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Il viaggio ultraterreno di Dante vanta alcuni precedenti illustri come l'Eneide.

dante




Il viaggio ultraterreno di Dante vanta alcuni precedenti illustri come l'Eneide. Tuttavia Enea non è il solo ad aver preceduto Dante, da vivo, nel mondo dei morti. La discesa agli inferi infatti è un topos presente in quasi tutte le tradizioni. Confrontale diverse motivazioni e i diversi significati dei viaggi di Orfeo, Ulisse, Enea e Dante.


Introduzione


Il viaggio ultraterreno nel mondo dei morti è un tema che ha sempre affascinato l'uomo, tanto da essere presente praticamente nella letteratura d'ogni tempo e d'ogni civiltà.

La summa di tali viaggi immaginari è sicuramente la "Commedia" di Dante, un'opera maestosa sul piano narrativo, lessicale, formale, morale e didascalico. Ma a preparare il terreno su cui Dante si sarebbe mosso furono le grandi opere classiche, sia romane che greche. Le più eminenti sono senza dubbio l' "Eneide" virgiliana e l' "Odissea" omerica; entrambe nacquero prendendo spunto dalla tradizione mitologica antica, che affondava le sue radici negli albori della civiltà umana. Tra i miti facenti parti 737g66h di tale tradizione spicca per originalità e importanza quello di Orfeo, mitico cantore protagonista di innumerevoli leggende.



Tutte queste opere trattano del viaggio agli inferi, ma le diversità nelle motivazioni e negli scopi rendono necessario esaminare separatamente ogni esperienza.


Orfeo


O. è uno di quei cantori mitici di cui è piena la tradizione greca, ma si stacca dagli altri per essere stato assunto a simbolo del movimento mistico dell'orfismo. La sua genealogia lo vede figlio di Apollo, dio della musica, e di Calliope, musa del canto; secondo la tradizione fu il primo cantautore della storia. Molte sono le leggende che lo riguardano: fu uno degli uomini che partecipò all'avventura degli argonauti, svelò ai mortali i segreti degli dei e, appunto, varcò la porta degli inferi. Fra tutti, quest'ultimo mito è quello che ha avuto maggior fortuna.


Si narra che la moglie di O., Euridice, mentre fuggiva da Aristeo che voleva possederla, venne morsa da un serpente e morì. Suo marito però non accettò l'avvenimento e decise di cercare l'entrata del mondo dei morti per riportare in vita sua moglie. La trovò a Cuma, presso Napoli, e vi entrò. Grazie alla celestiale musica della sua lira riesce a placare l'ira di Caronte e di Cerbero; inoltre le sue note fanno cessare i tormenti di Tantalo, Sisifo, Issone e Tizio.

O. giunge infine al cospetto di Ade e Persefone, sovrani degli inferi, e ottiene da loro di potersi riprendere la sua amata Euridice. Riesce a convincerli ancora una volta grazie alla sua musica, che accompagna con queste parole: "O regnator di tutte quelle genti ch'hanno perduto la suprema luce, udite la cagion dei miei lamenti. pietoso amor dei nostri passi è duce: non per Cerbero legar fei questa vita, ma solamente per la donna mia. anzi, il mio core, ond'io meno la vita acerba, né posso più resistere dal dolore. ma se la memoria alcuna in voi si serba del vostro celebrato antico amore, se la vecchia rapina in mente avete, Euridice mia bella mi rendete.".

Gli dei pongono però una condizione a O.: non avrebbe dovuto girarsi a guardare Euridice prima di uscire dagli inferi; per assicurarsi che ciò non avvenga Hermes accompagna i due sposi sul cammino del ritorno. O. però è debole e non riesce a trattenersi dal guardare la sua bella. Egli la perde così per la seconda volta, e, pieno di dolore, comincia a vagare solo e disperato. Il musico rifiuta la compagnia di tutte le donne e le Menadi, offese, lo uccideranno facendolo a pezzi. La sua testa mozzata, però, continuerà a cantare le lodi di Euridice mentre viene trasportata dai flutti del mare. Arriverà alfine a Lesbo, dove verrà sepolto.


