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TORQUATO TASSO - Vita e personalità

letteratura



TORQUATO TASSO


Vita e personalità


Nella vicenda di Tasso meglio che in qualsiasi altra appare nitidamente l'effetto della nuova società e della nuova cultura della Controriforma: il controllo sulla vita sociale diviene controllo sulle coscienze.

Egli non cessa di ribellarsi in nome di una libertà di pensiero ereditata dalla cultura umanistico-rinascimentale. E tuttavia la ribellione stessa è vissuta dal poeta come una colpa per la quale punirsi.


Torquato Tasso nasce a Sorrento nel 1544. La nascita a Sorrento fu determinata da ragioni casuali: nè il padre nè la madre erano campani. Ciò favorì il sentimento costante di sradicamento da parte di Torquato, che proseguiva e radicalizzava la tradizione di nascite "in esilio" e di scrittori senza patria.

La fanciullezza e la giovinezza del poeta appaiono segnate dalla deprivazione e dalla sventura. Il padre, Bernardo, è un nobile di origine bergamasca ed ha una raffinata cultura letteraria. E' spesso lontano e inaccessibile al figlio.



Dopo diversi spostamenti la famiglia si trasferisce a Napoli, dove frequenta le scuole dei gesuiti. Quando il poeta può infine ricongiungersi al padre, che lo aspettava a Roma, deve dolorosamente separarsi dalla madre. Non la rivedrà mai più: la notizia della sua morte raggiunge Bernardo e Torquato a Roma.

In un primo momento, Tasso è inviato a Bergamo presso i parenti del padre. Poi Bernardo lo richiama con sè a Urbino; qui Torquato studia insieme al figlio del duca, Francesco Maria, ricevendo una raffinata educazione umanistica. Ma il padre si sposta ancora, questa volta a Venezia, e qui Torquato si dedica al suo primo impegno letterario di rilievo: un poema sulla prima crociata (Girusalemme), abbozzo del futuro capolavoro. In seguito stampa un poema cavalleresco (Rinaldo). Evidente è l'influenza del modello paterno.

A Padova studia prima diritto, poi filosofia ed eloquenza. T 151b17b rasferitosi presso l'Università di Bologna, ne viene espulso l'anno seguente. Tornato a Padova stringe amicizia con Scipione Gonzaga. Questi gli consente di entrare nell'Accademia degli Eterei, con il nome (non privo di significato psicologico e culturale) di "Pentito".

Nel 1565 si determina una svolta nella vita di Tasso, che entra al servizio del cardinale Luigi d'Este, trasferendosi a Ferrara. Subito comincia a lavorare a un nuovo poema, il Goffredo (poi noto con il titolo Gerusalemme liberata), la cui stesura lo impegnerà per circa un decennio. E' questo un periodo di eccezionale serenità nella vita del poeta, turbato solamente dalla morte del padre, accolta con profondo dolore.

Dopo un viaggio a Roma, il poeta torna a Ferrara, per entrare questa volta direttamente al servizio del duca Alfonso II. La corte ferrarese stimola il poeta a numerosi impegni letterari, fra i quali spicca la stesura dell'Aminta.

La prima ragione di angoscia è costituita proprio dal poema. Tasso se ne mostra insoddisfatto. Il giudizio risulta largamente positivo. Nel '77 sottopone il poema all'Inquisizione di Ferrara, che assolve l'opera. Tasso non è soddisfatto della sentenza, e la sua inquietudine cresce.

Una seconda ragione di crisi riguarda i rapporti con la corte estense di Ferrara. Non senza indelicatezze e ingenuità, Tasso tenta di passare al servizio dei Medici, nemici tradizionali di casa Este.

Inizia poi una serie di peregrinazioni centrate sui luoghi più altamente simbolici del proprio passato. A Sorrento si presenta travestito alla sorella Cornelia e le annuncia la propria morte. Alla addolorata reazione di lei, si fa riconoscere e si abbandono brevemente al riconquistato affetto familiare.

Successivamente l'11 Marzo il poeta dà in escandescenze pubblicamente, offendendo il duca e la corte. Alfonso ne ordina la reclusione nell'Ospedale di Sant'Anna, dove Tasso è segregato come pazzo.

La prigionia dura circa sette anni e febbrile è l'attività del poeta durante la reclusione; la stima per il poeta cresce ovunque, tra gli intellettuali, fino a spingere il duca a liberarlo.

Le ragioni della fama crescente di Tasso negli anni di Sant'Anna sono però a loro volta causa di dispiacere e di tormento per il poeta. Infatti è soprattutto la pubblicazione del poema a procurargli l'ammirazione dei lettori; e alla pubblicazione egli non ha dato il suo assenso. Inoltre il titolo, poi restato definitivo, di Gerusalemme liberata non trovava l'approvazione dell'autore stesso.

Liberato dalla prigionia, il poeta segue a Mantova Vincenzo Gonzaga.

Tasso divide gli ultimi anni tra Roma e Napoli. Nel 1592 conclude il radicale rifacimento del poema, intitolato Gerusalemme conquistata (pubblicato nel '93). Muore a Roma il 25 aprile 1595.


LE RIME


Diversamente da Petrarca, il cui modello pure fu ben presente a Tasso, questi non potè dare alla propria opera lirica un'organizzazione soddisfacente. Il grande numero di testi prese a circolare, soprattutto durante la reclusione dell'autore a sant'Anna, in edizioni pirata, spesso inattendibili. La questione è resa più spinosa dalla mancanza, a tutt'oggi, di un'edizione critica affidabile dell'intera tradizione conservata.

Alla cura di Tasso spettò dapprima l'edizione di quarantadue componimenti d'amore nell'antologia di Rime degli Accademici Eterei. La prima parte (di rime amorose) uscì nel 1491; due anni dopo, la seconda (di rime encomiastiche). Dopo la morte fu pubblicata una terza parte, di rime religiose.

L'ordine che il poeta si sforzò di mettere, negli ultimi anni, nella propria ricca produzione segue criteri assai selettivi (scartando la maggior parte dei testi) e comunque lontani dallo spirito del momento di composizione.

Come per gli altri aspetti del suo impegno letterario, anche per la lirica di Tasso accompagna alla scrittura creativa la riflessione teorica: scrive commenti e riflessioni sopra le liriche del Pigna e di Della Casa, avvia un commento alla propria stessa produzione.

La poesia lirica deve tendere a una fusione di altezza espressiva e di colloquialità, di ricercatezza e di naturalezza, di sublime e di comune.

Fondamentale è poi la musica.

