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L'INFERNO - Proemio generale, Proemio dell'Inferno, Vestibolo d'Inferno

dante



L'INFERNO


Proemio generale


Dante si ritrova, a metà del cammino della vita, in una selva oscura. Il poeta non si è accorto di esservi entrato, perché il suo animo era intorpidito dal peccato. L'orrore di essa rinnova il timore al solo pensarvi.


o v. 1: A 35 anni; Isaia (Bibbia, 38.10) aveva definito la vita media dell'uomo a 70 anni. La conoscenza della Bibbia, allora scritta ancora in Greco, dimostra il multilinguismo di Dante e inserisce il discorso poetico in un clima di religiosità e di solennità biblica. La nascita di Dante nel 1265 pone il momento dell'azione del poema nel 1300, quando il poeta è cosciente di aver deviato dalla retta via e si rende conto della propria condizione.



o v. 2: La selva oscura rappresenta la via peccaminosa in cui il poeta si rende conto di essere entrato ma in cui non si era accorto di entrare, poiché il suo animo era come intorpidito. La selva è un momento di traviamento da cui sarà liberato dalla considerazione delle conseguenze del peccato e, attraverso l'espiazione, la speranza dell'eterna beatitudine. Dante si pone come simbolo dell'umanità intera, mentre la selva è il simbolo della decadenza causata dalla corruzione della Chiesa e dalla precarietà dell'Impero; alla diritta via che conduce alla felicità terrena cui Dio ha diretto l'umanità, si contrappone la selva oscura, cioè la vita peccaminosa.

o v. 2 - 3: Il peccato di Dante è stato quello di aver meno interesse per il cristianesimo e di essersi indirizzato verso una scelta di filosofia naturalista.

o v. 4 - 9: in questi versi ci sono 12 verbi: 6 sono riferiti all'esperienza, 6 alla riflessione (collaborazione al 50%). Dante è protagonista narratore, protagonista attante e autore.

o v. 5: La selva è selvaggia, senza apparenze umane, oscura; è la foresta del peccato e della perdita del proprio io. Selva selvaggia è una paronomasia, figura retorica che unisce due parole di suono uguale o affine; c'è inoltre l'allitterazione della S e l'assonanza della E.

o v. 6: L'emozione del ricordo supplisce la mancanza di parole.

o v. 7: L'aggettivo amara è riferito a selva, creando una sinestesia, poiché alla selva è conferito un aggettivo appartenente ad una diversa area semantica. La vita peccaminosa è angosciosa poco meno della dannazione.

o v. 8: Il riferimento alla provvidenza, cioè del bene tra il male, fa trasparire la marcatura cristiana di tutto il poema.

o v. 10: Con la preparazione al peccato si ha la perdita della consapevolezza dell'etica.

o v. 11: Il sonno è il torpore dell'anima generato dallo stato peccaminoso.


Giunto al limite della selva, scorge un colle illuminato dal sole. Dante volge lo sguardo alla selva alle sue spalle e riprende il cammino verso l'erta del colle.


o v. 13: Il colle che porta al Paradiso si contrappone alla selva oscura; esso è illuminato dai raggi del sole, che simboleggia la Grazia illuminante; lo si identifica con la felicità terrena a cui ogni uomo tende per natura e a cui è stato diretto da Dio.

o v. 17: Il sole, considerato nel sistema tolemaico un pianeta che gira intorno alla terra, è simbolo di Dio.

o v. 20: Il lago è una metafora del cuore, in cui scorre il sangue che è dimora dell'anima.

o v. 21: Il poeta ha trascorso tutta la notte vagando per la selva. La notte è intesa come la condizione spirituale di Dante che si è allontanato dalla retta via; perciò la selva e la notte si contrappongono al colle e al sole.

o v. 22 - 24: Dante si paragona ad un naufrago poiché, uscito dalla selva, si volge indietro a guardare il luogo da cui è sfuggito.

o v. 27: Il peccato conduce alla dannazione colui che non sa liberarsene; d'altra parte, nessun vivente riesce ad evitare il peccato.

o v. 30: Il cammino di Dante, che sembra aver ritrovato la via che porta al bene, è ancora impedito e impacciato dalle passioni terrene.


Mentre il poeta inizia la sua ascesa sul colle, gli si presentano davanti tre fiere, una lonza, un leone e una lupa, che respingono il poeta ai margini della selva.


o v. 31: Si verifica un mutamento della scena, dovuto all'apparizione di qualcosa d'improvviso e di nuovo.

o v. 32: La lonza è il primo dei tre animali che simboleggiano tre impedimenti, tre disposizioni peccaminose che ostacolano la via verso la salvezza. La lonza è una specie di felino maculato e agile ma che non è ben definito; è simbolo dell'incontinenza e quindi della lussuria.

o v. 36: Paronomasia della parola volto.

o v. 37: L'inizio del viaggio avviene nell'alba dell'8 aprile 1300, durante la settimana della passione. Dante rimane nell'Inferno tre giorni, ed esce nel giorno di Pasqua; l'intero viaggio avviene tra il Giovedì Santo e la Domenica in Albis, e si svolge come cammino d'espiazione e di liberazione nei giorni della salvezza universale.

o v. 38 - 40: L'Equinozio primaverile, data dell'immaginario viaggio di Dante, era considerato momento favorevole.

o v. 41 - 43: Il poeta pensa di poter sfuggire alla belva poiché il momento era astronomicamente favorevole.

o v. 45: Il leone è simbolo della superbia.

o v. 49: La lupa è simbolo dell'avarizia e della cupidigia.

o v. 50: La lupa è descritta attraverso un ossimoro: era carca ne la sua magrezza poiché non era mai sazia di cupidigia e, per questo, è descritta come la più pericolosa delle tre fiere.

o v. 58: La cupidigia toglie al mondo la pace, perché non è frenata da un'autorità che garantisca il viver civile.

o v. 60: La selva è descritta con una sinestesia, come il luogo dove il sole tace.


Mentre retrocede verso la selva, Dante vede una figura umana, uomo od ombra che si rivela essere il poeta Virgilio, cui chiede di liberarlo dalla lupa che ostacola il cammino verso il colle. Virgilio lo esorta a percorrere un'altra strada.


o v. 61: La vista della lupa fa perdere al poeta la speranza di raggiungere la cima, poi è costretto ad indietreggiare fino a rovinare nella selva oscura.

o v. 63: Virgilio è descritto attraverso una sinestesia: appare fioco per un lungo silenzio.

o v. 65: Miserere è un verbo latino che è anche usato all'inizio di un salmo di Dante.

o v. 66: Dante s'interroga se l'apparizione che vede sia un uomo reale oppure l'anima di un defunto.

o v. 67: Virgilio simboleggia la ragione sottomessa alla fede.

o v. 70: Quando Virgilio nacque ad Andes nel 70 a.C., Cesare era ancora un privato cittadino. Il poeta è collocato nel clima di quell'Impero di cui egli è stato cantore.

o v. 73: Virgilio dimostra un certo ritegno nell'esprimersi direttamente. È un personaggio che ha poco del Virgilio storico, eccetto i dati anagrafici, poiché ha connotazione allegorica.

o v. 73 - 75: Rapida sintesi delle gesta di Enea e dell'Eneide.

o v. 79 - 80: Virgilio ha raggiunto il culmine delle conoscenze naturali e costituisce, pur essendo un poeta pagano, le basi della cultura cristiana, giacché egli è illuminato dall'ispirazione, cioè dallo Spirito Santo. La metafora descrive Virgilio come una fonte e un fiume, che sono simbolo di vita, salute e saggezza.

o v. 79 - 90: Le quattro terzine del discorso di D 737d34h ante a Virgilio corrispondono alle quattro del discorso di Virgilio.

o v. 82: La poesia di Virgilio onora e illumina gli altri poeti, essendone esempio e guida.

o v. 84: Dante si proclama discepolo di Virgilio.

o v. 85: Virgilio è riconosciuto maestro di arte retorica ed è considerato somma auctoritas.

o v. 87: Nella concezione medievale, il poeta non era solo maestro di retorica, ma anche di sapienza. Dante si mette in concorrenza con Virgilio e ne trae onore. Virgilio è un alessandrino ed ha uno stile poetico, lirico, tragico ed epico.

o v. 88 - 90: Virgilio aveva anche fama di mago poiché, attraverso la scrittura della Quarta Ecloga, i cristiani cedettero che egli avesse predetto la nascita di Cristo.

o v. 90: Attraverso la metonimia delle vene e dei polsi, Dante fa riferimento al sangue che è simbolo della vita.

o v. 91: Non la salita diretta al colle, resa impossibile dalla lupa, ma il lungo cammino attraverso i regni dell'oltretomba.

o v. 92: Dante è pregno dell'emotività umana ed ha la fenomenologia delle passioni.

o v. 94 - 96: La cupidigia impedisce a Dante l'ascesa del colle e all'umanità il raggiungimento della felicità terrena.

o v. 98: La lupa ha una bramosa voglia di fare del male.


Virgilio dichiara che l'opera della lupa continuerà finché non giungerà un veltro che libererà il mondo.


o v. 100: La violenza della lupa sostiene molti altri peccati: la cupidigia lega a sé molti uomini, e più ancora ne legherà fino alla venuta di un salvatore.

o v. 101: Nel significato letterale, il veltro è un cane da caccia, adatto a snidare la lupa e a cacciarla da ogni luogo; nel significato simbolico, è inteso come il salvatore che sconfiggerà i peccati rappresentati dalla lupa.

o v. 103 - 104: I domini terreni sono rappresentati dalla terra e le ricchezze dal peltro; il cibo spirituale è designato con gli attributi della Trinità divina.

o v. 104: Sapienza, amore e virtute sono i doni spirituali.

o v. 105: I panni di feltro erano usati per far asciugare i fogli di pergamena.

o v. 107 - 108: Sono ricordati alcuni personaggi dell'Eneide, grazie alla cui morte si è potuta formare l'Italia.

o v. 110: Lucifero ha lasciato uscire la cupidigia dall'inferno per corrompere il mondo: il veltro liberatore la ricaccerà da dove è venuta.


Virgilio spiega a Dante che l'unica via di salvezza sarà il viaggio attraverso l'Inferno e il Purgatorio, offrendosi di accompagnarlo. Per il viaggio in Paradiso, lo affiderà ad una presenza più degna di lui, Beatrice, essendo egli stesso pagano.


o v. 116: Tra i dannati ci sono anche quelli che si trovano nell'Inferno da tempi remoti, sia reali, sia leggendari.

o v. 117: La seconda morte è la morte eterna.

o v. 118 - 120: Le anime del Purgatorio accettano con gioia le pene, perché sanno di poter raggiungere, compiuta la purificazione, la beatitudine del Paradiso. Nel Purgatorio dantesco il foco punisce solo le anime dei lussuriosi.

o v. 122 - 123: Beatrice, dopo l'Inferno e il Purgatorio, si sostituisce a Virgilio nel Paradiso terrestre, poiché, per raggiungere le verità celesti, non basta la guida della ragione, sia pure mossa dalla Grazia, ma occorre la scienza divina.

o v. 124 - 126: Dio non permette l'ingresso di Virgilio nel Paradiso, perché egli nacque e visse pagano, e non ebbe la possibilità di credere nella venuta di Cristo.

o v. 127: Analogia tra l'imperatore che sulla terra impera su tutto il mondo, ma che regna solo il proprio regno, e Dio che impera sull'universo intero e regna sul regno dei cieli.

o v. 129: Virgilio esprime la sua malinconia e il suo rammarico poiché sa di essere escluso per sempre dal regno della beatitudine.


