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LA PORTA INFERNALE

dante



LA PORTA INFERNALE


Tutto il III canto è condotto sulla falsariga di Virgilio: infatti, è proprio qui che la narrazione rivela l'imitazione all'Eneide.

Questo canto inizia con l'esortazione da parte del poeta stesso nei confronti di Dante a lasciare da parte ogni esitazione; prosegue poi con l'episodio dell'Acheronte, nel quale Virgilio placa l'ira del demonio Caronte spiegandogli come il viaggio di Dante sia stato voluto da Dio e come, di conseguenza, lui non dovesse 818h76i temere di nulla:


"Caron non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuol"


Infine è sempre il sommo poeta che spiega allo scrittore perchè le anime desiderano oltrepassare il fiume.

I nuclei essenziali del canto sono:

la porta infernale;



la massa dei pusillanimi;

il passaggio dell'Acheronte;

Dante immagina che la porta infernale abbia sulla sua sommità un'iscrizione simile a quella di molte altre città del tempo del poeta.

Essa recita:


"Per me si va nella città dolente

Per me si va nell'etterno dolore,

Per me si va tra la perduta gente."


Tale scritto sembra oscuro a Dante: ciò non significa che esso sia nero, o meglio scritto con caratteri neri che ne confondano la visione, bensì che le parole incise sulla porta hanno un significato ben più profondo: un linguaggio oscuro nel senso che le parole sono minacciose; l'incisione produce quindi nel protagonista un senso di paura e angoscia.

L'interpretazione del fatto che il linguaggio sia oscuro è valorizzato qualche verso dopo:


"Maestro, il senso lor mi è duro".


Il termine "duro" sta a significare la difficoltà di comprensione; alcuni critici hanno un parere opposto su questo aggettivo, giudicandolo con il significato di "doloroso", "sconfortante".

Questi commentatori sono dell'idea che lo sconforto scaturito in Dante proviene dall'ultimo verso dell'iscrizione:


"Lasciate ogni speranza voi ch'entrate"


Dante, leggendo questa linea, prova timore e sconforto poiché anch'egli teme di non poter più tornare indietro dal momento in cui varcherà la soglia.

La risposta di Virgilio:




"Qui bisogna eliminare dall 'animo ogni dubbio, ogni perplessità o timore, qui bisogna bandire ogni traccia di pusillanimità"


dovrebbe rimuovere ogni dubbio dall'animo di Dante. I versi, con cui "la guida" rincuora l'autore, anche afferandogli la mano in tono affettuoso, richiamo ancora una volta i versi dell'Eneide. In quest'ultima opera era però Sibilla ad esortare Enea, che entrava nel regno dei morti pieno di furore a differenza dell'autore toscano, sgomentato dalla paura.

Virgilio invita Dante a liberarsi della sua pusillanimità per entrare nell'inferno.

Nelle linee centrali dell'iscrizione si afferma che la porta è opera della Trinità, quindi non può essere qualcosa di oscura che possa recare turbamento. La II terzina richiama la "divina giustizia", che ha creato anche l'inferno, non per vendetta nei confronti dei peccatori, ma più in assoluto rispetto alle leggi di Dio, che governa l'Universo e tutte le creature.

Le linee successive sono rivolte all'eternità delle pene:


"Per me si va nella città dolente

Per me si va nell'etterno dolore"


La città infernale è dolente, colma di dolore, d'un dolore che è "etterno", esso non ha tempo e, perciò, non avrà mai fine.

Per quanto concerne il verso seguente:


"Per me si va tra la perduta gente"


La gente che abita la città è "perduta", è immersa in un'ottica che porterà alla perdizione eterna: la gente è dannata nel peccato.

Quello che Dante, ancora vivo, non riesce a comprendere è il concetto di eternità, l'impossibilità assoluta di sperare in un miglioramento. La vita dell'uomo è soggetta al cambiamento e di conseguenza alla speme di rinnovarsi, di cambiare. Negli umani che soffrono in terra è sempre presente la speranza di porre fine alle sofferenze o, in ogni caso, di cambiare il proprio destino.

E' completamente diverso per i dannati con i quali Dante sta per entrare in contatto; essi si trovano in una condizione diversa per quanto riguarda le loro pene: queste ultime sono eterne, rappresentano una condanna inappellabile che non lascia adito ad alcuna speranza. Neppure la morte può rappresentare la fine delle pene.

Sulla Terra l'alternarsi del tempo dà all'uomo la sensazione di tregua, che li porta ad avere la certezza della ripresa della vita dopo ogni pausa; nell'inferno tutto ciò è abolito, l'aura è sempre nera, senza tempo.







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