La scrittura lirica di Tasso si presenta in effetti dotata di una trasparenza espressiva e concettuale che costituisce una delle sue principali ragioni di fascino e che collaborò senz'altro all'immediato successo. Ma questa semplicità e immediatezza sono poi inserite in un impianto formale complesso e raffinato, che complica e arricchisce il dettato. Alla metrica innanzitutto è affidata la funzione musicale, protesa o verso una cantabilità avvolgente e seduttiva o verso un andamento singhiozzante e franto. Tipico e insuperabile è in Tasso l'impiego dell'enjambement, la ripresa dei medesimi termini, anche con significato equivoco. Al sapientissimo e inquietante alternarsi di simmetria e asimmetria, di parallelismo e di irregolarità, sono adibite le frequenti figure retoriche, riguardanti soprattutto la sintassi e la disposizione logica degli elementi discorsivi; frequente in particolare risulta il chiasmo.

Petrarca e i maggiori poeti petrarchisti del Cinquecento sono tutti ben presenti a Tasso, che non manca di imitarli e di utilizzarne locuzioni e interi versi.

Anche la specializzazione linguistica e formale che caratterizza il petrarchismo è vissuta da Tasso con molta libertà: egli arricchisce il vocabolario petrarchesco servendosi di latinismi e di termini settentrionali, non disdegnando il rilancio di reperti lessicali danteschi e stilnovistici.

Accanto alle tradizionali canzoni e sonetti, l'opera lirica di Tasso presenta un gran numero di madrigali.

Tra i molti temi, quello nel quale la scrittura lirica tassesca tocca i risultati più convincenti è il tema erotico-galante. Molti testi sono dedicati a donne realmente amate dal poeta; ma dominano nel complesso le composizioni di elogio di donne legate alla vita delle corti.

Variato e mutevole è il coinvolgimento del soggetto nei vari testi, a volte tragicamente partecipe, a volte distaccato.

Nei componimenti di argomento devoto, risalenti per la maggior parte alla produzione tarda, le stesse caratteristiche formali dei testi d'amore sono adibite alla confessione addolorata, alla richiesta d'aiuto e di perdono, soprattutto all'esaltazione dei grandi temi controriformistici della contrizione, della espiazione, della sofferenza risanatrice.

Il bisogno di rassicurazione, di autorità e di equilibrio non possono comunque andar discosti, in Tasso, da una inquieta e contraddetta vitalità.


L'AMINTA


Frutto del periodo di più intensa creatività e di più sereno equilibrio nella vita di Tasso è l'Aminta, stesa in poco tempo nella primavera del 1573, mentre la composizione della Liberata volgeva al termine.

L'Aminta è un dramma pastorale, una «favola boschereccia» in cinque atti. Ogni atto è concluso da un coro, sul modello della tragedia greca.

L'opera venne rappresentata nei pressi di Ferrara nell'estate del '73. La prima pubblicazione a stampa del dramma avvenne al principio del 1581, e subito ne seguirono molte altre, anche fuori d'Italia.

Lo svolgimento dell'azione è estremamente semplice. Il giovane pastore Aminta ama la ninfa Silvia. Entrambi sono inesperti d'amore, e la timidezza di Aminta gli impedisce di vincere la ritrosia della sua amata. Ad aiutare il giovane si impegnano due personaggi maturi, Tirsi e Dafne, la seconda cercando di convincere Silvia ad accettare  l'amore di Aminta, il primo con consigli rivolti al giovane. Questi è indotto a recarsi dove la ninfa è solita fare il bagno nuda; e qui la trova legata a un albero da un satiro che sta per violentarla. Aminta la libera, ma Silvia fugge senza mostrargli alcuna gratitudine. La soluzione della vicenda è infine resa possibile da una serie di malintesi e di voci infondate aventi per oggetto la morte dei due giovani: dapprima ad Aminta è riferito che Silvia è stata sbranata da un lupo; quindi Silvia, in verità illesa, crede che Aminta si sia ucciso per il dolore. Questa notizia vince le resistenze della giovane, che cede all'amore, disperata per la sorte di Aminta. Il suicidio di Aminta è però fallito: gettatosi da una rupe, il giovane è stato protetto nella caduta da un cespuglio. Può così avere luogo il lieto fine con l'intesa tra i due giovani.

Tasso poteva contare anche su un esempio ferrarese, come l'Egle di Giraldi, ma soprattutto il legame con l'egloga pastorale, dalla quale dipende il dramma pastorale, è nettamente interrotto da Tasso: sull'abbandono lirico- sentimentale prevale nel complesso la dimensione teatrale e drammatica.

La complessità culturale dell'opera di Tasso è dovuta anche alla fusione, in essa, di due generi letterari e delle rispettive tradizioni: il teatro e la lirica d'amore. Gli stilnovisti, Dante, Petrarca e il petrarchismo cinquecentesco, la poesia cortigiana quattro- cinquecentesca, tutti cooperano alle scelte stilistiche e formali dell'Aminta. Più ancora: alla influenza dei modelli volgari si affianca quella dei grandi modelli classici, greci e latini. Accanto ai tragici greci (Euripide soprattutto) si collocano il Virgilio bucolico e Catullo, nonchè Ovidio e Lucrezio. Tutti prestano qualcosa a Tasso. Se il modello virgiliano vale a definire lo sfondo paesaggistico, Ovidio suggerisce la mitizzazione dei personaggi, mentre Catullo e Properzio presiedono alla tematica centrale dell'amore- passione. I nomi di Lucrezio e di Euripide introducono poi una ulteriore questione interpretativa, non meno importante: la eventuale tragicità dell'Aminta.

La lettura tradizionale dell'opera negava la presenza di un contenuto tragico. L'Aminta appariva come un'eccezionale parentesi di serenità nella turbata carriera di Tasso.

Il mondo senza turbamento e privo di tensioni della favola pastorale è scosso e sconvolto dalla passione violenta dell'amore, che radicalizza, nell'interpretazione estremistica di Aminta, i valori tradizionali e giunge per questa via a comprometterne, con la morte, la stabilità.

Nell'Aminta non esiste un'interpretazione unica dell'amore. Siamo in presenza di una vera e propria opera "polifonica", nella quale cioè si esprimono voci diverse, senza che l'autore le filtri e disponga in ordine gerarchico. L'amore può essere quello saggio e disincantato dei maturi Tirsi e Dafne, oppure può essere quello radicale ed estremo di Aminta, che comporta lo spossamento dell'individuo e la crisi profonda della sua identità.

Alla base dell'Aminta c'è una contrapposizione radicale, che riguarda direttamente l'ideologia tassesca e la valenza sociale e culturale dell'opera. A recitare il Prologo è Amore in persona, travestito. Questi si dichiara motore effettivo dell'azione che sta per avere inizio, e poi sostiene una sorta di utopia sociale, affermando che il suo potere annulla le differenze tra gli uomini e li ingentilisce.