Proemio dell'Inferno


Mentre l'oscurità porta riposo a tutti gli esseri viventi, Dante si accinge a compiere l'impresa di scendere negli Inferi. Perciò egli invoca le Muse e l'aiuto del suo ingegno, così che la sua memoria potrà dar prova della propria capacità.


o v. 1 - 3: Dante riprende dei versi di Virgilio con l'intento morale di dar inizio al viaggio nell'Inferno con una notazione temporale adatta ed esprimendo un contrasto tra la natura e il suo animo.

o v. 3 - 4: Dante si pone in antitesi con la calma della notte.

o v. 7: Con l'invocazione generica alle muse e alla sua capacità di ricordare e di poetare, Dante prende coscienza della propria missione.

o v. 9: Dante diventa pellegrino e protagonista del viaggio.


Dante prende coscienza della propria missione e ne ha paura; tenta di tornare indietro, pensando che il suo viaggio sia di superbia e ne cerca un motivo, cercando di paragonare la sua situazione con quella di Enea e di San Paolo, viaggiatori dell'Aldilà.


o v. 10 - 12: Dante chiede a Virgilio di giudicare se egli è adatto alla missione.

o v. 12: La perplessità di Dante è la necessaria premessa per indicare l'eccezionale grazia che è concessa al poeta di compiere un viaggio che potrebbe apparire presunzione intraprendere.

o v. 13: Enea è padre di Silvio, natogli da Lavinia; il suo viaggio nell'oltretomba è narrato da Virgilio nel VI canto dell'Eneide.

o v. 14 - 15: L'immortale secolo rappresenta il mondo dell'eterno.

o v. 17: Da Enea doveva discendere l'Impero di Roma.

o v. 18: Chi è riferito a Roma, quale all'Impero; sono due dittologie.

o v. 21: Duplice funzione di Roma: sede dell'Impero e sede della cristianità.

o v. 23: Solo Roma è stabilita ab aeterno come sede del pontefice.

o v. 27: La vittoria sugli avversari e, in futuro, Roma, l'Impero e la dignità papale.

o v. 28: Vas è San Paolo come è definito negli Atti degli Apostoli.

o v. 29 - 30: Per trarne argomento e stimolo alla predicazione di quella fede senza di cui è impossibile la salvezza.

o v. 32 - 33: La conclusione del ragionamento è scandita attraverso la ripetizione del pronome e della negazione, accompagnata dal nome dei due personaggi cui Dio era stato cortese e seguita dall'atto di umiltà.

o v. 35: I folli sono coloro che hanno sfidato Dio tentando di superarne i limiti.

o v. 37 - 39: La similitudine indica l'esaltazione psicologica del poeta, che concretizza nell'immagine l'interno moto dell'anima.

o v. 41 - 42: Pensando agli esempi dei due unici mortali andati nell'Aldilà da vivi e commisurando le proprie forze, Dante sente la difficoltà di questo viaggio eccezionale.


Alle parole di Dante, Virgilio risponde rimproverandolo per questa viltà, che allontana l'uomo dall'operare il bene. Per togliergli ogni dubbio, gli narra come si sia presentata a lui una donna che lo invitava ad accorrere in aiuto di Dante, dichiarando di essere Beatrice.


o v. 44: Il termine magnanimo è contrapposto a viltade del v. 45.

o v. 45: La viltade era opposta all'etica feudale.

o v. 46: Agire per trarre onore dall'impresa.

o v. 47: Onrata è forma sincopata e provenzalismo.

o v. 48: E' ripreso il mito della caverna di Platone.

o v. 52: La condizione delle anime nel Limbo è indicata come sospesa sul discrimine di un desiderio che si nutre della certezza della sua inutilità.

o v. 54: L'obbedienza di Virgilio si offre spontanea, perché i particolari della bellezza di Beatrice ne hanno dichiarato la beatitudine.

o v. 55 - 57: E' descritta la donna stilnovistica.

o v. 58 - 60: Beatrice introduce il suo discorso con la captatio benevolentiae, una norma retorica usata per accattivarsi la benevolenza dell'uditore.

o v. 61: E' ripreso il tema dell'amore disinteressato ricco di riferimenti stilnovistici che si trova nella Vita Nuova e che culmina nel capitolo della lauda.

o v. 64 - 65: Il timore e il dubbio sembrano essere incongruenti con la condizione di beatitudine di Beatrice, ma non lo è sul piano poetico, in quanto lei è stata spinta a ciò da "amore", diventando insieme donna e beata.

o v. 67: la parola ornata è propria dei poeti, la cui abilità è medievalmente fondata sull'arte retorica.

o v. 70: Beatrice è la fanciulla fiorentina, figlia di Folco Portinari, amata dal poeta fin dalla puerizia; sposa a Simone de'Bardi nel 1286, morì giovanissima nel giugno del 1290. Il poeta scrisse per lei molti componimenti raccolti nella Vita Nuova, dedicata al Cavalcanti, in cui inquadrò le liriche con prose che ne narravano l'origine.

o v. 74: Amor è un termine ambiguo poiché indica non solo il sentimento stilnovistico della donna per il suo fedele, ma anche l'amore inteso come "virtù di carità".


Virgilio chiede a Beatrice come non tema di scendere nell'Inferno, ella spiega che è scesa su invito di Santa Lucia e della Madonna, mosse a compassione della misera condizione di Dante. Dichiaratosi disposto a esaudire le sue preghiere, invita Dante a riprendere coraggio, poiché tre donne benedette lo proteggono dal cielo.


o v. 76 - 78: La virtù innalza gli uomini su tutto ciò che esiste sulla terra.

o v. 83: L'Inferno è al centro della Terra, la quale, a sua volta, è al centro dell'universo.

o v. 88 - 90: E' una sentenza aristotelica, che Dante leggeva nel commento di San Tommaso, posta in bocca a Beatrice come esordio del suo discorso.

o v. 92: La miseria ha il senso di infelicità ed è riferita alla condizione dei dannati.

o v. 94 - 96: La Vergine è presentata con il suo attributo di misericordiosa, che si duole della condizione del poeta e che spezza il duro giudizio divino.

o v. 97: Santa Lucia è la martire siracusano del IV secolo d.C., protettrice della vista, in cui si è visto il simbolo della Grazia Illuminante.

o v. 102: Rachele, moglie di Giacobbe, è simbolo della vita contemplativa, mentre sua sorella Lia era simbolo di quella attiva.

o v. 103: Beatrice, perfetta come è stata creata da Dio, è creatura che testimonia la grandezza di Lui, e induce a lodarlo; la ripresa del tema della lauda è verificata dall'eco di Cino da Pistoia.

o v. 116: Nell'atmosfera stilnovistica il particolare delle lacrime è un tocco umano finissimo.


Dante si rinfranca alle parole di Virgilio, e rivolge un ringraziamento a Beatrice per la sua bontà e a Virgilio per l'ubbidienza a lei. I due poeti riprendono il cammino.


o v. 127 - 129: Similitudine nel gusto stilnovistico di cui è impregnato tutto il canto.

o v. 131: Il buono ardire è in contrasto con la virtute stanca: è la ripresa di chi si è affrancato dalla paura.


Vestibolo d'Inferno


I due poeti sono davanti alla porta dell'Inferno, su cui Dante legge una terribile iscrizione che ammonisce chi entra a lasciare ogni speranza. Virgilio rinfranca Dante esortandolo a lasciare ogni dubbio ed ogni viltà e lo introduce nel regno dei morti.


Entrato nell'Inferno, Dante è colpito da sospiri, pianti e lamenti e viene a sapere che sono le anime dei pusillanimi, respinte dallo stesso Inferno per la loro vita senza scopo. Ci sono anche le anime degli angeli neutrali, che attesero l'esito della lotta tra Dio e Lucifero: i cieli li cacciano, l'Inferno li respinge. Osserva la loro pena: sono costretti a correre eternamente dietro un'insegna, punti da vespe e mosconi.


Dante vede sulla riva di un fiume una folla di anime che appaiono desiderose di passare all'altra riva; appare sul fiume una barca condotta da un vecchio nocchiero, che rivolge alle anime minacce terribili ma poi, voltosi a Dante, gli ordina di tornare indietro perché lì non potrà passare. È il demonio Caronte, cui Virgilio spiega che il viaggio di Dante è voluto da Dio.


Virgilio spiega a Dante che attraverso l'Acheronte non può passare anima non dannata; un bagliore improvviso squarcia le tenebre, preceduto da un terremoto, per cui Dante perde i sensi.


Cerchio I


Un gran tuono risveglia Dante che si accorge di essere al di là dell'Acheronte, sull'orlo della voragine infernale; non riesce a scorgere nulla, tanto l'abisso è oscuro e profondo.


Virgilio invita Dante a proseguire, ma questi, accortosi del pallore del Maestro, esita preoccupato; confortato da Virgilio, che dichiara che il suo pallore è segno di pietà, entra con lui nel I Cerchio dell'Inferno, il Limbo. Qui, i sospiri colpiscono il poeta, espressione di un dolore senza pene materiali; Virgilio spiega che queste anime non hanno peccato, ma, essendo morte prima del Cristianesimo o senza battesimo, sono qui in eterno senza pene e senza speranza.


Dante chiede se dal Limbo sia mai uscito qualcuno ma, conoscendo la dottrina della Chiesa che insegna che Cristo sia venuto a liberare le anime degli Ebrei credenti, rivolge questa domanda per aver conferma della propria fede.


I poeti proseguono il loro cammino e vedono una luce, che illumina una parte del Limbo: Virgilio spiega che là stanno coloro che hanno lasciato fama onorevole sulla terra e sono in un luogo che li distingue dagli altri. Una voce annuncia l'arrivo di Virgilio e lo saluta, mentre quattro ombre si avvicinano: sono Omero, Orazio, Ovidio e Lucano.


I poeti giungono ai piedi di un castello cerchiato da sette mura e da un fossato; entrano per sette porte e giungono ad un prato verdeggiante.


A Dante sono mostrati gli "spiriti magni" che popolano il castello: gli eroi che operarono per l'Impero di Roma, i filosofi e gli scienziati.