Orfeo è un eroe concepito in una dimensione molto umana: non scende nell'ade per conoscere il suo futuro o per adempiere a un ordine divino, ma per un suo bisogno personale, nel nome di un sentimento, l'amore, tipicamente umano, e lontano quindi dagli ideali che mossero Dante ed Enea.

L'uomo in tal senso assume una nuova dignità, che gli permette di lottare contro un destino che sembra ineluttabile. Orfeo lotta per far tornare in vita Euridice, e quasi vi riesce facendo appello alle sue sole capacità. L'uomo, insomma, pur subordinato agli dei, può influenzare il corso degli eventi con le sue azioni.  L'umanità di Orfeo, però, è visibile anche nella sua debolezza, nell'impazienza che alla fine gli costerà la perdita della moglie. Un eroe, quindi, umano nel bene e nel male, con i suoi difetti ma con una grande forza di volontà.

Analizzando l'aspetto puramente narrativo si nota una concezione ancora acerba dell'inferno, dove gli unici elementi caratteristici sono la presenza del fiume Stige, di Caronte, e di alcuni dannati mitici, come Tantalo e Sisifo. La fabula è essenziale, come è tipico nelle leggende antiche, e comunque non paragonabile al viaggio infernale di Ulisse e di Enea, e ancor meno di Dante.


Ulisse


Eroe della mitologia greca, figura di primo piano nell'Iliade e protagonista dell'Odissea (entrambe le opere sono tradizionalmente attribuite a Omero, ma ciò è molto dubbio), U. fu figlio di Laerte e di Anticlea, sovrani di Itaca, nonché bisnipote di Ermete. Da questo dio proviene la sua proverbiale astuzia, che lo rese ben presto caro ad Atena. La storia di U. è strettamente legata alla mitica guerra di Troia: egli ne è all'origine ed egli la conclude. Fu Ulisse infatti a convincere gli altri principi greci a collaborare nella guerra contro troia (la guerra secondo il mito avvenne a causa del rapimento, da parte di Paride, di Elena, moglie di Menelao, capo degli achei), e fu grazie a una sua idea (il famosissimo cavallo di Troia) che tale guerra si concluse con la vittoria achea.

Il suo ritorno a Itaca fu ricco di disavventure, che sono narrate nell'Odissea. Una di queste fu l'incontro con la terribile maga Circe. Una volta sconfitta, è proprio lei a suggerire a U. di recarsi negli inferi e di parlare con l'indovino Tiresia per conoscere il suo destino. Il principe segue il consiglio e seguendo le indicazioni della maga arriva nell'ade con la sua nave. U. si addentra solo nel mondo dei morti, recando con se solo un montone e una pecora nera da sacrificare. Per parlare con i defunti è infatti necessario un sacrificio. Prima che U. potesse compiere il rito, però, viene contattato da uno dei suoi uomini che, non avendo ricevuto degna sepoltura, non può ancora riposare in pace. Per questo riesce a parlare al suo re anche senza il sacrificio degli animali. U. gli promette che presto avrà le onoranze che gli spettano, e poi sacrifica i due animali. Subito allora gli si avvicina Tiresia, il quale gli rivela che gli dei intendono premiarlo per il suo ardimento. L'indovino gli dice che anche se riuscirà ad arrivare a Troia, troverà lì principi ambiziosi che cercano di sedurre sua moglie, Penelope. Gli rivela inoltre che Poseidone è adirato con lui, per via della morte di suo figlio Poliremo. Tiresia infine lo mette in guardia da Iperone, dio del sole: se infatti uno dei suoi armenti sacri sarà ucciso, sarà costretto a tornare a casa da solo, dopo aver perduto tutti i suoi compagni , su una nave straniera. Dopo Tiresia si avvicina ad U. sua madre Anticlea, che Ulisse sapeva ancora viva. Ella lo informa che la sua casa è invasa dai Proci, e che suo figlio Telemaco non è abbastanza maturo per fronteggiarli; anche il padre Laerte, spinto dal dolore, aveva lasciato la sua casa. U. commosso prova ad abbracciarla, senza però riuscirvi, e alla fine si allontana. Incontra negli inferi anche Agamennone, principe acheo; Achille, l'eroe greco che aveva deciso le sorti della guerra; Aiace, principe acheo invidioso di Ulisse, suicidatosi a causa di quell'incontenibile invidia. Avvista inoltre Tantalo e Sisifo, mitici personaggi che scontano orrende pene all'inferno. Preso dalla paura, Ulisse torna alla sua nave e riprende il suo cammino.