Dietro i pastori si svela l'allegoria della corte e la sua ideologia tesa ad armonizzare i conflitti sociali e a nascondere le disuguaglianze.

Ma l'operazione di Tasso è a ben guardare più complessa e insinuante: rifiuta il punto di vista della riconciliazione sociale dentro l'orizzonte mitico della pastoralità.

Il Satiro spiega il proprio gesto con ragioni schiettamente sociali, e perfino brutalmente economiche: la sua condizione di "povero" lo rende inviso a Silvia, così che egli è comunque escluso dalla partecipazione alle gioie dell'amore; non gli resta perciò altra soluzione che ribellarsi alle leggi della gentilezza, che lo svantaggiano, e ricorrere a quelle della forza, seguendo le quali può sperare di ottenere migliore fortuna.

Ciò determina un abbassamento e una demistificazione del coro con il quale si era concluso l'atto precedente, dedicato appunto a esaltare la mitica età dell'oro; e stabilisce una equazione amore=oro che mette sotto accusa l'intero sistema dei valori affermato dagli altri personaggi (i pastori).

In Tirsi si specchia il carattere stesso dell'autore. Nell'Aminta la corte è idealizzata e però anche ripecchiata non senza implicite punte polemiche.

La splendida naturalezza dell'Aminta, basata su una scrittura di suprema civiltà letteraria, si offre come una scommessa perduta. La vera unificazione delle coscienze, che il Prologo promette affidata all'amore e alla bellezza, si ritrova compiuta in nome dell'oro.



I DIALOGHI


Con il titolo complessivo di Dialoghi sono chiamati i ventisei dialoghi tasseschi conservati, composti tra il 1578 e il 1595, con una concentrazione particolare negli anni della reclusione a Sant'Anna.

Il genere del dialogo prevede la rappresentazione di un incontro, sempre improntato alla massima socievolezza, tra punti di vista diversi, affidati ciascuno a un personaggio. I dialoghi costituiscono un'esaltazione implicita dell'attività intellettuale e della sua funzione sociale.

La materia affrontata nei dialoghi tasseschi è assai varia: si va da argomenti strettamente filosofici a temi morali o letterari anche legati alla quotidianità e all'autobiografia. Al fondo si intravede un bisogno psicologico di legittimazione, di autodifesa e di autorappresentazione.

E' difficile ricostruire un sistema filosofico coerente: quel che più conta per Tasso è mettere in scena l'esercizio della riflessione e della comunicazione sociale. In ogni caso, si assiste a una conciliazione del pensiero aristotelico e di quello platonico.

La prosa dei dialoghi mostra una straordinaria ricercatezza costruttiva, accresciuta dalle frequenti citazioni e dai riferimenti colti.

Resta suggestivo il bisogno tassesco di disegnare, spesso dal chiuso della prigionia e al tramonto della civiltà rinascimentale, la rappresentazione ideale dei tipi umani e sociali: quasi l'estrema proposta di un'ispirazione alla bellezza e alla perfezione che il classicismo aveva intimamente sentito e che in Tasso diviene tanto più forte in quanto insicura e minacciata.

Ogni rappresentazione configura nella forma del mito la struttura e le relazioni sociali, con un'applicazione del metodo platonico alle occasioni della vita civile. Ma anziché  dare sostegno e vigore alla realtà cui si riferisce, Tasso inesorabilmente comunica il sentimento di una difficoltà di contatto, di un'indifferenza alle forze e alle leggi dei rapporti interpersonali, di una sfiducia nelle relazioni umane e nelle convenzioni sociali.



LE LETTERE


L'epistolario di Tasso è uno dei più importanti della nostra storia letteraria; e uno dei più inquietanti. Al modello dell'epistolario petrarchesco, Tasso contrappone un insieme sostanzialmente caotico e incontrollato di lettere. Né è presente in lui alcun tentativo di fornire attraverso le lettere un'immagine idealizzata di sé. Ciò rientra in una tendenza tipica del poeta a enfatizzare gli aspetti più torbidi e incresciosi della propria esistenza, mirando a una sorta di eroismo nella sventura e di grandezza nella miseria. Ma d'altra parte va anche ricordato che Tasso pensò solo piuttosto tardi a raccogliere le proprie lettere e a curarne una pubblicazione.

Non può essere ignorata anche una esplicita volontà di dare alle proprie lettere il pregio dell'autenticità e dell'immediatezza piuttosto che quello della cura letteraria.

L'epistolario tassesco si qualifica dunque innanzitutto come strumento di intervento e di comunicazione, prevalentemente rivolto alla tutela della dignità personale dell'autore. Questa caratteristica pratica definisce, da un lato, la difficile situazione dell'intellettuale nell'età della Controriforma, dall'altro la specifica tensione stabilita da Tasso con le dinamiche sociali della società cortigiana. E infatti le lettere di Tasso sono spesso centrate su rapporti di potere, soprattutto nel periodo in cui esse si infittiscono maggiormente, nei sette anni di Sant'Anna, quando l'autore tenta di definire lo spazio sociale e umano riservato alla figura dello scrittore e alle sue proprie opere in particolare.

L'espistolario di Tasso è costituito, nel suo complesso, da circa duemila lettere. Molte di più ne sono state scritte dal poeta, ma la maggior parte è andata distrutta o dispersa.

Le edizioni successive a quella del 1588, e soprattutto seicentesche, dell'epistolario non sono completamente affidabili a causa dei numerosi interventi censori compiuti dai curatori, o per scrupoli religiosi o per cancellare quei tratti troppo scopertamente legati alle infelici vicende umane dell'autore.

L'immediatezza biografica di molte lettere non toglie che in esse la scrittura in prosa del Cinquecento abbia uno dei suoi momenti più alti e seducenti: la prosa tassesca, sempre armoniosa e avvolgente, nell'epistolario congiunge una forte carica comunicativa, un bisogno persino spasmodico di ricevere udienza, alla faticosa investigazione di una identità.

Tasso tende a una scrittura che sfiora il genere diaristico, tanto forte e radicale vi appare la ricerca di sé e il coinvolgimento emotivo, sentimentale, intellettuale; e nondimeno l'intento comunicativo non viene mai meno.

La condizione sociale e culturale in cui si svolse la vicenda di Tasso, con le complicate trafile dei rapporti cortigiani e dentro le gerarchie politiche e religiose dell'età controriformistica, determina un effetto di accerchiamento e di angustia, entro il quale si dibatte faticosamente l'urgenza vitale e intellettuale del poeta: una lotta per l'autenticità dentro strutture sociale e attraverso rapporti umani tarlati dall'inautenticità. Proprio le lettere di Tasso, che più di tutti i modelli precedenti scoprono l'interiorità dell'autore, più forte comunicano la sensazione di una inibizione al dire, di una necessità autorepressiva, di una sorveglianza censoria. Anche lo stile risente di questa condizione.



