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Letteratura francese contemporanea: Colette "una scrittura tutta per sé"

letteratura francese



Letteratura francese contemporanea: Colette "una scrittura tutta per sé"

Sommario


Sido.......... ..... ...... .........1

La nascita del giorno.

Il puro e l'impuro.

Androgino.......... ..... ...... ..4





Colette individua nella scrittura lo strumento per recuperare il rapporto con l'origine, con il materno, sperimentando una scrittura del corpo, dove si innalzi la sinestesia, un rapporto simbiotico con il materno , una transustanziazione del corpo attraverso il suo contatto sensoriale con il mondo, ed è 444e42e questo SIDO in prima istanza. Già Proust individuava il ricordo impresso indelebilmente nel corpo, memoria involontaria incontrollabile. In Colette troviamo però anche un'indagine sull'informe. Il tema della memoria è fondativo, essa è legata ai sensi e si fa attraverso ciò che nella natura è meno gestibile, ciò che non ha una forma definita,l'informe della natura. Sido è un testo in omaggio alla memoria della madre, Colette parlando della madre sta parlando di sé, ella ha un rapporto simbiotico con la madre la cui figura è associata all'origine come idea laica e alla natura, una natura ricca, piena di luoghi segreti, rifugi in cui un elemento molto importante è l'acqua,elemento liquido sfuggevole senza forma. Il tempo del contatto con la natura è l'alba, la nascita del giorno, ma ritorno all'origine è inteso anche come ritorno al primordiale, la natura non è subalterna, parla attraverso di lei, non è la natura romantica declinata a seconda dei sentimenti del protagonista, qui dettano il ritmo passionalità e sensualità; la nebbia è un'altra espressione dell'informe che avvolge completamente Colette ragazzina, quasi a riportarla ad uno stadio di fertilità materna, ad una posizione fetale circondata dal liquido amniotico. Questo ritorno all'origine però non prevede turbamento, anzi è totalmente euforizzante, ed è questa una novità colettiana. Tutti i sensi sono coinvolti in questo ritorno all'origine, l'apprendimento passa attraverso i sensi, è celebrata la passione non nel senso disforico di dolore, ma nei suoi tratti più sensuali e euforizzanti. E'una natura matriciale, nutrice, se Sido è la natura, la natura si dà come madre, avviene così un procedimento di personificazione della stessa. In Colette è molto chiara un'interrogazione sull'identità femminile che coincide con il rapporto tra soggetto che scrive e le proprie origini (madre). Nel libro Sido resta la vera e propria protagonista anche se le parti sono 3: Sido. Il Capitano, i Selvaggi. Gli altri esistono solo come satelliti per far risaltare la figura di Sido, ella è per Colette un modo mediato per farsi rivivere, ripercorre il sé attraverso i familiari. L'alba è un momento che torna sempre, un compiacimento estremo nell'offrire un'immagine positiva del genitore , che è l'uguale a sé. Sido è prefigurazione di ciò che è diventata poi Colette. Entrambe hanno una figlia a 39 anni. La sua famiglia è di tipo matriarcale, Sido è il capo e responsabile della famiglia, è un polo che attrae tutti gli altri, è in simbiosi con la natura, ci è offerta come tutta natura, identificazione e metamorfizzazione con essa, attraverso una sorta di viaggio alla scoperta dei sensi. Nei 3 romanzi ritorna ossessivamente la mano di Colette che scrive, l'interno magmatico come fonte della creazione, anche letteraria, il suo stile presenta un'ebrezza sinestetica, la natura è fonte della sua scrittura, ogni epilogo è una morte anche il romanzo in memoria della madre finirà, auspica a sé stessa di restare colma di questa memoria gioiosa. Memoria che è un culto nei confronti della vita e non