Ulisse non è il classico eroe greco, come Achille o Ettore, dotato di forza miracolosa e sempre giusto nelle sue azioni. La sua figura, molto sfaccettata, è quella dell'uomo che lotta per la sopravvivenza, contro una sorte avversa, spesso sbagliando, pagando caro i suoi errori.

Ulisse nella sua Odissea vive momenti di grande sconforto, come quando è tenuto prigioniero da Calipso, ma ne esce sempre fortificato, non si lascia piegare dagli avvenimenti.

Anche se gli dei lo ostacolano, Ulisse riesce così a tornare a Itaca, ma ci torna solo, senza nessun compagno sopravvissuto, dopo anni di vagabondaggio, e trova ad attenderlo cospiratori che speravano nella sua morte. Ed è per questo che Ulisse alla fine si domanda se ribellarsi al suo destino sia stato utile. Ha sfidato gli dei, ha visitato gli inferi, ha ascoltato il canto delle sirene, ma alla fine si è ritrovato a doversi fingere mendicante per prendere possesso di una terra già sua.

Questo è il dramma di Ulisse, il dramma di un uomo giusto che a causa della sua sete di conoscenza è condannato a un'esistenza dolorosa. Che senso ha poter rivedere la propria madre se poi non la si può abbracciare? Che senso ha tornare nella propria patria dopo venti anni se poi non si viene riconosciuti?  E ancora che senso ha lottare contro la sorte quando poi si rimane soli?

Eppure Ulisse continua imperterrito per la sua strada. Accetta il suo dramma consapevolmente. Sa che probabilmente non ce la può fare contro le forze superiori che manovrano il mondo, ma ciononostante le sfida.

Ulisse è un uomo incredibilmente vicino agli ideali umanisti: un uomo dotato di una nuova dignità, non più spettatore passivo degli eventi, ma parte attiva degli stessi, che lotta di volta in volta per raggiungere un nuovo equilibrio che sia più consono alle sue esigenze. Probabilmente è per questo che Dante, tipico uomo medievale, porrà Ulisse nell'inferno, fra i consiglieri fraudolenti, considerando il suo tentativo ti capire e cambiare il mondo troppo pretenzioso: nel medioevo la realtà era ritenuta in conoscibile e immobile, in quanto espressione della volontà divina. Il tentativo di Ulisse di oltrepassare i limiti che Dio ha imposto all'uomo, il tentativo di superare le colonne d'Ercole, è considerato un "folle volo" (Inferno, XXVI), e quindi sconsigliabile. Più vicino agli ideali medioevali è il viaggio di Enea, che segue la volontà divina con obbedienza, accettando il proprio destino.