IL RE TORRISMONDO


Più difficoltoso e irrisolto fu il rapporto creativo dell'autore con il genere della tragedia vera e propria, della quale produsse un unico esempio, il Re Torrismondo.

Prima Tasso lavorò a una tragedia intitolata Galealto re di Norvegia. Ma la lasciò poi interrotta alla quarta scena del secondo atto.

In seguito, liberato da Sant'Anna, il poeta riprese il progetto e lo portò a termine mutando il nome dei personaggi e l'ambientazione. La nuova tragedia fu pubblicata a Bergamo con il titolo di Re Torrismondo.

Torrismondo, re di una regione nordica (probabilmente scandinava), ama la principessa norvegese Alvida e ne è riamato; ma lo vincola la promessa di darla in nozze all'amico Germondo, re di Svezia. Il conflitto tra amore e amicizia cede il posto alla scoperta che Torrismondo e Alvida sono fratelli. La donna non regge alla notizia e si uccide; e così fa Torrismondo, sconvolto dalla morte dell'amata.

L'impossibilità dell'amore esprime una visione pessimistica dell'esistenza.

L'ambientazione geografica definisce uno scenario naturale sconvolto dalle forze della natura e una civiltà dominata da un barbarico primitivismo, dove la violenza delle passioni e dei conflitti stenta a trovare dimensioni controllabili. Più che il ritmo dell'azione teatrale interessa a Tasso questo senso di oppressione, di mancanza di vie di fuga.

Il modello di Sofocle è rivisitato attraverso il gusto di Seneca per temi orrorosi, rilanciato d'altra parte nel Cinquecento da Giraldi Cinzio.

Il Re Torrismondo ha scarse qualità teatrali e vale piuttosto come espressione toccante dell'incupimento della scrittura e della prospettiva ideologica dell'autore.


LE OPERE DEVOTE


Nei dieci anni che vanno dalla liberazione da Sant'Anna alla morte, Tasso si dedica soprattutto alla revisione del poema, alla ripresa e al completamento della tragedia lasciata incompiuta e alla composizione di alcuni testi occasionali e soprattutto devoti.

Al 1588 risale il poemetto incompiuto Monte Oliveto. Nel '93 furono invece composti e pubblicati i due poemetti in ottave Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.

L'opera più impegnativa di questo periodo è il poema Le sette giornate del mondo creato, in endecasillabi sciolti. Il poema è diviso in sette parti, una per giornata, e descrive la creazione dell'universo.



LA GERUSALEMME LIBERATA


Capolavoro di Tasso è il poema in ottave Gerusalemme liberata. Esso costituisce la forma criticamente più fortunata, ma niente affatto unica, di un'opera alla quale l'autore lavorò per quasi tutto il corso della propria esistenza.

Argomento del poema è la prima crociata. Essa fu bandita dal papa Urbano II nel 1095 e si svolse tra il 1096 e il 1099 sotto la guida militare di Goffredo di Buglione. Il successo dell'esercito cristiano aveva permesso la conquista di Gerusalemme sottratta al controllo ottomano.

Negli anni della giovinezza di Tasso le minacce della potenza turca e dei pirati saraceni avevano riproposto all'attualità il tema delle crociate, d'altra parte perfettamente coerente con il fanatismo religioso della Controriforma.


Il primo abbozzo del poema risale agli anni tra il 1599 e il 1561. Il giovanissimo poeta si era però impegnato in un'impresa superiore alle sue forze, ed egli fu costretto ad abbandonarla, benché assistito dal favorevole ambiente culturale di Venezia e di Padova e incoraggiato dall'esempio del padre Bernardo.

La rinuncia all'argomento della prima crociata non era definitiva. Si trattava piuttosto, da parte di Tasso, di rafforzare la propria competenza storica e di definire adeguatamente sul piano teorico le caratteristiche del poema eroico quale era sua intenzione realizzarlo con l'opera di argomento storico e non schiettamente fantastico. A entrambe queste esigenze l'autore si dedicò in quegli anni, studiando le trattazioni storiche più attendibili e approfondendo la propria riflessione sul genere epico.

Forte di queste premesse, Tasso riprese in mano il progetto e intorno al 1565 si rimise al lavoro. Il poema fu compiuto nell'arco di circa un decennio: esso risulta ultimato nell'aprile del 1575. Il titolo, forse provvisorio, assegnato dal poeta alla sua opera era quasi certamente Gottifredo (o Goffredo), dal nome del condottiero cristiano protagonista. Ma questo titolo non avrebbe mai accompagnato nessuna delle molte edizioni successive, legate a una vicenda editoriale e a una ricezione assai particolare.

Primi lettori, e anzi ascoltatori, del poema furono il duca Alfonso II e sua sorella Lucrezia. Alfonso, dedicatario del poema, ne desiderava la pubblicazione immediata, ma il poeta mostrava di non esserne interamente soddisfatto, e voleva rassicurarsi sulla sua effettiva validità e tenuta. Bisogna ricordare che il periodo seguente l'ultimazione dell'opera coincide con i primi evidenti segni di malessere psichico da parte di Tasso: questo fatto aiuta a spiegare la rete di delusioni e di ambivalenze nelle quali egli stava per invischiarsi, e rende in parte ragione dell'intricata vicenda editoriale.

Preoccupato soprattutto della riuscita stilistica e della correttezza religiosa e morale del poema, Tasso volle che questo fosse giudicato da alcuni intellettuali fra i più prestigiosi con i quali egli era in rapporto.

Le critiche dei censori, spesso ingiustificate e assurde, furono accolte da Tasso ora con passiva accondiscendenza, ora con furiosa insofferenza, intrecciandosi per altro con la incessante opera di revisione e correzione che egli stesso veniva frattanto compiendo sul testo. Ne conseguirono l'impossibilità di provvedere alla pubblicazione e la complicazione della tradizione testuale.

Al momento della reclusione nell'Ospedale di Sant'Anna, la situazione era ben lungi dal risolversi, e anzi versava in uno stato di massima confusione a causa delle numerose copie manoscritte circolanti, diverse tra loro perché espressione di successivi momenti elaborativi.