Cerchio II


I due poeti, nel secondo cerchio, incontrano Minos, il giudice infernale che ringhia e giudica i dannati, attorcigliando la coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per giungere al luogo della loro eterna punizione. Virgilio lo ammonisce a non ostacolare un viaggio voluto dal cielo.


o v. 2 - 3: Il secondo cerchio è più piccolo del primo, ma le pene sono più tormentose e spingono i dannati ai lamenti.

o v. 4: Secondo la mitologia classica, Minosse fu re di Creta, figlio di Giove e di Europa, famoso per la sua severità e giustizia; per questo, già in Omero fu ritenuto giudice delle Anime dell'Ade, insieme ad Eaco e a Radamanto. Dante trasse la figura di Minos da Virgilio, ma ne fece un demonio infernale. Gli attributi demoniaci stanno nella sua orribilità, nella coda spropositata e nel ringhiare. Minos sta all'entrata del II Cerchio, perché nel I, il Limbo, le anime non hanno peccati da confessare e restano escluse dalla sua giurisdizione.

o v. 5: Minos sta nel luogo d'ingresso, ma in questo entrano solo le anime che vanno al giudizio.

o v. 6: Minos indica con gli avvolgimenti della coda il numero dei cerchi che l'anima dovrà percorrere per giungere al luogo a lei destinato.

o v. 11 - 12: La figura del giudice infernale è avvolta da un che di grottesco, poiché è grottesco il modo di esprimere il giudizio che si adatta alla rappresentazione animalesca del mitico personaggio.

o v. 16 - 20: L'interruzione del giudizio è determinata dalla presenza eccezionale di un vivo nel regno dei morti e giustificata dalla necessità di mettere in guardia il pellegrino contro la pericolosa impresa cui si accinge. Le parole di Minos hanno una loro solennità, che contrasta con il grottesco che circonda la figura del demonio giudicante e differenziano questo da altri mostri o personaggi demoniaci, in cui gesti e parole si caratterizzano con un tono più bestiale.

o v. 23 - 24: Sono le stesse parole che Virgilio rivolse a Caronte e che rivolgerà a Pluto, e producono l'effetto di far tacere il guardiano infernale; poi si passa alla rappresentazione del luogo infernale e la figura di Minos scompare.


Dante è colpito dalle grida dei dannati e dal fragore di una bufera che travolge le anime, percotendole; il poeta paragona agli stornelli il volo tumultuoso e la schiera dei lussuriosi, che non hanno saputo far prevalere la ragione sul loro istinto. Attrae la sua attenzione una schiera di anime che volano in fila, e ne chiede la ragione a Virgilio.


o v. 31: Per la legge del contrappasso, cioè la corrispondenza per analogia o per contrasto tra la pena e il peccato commesso, i lussuriosi, che erano stati travolti dalla furia dei sensi, sono travolti eternamente dalla bufera infernale.

o v. 37: Il poeta, dal modo della pena, comprese da sé il genere del peccato.

o v. 39: Dante definisce la lussuria come propria delle persone che sottomettono la ragione alla passione, al pari di qualsiasi forma di incontinenza.

o v. 40 - 43: Come le ali portano gli stornelli a larga schiera, così quel vento trascina i dannati in ogni direzione.

o v. 45: Queste anime non hanno nessuna speranza, né di pausa, né di diminuzione della pena.

o v. 46 - 49 la seconda similitudine tratta dal volo degli uccelli; la prima indicava il disordinato turbinare degli spiriti nella folta schiera, questa si tratterebbe di un certo numero di anime, che hanno perso la vita, suicide o uccise da altri, per causa d'amore. Tra la schiera turbinosamente agitata dal vento dei lussuriosi, Dante scorge una fila di anime che volano in fila, in modo diverso dalle altre.

o v. 46: Lai indica il canto lamentoso degli uccelli.


Virgilio nomina alcune delle anime che sono trascinate dalla bufera in fila una dietro l'altra: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano. Il poeta è assalito da un senso di profonda pietà e resta "quasi smarrito".


o v. 54: Semiramide, leggendaria regina degli Assiri, fu considerata nel Medioevo un esempio di corruzione e di sfrenata lussuria.

o v. 57: La regina legittimava la sua condotta disonesta concedendo legalmente la più ampia libertà ai suoi sudditi.

o v. 60: Il Soldano è il sultano di Babilonia in Egitto, e può darsi che Dante abbia confuso questa Babilonia egiziana con quella mesopotamica, capitale del regno assiro; oppure il poeta si riferiva all'intero Egitto, che fonti antiche ritenevano una delle conquiste di Nino, marito di Semiramide.

o v. 61 - 62: Didone, regina e fondatrice di Cartagine, venne meno alla memoria del suo primo marito, Sicheo, innamorandosi e sposando Enea; dopo l'abbandono di Enea, Didone si tolse la vita.

o v. 63: Cleopatra, regina d'Egitto, vissuta tra il 69 e il 30 a.C., si uccise dopo la battaglia di Azio per non cadere nelle mani di Ottaviano vincitore e divenire ornamento del suo trionfo. Fu amante di Cesare e di Antonio ed è posta come esempio di lussuria, diversamente da Didone, che fu suicida per amore.

o v. 64 - 65: Elena, moglie di Menelao, regina di Sparta, fu rapita da Paride e portata a Troia; nacque così la terribile guerra che durò 10 anni.

o v. 65: Secondo una tradizione diffusa nel Medioevo dai romanzi che si ispiravano al ciclo troiano, Achille, innamoratosi di Polissena, figlia di Priamo, fu attirato in un tranello e ucciso.

o v. 67: Paride, figlio di Priamo, il rapitore di Elena, morto per mano di Filottete. Tristano, famoso personaggio del ciclo arturiano, innamoratosi di Isotta, fu ucciso dallo zio, re Marco di Cornovaglia.

o v. 71: Mentre le donne appartengono tutte al mito e alla leggenda o alla storia del mondo classico, gli eroi, detti cavalieri, appartengono in parte a quello stesso mondo, in parte a quello dei romanzi medievali. Gli antichi eroi erano rappresentati come i cavalieri dei romanzi d'avventure.

o v. 72: Pietà è la parola - chiave per l'interpretazione dell'episodio e del personaggio di Francesca.


L'attenzione di Dante è attirata da due anime, che si distinguono dalle altre perché volano unite l'una all'altra e chiede a Virgilio di parlare con loro. Sono le ombre di Paolo Malatesta e di Francesca da Polenta, cognati, che innamoratisi vicendevolmente, furono sorpresi dal marito di lei e fratello di lui, e trucidati. Francesca, commossa per il senso di pietà che Dante dimostra nel chiamarla, rievoca la sua terra e condensa la sua tragica vicenda nell'immagine di Amore, che li ha presi e condotti alla morte. Francesca narra la sua vicenda, mentre Paolo singhiozza. Dante, vinto dall'emozione e dalla pietà, perde i sensi e cade a terra.


o v. 74 una delle poche coppie infernali: si tratta di Francesca da Polenta, figlia di Guido il Vecchio, signore di Ravenna, e di Paolo Malatesta, suo cognato. Francesca aveva sposato Gianciotto Malatesta, figlio di Malatesta da Verrucchio, signore di Rimini, con un matrimonio stipulato per ragioni politiche: sanciva la pace tra le famiglie dei da Polenta e dei Malatesta, ristabilite dopo lunghe lotte tra Ravenna e Rimini. Innamoratasi del cognato Paolo, fu sorpresa dal marito e trucidata con l'amante, verso il 1285.

o v. 75: In questo volo leggero dei due amanti ci si può vedere un alleviamento della pena dovuta alla simpatia del poeta per la coppia adultera, oppure un aggravamento della pena, un contrappasso più grave, sostenuto da argomenti teologici.

o v. 78: Amore è la forza che trascina i due amanti e spiega la leggerezza del volo.

o v. 85: La schiera ov'è Didone è quella formata dalle anime che volano.

o v. 87: Francesca ha sentito nell'invito di Dante non una morbosa curiosità, ma una partecipazione commossa e riguardosa verso di lei e verso la sua condizione. Il suo dire si aprirà con un'espressione di gratitudine spinta fino all'assurdo di una preghiera a Dio.

o v. 90 È una schiera di anime uccise o suicide per amore, che sparsero il proprio sangue.

o v. 91 - 93: Dio non può ascoltare la preghiera di un dannato ed è logicamente assurdo che un dannato pensi a pregare.

o v. 91: Il re dell'universo è Dio; è una perifrasi naturale, rispettosa e umile, per chi, dannato, non può proferirne il nome.

o v. 97 - 99: Nel presentare se stessa, Francesca accenna con nostalgia alla terra natale, che la vide giovinetta e innocente. Le parole di Francesca assumono un tono lirico, che si conclude con l'immagine del fiume che trova pace nel mare in cui sfocia.

o v. 97: Ravenna, ai tempi di Dante, era molto più vicina al mare.

o v. 99: La parola pace suona malinconica nella bocca di Francesca, che la pace ha perduto per sempre.

o v. 100 - 107: La presentazione che Francesca fa di sé, di Paolo, dell'amore suo e di quello ricambiato, della loro morte, tende ad allontanare la propria responsabilità individuale e ad attribuirla ad una forza imperiosa, Amore, attraverso gli schemi della casistica amorosa. La giustificazione di Francesca scandisce in tre tempi la sua storia d'amore, ognuno dei quali occupa una terzina. Le tre terzine sono costruite con sapiente retorica ed hanno la stessa struttura sintattica: l'amore di Paolo nasce dalla bellezza di Francesca, come il contraccambiato amore di lei nasce dalla bellezza di Paolo. Violento questo amore, la cui intensità soggioga e vince la donna, così come non l'abbandona ancora. La morte è la tragica conseguenza di questo amore.

o v. 104: Il concetto che la bellezza sia generatrice di amore appartiene ai canoni dell'amor cortese.

o v. 105: Francesca rivela che l'irresistibile forza di Amore l'ha costretta a contraccambiare l'amore di Paolo, giustificandosi con la massima che Amore non tollera chi non riami se si è amati, allo stesso modo come aveva giustificato Paolo con il concetto stilnovistico dell'identità tra amore e cuor gentile. La forza di questo amore è tale che ha superato la barriera della morte e continua nell'Aldilà, con la stessa intensità e con lo stesso ardore, perché i due amanti sono uniti e lo saranno per tutta l'eternità.

o v. 107: Caina è il nome del primo girone dell'ultimo cerchio dell'Inferno, che ospita i traditori dei parenti.

o v. 110: Il sentimento del poeta, dopo le parole di Francesca, si manifesta in questo improvviso silenzio, sottolineato dall'atteggiamento meditativo. Le parole di Francesca hanno ribadito le leggi dell'amor cortese, cui Dante, nella poesia amorosa, aveva aderito. Il sentimento appare ai suoi occhi come peccato e causa di condanna eterna. Il ripensamento della teoria stilnovistica, la contrapposizione tra amore - virtù e amore - passione, è la nuova scoperta del poeta, che può determinare il recupero dello stilnovo.

