La
nona bolgia appare al due pellegrini come un immenso carnaio: nessun discorso
umano potrebbe suggerire un'idea della sterminata moltitudine di feriti e
mutilati che si affollano in essa. I dannati fanno il giro della bolgia, in
eterno; le loro piaghe, che via via si rimarginano, vengono nuovamente
aperte, ad ogni nuovo giro, da un diavolo armato di spada. Davanti agli occhi
dei due poeti passano dappr 323f52d ima Maometto, il fondatore della religione islamica,
ed Alė, uno dei suoi primi seguaci. Il primo ha il corpo squarciato, il
secondo la testa spaccata in due. In tal modo essi* scontano, insieme agli
altri peccatori della bolgia, la loro colpa: quella di aver introdotto la
discordia nel mondo. Quindi un altro dannato si fa avanti: č Pier da
Medicina, un contemporaneo di Dante, il quale predice la sanguinosa fine, ad
opera di Malatestino da Verrucchio. signore di Rimini, di due cittadini di
Fano. Poi, su richiesta del Poeta, fa il nome di un suo compagno di sventura,
che, avendo la lingua recisa, non puō parlare. E' il tribuno della plebe
Curione, colui che vinse le ultime esitazioni di Cesare e lo indusse ad
attraversare il 'Rubicone, dando cosė inizio alla guerra civile contro
Pompeo. Sopraggiunge un dannato con le mani tagliate e i moncherini grondanti
sangue: č Mosca dei Lamberti, il responsabile della divisione dei Fiorentini
in Guelfi e Ghibellini e della distruzione della propria famiglia. Dante vede
infine avanzare l'ombra di un decapitato. Costui porta la sua testa in mano,
reggendola per i capelli, come se fosse una lanterna.
Giunto sotto il ponte sul quale si trovano Dante e Virgilio, leva il braccio,
in modo che i due poeti possano ascoltare le sue parole, e dice: "Io
sono Bertran de Born, colui che indusse Enrico III d'Inghilterra a ribellarsi
al padre Enrico II; poiché ho reso nemiche due persone che un vincolo cosi
stretto legava, porto la mia testa separata dal corpo. In tal modo č
applicata, in me, la legge del contrappasso". |
Il
De Sanctis aveva lucidamente additato la prospettiva in cuė deve collocarsi
la poesia del canto dei seminatori di discordia ed in particolare quella
dell'episodio di Bertran de Born. Per l'illustre critico essenziale ėn questo
canto appariva non tanto la caratterizzazione psicologica dei personaggi
quanto la "descrizione della pena, immagine sensibile della colpa",
in virtų della quale, ad esempio, nelle parole di Bertran de Born "vi č
la colpa e il castigo; niente vi č che rívelí il suo carattere" e la
poesia dell'episodio che lo ha per protagonista "non č nel colpevole, ma
nella colpa e nel castigo, o piuttosto nella colpa, poiché essendo il castigo
un busto dívėso dal capo ed essendo la colpa un figlio diviso dal padre, il
castigo non č se non la stessa colpa rappresentata sensibilmente al di fuori
e fatta poesia". Cosi definito, il canto XXVIII poteva entrare con pieno
diritto nella categoria dei canti "descrittivi" di Malebolge, che
il De Sanctis contrapponeva a quelli fortemente drammatici e psicologicamente
scavati dell'alto e del medio inferno.
Il punto di vista del De Sanctís č stato ripreso dalla critica pių recente,
dopo un periodo in cui pių di un tentativo č stato compiuto per arricchire di
una psicologia tormentata e complessa alcuni dei personaggi che si
avvicendano sulla rėbalta insanguinata della nona bolgia.