dell'assenza, della morte. L'esclusione del paterno è il fondamento del rapporto tra Sido e figli. La diversità del padre viene percepita come scandalo, non viene indagata da nessuno, verità è solo Sido. L'approccio del padre al mondo esterno è celebrale e non naturale, la sua è una natura catalogata, classificata che non può sorprendere, perché è la natura scritta, non è l'informe ma una natura sotto il rigido controllo umano. Il padre si avvicina al mondo solo in modo mediato tramite Sido, la sua Sido irreale, quella che ha nella sua testa, Sido è il suo materno. L'irrazionalità della natura in Colette diventa positiva, indispensabile perché possa esserci creazione, dato indispensabile per arrivare alla forma, il corpo offertoci da  Colette e quindi da Sido è un corpo integro(donne tronco). In questo libro troviamo una divisione in capitoli nuova, la dimensione del racconto è molto mitica, non ci si rimanda quasi mai ad un luogo preciso e il tempo è acronologico, troviamo un approccio allo spazio e al tempo affettivo ed emotivo. Sono le sensazioni a dettare il tempo e lo spazio, è un programmatico balzare da un momento all'altro dell'infanzia(imperfetto marca verbale che ha molte occorrenze nel testo, crea una sospensione  , un'illusione della ripetizione). L'alba si ripete continuamente ogni giorno, ma essa richiama anche la luce, come sapere, conoscenza, consapevolezza che rende la donna scrittrice, incontro con la nascita è consapevolezza dell'essere, idea della circolarità. Alba data come regalo, passa attraverso il materno, chi gestisce il tempo del ricordo nel testo è la madre. Anche lo spazio non è aperto, ma chiuso, è uno spazio mitico, la natura potrebbe essere qualsiasi natura, non si dà come spazio reale è lo spazio per eccellenza, giardino = eden. Questo può essere definito come topografia dell'affettività, anche la madre è descritta in termini di spazio. 4 punti cardinali, è una bussola umana, viene ripresa a figura intera all'interno del suo giardino. Tutto è madre. Nel testo appare anche un'altra figura materna: Adrienne, il suo primo turbamento erotico, seno che allatta, anche lei rappresentata nel quadro vegetale del suo giardino, Colette però poi ritorna alla madre, con la quale ha una relazione esclusiva. Il corpo di Sido occupa tutto il testo ma non viene mai descritto esteriormente, è consegnato all'informe, è vissuto. Questo è un testo -corpo, un corpo ripreso metonomicamente, solo abbozzato, detto attraverso una mano o il viso, la scrittura non vuole restituire una forma ma rimandare ad un modo di essere, di sentire. Sido è vita, entusiasmo, sguardo dello stupore, celebrata attraverso un'ebrezza sinestetica. Sido è la vera detentrice del verbo, parola originaria, materna. La scrittura di Colette muove da una trasmissione ereditaria, l'idea che l'identità del presente si afferma solo tramite la celebrazione e ritorno all'origine. Il padre a contrario di Sido è figura della stasi , in poltrona, a mezzo busto, è descritto per sineddoche, frammenti, è un corpo devitalizzato, viene descritto come prolungamento di Sido, vive vampirizzandola, è per lui fonte di vita. Colette vuole comunque riscattare il paterno che è in lei e quindi vuole dargli un'immagine dignitosa. Inizia dal senso di colpa per non averlo capito nella sua diversità, è una terapia per riappacificarsi con una parte di sé. Afferma così che il padre è una scoperta tardiva e mano a mano lo idealizza, si rende conto di aver preso da lui l'ira, l'essere fiero e il detestare la pietà, la somiglianza fisica sta nella mano, soprattutto col passare degli anni e ne accorge, il padre appallottolava i fogli come lei, ambiva a scrivere ma non riuscì, Colette lo riscatta, usando i suoi fogli bianchi, prova di un'impotenza.