o v. 114: Al doloroso passo significa alla morte.

o v. 117: La captatio benevolentiae si armonizza e si intona con tutta l'atmosfera cortese dell'episodio. Dante esprime compassione e partecipazione sofferta nei confronti dei due amanti.

o v. 118: In quella fase iniziale dell'amore, quando non si osa manifestare apertamente il proprio sentimento. È necessità di approfondire il problema, di come un amore ritenuto da tutti nobile possa divenire colpevole, che spinge il poeta a domandare.

o v. 119: Dante nella sua richiesta considera Amore come il personaggio responsabile, come aveva fatto Francesca per giustificarsi.

o v. 120: Si tratta di penetrare nel segreto dell'anima, in quel momento del sentimento amoroso in cui i segreti sospiri si manifestano come passione.

o v. 123: Virgilio è accomunato a queste anime.

o v. 125: Dante esprime, attraverso l'affetto, il desiderio di conoscere.

o v. 127: La letteratura è presa come un modello di comportamento nella vita reale.

o v. 127 - 138: Il racconto di Francesca ci porta nell'ambiente di un castello medievale, nel clima raffinato e colto di una corte, ove le formule e i precetti dell'amore erano intonati al signorile modo di vivere. I casi di Lancillotto del Lago e della regina Ginevra avevano molte affinità con il sentimento dei due cognati. La lettura li spinge a sguardi furtivi, in cui l'uno legge nel pallore dell'altro il suo stesso sentimento. Nella scena del bacio di Lancillotto, la passione divampa irresistibile e l'ardore dei due amanti diviene fiamma peccaminosa. Il racconto di Francesca, cui si accompagna il pianto di Paolo, diventa dramma nel cuore di Dante.

o v. 128: Lancillotto del Lago, cavaliere della Tavola Rotonda, era il protagonista di un romanzo francese, in cui si narrava del suo segreto amore per la regina Ginevra, moglie del re Artù. Il passo che i due leggono è quello ove si racconta l'episodio che si conclude con il bacio dei due amanti.

o v. 132: Nel racconto di Francesca tutto converge su quell'attimo di smarrimento che segnerà l'inizio di una passione peccaminosa.

o v. 133: Baciando il sorriso di Ginevra, Lancillotto commette un'azione spirituale, mentre Paolo, baciando la bocca di Francesca, commette un'azione carnale.

o v. 133 - 136: Da sentimento che eleva e innalza lo spirito, a passione che porta al peccato e alla perdizione. È il momento in cui il talento sopraffa la ragione.

o v. 134: Nel romanzo di Lancillotto è la regina che bacia il cavaliere, ma ciò era dovuto al rituale dell'omaggio amoroso, ricalcato su quello dell'investitura feudale. La donna era colei che compiva il rito dell'investitura amorosa, analogo a quella cavalleresca. Il bacio era un pegno che la dama dava del loro amore; l'amante chiedeva di essere accolto a servire la donna e di ottenerne in cambio l'amore. Di Lancillotto e Ginevra è mallevadore Galehaut.

o v. 137: Galehaut, siniscalco della regina, nel romanzo di Lancillotto, spinge questa a baciare il cavaliere; è il mallevadore dell'investitura amorosa dei due amanti. Il libro che la coppia di Rimini leggeva ha compiuto tra i due l'ufficio del principe Galeotto: li spinge non all'amore, ma alla reciproca presa di coscienza di esso.

o v. 138: Francesca interrompe il suo racconto stendendo un velo pudico sul proprio peccato.

o v. 139 - 140: Paolo resta nell'ombra, ma il suo pianto ha accompagnato il racconto di Francesca, dando un tocco umano a tutto l'episodio.

o v. 142: La pietà ha raggiunto il suo acme: è venuta crescendo gradualmente fino a sopraffare il cuore del poeta e provocandone lo svenimento. Caddi e cade sono un poliptoto.


Cerchio III


Il poeta si trova nel III cerchio, ove una pioggia continua flagella in eterno i peccatori e forma una puzzolente fanghiglia, in cui essi stanno sdraiati. Cerbero latra con le tre gole canine, graffia e scuoia gli spiriti che urlano come cani. Virgilio prende il fango puzzolente e lo getta a Cerbero, che lo riceve nelle gole avide.


o v. 1 - 3: La terzina riallaccia il canto al precedente, dando inizio alla narrazione di ciò che avvenne dopo che il poeta riprese i sensi.

o v. 3: Trestizia è un dolore prodotto da forte commozione.

o v. 4 - 6: Il passaggio dal II a III cerchio non è indicato: alla ripresa dei sensi, Dante si trova già nel cerchio successivo.

o v. 5 - 6: Anafora di come.

o v. 7 - 9: La pena è una pioggia continua e insistente, che trasforma il terreno in un pantano puzzolente, in cui stanno sdraiati e si rivoltano i golosi. Il contrappasso potrebbe essere tra l'animalità del peccato, in cui prevale il senso materiale dell'ingordigia di cibo e di bevanda, e l'aspetto animalesco dei dannati: come immondi animali si voltano nel fango puzzolente, urlano come cani e sono vittime di ferite e graffiature di Cerbero, il custode del cerchio.

o v. 8: Per descrivere la pioggia è utilizzata la tecnica dell'accumulo: gli aggettivi sono accostati per asindeto e con una sola copulativa.

o v. 9: La pioggia cade sempre uguale, con la stessa insistenza e intensità.

o v. 10: Grandine, acqua sporca e neve sono le caratteristiche di questa eterna pioggia infernale.

o v. 13: Cerbero è un mostro infernale dell'antica mitologia pagana. Figlio di Tifone ed Echidna, era immaginato come un cane a tre teste coperte di serpi e con una coda di serpente. Virgilio e Ovidio lo collocano a guardia dell'Averno, Dante lo pone come custode del III cerchio e ne fa il simbolo dell'ingordigia, dandogli attributi umani e bestiali. Cerbero è un demonio in cui confluiscono due simboli: quello dell'ingordigia e voracità, e quello dell'odio e della discordia intestina. In questo canto, il personaggio di Ciacco esporrà a Dante le discordie interne di Firenze.

o v. 14: Cerbero ha tre gole che latrano orribilmente.

o v. 19: L'abbrutimento e l'avvilimento di questi dannati, macchiati di un peccato che riduce l'uomo in bestia, è offerto dal paragone animalesco, e anticipati dalla figura di Cerbero. Le anime distese si rigirano come i profanatori cercano la via per entrare nelle Chiese di nascosto e rubare.

o v. 20: I dannati cercano di mitigare il continuo tormento della pioggia che li flagella.

o v. 22: Il gran vermo è colui che corrompe e fa imputridire ed è un aggettivo che sarà poi riferito a Lucifero. Cerbero è il principio del male ed è l'antitesi della Trinità.

o v. 25: Duca sta per accompagnatore. Virgilio è una figura impleta, cioè un personaggio storicamente esistito che rappresenta la virtù che ha esercitato in vita.

o v. 25 - 27: Virgilio getta nelle gole dell'avido mostro una manciata di fetida terra fangosa, sottolineando la distanza che separa l'umano dal bestiale, la ragione dall'animalità bruta.

o v. 28 - 30: Il paragone del cane che si getta famelico sul cibo conclude la raffigurazione di Cerbero, i cui particolari animaleschi sono arricchiti in un crescendo di realistiche espressioni.


Una delle ombre distese al suolo si leva a sedere al passaggio di Dante, rivelandosi essere l'ombra del fiorentino Ciacco, che si trova qui per il peccato di ingordigia.


o v. 36: Le ombre hanno solo la parvenza di corpi e sono inconsistenti.

o v. 38 - 39: L'ombra che si leva a sedere improvvisamente è quella del fiorentino Ciacco.

o v. 49 - 50: L'accenno di Ciacco all'invidia di cui è piena Firenze prepara il tema etico - politico del colloquio successivo. Comincia la parte centrale del canto in cui compare il tema di Firenze. L'invidia va intesa nel senso di quella ostilità che fu causa delle lotte civili per gli uffici pubblici, principio della rovina della città.

o v. 51: La vita terrena, per i dannati, appare serena, contrapposta alle pene eterne dell'Inferno.

o v. 52: Ciacco è protagonista di una delle novelle di Boccaccio.

o v. 57: Tutta la parlata sui mali di Firenze è stimolata da Dante, non nata spontaneamente da Ciacco, che non è più interessato delle vicende politiche della sua città.


Ciacco profetizza gli avvenimenti della città dopo il 1300: il sanguinoso scontro tra le due fazioni, il prevalere momentaneo della parte Bianca e la caduta di questa ad opera di Bonifacio VIII, e l'oppressione della parte Nera. Aggiunge che due sono i "giusti" inascoltati e che le tre "faville" che hanno incendiato i cuori sono l'invidia, la superbia e l'avarizia.


o v. 60: Dante immagina che le anime dannate possano conoscere il futuro.

o v. 61: Firenze era divisa in opposte fazioni.

o v. 64 - 75: Ciacco risponde seguendo l'ordine delle tre domande formulate da Dante.

o v. 65: Allusione alla zuffa tra Cerchieschi e Donateschi, avvenuta il giorno di calendimaggio del 1300. La parte selvaggia era la parte Bianca, cui erano a capo i Cerchi.

o v. 66: La cacciata dei capi di parte Nera avvenne dopo la scoperta della congiura di S. Trinita, dopo una serie di avvenimenti che seguirono la zuffa di calendimaggio.

o v. 68: L'azione del poema è immaginata nella primavera del 1300 e tutti gli avvenimenti ricordati appaiono sotto forma di profezia.

o v. 69: Primo accenno al grande nemico, Bonifacio VIII, con allusione al suo contegno ambiguo nei confronti delle due parti.

o v. 72: La parte Bianca continuerà ad essere sottoposta alla parte Nera per quanto si lamenti e si sdegni.

o v. 74 - 75: La risposta alla terza domanda di Dante indica in questi tre peccati le cause della rovina di Firenze. Il severo giudizio di Dante è l'effetto dell'esperienza che il poeta fece della vita politica della sua città, in cui egli vide le smodate ambizioni di dominio, le invidie e le rivalità pericolose delle parti, l'insaziabile cupidigia di ricchezza e di potenza.