Cominciarono ad apparire edizioni parziali e complete con il titolo di Gerusalemme liberata, non autorizzate dall'autore e spesso rimaneggiate dagli editori; neanche il titolo era quello voluto dall'autore, ma è con questo che rimarrà alla storia della letteratura italiana. In seguito Tasso rivide nuovamente e quasi riscrisse totalmente l'opera, dandole il nome di Gerusalemme conquistata. Ma questo è un clamoroso caso di mancato rispetto della volontà dell'autore, che però è giustificato dal fatto che la prima versione del poema, la Gerusalemme liberata del 1575, era già perfetta, mentre la Conquistata risulta un poema diverso, nettamente superato artisticamente dalla prima.

La Gerusalemme liberata è suddivisa in venti canti. Questi hanno in genere una lunghezza prossima alle cento ottave. Nella disposizione dei fatti è stato riconosciuto il modello della tragedia classica quale è descritta dalla Poetica di Aristotele: i venti canti sarebbero raggruppabili in cinque parti, corrispondenti ai cinque atti della tragedia. Della tragedia, in ogni caso, il poema tassesco presenta l'impianto generale: rispetto al centro drammatico, occupato dalla città santa Gerusalemme, alla quale l'esercito cristiano stringe l'assedio, si sviluppano numerose forze centrifughe, messe prevalentemente in moto dagli interventi diabolici; finché il trionfo progressivo del bene fa nuovamente convergere l'azione e l'impegno dei paladini cristiani sulla città assediata, decretandone la caduta. Il poema è dunque costruito secondo la tecnica, specificamente tragica, della peripezia.

La trama si presenta piuttosto semplice. Tasso si limita a narrare la fase conclusiva della prima crociata, relativa all'entrata dell'esercito cristiano in Palestina e all'assedio di Gerusalemme, infine vittorioso.

Riassunto schematico del poema:

I. Proemio e dedica. Dio invia l'arcangelo Gabriele per invitare Goffredo a riunire i principi cristiani, che lo eleggono comandante dell'esercito crociato. Rassegna dell'esercito cristiano. Goffredo manda un messaggio al principe dei Dani. A Gerusalemme il re Aladino si appresta alle difese.

II. Il mago Ismeno prepara inganni. Olindo e Sofronia si offrono come capi espiatori e vengono salvati dal rogo per intervento di Clorinda. Alete e Argante si recano al campo cristiano come ambasciatori per offrire l'alleanza del re d'Egitto, rifiutata da Goffredo.

III. Giunto a Gerusalemme, l'esercito crociato ingaggia i primi scontri con i difensori, Erminia mostra ad Aladino i principi cristiani. Tancredi e Clorinda si battono brevemente. Argante, unitosi ai musulmani, uccide Dudone, cui Goffredo fa tributare alti onori funebri.

IV. Concilio degli dei infernali. Il mago Idraote invia la maga Armida presso il campo cristiano, causando tensioni.

V. Accecati dagli inganni di Armida, i paladini si battono tra di loro, e Rinaldo uccide Gernando, allontanandosi quindi dal campo. Un gruppo di cavalieri segue Armida. Nel campo cristiano mancano i rifornimenti.

VI. Argante sfida i cristiani e intraprende un duello con Tancredi, distratto dalla vista di Clorinda. Il duello viene interrotto al tramonto. Erminia, innamorata di Tancredi, si avvia verso il campo cristiano indossando le armi di Clorinda; ma, avvistata dalle sentinelle, fugge.

VII. Erminia tra i pastori. Tancredi, inseguendo Erminia (che egli crede Clorinda) finisce prigioniero nel castello di Armida. Non potendo Tancredi presentarsi alla ripresa del duello con Argante, il suo posto è preso da Raimondo; ma i demoni trasformano lo scontro in battaglia generale, scatenando poi una tempesta che si abbatte sui crociati.

VIII. Il danese Carlo narra della morte di Sveno. Giunte al campo le armi insanguinate di Rinaldo, lo si crede morto. La furia Aletto spinge Argillano a sobillare i cavalieri italiani, convinti che Goffredo abbia fatto uccidere Rinaldo; ma infine il capitano placa la rivolta.

IX. Solimano, al comando dei predatori arabi, assale di notte il campo cristiano. Da Gerusalemme gli danno man forte Argante e Clorinda. L'arcangelo Michele respinge i demoni all'inferno. All'arrivo di cinquanta cavalieri armati in soccorso dei crociati, Solimano si ritira.

X. Solimano è condotto su un carro alato a Gerusalemme dal mago Ismeno, apparendo nel consiglio di Aladino per incitare a resistere. I cinquanta cavalieri ( fra i quali è anche Tancredi) narrano la loro liberazione dal castello di Armida a opera di Rinaldo, che è dunque vivo.

XI. Processione al Monte Oliveto. Assalto crociato a Gerusalemme, eroicamente difesa da Argante, Solimano e Clorinda. Goffredo è ferito; ma subito risanato per intervento divino. La notte interrompe la battaglia. I cristiani lavorano a riparare una torre d'assalto rimasta bloccata.

XII. Clorinda e Argante si apprestano a incendiare la torre bloccata. Inutilmente Arsete narra a Clorinda delle sue origini cristiane. L'impresa riesce, ma Clorinda resta poi chiusa fuori della città e, non riconosciuta, è uccisa in duello da Tancredi. Questi è consolato da Pier l'Eremita.

XIII. La selva di Saron è incantata a opera del mago Ismeno. Inutili tentativi dei paladini (e di Tancredi) di vincerne l'incanto. I cristiani sono prostrati dalla siccità e dal caldo; ma le preghiere di Goffredo ottengono infine la pioggia ristoratrice.

XIV. Dopo un sogno, Goffredo manda Carlo e Ubaldo a liberare Rinaldo. Carlo e Ubaldo vengono condotti dal buon mago di Ascalona - che narra loro degli amori di Rinaldo e Armida - nelle viscere della Terra.

XV. Condotti dalla nave della Fortuna nelle isole Fortunate, Carlo e Ubaldo giungono dopo varie peripezie nella dimora di Armida.

XVI. Il giardino di Armida. Carlo e Ubaldo convincono Rinaldo a seguirli. Inutili preghiere della maga, che medita vendetta.

XVII. Rassegna dell'esercito egiziano. Armida chiede aiuto contro Rinaldo. Questi intanto giunge presso il mago di Ascalona, che gli fornisce una nuova armatura. Narrazione della genealogia degli Estensi.

XVIII. Rinaldo, tornato al campo cristiano e perdonato da Goffredo, si reca sul Monte Oliveto in meditazione; quindi rompe l'incanto della selva. I crociati possono dunque disporre del legname per le macchine da guerra e concertano l'assalto alla città, che si rivela subito favorevole agli assedianti: Ismeno è ucciso e Rinaldo (con altri guerrieri) riesce a salire sulle mura. La città è di fatto espugnata.