I motivi che spingono Ulisse negli inferi si addicono alla personalità dell'eroe. Sempre desideroso di apprendere, Ulisse desidera conoscere il proprio futuro. Questo però non è ineluttabile, come nel caso di Enea, ma cambierà a seconda delle scelte di Ulisse, se gli armenti di Iperone verranno o no uccisi. Tutto ciò è conforme all'immagine di Ulisse, uomo che può cambiare il corso degli eventi con la volontà. Inoltre è necessario specificare che mentre Enea verrà a conoscenza del suo futuro per meglio adempire alla missione che gli è stata affidata, ad Ulisse verrà rivelato solo per un suo bisogno. Da Enea dipende la nascita di Roma. Da Ulisse dipende solo la sua sopravvivenza.

Enea


Figlio di Anchise e della dea Afrodite, sposo di Creusa e padre Ascanio, E. è tra i capi troiani nell'Iliade. Il suo mito è essenzialmente un "mito del fondatore": a lui è affidata la missione di riportare in vita lo splendore di Troia, fondando un nuovo impero. Ellanico è il primo che ipotizza una possibile relazione fra E. e la fondazione di Roma, ma sarà soprattutto Omero, con la sua Eneide, ad approfondire il discorso.

Nell' Eneide E. appare pio e generoso, ma sopratutto fedele esecutore del fato suo e della sua gente. L'opera narra delle peripezie che l'eroe deve affrontare per arrivare nel Lazio, e le successive guerre che deve condurre per conquistarlo.

Dopo aver lasciato Troia E. avrà mille peripezie, che lo porteranno a Creta, ad Azio, in Sicilia, terra dei Ciclopi, e a Cartagine. Qui la regina Didone si suiciderà a causa dell'amore non corrisposto che prova verso E.. L'eroe troiano arriverà infine a Cuma, dove verrà introdotto nell'antro della Sibilla.

Questa rivelerà il suo futuro nel Lazio ad E., ma quando l'eroe chiede di essere ammesso negli inferi per salutare suo padre la Sibilla pone tre condizioni: dovrà trovare un ramoscello d'oro, dovrà seppellire un compagno morto e dovrà sacrificare pecore nere. Una volta sulla via del ritorno al lido, E. scorge la salma di Miseno, troiano ucciso da Poseidone, e decide di cercare rami per la cremazione. Durante la ricerca si imbatte nel ramoscello d'oro, e una volta seppellito Miseno torna dalla Sibilla. Stavolta l'indovina lo porta con sé nel regno dei morti, attraverso una grotta profonda che termina in un vestibolo. Da qui arrivano sulle rive dell'Acheronte, dove le schiere dei morti aspettano di essere traghettate da Caronte. Sulla sponda del fiume E. incontra Palinuro, suo connazionale,e si intrattiene a parlare con lui. Caronte accetta di far proseguire la Sibilla ed E. solo dopo aver visto il ramoscello d'oro, mentre Cerbero viene zittito da una focaccia drogata. Giunti nell'antinferno, E. incontra Didone nei campi del pianto, ma la regina non lo degna di una parola. Successivamente incontra nei campi degli eroi Deifobo, suo parente, che gli racconterà l'ultima notte di Troia. Gli confermerà inoltre l'investitura a restauratore della gloria Troiana. Giungono infine a un bivio che conduce da una parte al tartaro e dall'altra ai campi elisi. Usando il ramoscello d'oro E. apre i portoni dei campi elisi, e finalmente raggiunge suo padre Anchise sulle sponde del Lete. E. prova tre volte ad abbracciarlo, senza mai riuscirvi, e il padre spiega al figlio il meccanismo della reincarnazione: le anime, purificate nel Lete, dopo cento anni rinascono in altri corpi. Anchise indica ad E. le anime dei futuri Romolo, Cesare, Pompeo, Augusto e dei due Marcelli.

Una volta terminata la spiegazione, Anchise si congeda e la Sibilla ed E. tornano in superfice.


L'Eneide avrà lunga fortuna nel Medioevo, grazie al carattere allegorico che assumerà la figura di Enea. Il suo cammino verrà confrontato al cammino della vita umana, che attraverso le difficoltà arriva a pieno compimento nell'accettazione del proprio destino. La figura di Enea ben si accosta, infatti, all'idea medioevale della vita: siccome le manovre di Dio sono imperscrutabili, gli uomini non devono fare altro che avere fede e accettare serenamente il proprio destino.