Dante chiede dove si trovano, se in Inferno o in Paradiso, le anime di quei Fiorentini che bene meritarono della loro patria; Cicco risponde che essi sono tra i peccatori più gravi. Dopo aver pregato il poeta di ricordarlo sulla terra, Ciacco pone fine al suo parlare e ricade sdraiato.


o v. 76: Parole che spingevano alle lacrime perché contenevano la profezia delle sventure di Firenze.

o v. 79 - 84: Il giudizio che Dante a pronunciato, per bocca di Ciacco, su Firenze, lo porta a rifugiarsi col pensiero in un passato di civiche virtù. Il ricordo dei personaggi della passata generazione è coscienza di una vita politica attivamente vissuta per il bene di Firenze. Le benemerenze di questi personaggi sono intese in senso strettamente civile, non in senso morale: Dante desidera sapere se costoro siano dannati o beati, distinguendo l'azione politico - civile dalle responsabilità etico - religiose.

o v. 81: Il giudizio ha valore politico - civile. Si tratta di personaggi benemeriti della patria e a loro andava il pensiero del poeta, con la nostalgia di chi aveva sentito la profezia sulle sventure della sua città.

o v. 82: Il poeta sa che la virtù politica non può essere sempre anche virtù morale e non è certo del destino di questi Fiorentini.

o v. 88 - 89: Il desiderio di essere ricordato nel dolce mondo è caratterizzazione positiva del personaggio e desiderio di rinnovarne il ricordo.

o v. 91 - 93: Ciacco, che passa da una temporanea fase di umanità ad un progressivo stato di pura animalità, dapprima torce gli occhi, poi fissa Dante con uno sguardo inebetito, in cui si spegne ogni traccia di umanità, poi cade a capo all'ingiù nel fango.


Virgilio dice che Ciacco non si desterà fino al giorno del Giudizio Universale, quando tutti i dannati riprenderanno il loro corpo e udranno la sentenza definitiva. Dante chiede se dopo il Giudizio i dannati soffriranno più o meno o egualmente, e Virgilio rinvia Dante alla scienza aristotelica, secondo cui l'unione dell'anima con il corpo determina una maggior perfezione, quindi una maggiore sensibilità al piacere e al dolore. I due poeti giungono al cospetto del demonio Pluto.


o v. 96: Il nemico dei dannati è Cristo giudicante.

o v. 99: Tutti i versi del discorso di Virgilio hanno potenza e vigore biblico, per l'eco cupo delle rime e il martellare dei futuri, che hanno il carattere di una scienza definitiva.

o v. 106: La tua scienza è la dottrina aristotelica, ripresa poi dalla filosofia scolastica.

o v. 107: Secondo la dottrina aristotelica, la perfezione si raggiungerebbe con l'unione del corpo e dell'anima.

o v. 110: I dannati non possono raggiungere la vera perfezione, che è propria solo dei beati.

o v. 115: Pluto è il dio della ricchezza, figlio di Iasione e Demetra, secondo la mitologia greca, trasformato qui in demonio che sta a guardia del IV cerchio, ove sono puniti gli avari e i prodighi. Potrebbe essere anche Plutone, re dell'Averno, figlio di Saturno e fratello di Giove.


Cerchio IV e Cerchio V


Pluto, scorgendo i due poeti, esce in una frase minacciosa e oscura, ma Virgilio gli rammenta, con parole simili a quelle usate per Caronte e Minos, il volere divino che muove i loro passi; Pluto, fiaccato, cade a terra.


I poeti scendono nel IV cerchio, dove sono puniti gli avari e i prodighi che avanzano in due schiere opposte, spostando enormi macigni, fino ad incontrarsi. Virgilio afferma che tutto l'oro della terra non basterebbe a far posare una sola di queste anime dal suo eterno girare.


Dante chiede cosa sia la Fortuna; Virgilio risponde che come Dio ha affidato alle gerarchie angeliche il moto dei cieli, così ha ordinato un'altra intelligenza celeste che presiedesse al continuo mutare dei beni degli uomini. Essa regge il corso dei beni mondani e gode della sua beatitudine come le altre intelligenze celesti.


I due poeti attraversano il cerchio e giungono ad un ruscello che scorre fino alla palude Stigma, ove ci sono altri peccatori, immersi nel pantano, che si percuotono l'un l'altro. Sono gli iracondi e, sotto alla superficie, ve ne sono altri, che covarono la rabbia dentro di sé. I due poeti giungono ai piedi di una torre.


Cerchio V


Dante narra che aveva notato dei segnali luminosi tra una torre e l'altra; Virgilio l'aveva invitato a guardare sulle onde della palude: velocissima come una saetta, appare una barca guidata da un nocchiero, Flegias, costretto a prendere sulla barca i due pellegrini.


Si fa innanzi un peccatore che chiede a Dante chi egli sia; Dante riconosce in lui il fiorentino Filippo Argenti, che cerca di capovolgere la barca e viene respinto da Virgilio. Tutte le anime si scagliano contro il dannato, che sfoga la sua ira mordendo se stesso.


Virgilio dichiara che è prossima la città di Dite, dal colore rosso dovuto al fuoco eterno che l'arroventa. Giungono davanti all'entrata e Flegias invita i poeti ad uscire dalla barca.


Una moltitudine di diavoli cerca di impedire l'ingresso ai due poeti; Virgilio tenta invano di persuaderli a desistere dal loro atteggiamento, Dante propone di tornare indietro. Virgilio si avvia a parlamentare con i diavoli, che entrano nella città e gli chiudono la porta in faccia.


Alla porta di Dite


Il pallore di Dante spinge Virgilio a nascondere la sua preoccupazione. Dante chiede a Virgilio se avesse mai percorso prima quella strada; Virgilio lo rassicura affermando che conosce bene il cammino, poiché l'ha percorsa per scendere nel cerchio più basso, scongiurato da una maga.


Dante è attratto dall'apparizione delle tre Erinni, tinte di sangue e che hanno per capelli dei serpenti aggrovigliati: esse sono Megera, Aletto e Tesifone, che invocano la venuta di Medusa per impietrire il visitatore. Virgilio ordina a Dante di chiudersi gli occhi, avvertendolo che sarebbe vano sperare nel ritorno e aggiungendo le sue mani per chiudere gli occhi al discepolo.


Un fracasso sulla palude annuncia l'avvento di qualcosa di straordinario: sta giungendo un Messo celeste che passa lo Stige a piedi asciutti, e dinanzi al quale fuggono i dannati. Spalanca la verga con una porta e rimprovera i demoni, ricordando loro che non ci si può opporre al volere divino.


Dante e Virgilio entrano nella città di Dite. Nella landa desolata si aprono dei sepolcri arroventati, i cui coperchi sono alzati e da cui provengono gemiti e pianti. Dante viene a sapere che qui stanno gli eretici.


Cerchio VI


Dante chiede se si possano vedere coloro che sono sepolti, poiché i coperchi sono tutti alzati e non c'è alcun custode. Virgilio spiega che le tombe verranno richiuse dopo il Giudizio Universale e che in quella sezione si trovano i negatori dell'immortalità dell'anima.


Una voce esce improvvisa da una delle tombe e invita Dante a fermarsi, avendolo riconosciuto come fiorentino. Farinata fissa il pellegrino e, non avendolo riconosciuto, gli chiede chi siano stati i suoi avi; dichiara che essi erano suoi avversari e aggiunge di averli scacciati due volte da Firenze. Dante risponde che essi seppero ritornare, cosa di cui non furono capaci gli Uberti.


o v. 22: Farinata ha capito che dante è un toscano dalla pronuncia ed a lui solo si rivolge. Farinata chiama l'Inferno città del foco, usando un linguaggio alto e solenne.

o v. 22 - 27: La voce di Farinata interrompe il colloquio fra il maestro e il discepolo, ottenendo l'effetto di creare un mutamento di scena. Sono parole cortesi ma ferme, che descrivono il magnanimo e fiero ghibellino, il suo amore profondo per la patria e il rammarico di aver dovuto ricorrere alla forza delle armi contro di lei.

o v. 24: La circonlocuzione ha tono di garbata cortesia e di raffinatezza di linguaggio e vuole essere una captatio benevolentiae.

o v. 26: La nobil patria è Firenze; patr a ha la dieresi sulla i.

o v. 27: C'è un riferimento alla battaglia di Montaperti del 1260.

o v. 31 - 33: Farinata è dapprima la voce di un'arca; seguono le parole di Virgilio, che presentano la figura erta e solenne, anche se non la vediamo ancora; Dante volgerà lo sguardo e Farinata apparirà nella sua monumentale grandezza, che è fisica e morale; i gesti e le parole di Farinata completeranno la rappresentazione.

o v. 32: Manente di Iacopo degli Uberti nacque a Firenze nei primi anni del XIII secolo. Nel 1239 è a capo della fazione ghibellina, e la sua azione fu decisiva nella sconfitta dei guelfi del 1248. Nel 1258 fu esiliato a Siena, dove riorganizzò le forze ghibelline artefici della vittoria di Montaperti, dove fu sbaragliato l'esercito guelfo fiorentino. A Empoli difese la sua città dalla distruzione e rientrò con la parte vittoriosa in Firenze, dove morì nel 1264. Dopo la battaglia di Benevento del 1266 e il tramonto della potenza sveva in Italia, i guelfi rientrarono in Firenze e bandirono la famiglia degli Uberti. Nel 1283, Salomone da Lucca pronunciò la condanna postuma per eresia contro Farinata.

o v. 33: Si vedono solo le parti nobili del corpo.

o v. 34: Dante fissa negli occhi Farinata, non fugge il suo sguardo, assumendo un aspetto fiero.

o v. 35 - 36: I dati fisici della figura di Farinata contribuiscono anche a farne un ritratto morale. Farinata si erge come una statua gigantesca, rendendo visibili le parti più nobili del corpo umano, quelle che, secondo la scienza del tempo, erano sede del sentimento e del pensiero, e contribuendo a dare alla figura un carattere di eccezionalità. I caratteri di Farinata vengono arricchiti a mano a mano che l'episodio procede.

o v. 39: Conte significa gentile, nobile.

o v. 42: Farinata ha riconosciuto in Dante un Fiorentino dalla parlata, ma non lo conosceva di persona, in quanto Dante nacque un anno dopo la sua morte; di qui la domanda brusca circa i maggior.

o v. 43: Dante risponde a Farinata dichiarandosi disposto ad ubbidire non perché si senta inferiore, ma per cortesia e rispetto verso un concittadino.

o v. 46 - 47: Farinata riconosce in quella di Dante una famiglia di parte avversa, ma, nell'esprimere il suo disappunto, estende agli avi e alla fazione la qualifica di essa come nemica.

o v. 48: Le due vittorie ghibelline, che portarono all'espulsione dalla città dei Guelfi, avvennero nel 1248 e nel 1260 e di esse fu artefice Farinata.

o v. 50: Nel 1251 e nel 1267 i Guelfi esiliati rientrarono in città, la prima volta dopo la morte dell'imperatore Federico II, la seconda dopo la morte di Manfredi.

o v. 51: I Ghibellini rientrarono a Firenze negli anni successivi, gli Uberti vennero esclusi da qualsiasi amnistia.