XIX. Duello di Argante e Tancredi e morte di Argante. Rinaldo e gli altri crociati seminano strage dentro la città. Aladino e i suoi si rifugiano nella Torre di David. Vafrino, scudiero di Tancredi, è inviato come spia presso il campo egizio. Incontrata Erminia, insieme si imbattono in Tancredi ferito. La donna lo cura senza farsi riconoscere; mentre Vafrino svela a Goffredo il tradimento di Ormondo.

XX. Schieratosi l'esercito egizio sotto la città, si apre il terribile scontro finale. Inutili, eroiche imprese di Solimano, che viene ucciso da Rinaldo, e di Aladino, ucciso da Raimondo. Armida e Rinaldo si riconciliano, e la donna si converte al cristianesimo. Terminato lo scontro, Goffredo adora il Santo Sepolcro, sciogliendo il voto.


La Gerusalemme Liberata fonda la propria struttura narrativa sui caratteri dei personaggi. Mai forse prima di Tasso un'opera narrativa si era affidata in modo altrettanto radicale ai meccanismi dell'interiorità, a virtù e passioni, a cedimenti e a riscatti. Ciò vuol dire che il tema fondamentale del poema è costituito in ogni senso dall'interiorità dei protagonisti. Il poeta segue e rappresenta minuziosamente i loro pensieri, i loro desideri, anche quelli più nascosti, affondando lo sguardo sugli aspetti più irrisolti, problematici e conflittuali. La dimensione della coscienza non si esaurisce in una prospettiva morale, di tipo religioso e magari edificante; cioè non è soggetta all'ideologia controriformistica pure accolta nella sostanza da Tasso. Piuttosto la coscienza è lo spazio di una tensione tra forze e valori moralmente positivi e forze connotate negativamente.

E' a questa zona oscura dell'interiorità che si oppone l'eroismo dei combattenti. E ciò vale, sia pure in modi diversi, tanto per i guerrieri cristiani quanto per gli "infedeli", anche se la lotta contro l'insensatezza compiuta dai secondi è destinata poi sempre a ripiombare nella vanità, essendole preclusa la sublimazione dei valori cristiani. Proprio per questo gli eroi pagani sono i portatori di un sentimento tragico e disperato che rappresenta il più cupo sfondo espressivo e ideologico dell'universo tassesco. In ogni caso l'eroismo è rappresentato come un'immane lotta contro l'insensatezza, come una sfida alla casualità e all'irrazionalità dei rapporti umani e delle leggi della materia e della storia.

Infatti la stessa zona d'ombra ce si annida dentro l'individuo è presente anche nella realtà esterna, e da questa di continuo minaccia l'integrità e l'equilibrio dell'uomo. Non casualmente il tema della magia ha nel poema una presenza e un'importanza eccezionali; la magia rappresenta il ricorso, per prevalenti fini maligni, alla dimensione sovrannaturale.

Solamente la religione indica un itinerario di salvezza, lungo il quale possano venire preservati l'identità e l'equilibrio individuali e contemporaneamente il soggetto sia posto in condizione di agire, di vincere la resistenza durissima che la realtà materiale offre alle sue imprese. E' anzi soltanto attraverso l'unione di eroismo e di religiosità che può realizzarsi una qualche attribuzione di senso.

Il paesaggio naturale entro il quale si svolge l'azione ben esprime questo sentimento di aspra conquista, da realizzarsi fra le minacce dell'insensatezza e dell'insuccesso. Il paesaggio avvolge le gesta della Liberata di un sentimento prevalente di estraneità o di mistero, con frequenti manifestazioni di ostilità sovrannaturale.

Centrale da ogni punto di vista è poi il tema dell'amore; esso è anzi il vero motivo conduttore del poema, e proprio per questo il campo più denso di significati e di contraddizioni. Da una parte l'amore esprime la dimensione felice e rasserenante pur presente in quella zona d'ombra, soggettiva e oggettiva. In questo senso esso disegna una opportunità di incontro tra gli uomini che fondi sull'armonia e non sullo scontro i rapporti sociali; e ciò allude, anche, a una sorta di apertura utopica, con valenza anche sociale.

D'altra parte, però, l'amore è anche il canale privilegiato seguito dalle forze oscure che dall'inferno minacciano l'individuo allorché erompono e lo dilaniano, fuorviandolo dai doveri sociali e dai valori religiosi. Ed è anche per questa ambivalenza e per questa contraddittorietà che l'amore occupa il centro tematico del poema e ne rappresenta in modo completo la complessità ideologica ed espressiva.

Nella Liberata la guerra acquista la dimensione dolorosa che ne qualifica spesso la rappresentazione dei secoli successivi. Il che non significa che Tasso svolga una critica della guerra: dello scontro militare egli anzi decreta la necessità proprio sul piano filosofico, non esistendo altra strada che quella eroica per vincere l'insensatezza della vita e della storia; ma proprio in questa unione di atrocità e di necessità si annida lo spessore tragico della rappresentazione tassesca, e acquista significato ogni spiraglio che si mostri aldilà di questa condizione: fuga pastorale dalla civiltà o utopia amorosa.


La poetica: fra Aristotele e il Manierismo

L'attività artistica di Tasso si inserisce in una cultura attraversata da un intenso bisogno di ridefinire i propri punti di riferimento. Ciò dipende dalla crisi profonda delle strutture sociali che caratterizzavano la civiltà delle corti rinascimentali e si riflette su tutti i campi del sapere. C'è fra l'altro l'urgenza di ridare sistematicità e coerenza alla cultura cattolica, minacciata dalla Riforma protestante; e questa urgenza si riflette nella integrazione tra punto di vista religioso e specifici orizzonti di ricerca. La cultura della Controriforma consiste anzi innanzitutto in questo bisogno di integrazione: ogni momento della vita umana deve rendere conto alla generale prospettiva cristiana e giustificarsi davanti a essa.

Queste premesse spiegano, sul piano storico, la costante esigenza tassesca di accompagnare la propria attività di scrittore alla riflessione teorica, cioè al chiarimento concettuale (filosofico) delle ragioni e del significato generale delle proprie scelte artistiche. D'altra parte questa esigenza esprime anche il bisogno psicologico di Tasso di riferirsi a un'autorità o a una normativa con funzione di autorità; bisogno cioè di dare un controllo alla materia incandescente della scrittura e di giustificarne così gli aspetti rivoluzionari.