Con Enea si torna all'idea dell'eroe giusto e valoroso, che mosso da nobili ideali dedica la sua vita a qualcosa di più grande, per cui verrà ricordato nei secoli a venire. Un eroe, quindi, che si distacca da Ulisse, e ancor più da Orfeo, che dedicarono la loro vita al raggiungimento della felicità per loro e per i propri cari, con risultati più o meno brillanti. Enea invece per adempiere al suo destino lascerà anche la donna che lo amava, teso a portare a termine quel grandioso disegno che era la nascita di Roma. Oltretutto Orfeo e Ulisse lottano contro una sorta infausta, mentre Enea si lascia docilmente guidare attraverso un cammino predestinato, senza cercare di opporsi. Questo suo completo abbandono al divino lo avvicina a Dante, che prenderà Enea come esempio nella Commedia e Virgilio come maestro.

Anche il viaggio nell'oltretomba era predestinato per Enea, siccome grazie a esso avrebbe conosciuto maggiori dettagli circa la sua discendenza Romana. Il motivo che spinge l'eroe negli inferi non è dunque personale, bensì adempimento a un ordine divino; man mano che avanza nel suo viaggio ultraterreno, l'eroe incontra quattro persone, in un crescendo di legami affettivi sempre più intimi. Il primo che incontra è Palinuro, compagno di Enea ucciso da stranieri; il secondo incontro è quello con Didone, regina cartaginese innamorata di Enea, suicidatasi per amore; il terzo incontro è con Deifobo, amico e parente di Enea, nonché terzo marito di Elena dopo che Paride fu ucciso; infine incontra suo padre Anchise, che lo metterà in guardia circa gli eventi futuri e gli mostrerà i suoi discendenti.

Sul piano narrativo si nota un maggiore approfondimento, rispetto all'Odissea e al mito di Orfeo, circa la struttura dell'inferno. Secondo Virgilio si arriva all'ade tramite una grotta posta vicina al lago Averno, tra il bosco di Diana e il tempio di Apollo. Discendendo nella grotta si arriva ad un vestibolo dove vagano le anime dei defunti non seppelliti. Al centro del vestibolo sorge l'albero del sonno. Subito dopo vi sono le sponde dell'Acheronte, fiume nel quale si riversa anche il Cocito, fiumiciattolo che circonda le selve interne dell'ade. Il traghettatore è il dio Caronte, unico dio privo della giovinezza eterna. Sull'altra sponda fa da guardia allantinferno Cerbero, il cane a tre teste.

L'antinferno accoglie i morti prematuramente, e si divine nei Campi del Pianto (i morti suicidi per amore) e nei Campi degli Eroi (i morti in battaglia). Tale antinferno è circondato dal fiume Stige. Subito dopo si apre un bivio tra il tartaro, parte più bassa dell'inferno, bagnata dal Flegetonte, dove vengono puniti i malfattori, e i campi elisi, dove si trovano le anime giuste. I campi elisi a loro volta si dividono nella valle dell'Eridano e nella valle del Lete. La prima accoglie le anime pronte a ricongiungersi con lo spirito, la seconda le anime destinate a reincarnarsi. L'ade è infine chiuso da due porte del sonno: la porta del corno, da cui escono i sogni veraci, e la porta d'avorio, da cui escono i sogni fallaci.

Si noti come l'organizzazione dell'inferno si vada via via evolvendo nei passaggi tra Orfeo e Ulisse, a Enea, fino a Dante, come poi vedremo.


Dante


Dante e la sua opera meriterebbero un approfondimento che io ancora non sono in grado di offrire, avendo cominciato da poco il loro studio. Per questo, con sommo rammarico, debbo rinunciare alla trattazione.





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