A fianco di Farinata sorge un'ombra che chiede a Dante come mai non ci sia con lui suo figlio. Dante, che ha riconosciuto il padre dell'amico Guido Cavalcanti, risponde che suo figlio ebbe a disdegno la teologia. Il verbo al passato fa credere a Cavalcante che il figlio sia morto e precipita nel sepolcro.


o v. 52 - 53: L'inattesa apparizione di un secondo dannato e la sua patetica e dolorosa figura interrompono il drammatico scontro tra Dante e Farinata.

o v. 53: Il nuovo personaggio è Cavalcante de'Cavalcanti, fiorentino di parte guelfa e avversario di Farinata. Dopo il ritorno dei Guelfi nel 1267, per consolidare la pace nella città, si strinsero parentadi fra le famiglie avversarie e il figlio di Cavalcante, Guido, venne fidanzato con la figlia di Farinata, Beatrice.

o v. 54: Contrapposizione fra la figura di Farinata erta in piedi nel sepolcro, con atteggiamento di disprezzo verso l'Inferno, e la più umile e dolorosa figura del nuovo personaggio, che, alzatosi in ginocchio, è visibile solo fino al mento.

o v. 59: Cavalcanti ritiene erroneamente che il viaggio ultraterreno di Dante sia ottenuto solo per meriti terreni. Da ciò deriva la domanda di Cavalcante e, dall'ambigua risposta di Dante la drammatica chiusa dell'episodio, che si risolve nella patetica apprensione del padre per il destino del figlio.

o v. 60: La doppia interrogazione esprime l'ansia e l'orgoglio del padre per l'onore del proprio figlio. Guido Cavalcanti era stato un rappresentante della nuova lirica fiorentina e aveva fama di epicureo e di ateo; prese parte alle vicende politiche del suo tempo. Fu inviato in esilio a Sarzana, dove contrasse la malattia che lo portò alla morte alla fine del 1300, poco dopo il rientro in patria. All'epoca fittizia del viaggio, Guido era ancora vivo.

o v. 61: Dante ribadisce che il suo viaggio non è dovuto alla sua volontà, bensì ad una Grazia che scende dall'alto.

o v. 62: Virgilio attende il discepolo poco lontano.

o v. 63: Guido, per la sua eterodossia, ha rifiutato di lasciarsi condurre alla scienza divina.

o v. 67: L'ombra, che si era levata in ginocchio, balza in piedi al creduto annuncio della morte del figlio, per poi precipitare nel sepolcro senza levarsi più.

o v. 67 - 69: Le tre domande indicano l'affanno incalzante del padre disperato, che non vuol credere ancora a ciò che pensa di aver saputo.

o v. 70: L'equivoco del Cavalcanti viene confermato da questo breve attimo di esitazione dovuto allo stupore di fronte all'ignoranza del presente, nonostante che Dante avesse sperimentato che i dannati conoscono e prevedono il futuro.

o v. 72: Cavalcante cade riverso nel sepolcro e non si leva più. Per mezzo di Farinata, poi, Dante farà sapere al padre che Guido è ancora vivo.


Farinata è rimasto immobile davanti alla pietosa scena di Cavalcanti, col pensiero rivolto a ciò che Dante aveva detto prima. Ripreso il discorso, profetizza al poeta il futuro esilio e poi chiede perché i Fiorentini si accaniscono contro la sua famiglia. Dante risponde che ciò è dovuto al ricordo della battaglia di Montaperti; al che Farinata ribatte di non essere stato solo.


o v. 74 - 75: Farinata resta estraneo e insensibile al dolore di Cavalcanti, non accorgendosi nemmeno del dramma che si è svolto sotto i suoi occhi; e riprende a parlare riallacciandosi alle ultime parole di Dante, quando l'apparizione e il colloquio di Cavalcanti gli avevano interrotti.

o v. 79 - 81: Proserpina, moglie di Plutone e regina dell'Averno, era identificata con la luna. Se siamo nell'equinozio di Primavera del 1300, i 50 mesi ci portano al Giugno del 1304, quando i falliti tentativi degli esuli di parte Bianca facevano intendere la difficoltà di un ritorno a Firenze. La profezia dell'esilio è previsione di un destino analogo a quello dei suoi congiunti. La figura del fiero Ghibellino si fa più umana, la sua intransigenza politica si smorza, e si crea una dolorosa identità tra Dante esule e gli Uberti esuli.

o v. 84: Gli Uberti furono sempre esclusi da ogni provvedimento di amnistia o di condono.

o v. 85: Strazio e scempio sono in endiadi.

o v. 85 - 87: Allusione alla battaglia di Montaperti.

o v. 87: Il ricordo di Montaperti fa prendere tali deliberazioni in Firenze.

o v. 88: La memoria della strage di Montaperti trasforma la durezza e l'inflessibilità del partigiano in una meditazione dolorosa, che si manifesta nello scuotere della testa e nel sospiro che esce da quel petto che si era eretto prima in atteggiamento sprezzante verso l'Inferno. La giustificazione del proprio agire trova un momento di fierezza, nel ricordo della giornata di Empoli.

o v. 91 - 92: Ad Empoli i capi ghibellini riunito proposero la distruzione di Firenze.


Dante, dopo aver augurato che i discendenti di Farinata trovino riposo in patria, chiede come mai sembri che gli spiriti dell'Inferno non abbiano notizia del presente. Farinata spiega che i dannati vedono solo le cose lontane; Dante lo prega poi di dire a Cavalcanti che suo figlio è ancora vivo.


Dante, turbato dalla predizione di Farinata, riprende il cammino pensieroso; Virgilio lo conforta dicendogli di aspettare il momento in cui Beatrice gli svelerà gli avvenimenti futuri della sua vita. I due poeti attraversano il cerchio giungendo all'orlo sottostante.


Cerchio VI


Giunti sull'orlo dello scoscendimento che separa il VI dal VII cerchio, il puzzo che sale dalla parte più bassa del baratro li costringe a fermarsi presso la tomba di papa Alessandro.


Virgilio spiega la divisione morale del basso Inferno. Segue il cerchio dei violenti, diviso in tre gironi: violenti contro il prossimo, contro se stessi, contro Dio. Al cerchio dei violenti, seguono quelli dei fraudolenti: fraudolenti verso chi non si fida, diviso in 10 bolge, e fraudolenti verso chi si fida, cioè traditori.


Dante vuole sapere perché i lussuriosi, i golosi, gli avari, i prodighi e gli iracondi non si trovano dentro la città di Dite. Virgilio chiarisce, secondo la dottrina aristotelica, come i peccati si dividono in peccati di incontinenza, di malizia e di bestialità. Poiché tali peccatori sono peccatori di incontinenza, si trovano fuori dalla città di Dite.


Virgilio spiega come la natura derivi dalla mente e dall'atto di Dio, e poiché il lavoro umano segue la natura, può dirsi nipote di Dio. Poiché l'uomo deve trarre i mezzi di sostentamento dalla natura e dal lavoro, l'usuraio, che ricava i suoi frutti solo dal denaro, offende e fa violenza alla natura e all'arte di Dio.


Cerchio VII, girone 1


I due poeti giungono alla ripa scoscesa che porta al cerchio successivo e vedono disteso il Minotauro che s'infuria mordendosi. Mentre esso saltella goffamente, i due poeti passano il varco e scendono nel cerchio sottostante.


Virgilio spiega che la ruina non esisteva quando era disceso nel basso Inferno la prima volta, scongiurato da Eritone; alla morte di Cristo tutto l'Inferno tremò, originando frane e scoscendimenti.


Virgilio invita Dante a guardare dove scorre il Flagetonte, fiume di sangue bollente in cui sono immersi i violenti contro il prossimo. Dante vede sulla riva del fiume i centauri armati di saette, che incocciano le frecce mentre uno di loro parla ai poeti e gli ordina di fermarsi. Virgilio si dichiara pronto a dare spiegazioni a Chirone; rivolgendosi a Dante, Virgilio indica Nesso, Chirone e Folo.


Chirone nota che sotto i piedi di Dante i sassi si muovono, cosa che non avviene per i morti; giunti presso di lui, Virgilio spiega che Dante è vivo ed egli lo deve guidare attraverso l'Inferno. Chiede un centauro che li guidi fino al guado e porti Dante sulla groppa per attraversare il fiume.


Guidati da Nesso, i due poeti proseguono lungo la riva del Flagetonte. Il centauro indica i tiranni che sono immersi completamente, tra cui Alessandro, Dionisio, Ezzelino e Obizzo d'Este; poi, altri spiriti che sono immersi fino alla gola, tra cui Guido di Montfort. A mano a mano che si avanza, diminuisce la profondità del fiume; nel punto più alto ci sono i tiranni, tra cui Attila, Pirro e Sesto, e i ladroni Rinieri da Corneto e Rinieri de'Pazzi.


Cerchio VII, girone 2


I due poeti s'incamminano in un bosco oscuro e strano, sopra di cui le Arpie nidificano tra i rami, da cui escono strani lamenti.


o v. 1 - 3: La prima terzina ha un carattere narrativo e serve a riallacciare il canto al precedente.

o v. 4 - 6: La descrizione della selva è antitetica alla vita. Il procedimento retorico di spezzare ogni verso in due parti (emistichi) con la ripetizione (anafora) delle parole iniziali di essi, la triplice antitesi dal ritmo uguale d'ogni verso, preparano a ciò che i due poeti stanno per vedere.

o v. 9: L'immagine aspra e selvaggia della Maremma evidenzia il paesaggio fantastico del girone. In questa similitudine continuano i suoni duri e aspri. La Maremma, che si estendeva dal fiume Cecina a Corneto Tarquinia, era caratterizzata da una vegetazione a macchie, di arbusti bassi e irti.

o v. 10: Le Arpie sono figlie di Tarmante ed Elettra, ed erano raffigurate come esseri ibridi dal volto di fanciulla e dal corpo di uccello. Nell'Eneide, le Arpie appaiono nelle isole Strofadi e imbrattano di sangue le mense di Enea e dei suoi compagni.

o v. 11 - 12: E' un accenno alla profezia che una delle Arpie fece ad Enea ed ai compagni, annunciando sventura e tristi fame.

o v. 15: La scenografia degli alberi, in realtà, rappresenta la sostanza.


