati dal notaio. Il notaio dispone di un repertorio di formule invariabili, che inquadrano la transazione dell'oggetto del documento, collocate soprattutto all'inizio (protocollo) e alla fine (escatollo). La parte libera è il testo, comprendente l'esposizione del fatto e il dispositivo.
DISLIVELLI DI LINGUA: Leopardi, nello Zibaldone del 1828, osserva che il fine della letteratura è il regolar la vita dei non letterati. Già dal Basso Medioevo si cerca di diffondere la cultura, la letteratura e la filosofia al di fuori del ristretto pubblico di coloro che sono lettori perché anche produttori (si pensi ai predicatori). Chi scrive però esprime non quello che potrebbe o vorrebbe, ma quello che sa nei limiti delle proprie capacità intellettuali e della propria padronanza della lingua. Non sempre riesce esprimere il messaggio come desidera, oppure sono i traduttori a commettere errori, perché hanno poca cultura, perciò omettono o accostano parole simili di suono ma non di significato. Si avranno così appiattimenti, incoerenze, ripetizioni.
Dal teatro rinascimentale sarebbe facile fare esempi di personaggi ignoranti che ripetono parole difficili deformandole o confondendole con altre voci (altre volte poi gli errori di riproduzione del testo ci sono davvero). E' un espediente comico diffuso. Sono fenomeni tipici del volgo ignorante l'incapacità a reggere un parallelismo, la difficoltà a distinguere e coordinare le parti di una similitudine. Anche se di solito parla bene di fronte al signore il popolano s'intimidisce e si confonde, finendo per sbagliare.
Negli anni '70 è stato scoperto un nuovo filone comunicativo chiamato "italiano popolare", da 2 tipi di scritti: lettere e diari + autobiografie, di semicolti. Nelle lettere rientrano gli epistolari di emigrati, nelle autobiografie quelle della piccola malavita (la leggera). L'italiano popolare è il tipo d'italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto. Accanto ai dialettismi crudi compaiono forme di compromesso tra italiano e dialetto. Alcuni dialettalismi o regionalismi sono indispensabili perché manca nell'italiano il termine corrispondente, in altri casi il vuoto è dovuto all'ignoranza dello scrivente. Non mancano esempi di popolarità lessicale, in cui invece di una parola si usa il suo opposto (devo andare in trincea a difendere il nemico) o ripetizioni di gruppi di parole, la costruzione per ritocchi successivi, l'incoerenza delle immagini, la materia eterogenea troppo alta e troppo bassa, l'oscillazione tra la forma del parlato e l'impiego di stereotipi, l'uso irregolare, eccessivo o assente della punteggiatura, il cumulo delle preposizioni (ma però).
Dunque sia il latino volgare che l'italiano popolare non coincidono con lo standard ma non trascrivono neppure le parlate locali. Fin quando il discorso verte sul mondo che circonda lo scrivente esso ricorre ai due registri del parlato (efficace e personale, confuso) e dei moduli prefabbricati. L'incolto, l'analfabeta integrale o quasi non sa scrivere nulla, ma quando si esce fuori dal giro dell'esperienza immediata le differenze tra semicolto e incolto si annullano. Appiattimenti ed equivoci si riscontrano anche in ambienti molto colti, però un conto è l'insufficienza formale o sporadica, altro invece è la massiccia presenza di ripetizioni, incomprensioni ecc. che punteggiano l'intero testo: solo in questo caso si parla di semicolti. E' chiaro poi che magari i semicolti capiscano il significato di cose colte, ma non sappiano spiegarlo o non sappiano rispondere, perché la conoscenza passiva è maggiore di quella attiva.
Tre modi di reazioni:
definizione tautologica: la risposta riproduce la domanda, eventualmente variandola appena;
la definizione s'ispira al contesto verbale;
la definizione si risolve nell'esemplificare casi concreti che convengono alla categoria generale in questione.
Ci sono reinterpretazioni, banalizzazioni, confusioni indotte da somiglianza del significante o del significato, perché l'individuo riceve e decodifica il messaggio, orientandolo sulle capacità della propria personalità. Lo stacco è evidente fra chi ha frequentato la media inferiore e chi la media superiore: è lì che si pone la soglia fra comprensione scadente e difficoltosa e comprensione buona. E' preoccupante che la scuola dell'obbligo di 8 anni non assicuri una soglia di comprensione soddisfacente. Quando i fenomeni dell'espressione semicolta si consolidano, allora dalla normale fisiologia dell'apprendimento si passa ad apprendimento distorto o fallito.
Finché si tratta di temi sulla loro esperienza diretta e sulla loro vita i ragazzi riescono ancora ad esprimere quello che provano, ma quando se si tratta di parlare su argomenti non basati sui fatti si perdono. L'italiano popolare oggi non appare + come il frutto di una precoce emarginazione scolastica, ma è prodotto dalla scuola stessa. Ciò dipende dalla qualità della scuola, degli insegnanti, dell'indirizzo, delle capacità degli studenti. Si è criticata la cultura umanistica, accusandola di eccessiva preoccupazione per il passato a scapito del presente, e di formalismo retorico, di abuso nel propagandare una norma linguistica ormai superata; non è vero perché gli stessi problemi linguistici ci sono anche nei paesi inglesi, dove la componente umanistica nei programmi è minore.
Un insegnamento che si risolvesse nell'analisi del quartiere rafforzerebbe soltanto il mondo personale che ogni alunno si è formato negli ambienti extrascolastici, senza arricchirlo. L'obiettivo è invece quello di arricchire le conoscenze e ampliare il giro mentale dell'alunno con situazioni del presente e del passato. Ciò può avvenire anche senza la cancellazione del dialetto, l'importante è che il dialetto non porti a trascurare l'apprendimento della lingua, perché in questo caso gli studenti vengono condannati a rimanere nella condizione culturale raggiunta in sede familiare.
Per avvicinare la scuola alla realtà si pratica la lettura dei giornali, ma i giornali non hanno memoria a lungo termine, perciò se non s'insegna il passato (e il guardare al passato) non si capisce il presente, non si acquista capacità critica. Il superamento dell'esperienza vissuta si attua sviluppando il gusto per un sapere disinteressato, percepito in modo non immediatamente utilitaristico.
I giovani sono convinti che la vita dev'essere vissuta e non pensata, non si interessano dei pensieri altrui e pensano che la cultura sia la propria esperienza personale.
Nell''800 e nel '900 c'era il desiderio di una lingua comune. La condizione perché ciò avvenisse era l'estensione della cultura, avvenuta nel secondo dopoguerra con la generalizzazione dell'istruzione elementare e media, ma la vera unificazione è stata impressa dai mass media e la crescita dell'alfabetizzazione non ha seguito una crescita anche della scrittura e dei libri. La nostra ora è una società postalfabetizzata in cui le occasioni per scrivere si sono rarefatte. Occorre riannodare il rapporto con la tradizione umanistica e rinnovarla, riproporre valori umani e formativi che oggi risultano espulsi dal tecnicismo delle scienze umane.
Le scuole professionali prendono il sopravvento sulla scuola formativa e appaiono democratiche, invece sono destinate a perpetuare differenze sociali. Inoltre la partecipazione di massa alla scuola porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio e a domandare facilitazioni.
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