I tentativi pių notevoli di dotare questi personaggi di una loro vėta
ėnterėore - relativamente autonoma rispetto alla funzione di ammaestramento e
di monito che sono chiamati a svolgere - sono stati compiuti da V. Rossi e
dal Momigliano. Significativo in proposito č il giudizio da loro formulato
sul personaggio dė Pėer da Medėcina, dopo aver pittorescamente definito
(Maometto č per V. Rossi una "goffa anima volgare" e per il
Momigliano, una "spregevole figura da Corte di miracolí") la figura
del fondatore dell'Islamismo, sostanzialmente tragica, per quanto dal Poeta
non approfondita in senso psicologico, ma, al contrario, brutalmente
oggettivata attraverso il raffronto con la veggia e i singoli elementi di
stile in cui tale raffronto si propone: le rime aspre e bizzarre, le
perifrasi usate non al fine di innalzare l'argomento trattato, ma di
accentuarne la degradazione. Per V. Rossi Pier da Medicina č senz'altro
"un cattivo che si ammanta dė bontā e di dolcezza" . L'analisi del
Momigliano č pių sfumata, ma non meno tendenziosa nel caricare di
sígnificati, difficilmente deducíbili da una lettura, non orientata in senso
romantico, dei versi 70-99, la figura di questo dannato. Egli ritiene addirittura,
addensando su questo personaggio ombre cupamente shakespeariane, che Pier da
Medicina sia "uno dei personaggi danteschi pių complessi e pių
profondi" e giunge alla conclusione che " questo dannato... finisce
per apparire il pių barbaro denunziatore di compagni di pena di tutto
l'inferno". Il pericolo cui vanno incontro siffatte interpretazioni č
anzitutto quello di voler far dire all'autore pių di quanto egli stesso abbia
inteso esprimere, di costruire cioč psicologie scarsamente verificabili sul
testo ed a questo, in ultima analisi, debitrici soltanto di qualche spunto di
carattere tutt'altro che essenziale. La critica realisficamente íncentrata
sul " personaggėo " - celebrato dai romantici nel libero
dispiegarsi delle sue passioni, in quanto spontaneitā irriducibile ad un
sistema di norme che da essa stessa non promani - non tiene poi alcun conto
di quella che era la poetica di Dante, dei fini cioč che egli si riprometteva
di conseguire adeguando ad essi determinati mezzi espressivi a preferenza di
altri. Dante non era né un romantico, né un naturalista: l'intera ricchezza
delle umane passioni, dalle pių sublimi alle pių infamanti, non aveva ai suoi
occhi valore o dísvalore in sé, ma si illumėnava, del fulgore di una veritā
immutabile, soltanto se ricondotta alle premesse indubitabili del dogma, dove
ogni evento, ognė sentimento, trovavano per luė la loro esatta collocazione
atemporale. Un errore della critica dė ascendenza romantėca č stato quello di
attribuire all'elemento logico e a quello dogmatico una funzione paralizzante
nei riguardi della poesia della Commedia. Al contrario, questa non avrebbe
raggiunto - senza la ferrea matrice teorica, entro la quale attingeva di
continuo nuovo vigore - quella intensitā "quasi dolorosa" (Auerbach)
di espressione, che fa del poema sacro un unicum nella letteratura
mondiale.Reagendo all'impostazione psicologística data da V. Rossi e dal
Momigliano al canto dei seminatori di discordia, il Fubini ha avanzato la
proposta di un discorso critico il quale prenda come punto di partenza e
criterio metodologico un'analisi diretta del dato stilistico. Dopo aver
premesso che "in Malebolge meglio forse che in altra parte dell'Inferno
Dante dā prova, ed č conscio di dar prova, dell'eccelsa sua capacitā di
artefice" e che la "materia ripugnante, sė direbbe, lo stėmola a
farsene signore, a dominarla per virtų dell'arte, tanto pių ardua e
raffinata, quanto pėų ėl soggetto plebeo, volgare, sconcio, sembra
rifiutarla", il Fubini osserva che il superiore distacco del Poeta nei rėguardė
del tema trattato "non importa un affievolirsi dell'intento etico del
poema, un venir meno per un dėvertėmento d'artista della sua costante,
fondamentale serietá", perché anche la retorica qui "si fa
strumento di un fine etico".
Per tale motivo il canto XXVIII deve proporsi all'attenzione dei lettore
anzitutto come "un'altra prova e una grande prova dell'arte di Dante, di
quel Dante che non diremo col De Sanctis pių poeta che artista, bensė, prima
ancora che poeta, artista sommo di un'arte differente da quella del
classicismo rinascimentale (ai cui canoni era inconsapevolmente ancor ligio
il nostro grande critico con tanti altrė romantici) e che l'arte talora
risolve tutta in poesia e tal altra invece lascia trasparire nel vigore della
sua costruzione, nello strenuo impegno stilístico".
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