Dante si arresta smarrito nell'udire lamenti senza vedere nessuno, e Virgilio lo invita a spezzare un rametto; dalla pianta cui Dante l'ha staccato, escono insieme parole e sangue: si tratta di dannati trasformati in piante. Lo spirito si rivela essere Pier della Vigna, ministro di Federico II, che morì suicida dopo essere stato incarcerato. Egli si rivela innocente e prega Dante di rivendicare la sua fama sulla terra.


o v. 25: Poliptoto.

o v. 33: L'episodio prende spunto da un passo dell'Eneide, dove è narrato l'incontro di Enea con Polidoro.

o v. 37: La tragica condizione di questi spiriti è in questa situazione disumana: essere piante, ma pensare come uomini. Questo dannato pone subito dinnanzi al suo tormentatore, che è uomo, la dichiarazione di una sua anteriore umanità, spezzata con l'atto del suicidio e rinata in forma inferiore di vegetale. Qui sta anche il contrappasso per questi dannati, che hanno rifiutato una condizione che non si rinnoverà mai più.

o v. 38: Nell'episodio dantesco il rapporto è quello di uomo a uomo, uno dei quali ha perso le caratteristiche umane e vive di una vita diversa nel mondo dell'eterno.

o v. 39: Il serpente è un essere ripugnante e maledetto, in quanto demonio tentatore nel Paradiso Terrestre.

o v. 44 - 45: Enjambement.

o v. 47: Negli incontri con le anime, Dante diventa strumento di giustizia divina.

o v. 53: Parecchi dannati hanno il desiderio di essere ricordati sulla terra.

o v. 55: La parola di Virgilio è dolce non solo perché il tono gentile e cortese del discorso alletta a parlare, ma soprattutto perché è in essa contenuta la promessa di restaurare la sua fama, che è il desiderio di quest'anima. La parola adescare appartiene al sema vegetale, significa prendere con l'esca: Pier della Vigna usa un linguaggio venatorio in quanto egli ora ha la parvenza di una pianta.

o v. 57: Invescare è un'azione propria degli uccelli che rimangono impigliati nel vischio spalmato sui rami.

o v. 58: Pier della Vigna, ministro di Federico II, nacque nel 1190 e fu uno dei maggiori collaboratori dell'imperatore. Dopo il 1248, Federico II, divenuto sospettoso nei suoi confronti, cominciò a perdere la fiducia nell'onnipotente ministro; coinvolto in un complotto contro l'imperatore, Pier della Vigna fu arrestato a Cremona nel 1249, fu accecato e si tolse la vita. L'accusa di tradimento è sospetta, perché non c'è accordo fra i commentatori e gli storici. Le due chiavi sono quelle che aprono e chiudono l'animo dell'imperatore, ma possono riguardare diverse tematiche se sono lette in sineddoche. Pier della Vigna usa qui un tono cancelleresco, che rimanda al mestiere che ha svolto in vita.

o v. 63: I polsi rappresentano la vita e sono in metonimia.

o v. 64: L'invidia è meretrice perché si inserisce nel cuore dei cortigiani.

o v. 65: Putti è in enallage/ipallage perché dovrebbe essere riferito a meretrice.

o v. 67 - 69: Il poliptoto sottolinea che l'invidia è un fuoco che rode e semina odio.

o v. 70 - 72: Pier della Vigna svela l'intera contraddizione del suo atto, scoprendo la causa dell'azione peccaminosa del suicidio. Egli, divenuto vittima della malvagia azione dei cortigiani e dell'ingiusta ira del principe, uccidendosi, viola la legge divina, portando violenza al naturale istinto dell'uomo, che è l'amor di se stesso e della propria vita.

o v. 72: Paronomasia della parola giusto.

o v. 73: Il dannato giura per le nove radici della pianta in cui è stato mutato, come se giurasse su se stesso.

o v. 75: Pier della Vigna conserva immutata la stima per il proprio sovrano, scagionandolo dall'atto compiuto nei suoi confronti.


Il poeta è così commosso che non riesce a parlare; parla allora Virgilio, chiedendo a Pier della Vigna come l'anima si trasformi in pianta e se alcuna può liberarsi da questa forma. Quando l'anima si stacca dal corpo volontariamente, con il suicidio, viene precipitata nella selva, dove germoglia: le Arpie accrescono il dolore.


o v. 79: Di fronte alla confessione di Pier della Vigna, anche Virgilio resta pensoso e turbato e tace come il suo compagno. C'è un cedimento di tensione perché il climax è già giunto all'apice con la richiesta di Pier della Vigna di restaurare la sua fama in terra.

o v. 85: Il tema della metamorfosi è trattato da un punto di vista ragionativo.

o v. 92: Il soffio prende forma di parole: l'essere vegetale richiama la sua primitiva origine umana.

o v. 95: Disvelta è un'azione appartenente al sema arboreo, che descrive l'azione del rompere.

o v. 99: La trasformazione dell'uomo in pianta ha la sua origine nell'anima divenuta seme che germoglia come un essere vegetale. La spelta è una graminacea che cresce con estrema velocità.

o v. 100: Appena germogliata, si innalza a forma di ramicello gracile, flessibile, poi cresce ancora a diventare cespuglio o pianta selvatica.


Pier della Vigna spiega come i suicidi andranno, il giorno del Giudizio, a prendere i loro corpi, ma non se ne rivestiranno, perché da essi si sono separati volontariamente. Li trascineranno nella selva e li appenderanno al proprio albero.


o v. 103 - 108: Nonostante queste anime si siano disvelte con la violenza dal proprio corpo, seguiranno il destino di tutte le altre ed andranno, il giorno del Giudizio, nella valle di Giosafat per riprenderselo. A differenza delle altre, esse non se ne rivestiranno, ma lo trascineranno nella selva per appenderlo ciascuno ai propri rami. L'innaturale violenza, operata rompendo l'unità di anima e corpo, resta eterna condanna di questi spiriti che vedranno eternamente penzolare il loro corpo dall'albero in cui si sono trasformati.

o v. 105: L'unità inscindibile di forma e materia, deliberatamente spezzata nell'atto del suicidio, non verrà più ripristinata e sarà l'eterna condanna di questi dannati.

o v. 106: Il verbo strascineremo dà l'impressione visiva dello sforzo che l'anima sarà costretta a fare per trascinare questo inerte peso.


Dante e Virgilio vengono sorpresi da un rumore: appaiono due spiriti, graffiati dalle spine dei pruni, che corrono spezzando rami e fronde, inseguiti da una torma di cagne nere e fameliche. Il secondo di essi si getta in un cespuglio e le cagne lo afferrano e lo fanno a pezzi, insieme allo stesso cespuglio.


o v. 115: L'episodio della caccia infernale sembra nascere dall'ambiente descritto: la selva richiama alla mente le fiere e le battute di caccia.

o v. 118: Questa morte che Lano invoca nella sua fuga senza scampo è intesa come l'annientamento che questi dannati desidererebbero, pur senza speranza.

o v. 119: Iacopo da Santo Andrea, presso Padova, fu con Federico II nel 1237 e morì per ordine di Ezzelino da Romano nel 1239.

o v. 121: Durante il combattimento avvenuto nel 1288 presso Pieve al Toppo, in val di Chiana, gli Aretini sorpresero in un'imboscata i Senesi.

Virgilio conduce Dante presso il cespuglio straziato che rimproverava Iacopo da Santo Andrea per il suo inutile gesto. Lo spirito risponde alla domanda di Virgilio di essere un fiorentino suicida.


o v. 132: Le rotture prodotte da Iacopo sono state  inutili a lui, perché, nonostante il nascondiglio, è dilaniato dalle cagne.

o v. 137: Le cime dei rami del cespuglio spezzate gocciano sangue e da esse esce il pianto.

o v. 138: Il soffio che esce dalla rottura dei rami si converte in dolorose parole.

o v. 139: Si pensa essere i giudice Lotto degli Angli oppure Rocco dei Mozzi, che si sarebbe impiccato dopo aver scialacquato tutto il patrimonio. Dante mirava a sottolineare la fiorentinità del personaggio piuttosto che la sua identità.

o v. 143: Perifrasi per indicare Firenze.

o v. 143 - 150: Firenze mutò il primo protettore (Marte) nel patrono cristiano S. Giovanni Battista, per cui il dio pagano la perseguiterà con la guerra.

o v. 147: Si trattava del basamento di una statua che si credeva di Marte e di cui esisteva una leggenda popolare che ne faceva un portafortuna.

o v. 148 - 149: Tra le leggende sull'antica storia della città, una ricordava che Attila sarebbe venuto a vendicare Catilina e avrebbe raso al suolo Firenze, per risollevare Fiesole dalla distruzione. La leggenda narrava che Carlo Magno avrebbe fatto ricostruire la città.

o v. 151: Il dannato si impiccò a casa sua.


Cerchio VII, girone 2


I due poeti giungono ad una landa infuocata su cui cade una pioggia di fuoco. Dei dannati, parte giace supina al tormento, parte corre continuamente e parte siede tutt'intorno.


Dante scorge un dannato che sembra non curarsi del tormento stesso e ne chiede notizia a Virgilio. Il peccatore, udendolo, si presenta con parole di disprezzo verso la divinità, dichiarando apertamente la sua condotta. Virgilio afferma che la sua punizione è quella sua impotente superbia; spiega poi a Dante che il dannato è Capaneo, e ne ribadisce la condanna nel suo impotente disdegno.


Virgilio invita Dante a proseguire, ammonendolo a non mettere i piedi sul sabbione rovente e a tenersi stretto alla selva. Giungono ad un luogo dove zampilla un fiumicello rosso sangue e Virgilio dice a Dante che nessuna cosa che ha visto fin'ora è notevole come quel rio.


Virgilio spiega che a Creta, nel monte Ida, si trova un vecchio, con le spalle volte ad Oriente e il volto verso Roma, con la testa d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre di rame, le gambe e il piede sinistro di fero, il piede destro, su cui si appoggia, di terracotta. Tutte le parti sono piene di fessure da cui gocciolano lacrime, che scendono nell'Inferno formando Acheronte, Stige, Flagetonte e Cocito.


Dante si stupisce che egli abbia visto il fiumicello solo qui e non nei cerchi precedenti; Virgilio risponde che, essendo l'abisso infernale rotondo, e non percorrendo essi mai l'intera circonferenza, può apparire solo in un cerchio ciò che sarebbe visibile anche in altri cerchi. Spiega poi che il colore rosso della riviera di sangue e di questo fiumicello avrebbe dovuto far capire a Dante che si trattava del Flagetonte; invece, il Letè non è nell'Inferno, e Dante lo vedrà in seguito.


Cerchio VII, girone 3


I due poeti proseguono il cammino sull'argine del fiume, protetto dalle faville di fuoco. Dante scorge una schiera di anime che avanza lungo l'argine e che cerca di guardare i due pellegrini attraverso l'oscurità del luogo.