Alla base della teorizzazione tassesca sta la tradizione ferrarese del poema cavalleresco. Ma agli occhi di Tasso si tratta di un modello ormai superato e improponibile. Ciò dipende da tre ragioni fondamentali. 1) La concezione aristotelica, che Tasso fa propria anche per l'epica, esclude la varietà e la discontinuità strutturale, e impone all'azione unità drammatica e organicità compositiva. L'intreccio di azioni, personaggi e avvenimenti sui quali si fonda il metodo di Ariosto deve dunque cedere il posto a una narrazione ordinata e coerente, dotata di un chiaro centro spaziale e tematico, nonché di compatezza temporale. 2) L'invenzione poetica deve tenere conto della verità storica e dunque il ricorso al fantastico e al meraviglioso deve essere limitato e ridotto. Se la storia ha il dovere di rispettare il vero, alla poesia spetta di narrare il verosimile, cioè fatti che sarebbero potuti succedere e che rappresentino lo spirito degli avvenimenti storici. 3) Al poema compete una funzione educativa, in senso anche spiccatamente morale e religioso. La prospettiva laica della tradizione cavalleresca ferrarese deve cedere il posto a una prospettiva cristiana.

A questa esigenza di rinnovamento si unisce però la consapevolezza del rapporto che il genere del poema epico intrattiene con il pubblico. Tale rapporto impone di perseguire il fine del diletto, cioè dell'interesse e del divertimento.

La narrazione (la favola) deve rispettare l'unità dell'azione, ma è anche previsto un arricchimento del racconto con il contributo di episodi secondari. La varietà costituisce un modo di tenere conto dei gusti del pubblico. L'essenziale è però inserire gli episodi secondari dentro una struttura che li contenga in modo organico. La varietà deve essere giocata dentro l'unità complessiva del poema.

Il rispetto della verità storica impone di scegliere come fondamento del racconto un evento realmente accaduto e di rispettarne i caratteri. Esso non deve essere né troppo lontano né troppo vicino nel tempo.

Il ricorso al meraviglioso deve essere giustificato dal punto di vista religioso; deve cioè rispondere ai precetti della fede cristiana e mostrarne la fondatezza e la validità. Ciò definisce il meraviglioso cristiano sostenuto da Tasso, al quale spetta di attrarre il pubblico grazie all'elemento fantastico e sovrannaturale, e che però si fa carico di veicolare le categorie canoniche della ortodossia religiosa.

La funzione educativa del poema si esplica innanzitutto attraverso la scelta di un argomento di forte significato culturale. La prima crociata diviene nella Liberata sia un modo per riflettere sul bisogno di unità della cristianità minacciata dai Turchi, sia un modo per rappresentare lo scontro tra forze positive e divine e forze negative e diaboliche.

L'intenzione di dominare il molteplice riducendolo a unità, ovvero di ricondurre il complesso al semplice, risponde a una delle esigenze di fondo della cultura manierista. E così pure il bisogno di fare i conti con il tema del piacere (o del diletto), misurato sul gradimento del pubblico. La finalizzazione morale del meraviglioso cristiano è anche un modo di controllare e giustificare dati perturbanti e percepiti come minacciosi (o colpevoli).

La teorizzazione complessiva di Tasso non costituisce, infine, un tentativo di riformare il poema cavalleresco; ma rappresenta piuttosto la fondazione di un nuovo genere: il poema epico cristiano. Esso adegua alla nuova cultura del Manierismo i modelli della civiltà rinascimentale, rielaborandone in parte i medesimi riferimenti classici. Il moderno poema epico deve dunque nascere dalla fedeltà all'esempio epico classico (teorizzato da Aristotele) e dalla esigenza di adeguarlo alla prospettiva cristiana controriformistica e ai moderni gusti del pubblico.


Le fonti del poema

Il riferimento al modello del poema epico classico è centrale nel rinnovamento operato da Tasso. La scelta del tema eroico impone in particolare un riferimento all'Iliade omerica: per sottolineare il rapporto, Tasso porterà il numero dei canti, nel rifacimento della Conquistata, da venti a ventiquattro (quanti sono i libri del poema greco). Appartiene alla tradizione omerica anche la valorizzazione del passato storico quale momento fondativo della identità nazionale. E se in Tasso i nemici sono rappresentati, coerentemente alla base religiosa della sua scrittura, come "infedeli" e privati del riconoscimento di parità che è in Omero, tuttavia non manca, nella Liberata, uno spazio per l'eroismo e la generosità dei guerrieri pagani, anche quando sia assente il momento catartico della conversione al cristianesimo. Un ulteriore elemento di analogia con l'Iliade è rappresentato dal ruotare dello spazio dell'azione attorno a una città assediata: Gerusalemme in Tasso, Troia in Omero.

Più significativo è comunque il riferimento al modello dell'Eneide virgiliana, della quale Tasso condivide, fra l'altro, la rappresentazione tragica del tema erotico, la malinconica raffigurazione della virtù, l'importanza assegnata al paesaggio e al suo rapporto con i personaggi e con l'azione.

Da questo punto di vista, risulta essenziale la scelta di utilizzare dentro la struttura solenne e grandiosa del poema eroico le risorse rappresentative e stilistiche della tradizione lirica, sia nella variante volgare "moderna", sia nella variante classica dei lirici latini.

Il rapporto con Petrarca non comporta una dipendenza formale dal Canzoniere: Tasso definisce anzi un modello di scrittura che per più aspetti rinnova e oltrepassa i caratteri del petrarchismo. Ciò che conta è piuttosto la relazione strettissima con le tensioni fra dovere morale e pulsione del desiderio che sono alla base della personalità petrarchesca. Tale dissidio è anche in Tasso portatore di una lacerazione interiore, la quale diviene anzi tanto più forte in quanto inserita dentro una civiltà e una cultura repressive e rigide come quelle controriformistiche.


L'ideologia tassesca: l'amore, la guerra

La fondazione del moderno poema eroico cristiano comporta l'attuazione, da parte di Tasso, di un'operazione letteraria non troppo dissimile da quella compiuta 250 anni prima da Dante con la Commedia: le strutture e i valori di una civiltà precedente vengono utilizzati e rielaborati secondo una prospettiva nuova che li rifonda e riqualifica.

Tasso deve operare sulla civiltà umanistico-rinascimentale la stessa azione di appropiazione dantesca, secondo la nuova prospettiva della cattolicità controriformistica. La novità principale intervenuta dopo Dante è, rispetto all'individuo, la problematizzazione della dimensione interiore (psicologica e affettiva). La tensione non è più, come in Dante, tra l'individuo e una definita gerarchia di valori; ma si è spostata dentro l'individuo stesso, perché la sua interiorità si è allargata al punto da contenere il conflitto, da portarlo con sé e viverlo.

