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Riassunto 1° capitolo Promessi Sposi
È possibile suddividere il primo capitolo, che fissa il luogo e il tempo del romanzo, in cinque parti:
descrizione del paesag 717d37h gio;
passeggiata di don Abbondio;
descrizione dei bravi;
dialogo tra don Abbondio e i bravi;
dialogo tra don Abbondio e Perpetua.
Nei versi 1-50 è presente la descrizione del paesag 717d37h gio, minuziosa e meticolosa, ma giustificabile in quanto il Manzoni, che aveva una poetica basata sul realismo, intendeva mostrare un aspetto reale e non fantastico dei luoghi presenti nella sua opera. Quindi, nella descrizione, sono presenti tutti i particolari della riva del lago di Como, che si restringe fino a rassomigliare ad un fiume. Ed è proprio nei pressi di questo fiume che don Abbondio compie la sua passeggiata giornaliera, leggendo il suo breviario e meditando e talvolta, tra una preghiera e un'altra, metteva l'indice della mano destra nel libro per non perdere il segno e intanto scacciava coi piedi dal sentiero le pietre che ostacolavano il suo cammino. Successivamente, alzando lo sguardo, vide una cosa che non avrebbe voluto vedere: due uomini poggiati ad un muretto, che dai vestiti erano sicuramente dei bravi, una "specie" floridissima nella Lombardia del seicento.
Nei versi 90-175 il Manzoni inserisce le "gride contro i bravi", cioè tutti quei decreti dei governatori di Milano per scacciare questa gente (i bravi) dal territorio, che però non avevano sortito nessun effetto in quanto questi governatori, anziché proteggere i deboli, sprecavano tempo a fare guerre e quindi resero inattuabili quei decreti che venivano sempre più spesso emanati.
Dal 176° al 255° verso c'è il colloquio forzato tra don Abbondio e i bravi, i quali intimano al curato di non celebrare mai e poi mai le nozze tra Renzo e Lucia, in quanto don Rodrigo, signorotto del luogo, si era invaghito di Lucia e non voleva permettere che questa fosse data in sposa a qualcun altro (Renzo). E a don Abbondio, che sicuramente non era nato con un cuore di leone, non resta che affermare umilmente di fare ciò che gli era stato imposto.
Successivamente (versi 256-375) è rappresentato il sistema di don Abbondio ("un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro") che non era giunto a farsi prete per vocazione, ma piuttosto per convenienza: infatti, con i tempi che correvano, cercava in questo modo di difendersi dalle violenze rifugiandosi in una classe "riverita e forte", e cioè quella ecclesiastica; un altro suo sistema per non correre rischi, o almeno per limitare i danni, era quello di schierarsi dalla parte del più forte, di girarsi al cambiare del vento, nel caso fosse strettamente necessario prendere parte ad una discussione.
Dal 376° verso alla fine, è presente il colloquio tra don Abbondio e Perpetua, la sua fedele e affezionata serva. Con lei il curato si sfoga della brutta giornata passata a causa dello spiacevole incontro, e inveisce contro Renzo e Lucia, che, a parer suo, non sapendo che fare, si innamorarono e vogliono sposarsi. Naturalmente raccomanda a Perpetua di non proferire parola di ciò che lui le aveva detto. Perpetua allora, decide di scrivere una lettera all'arcivescovo di Milano per metterlo a conoscenza della situazione; ma questa buona azione della serva si dimostra inutile agli occhi di don Abbondio, che la ferma dicendole che, quando si ritroverà una pallottola nelle spalle, sicuramente non sarà l'arcivescovo a togliergliela. Così dicendo, convince la domestica a tacere con tutti, e si allontana, ritirandosi nella propria stanza.
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