Uno degli spiriti riconosce Dante ed esprime a voce alta la sua meraviglia; Dante si china e lo riconosce per l'antico maestro Brunetto Latini.


o v. 26: Dante aguzza la vista per riconoscere, nel volto bruciato dal fuoco e deformato, i lineamenti noti.

o v. 29: Se Dante ha ficcato gli occhi nel volto del dannato che si trova più in basso di lui, deve per forza essersi chinato. Dante, dopo aver riconosciuto il dannato, nell'atto di rispondere allunga la mano per un gesto affettuoso.

o v. 30: La domanda, che è insieme stupore, affetto, dolore e turbamento, rivela quel complesso di sentimenti che sono i caratteri essenziali del canto. Come la domanda ansiosa indica lo stupore del poeta di fronte a questo improvviso e inatteso incontro, così il nome, preceduto dal titolo di ser, è insieme affettuoso e riverente. Brunetto Latni nacque a Firenze nel 1220 e fu notaio, uomo politico, poeta e retore; intervenne attivamente negli avvenimenti di Firenze e della parte Guelfa. Mentre tornava in patria dalla Spagna, incontrò uno studente che gli annunciò la sconfitta dei Guelfi a Montaperti ed allora si recò in Francia. Dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento, Brunetto ritornò a Firenze, dove morì nel 1294. Scrisse in francese Li Livres dou Tresor, un'enciclopedia di gusto medievale, in italiano il Tesoretto e il Favolello; i suoi studi e il suo insegnamento retorico furono svolti in funzione politica.

o v. 31: All'affetto paterno di Brunetto verso Dante si unisce il tono umile di chi è consapevole della propria miseria presente.

o v. 32: Brunetto conferma, con tono retorico, la propria identità.

o v. 34 - 36: Il poeta si affretta a cancellare l'impressione di un senso di ripugnanza per l'antico e venerato maestro, rivelando, attraverso le sue parole, sentimenti di affetto e di riverenza.

o v. 39: Per la legge che impedisce ai sodomiti di fermarsi, il trasgressore resta fermo sotto la pioggia di fuoco con pena analoga a quella dei violenti contro Dio.

o v. 41: Masnada è francesismo, proviene dal provenzale maisnada e nell'antico italiano significava famiglia, schiera.

o v. 43 - 45: L'atteggiamento assunto da Dante di camminare a capo chino è la dimostrazione esteriore della sua riverenza.

o v. 46: Per Dante la Fortuna è ministra di Dio.

o v. 47: Brunetto aveva compreso che Dante era ancora vivo ed aveva intuito l'eccezionalità della venuta del discepolo.

o v. 51: Il momento dell'inizio dell'immaginaria visione è l'equinozio primaverile del 1300. Dante nacque sotto la costellazione dei Gemelli, quindi il colmo della vita non era stato ancora pienamente raggiunto.

o v. 52: Il mattino dell'8 Aprile il poeta è nella selva; sul far della sera Virgilio e Dante entrano nell'Inferno; passano dal IV al V cerchio dopo la mezzanotte; all'aurora del giorno seguente dal VI al VII cerchio. È trascorso poco più di un giorno intero da quando Dante si è smarrito nella selva. Invece, il viaggio nell'Inferno dura 24 ore.


Brunetto invita Dante a seguire la sua buona inclinazione per raggiungere la gloria, e gli profetizza l'ingratitudine dei suoi concittadini, che ricambieranno il suo ben fare con l'esilio. Dante afferma di essere pronto ai colpi avversi del destino.


o v. 55 - 57: E' un accenno alla costellazione dei Gemelli, sotto il cui influsso nacque Dante. Tutta l'espressione è una metafora collegata alla terzina seguente.

o v. 61: I Fiorentini sono sconoscenti e ingrati nei confronti dei loro cittadini migliori.

o v. 62: Catilina fece ribellare la città di Fiesole a Roma, ma la città venne rasa al suolo dopo la sua sconfitta per mano di Metello. Cesare fece edificare sulle rive dell'Arno una nuova città a cui venne porto il nome di Fiorenza.

o v. 63: Il popolo fiorentino conserva ancora la selvatichezza e la durezza della sua origine fiesolana.

o v. 64: Da Brunetto, Dante apprende che l'inimicizia dei fiorentini nascerà proprio dal suo giusto e onesto operare e dalle sue benemerenze nei confronti di Firenze.

o v. 65: Comincia il postumo ammaestramento di Brunetto, che esorta il discepolo a perseverare per quella via che le inclinazioni naturali gli avevano mostrato, lo incita a continuare nel cammino della virtù, isolandosi dagli indigeni cittadini. Il sorbo è una pianta che produce frutti dal sapore aspro, mangiabili solo dopo una lunga maturazione.

o v. 66: Non è possibile che il frutto buono cresca tra quelli cattivi come non è possibile che la persona onesta e buona continui a rimanere tra i disonesti e i malvagi.

o v. 67: Totila, per conquistare la città, mandò a dire di voler allearsi con i Fiorentini: questi lo fecero entrare a Firenze ed egli poté distruggerla.

o v. 70: L'ostilità dei Fiorentini tornerà ad onore del poeta.

o v. 71 - 72: Neri e Bianchi sfogheranno su Dante il loro odio: i Neri cacciandolo in esilio, i Bianchi fuoriusciti agendo con stoltezza al punto da costringere il poeta a staccarsi da loro.

o v. 73: Il linguaggio si fa più aspro e violento, suggerito dalla metafora animalesca, e continua, sempre metaforicamente, nelle parole strame e letame.

o v. 74 - 78: I Fiorentini non tocchino coloro in cui rivive il sacro seme di quei Romani che rimasero in città quando Firenze fu fondata. Dante riteneva la propria famiglia originaria del sangue romano.

o v. 79: Dante dà a Brunetto una grande prova di riconoscenza e di affetto.


Dante chiede quali siano i più famosi compagni di pena di Brunetto ed egli gli indica Prisciano, Francesco d'Accorso e il cardinale Andrea de'Mozzi.


Prima di lasciare Dante, Brunetto gli raccomanda la sua opera, il Tresor, per il quale è ancora viva la sua fama; poi si allontana sotto la pioggia di fuoco per raggiungere la sua schiera.


Cerchio VII, girone 3


I poeti sono giunti dove si ode il rombo di una cascata, quando appare sul sabbione un'altra schiera di sodomiti, da cui si staccano tre peccatori che pregano Dante di fermarsi, avendolo riconosciuto per fiorentino. I tre formano un cerchio e cominciano a parlargli.


Uno dei tre dannati prega Dante di non badare alla miseria del luogo e alla loro condizione e presenta Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi, e se stesso, Iacopo Rusticucci; Dante li assicura di non provare alcun disprezzo per loro, si dichiara fiorentino e spiega la sua condizione.


Rusticucci chiede se a Firenze esistano ancora cortesia e valore, poiché un loro concittadino ha portato tristi notizie. Dante dichiara la corruzione di Firenze colpa degli uomini nuovi e delle ricchezze. I tre lodano Dante della sincerità e lo pregano di ricordarli sulla terra; poi si allontanano per raggiungere la loro schiera.


I due poeti giungono sull'orlo del cerchio, dove Virgilio chiede a Dante la corda che porta legata in vita. Virgilio la getta nel burrone ed una mostruosa figura appare nuotando nell'aria dal profondo burrato e si accosta all'orlo superiore di questo.


Cerchio VII, girone 3 e discesa al Cerchio VIII


Virgilio annuncia l'arrivo di Gerione e il mostro si accosta alla riva del burrato. Il mostro ha il volto umano, il corpo di serpente cosparso di nodi e rotelle, due branche pelose e la coda armata di una forbice: è il simbolo della frode.


Virgilio invita Dante ad andare da solo a vedere la pena degli usurai, mentre lui cercherà di convincere Gerione a trasportarli nel cerchio successivo. Gli usurai stanno seduti lungo l'argine, sotto la pioggia di fuoco, ed hanno una borsa al collo che porta impressa lo stemma della famiglia. Dante vede uno della famiglia dei Gianfigliazzi e uno di quella degli Obriachi.


Un dannato, Reginaldo Scrovegni, annuncia a Dante la venuta di Vitaliano del Dente e di Buiamonte dei Becchi e poi, in segno di spregio, tira fuori la lingua.


Virgilio, sulle spalle del mostro, invita Dante a salire; Gerione comincia a muoversi in ampi e lenti cerchi, sempre discendendo. Dante comincia a scorgere le bolge. Il mostro scende a terra e riparte veloce come una saetta.


Cerchio VIII, bolgia 1 e 2


L'VIII Cerchio è una zona circolare in declivio verso il centro, costituito da un lungo e profondo pozzo; è solcata da fossi concentrici, mentre le rupi scavalcano le bolge da un argine all'altro e convergono al pozzo centrale.


Dante vede due schiere di peccatori che camminano in senso inverso e che vengono paragonati ai pellegrini del Giubileo romano divisi in due file sul ponte del Tevere: quelli che andavano a S. Pietro e quelli che ne ritornavano. I dannati, che corrono percossi da demoni armati di sferza, sono i ruffiani e i seduttori.


Dante riconosce uno dei dannati per Venedico Caccianemico, che è costretto a confessare la colpa di aver prostituito la sorella al marchese d'Este. Mentre parla, un demonio lo colpisce e lo costringe ad allontanarsi.


Tra la schiera dei seduttori, Virgilio mostra un peccatore che conserva l'aspetto regale e atteggiamenti magnanimi: è Giasone, il condottiero degli Argonauti, punito per la seduzione di Isifile e di Medea.


I poeti sono sull'argine della seconda bolgia, da cui sentono uscire il dibattersi dei dannati ed un terribile tanfo. Salgono sul ponte che sovrasta la bolgia e scorgono i peccatori immersi nello sterco.


Dante fissa lo sguardo su un dannato, che riconosce essere Alessio Interminelli di Lucca: il dannato confessa di essere sommerso qui a causa delle sue lusinghe.


Virgilio invita Dante a guardare la meretrice Taide che si graffia con le unghie sporche di sterco.


Cerchio VIII, bolgia 3


Dopo un'apostrofe contro i simoniaci, Dante racconta che vede il fondo della bolgia sottostante pieno di fori da cui escono le gambe dei dannati confitti a capo all'ingiù, mentre una fiamma corre lungo la pianta del piede.


Dante nota che le gambe di uno dei dannati sono lambite da una fiamma più rossa delle altre, e Virgilio si offre di condurlo accanto alla buca. Il dannato si rivela essere per il papa Niccolò III, che confessa il suo nepotismo e predice la venuta di Bonifacio VIII e di Clementi V.


Dante prorompe in un'invettiva contro Niccolò III e contro l'avarizia dei papi, biasimando la donazione di Costantino, causa prima della corruzione della Chiesa.


Alle parole di Dante, Virgilio manifesta la sua approvazione e lo conduce fino al ponte della bolgia successiva.


Cerchio VIII, bolgia 4


Dante vede nella bolgia sottostante i dannati che avanzano a passo lento e si accorge che essi hanno il capo travolto, cosicché avanzano camminando all'indietro. A tale vista, Dante piange.


Virgilio mostra a Dante alcuni indovini dell'antichità classica e addita Manto, che si fermò nel luogo dove egli nacque.


Virgilio narra l'origine della sua città, spiegando come Manto, allontanatasi da Tebe dopo la morte del padre, venne a passare nel punto in cui il Mincio si impaluda. La maga scelse il luogo come sua dimora, per farvi le sue magie e ivi morì. In quel luogo si raccolsero le genti vicine perché, difeso dalla palude, offriva notevole sicurezza; denominarono la città fondata Mantova, dal nome della maga quivi sepolta.


Dante chiede se ci siano altri dannati degni di nota e Virgilio gli indica Euripilo, Michele Scotto, Guido Bonatti e Asdente.




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