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"Vincenzo Monti" Saggio Breve

antologia



"Vincenzo Monti" Saggio Breve

<<Facendo riferimento alle più significative opere di V. Monti, scrivi un breve saggio,che mette in evidenza l'ispirazione neoclassica dell'opera di V. Monti.>>


Il Saggio può articolarsi nel seguenti punti:


Il Neoclassicismo.

Movimenti classici e moderni.



La funzione "consolatrice" dell'arte.

Monti traduttore.

La concezione neoclassica dell'arte come trasfigurazione della realtà in un mondo di bellezza ideale.


Vincenzo Monti si pone senza dubbio, come uno dei massimi interpreti del neoclassicismo, attraverso una costante tensione al nuovo gusto fiorito intorno alla metà del settecento con l'intento di riproporre l'armonia e l'<<estetica>> dell'arte greca, secondo l'insegnamento dell'archeologo e storico tedesco Winckelmann. Il neoclassicismo, infatti, ripropone un ideate di bellezza tipico del mondo ellenico, dominato dalla perfetta armonia fra corpo e spirito, attraverso l'incantesimo paganeggiante della mitologia, fautrice di misurato equilibrio e di intima serenità Vincenzo Monti in effetti, nelle sue opere, mostra di cogliere appieno lo spirito neoclassico, teso a suggerire una dimensione <<metastorica>> e sognante, sopratutto in un momento di grande instabilità ed inquietudine, quale quello determinatosi tra la fine del '700 e gli inizi dell'800.

Fin dalla Prosopopea di Pericle, risalente al primo decennio del cosiddetto <<periodo romano>>, infatti, il poeta esprime la propria, completa adesione at dominante gusto neoclassico , in occasione del ritrovamento di un busto marmoreo di Pericle, ad opera di Ennio Querino Visconti, famoso archeologo romano.

D'altra parte, gli interessi culturali e poetici del Monti tesero ad approfondire anche autori più <<moderni>>, sopratutto stranieri, quali Goethe, Young, Rousseau, come si è rilevato nei Pensieri d'Amore, opere in cui si alternano motivi classici e stilemi poetici preromantici, fino a giungere alla composizione dell'opera forse più significativa di detto periodo, l'ode Al signor di Montgolfier, dedicata a Giuseppe Montgolfier, inventore del primo pallone aerostatico. Nell'opera si intrecciano motivi <<moderni>> ed ovviamente classicheggianti, nel ricordo del mito degli Argonauti, di Giasone e delle Colchide mentre il poeta avoca a sé, novello Orfeo, la gloria poetica di cantare La nuova impresa.

Successivamente si ha la stesura delle opere principali:

La Feroniade, rielaborata fino a poco prima della morte, La Musogunia, la Bassvillana, rimasta incompiuta. Da queste opere si evince, evidente, il bisogno, da parte dello scrittore, di offrire alle inquietudini e alle angosce degli uomini una sorta di serenità, rifugiandosi, appunto, in quell'armonia classica che, aliena dalle opprimenti tensioni <<storiche>> della sua epoca, sia in grado di riproporre agli uomini il mito e Ia <<favola antica>> della solarità greca,  attraverso il travestimento di una nobile semplicità e quieta grandezza, finalmente libera dall'assillo delta realtà.



Alla luce di tale intento, quindi, Feronia, Giove, Giunone, Giasone, Aspasia, lo stesso Pericle, diventano figure ideali e <<sommesse>> di un mondo mitico, cui il poeta si rivolge con animo nostalgico e lirico che, finalmente da un certo atteggiamento professorale e declamatorio, si abbandona più docilmente al sogno, ai suoni, alle immagini; riuscendo a cogliere in un mondo, solo apparentemente <<morto>>, la vitalità solare e festosa di una <<pagana>> concezione dell'esistenza umana. In detta visione si fondono. senza soluzione di continuità, il mistero e l'angoscia della vita e della fine, calati nella magica armonia della bellezza classica; quella stessa armonia che adornerà il ricamo di Flora sul velo delle Grazie foscoliane, attraverso le immagini della giovinezza, dell'amore coniugale, della pietà filiale, dell'ospitalità, della tenerezza materna.

Tuttavia, al di là delle opere del <<periodo milanese>>  Prometeo, Mascheroniana, Il bardo della selva nera, etc ... per altro scopertamente adulatorie e <<cesaree>> nei confronti di Napoleone e della sua...irresistibile ascesa (incoronazione, vittoria di Austerlitz, campagne spagnole), la ripresa del progetto di traduzione dell'Iliade, portata a termine nel 1810 (prima edizione), segna senza dubbio, il momento più alto della poesia montiana e del suo neoclassicismo, allorché il poeta, abbandonando la dimensione del contingente e del reale, si dedica completamente ai suoi studi, in una rinnovata e più fertile contemplazione del mito.

Infatti, nonostante detta traduzione non sia stata elaborata diretta mente dal greco, essendosi avvalsa di traduzioni latine e della versione del Cesarotti, il poeta risulta senza altro uno dei massimi interpreti della poesia omerica e della <<ciclopica>> lezione artistica in essa racchiusa, così come giustamente nota Muscetta, che definisce Monti l'<<Omero italiano>>.

La traduzione, al riguardo, appare alquanto <<infedele>>, come ebbe a notare lo stesso Monti, nel senso che le atmosfere omeriche risultano come <<stemperate>> in immagini talvolta elegiache e raccolte, che rimandano ad alcune delle opere del cosiddetto <<periodo austriacante>>, come nel caso del Sermone sulla mitologia, in cui si avverte, nostalgica e dolorosa, la consapevolezza di una stagione <<mitica>>, ineluttabilmente al tramonto.

E più forte, allora, si fa il bisogno di cercare un approdo sicuro negli affetti più intimi e privati, come nell'ode Per il giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler in cui il poeta si abbandona, ormai <<lontano>> dalle vicende umane e contingenti, ad una sorta di triste presagio del tramonto (La stella / del viver mio s'appressa al suo tramonto...), anche se la poesia, musa immortale, gli consentirà di sognare ancora, oltre i limiti terreni, e di interesse (parlerò co' celesti) il suo canto con l'armonia degli dei che, sempre, hanno fatto da guida al suo cammino.

In conclusione, aldilà di qualsivoglia critica alla condotta politica del poeta, eccessivamente cesarea ed ossequiosa delle mode del tempo, resta fondamentale la sua lezione letteraria, in cui la traduzione dell'Iliade segna un momento di altissima composizione poetica, attraverso un'interpretazione notevolmente elegante e raffinata del verso omerico, che vede fondersi il dettato neoclassico, in chiave lirica simbolica, all'intimismo elegiaco delle ultime opere.

L'intento di Monti appare quindi realizzato, in ottemperanza ai canoni di una raffinata, e colta, trasfigurazione dell'inquietudine del momento storico in cui il poeta visse ed operò, in un mondo di perfette forme e di serena armonia classica che, in fondo, rappresentò il fine ultimo della sua <<avventura>> umana ed artistica, forse perché anche a lui, come ad Achille, Giunone, madre degli dei, pose nel cor questo consiglio, essendosi fatta pietosa delle umane tristezze.






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