La nascita del giorno


E' un testo scritto verso i 50 anni, riprende le sue metamorfosi, anche fisiche, come ad esempio la mano, raggrinzita e segnata dal tempo. In questo testo è lei che prende le parti della madre, lavora nel giardino, tutto ciò che è segnato dal tempo dimostra quanto lei sia stata capace di vivere intensamente, segnata dall'esterno. Fin dal titolo appare un chiaro richiamo al tema dell'origine, della nascita, l'alba e il ricongiungimento con il materno tanto che il testo esordisce con una lettera della madre e chiude in altrettanto modo, anche essendo cresciuta il rapporto con la madre si mantiene per via epistolare. Ma se l'alba sancisce sempre la morte del giorno precedente anche questo testo sancisce una morte, quella dell'amore, l'affrancamento da esso. E' il periodo della maturità di una donna e capisce che pur non potendosi sottrarre alla passione bisogna saper declinare con classe. Con la ripresa delle lettere materne il testo afferma di essere un calco, di portare un'impronta di sua madre. Colette ci interpella direttamente come lettori, il patto di lettura autobiografico viene però messo in discussione dalla sua epigrafe. Lo scopo è quello di mostrarci la passionalità e la voglia di vivere della madre che non si è mai spenta fino alla sua morte, una signora in turbamento per le metamorfosi della natura, una donna che Colette prende a suo modello, le fa da monito. La vecchiaia quindi vuol dire anche saper rinunciare alla passione per Vial per ritrovarla in altre cose. Inizialmente l'epigrafe sembrava essere presa in prestito da Proust, in seguito Colette la cambia. Essa stessa è ambigua: ci coinvolge ma ci invita a mantenere le distanze ci avverte che non è autobiografia ma c'è della finzione, è in fondo una presa di coscienza stessa dell'autrice che ridefinisce il suo rapporto con la scrittura. Nel continuo del testo vi sono molti richiami all'epigrafe  nei quali Colette vuole avvertire la critica maschile e in generale il suo lettore di non abusare dei suoi testi interpretandoli sempre tutti autobiograficamente. La critica del tempo era infatti portata a sminuire la scrittura delle donne in quanto autobiografica nel mero senso della parola, invece il vero soggetto del testo è la pulsionalità, chi desidera qui è una donna(nuovo per il tempo). In più è una pulsionalità rivolta verso tutto, non semplicemente verso il maschile. E'una donna tutta desiderio, tutta natura, in senso pulsionale e positivo questa volta. Colette si rivolge anche al suo pubblico femminile di lettrici giovani le quali continuano ad interpretarla come la Claudine cresciuta mentre lei si è distaccata già molto dai suoi primi romanzi e da quel tipo di vita. Si vuole allontanare dalle letture ingenue. Colette da una parte quindi invita il lettore a non essere superficiale e contemporaneamente crea un lettore virtuale, ipoteca la lettura del suo testo. Anche Vial fa parte della lista dei cattivi lettori perché pensa di conoscerla meglio tra le righe dei suoi romanzi. Colette invece proibisce ciò a lui e a noi lettori. Il lettore ideale deve essere paziente, "pacience" dice nell'epigrafe ambiguamente. L'astensione, la rinuncia all'amore d'altronde si ritrova sempre come monito nelle lettere della madre, secondo la quale Colette doveva rinunciare all'amore per dedicarsi alla scrittura. La nascita del giorno è quindi il modello di sé nell'avvenire, lei si modella rispetto a ciò che è nel suo immaginario la madre, è quindi solo una probabile immagine di Colette nel futuro in una scrittura che è paradossalmente retrospettiva. Il testo diventa luogo di costruzione di una finzione sul sé, nel frattempo però spiega quella che è la verità di ogni scrittura autobiografica : l'Io narrato dipende sempre dalle necessità dell'Io del presente. Colette così secondo le sue necessità del presente costruisce una storia di finzione sul suo ideale futuro. L'oggetto del desiderio massimo è sempre la madre che creò nella sua infanzia una gelosia a Colette nei confronti del fratello maggiore più coccolato dalla madre, Colette ambisce così androginizzarsi.