La modernità del modello proposto da Tasso sta in questa problematizzazione della dimensione interiore. D'altra parte lo spazio rappresenta un aggiornamento assai significativo dell'orizzonte petrarchesco. La dimensione geografica non è più quella favolosa della tradizione cavalleresca; ma piuttosto disegna una centralità del Mediterraneo ben rispondente allo scenario politico-militare del Rinascimento. E la stessa prospettiva militare allontana il più delle volte l'idealizzazione cortese e cavalleresca (presente anche in Ariosto) per aprirsi alla dimensione tragica della guerra vera, del dolore e dei mostruosi, in una affermazione della fisicità radicalmente nuova e sconvolgente. Dietro le tecniche ancora tradizionali di combattimento praticate nella Gerusalemme balena l'esperienza moderna delle armi da fuoco e della guerra di massa, con le relative carneficine.

La dimensione della guerra è quella che meglio definisce la prospettiva eroica del poema voluto da Tasso. Intanto, la condizione del conflitto evidenzia il carattere «perfetto» dei protagonisti, implicito, secondo la poetica tassesca, nella natura dell'eroismo. Perfezione significa qui esemplarità e radicalità: la guerra in quanto dimensione estrema conferisce evidenza a vizi e virtù, smascherando i compromessi e le finzioni, e soprattutto imponendo una soluzione al conflitto interiore degli individui. Da questo punto di vista, la guerra degli eserciti o fra singoli, comunque la guerra oggettiva, corrisponde alla guerra dentro la coscienza, alla guerra nei soggetti. Ma, nello scontro, al soggetto è imposto di riacquistare integrità: la necessità di prendere posizione implica la necessità di risolvere le contraddizioni interiori.

La guerra è la condanna della condizione umana; e la sua assurdità viene amplificata dai tragici scenari delle tecniche belliche moderne. E' però solamente dentro questa condanna che il destino umano può realizzarsi, e il pericoloso conflitto interiore può oggettivarsi e risolversi. Tale concezione mostra la radicalità (e l'inclinazione socialmente pessimistica) del pensiero tassesco, al quale è estranea la prospettiva della mediazione.

Alla guerra può contrapporsi solamente una prospettiva di soluzione radicale dei conflitti (una soluzione perciò non storica, processuale, dialettica, relativa, mondana). Tale soluzione si disegna come dimensione integralmente "altra", presagita in termini di tensione utopica; ed è affidata in prevalenza al tema dell'amore (sul tema dell'amore, e sulle ambivalenti rappresentazioni nel poema).


Lo stile, la lingua, la metrica

La Gerusalemme liberata si colloca all'incrocio di vari generi letterari: rinnovando la tradizione del poema cavalleresco, essa collabora di fatto a fondare la narrativa moderna, operando la funzione che in altri paesi europei è assunta dal romanzo (assente in Italia), e costituisce anche un punto di riferimento importante per la nascita del melodramma. Questa centralità della Liberata è dovuta anche alla sua difficile riconducibilità a un genere letterario definito (così come avviene per la Commedia dantesca). Il poema eroico come viene concepito da Tasso deve anzi abbracciare in modo costitutivo più dimensioni rappresentative e formali, proprio per poter adempiere in effetti la propria modellizzazione del mondo e per poter, d'altra parte, congiungere unità e varietà.

La varietà si definisce anche come compresenza di diversi registri espressivi e formali. Nel poema tassesco si ripropone dunque, per la prima volta dopo il severo monolinguismo petrarchesco, una prospettiva stilistica plurima. E' anzi questo uno degli aspetti in cui più netto risulta il distacco dal modello formale di Petrarca.

Il pluristilismo della Liberata si nutrì senza dubbio anche della lezione dantesca. Ma la distanza dalla Commedia è significativa: il pluristilismo di Dante risponde a un'istanza prevalentemente realistica, ed esprime dunque una forma di controllo, attraverso la rappresentazione, sul mondo; in Tasso la compresenza di diversi registri stilistici è invece il segno, ancora una volta, di una lacerazione, di una impossibilità di mediare dimensioni distinte o stati d'animo contraddittori.

Un primo livello di tensione è tra raffinato magistero classico e tendenza alla forzatura, all'eccesso, allo smisurato, il che implica una carica di espressività (e perfino di espressionismo) in urto con la ricerca di compostezza classica. Anche da questo punto di vista, la proposta di un poema eroico cristiano, in quanto incontro di classico  e di moderno, sconta una contraddizione interna tra equilibrio ed inquietudine, tra idealizzazione ed esperienza mondana.

Il pluristilismo tassesco non abbraccia l'intera gamma delle possibilità, e ruota attorno ai due registri dell'epica e della lirica. L'epica e la lirica corrispondono alle due istanze fondamentali della scrittura di Tasso: quella eroica (orientata verso il sublime, l'equilibrio e la compostezza) e quella intimistica (orientata verso l'espressività più accesa e la raffigurazione psicologica).

Da una parte il linguaggio epico tassesco si costruisce sui maggiori modelli classici, nella ricerca di altezza e nobiltà espressiva; dall'altra la classicità di tale linguaggio è di continuo minacciata da qualcosa di eccessivo, di sproporzionato, di turbato. I due momenti, inoltre, non sono semplicemente alternati, ma fusi in modo indissolubile e spesso anche con effetti contraddittori. La frequenza, a livello stilistico, di simmetrie e di antitesi, di chiasmi e inversioni, di perifrasi e anafore testimonia l'agitarsi, nella scrittura tassesca, di quelle stesse tensioni manifestate dalla miscela lessicale: è perlopiù impossibile, nella Liberata, la valorizzazione del dato lessicale semanticamente più produttivo. Ciò comporta e rivela un coinvolgimento costante e ravvicinato del narratore, cioè una componente lirica, anche nelle parti più propriamente epiche ed eroiche.

La tensione riscontrabile nello stile e nel lessico, teorizzata da Tasso come «parlar disgiunto», ha nella metrica uno dei suoi strumenti fondamentali. L'endecasillabo è nella Liberata spesso sonoro e avvolgente, ma la sua autosufficienza musicale è sempre minacciata dalla scarsa o mancante corrispondenza tra respiro metrico e respiro logico-sintattico. Ne consegue una presenza eccezionale di enjambement, nella cui valorizzazione Tasso risentì certamente della lezione di Della Casa. Attraverso l'enjambement, Tasso arricchisce di effetti patetici e intensi la sonorità della propria pagina. D'altra parte, la spezzatura che l'enjambement impone nella sintassi ottiene il duplice effetto di mostrare l'artificialità dell'intelaiatura metrica e la convenzionalità di quella logico-sintattica. Ciò significa esibire il rispetto delle regole compositive; ma proprio in questo si manifesta un'alterazione della classicità, per la quale tale regole vivono nella loro dissimulazione, cioè naturalizzate. La sottolineatura del carattere artificiale della scrittura definisce ancora una volta l'appartenenza di Tasso alla grande arte manierista, e annuncia l'esperienza del Barocco.




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