Il puro e l'impuro


È caratterizzato dalla frammentarietà, è un saggio e non vuole darci un intreccio. Colette pensa a questo romanzo come il suo miglior romanzo, la critica non è mai riuscita a classificarlo sotto un genere preciso, appena uscito in una rivista viene interrotta la sua pubblicazione per le richieste del pubblico. Il puro e l'impuro in realtà è una lunga riflessione che sposa contemporaneamente più punti di vista e parte dalla constatazione dell'impossibilità di definire il puro se non in funzione dell'impuro, è in particolare una speculazione sul tema dell'androginia, si pone comunque nel solco delle scrittura della soggettività del 900. Il testo porta in sé un leitmotiv della produzione colettiana ovvero una concezione dell'identità femminile che si modella e si costruisce a partire da un conflitto in seno all'ambito familiare, cioè la concorrenza per l'amore della madre nei confronti del fratello. La donna assume così una virilità spirituale, una sorta di ermafroditismo mentale, senza rifiutare il sesso femminile, portatrice di una sorta di androginia, comune secondo lei, a tutte le donne. L'indagine sul maschile e il femminile viene portata avanti in questo testo tramite alcuni personaggi emblematici. Colette mette in evidenza così la stoltezza di alcuni ruoli stereotipati, mentre l'identità per essere non deve per forza aderire ad un ruolo. Colette non si chiude in nessun tipo di nicchia e guarda con distacco ad esempio i gruppi omosessuali maschili, il cui mondo tende ad essere autocelebrativo e ad escludere l'altro da sé. Colette non è tesa come Proust a rivendicare una Gomorra, ovvero tutto omosessualizzato al femminile, è aperta al confronto con l'altro, sia come uomo, sia come natura. In Colette la "stanza tutta per sé" non coincide con una regressione verso l'identico a sé come in Virginia Wolf, non è una fuga a ritroso ma un'ebrezza nel diventare altro, essere in sospensione tra una materia e l'altra, un'esplosione di forza vitale. Il personaggio della Cavallerizza nel testo si fa portavoce delle parole di Colette dicendo che niente può toglierle l'illusione di valere quanto un ragazzo senza rinunciare però ad essere donna, non esiste quindi una negazione del sé per essere altro. Inoltre Colette pone tutto ciò in una dimensione molto reale e parla di una completezza di cui suo malgrado la donna è dotata. I personaggi sono reali ma anche rivisitati alla luce della riflessione. Colette prende distanza dalle donne che hanno come modello solo il maschile, non ci deve essere una grottesca imitazione del rapporto uomo-donna perché uno dei due partner perderebbe la sua autenticità. Colette prende le distanza dal tipo di donna virago e anche dal tipo letterario decadente della donna travestita, ciò che muove Colette è un piacere per l'indistinzione del tutto in sintonia con l'informe della natura.

Il desiderio androgino è tipico dell'essere umano, è un essere immaginario che combina in sé maschile e femminile, presente nei miti cosmogonici, in Platone nel simposio, visto come essere perfetto, pensato come il luogo della dissoluzione dei contrari, è presente in tutte le culture, è una figura archetipale. A partire dall'800 in ambito letterario e figurativo avviene un ricorso ossessivo all'androgino in tutta Europa, trova spazio nell'idealismo romantico e alla fine del secolo nel clima morboso decadente dove si passano in rassegna mostruosità e figure perturbanti qui la figura dell'androgino cala nella realtà e si trasforma nella virago o nell'uomo femminilizzato. Nel 900 viene ancora trattato da Proust il quale parla di un essere umano originariamente androgino , l'essere umano alle sue origini viveva all'insegna di un desiderio bisessuale (riprende Freud), ma Proust sposta il discorso dalla sfera culturale a quella biologica,l'androginia è un dato biologico scritto nel Dna. Per lui il desiderio si configura sempre come un desiderio dell'inversione. L'800 e il 900 frequentano l'androgino prima in funzione di una contestazione culturale e sociale prima che diventi moda massificata (dandy). La riflessione può essere traslata anche all'ambito del fare letterario in quanto la bellezza ideale non può che essere androgina, polimorfa, portatrice di ambiguità (Gautier). In ambito anglosassone è Virginia Wolf a sviluppare il tema in termini di incesto, cioè una regressione infinita verso il materno e una conseguente chiusura su di sé, una negazione dell'identità nella regressione verso l'origine con una pulsione mortifera di autoannullamento, la stanza tutta per sé implica un esilio, una chiusura, la solitudine, rifiuto di un sentimento e non padronanza dello stesso. Nell'Orlando la Wolf ci parla di una figura che esperisce entrambe i sessi ma non in contemporanea, ci presenta quindi una dimensione mitica e non reale. Baudrillard, filosofo e sociologo, ci dice relativamente al travestimento che coloro che lo praticano amano il gioco dell'indistinzione, si è sempre in una situazione di liminarità, essere al confine, costantemente a contatto con l'altro.




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