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L'ERMETISMO - EUGENIO MONTALE - La vita, Le opere - Poesia: SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO

letteratura



L'ERMETISMO


La corrente ermetica deve il nome al suo aspetto più estrinseco, vale a dire a una certa oscurità di espressione che è comune ai poeti di questo gruppo, e che deriva dal ripudio dei legami logici che normalmente collegano le parti del discorso, e ai quali vengono sostituiti accostamenti di immagini secondo una tecnica arditamente analogica. Questa nuova tecnica metaforica e simbolista, che i poeti italiani hanno derivato soprattutto dalla moderna poesia francese, sottolinea i motivi dominanti della poesia ermetica: la solitudine dell'uomo, incapace di "sentirsi in armonia" col resto del mondo, e quindi chiuso in se stesso; la sua sofferenza, aliena da abbandoni, fermamente contenuta, ed espressa attraverso un linguaggio scabro nel quale la parola, svincolata dalle forme metriche tradizionali e scavata in profondità, assume nuovi valori suggestivi ed evocativi. Il caposcuola del movimento ermetico, che contava dei precursori, nel periodo e ambiente vociani, in Dino Campana e Arturo Onofri, è Ungharetti; e all'ermetismo appartengono in varia misura la maggior parte delle voci poetiche del nostro tempo, da Montale a Quasimodo, a Luzi, Sereni, Sinisgalli, Gatt ecc.

Al di fuori delle scuole e dei movimenti poetici innovativi, e pure modernissima di timbro, si svolge la poesia del triestino Umberto Saba, che propone, sulla scia della tradizione romantica, una costante apertura del poeta verso la realtà. Nella qu 757d31h ale direzione si impegna, sullo scorcio del periodo preso in esame, e pur con forme del tutto diverse, Cesare Pavese nei versi di "Lavorare stanca" (1936), che instaurano una poesia narrativa e discorsiva, in antitesi col movimento ermetico.




EUGENIO MONTALE


w La vita.


Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896, sesto e ultimo figlio di Domenico (che morirà nel 1931) e di Giuseppina Ricci (che morirà nel '42). La famiglia appartiene a una borghesia piuttosto agiata. Fin da bambino Eugenio trascorre le estati a Monterosso nelle Cinque Terre, sulla costa ligure dove il padre ha costruito una villa.

Dopo le scuole tecniche, nel 1915 si diploma ragioniere, allargando ben presto il campo dei propri studi con vaste letture da autodidatta, soprattutto nel campo delle moderne letterature europee e della filosofia. Studia canto con ottimi risultati, ma il debutto è impedito prima dalla guerra alla quale partecipa dal settembre del 17 ‑ e poi dalla morte del maestro Ernesto Sivori. In guerra conosce Sergio Solmi, tra i suoi primi critici, e dopo la pace frequenta l'ambiente genovese della rivista "La riviera ligure" e quello torinese di "Primo tempo". Qui escono nel '22 le sue prime poesie.

A Torino viene pubblicata nel `25 da Piero Gobetti (che verrà ucciso l'anno successivo dai fascisti) la prima edizione degli Ossi di seppia, firma il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto dal filosofo Croce. Svolge intensa attività di critico, contribuendo fra l'altro alla scoperta del grande romanziere Italo Svevo.

Nel '27 si trasferisce a Firenze, dove nel '29 viene nominato direttore del Gabinetto Vieusseux, dal quale sarà licenziato nel '38 perché non iscritto al partito Fascista. Frequenta il gruppo delle "Giubbe rosse". Nel '33 conosce la studiosa americana Irma Brandeis con la quale ha per alcuni anni una relazione irregolare. A 1ei, che compare col nome di Clizia in molte poesie, dedica Le occasioni, uscite nel '39. Nello stesso anno comincia a convivere con DrusillaTanzi (detta Mosca), che morirà, un anno dopo il matrimonio, nel '63.

Licenziato dal Vieusseux, vive di traduzioni e collaborazioni letterarie, finché, nel '48, viene assunto dal "Corriere della sera". Deve trasferirsi così a Milano,ma frequenti sono i viaggi fuori Italia per reportages giornalistici. Intanto la delusione ha preso il posto del clima di entusiasmo seguito alla fine della guerra e alla Liberazione, nel quale Montale era stato coinvolto, impegnandosi nel Partito d'Azione e partecipando alla fondazione del quindicinale "Il Mondo". Nel '56 pubblica La bufera e altro.

Nominato senatore a vita nel '67, riceve il premio Nobel nel '75.

Nel 71 esce Satura, dopo alcuni volumi di prose, nel 73 il Diario del '71 e del '72, nel '77 il Quaderno di quattro anni. Nell' '80 esce l'edizione critica dell'Opera in versi.

Montale muore a Milano il 12 settembre 1981. Vengono celebrati in forma solenne i funerali di stato e la salma è sepolta nel cimitero di San Felice a Enna, nei pressi di Firenze, accanto alla moglie.


w    Le opere.


Il primo libro di Montale, Ossi di seppia (1925), racconta il paesaggio arido e scarno della costa ligure, alla ricerca non tanto di armonia e serenità, quanto le crepe e i segni di una minaccia o di una disarmonia.

Il poeta non porta la luce di una verità superiore, equilibratrice e serenatrice, ­piuttosto si riconosce nei frantumi, identificandosi nella loro mancanza di significato, rivolgendosi appunto agli "Ossi di seppia" del titolo, residui e scarti dell'azione del mare.

Anche lo stile e il linguaggio sono nuovi e personali e sottolineano l'aridità e la difficoltà del vivere.

Lo sfondo storico del fascismo, nel frattempo andato al potere in Italia, caratterizza Le occasioni (1939).

Tutte le manifestazioni dell'arte e della cultura diventano per Montale una specie di religione laica, capace di opporsi al fascismo ‑ inteso come incultura e barbarie‑ e di costituire una possibile difesa contro le forze del male che già stanno preparando la guerra e la distruzione dell'Europa.

Il mito centrale di Clizia, la donna‑angelo portatrice di significati autentici, si contrappone alla niancanza di senso e alla inautentici­tà che caratterizzano l'Italia fascista: l'opposizione alla dittatura, concepita come rozzezza e ignoranza, è possibile solo attraverso il lavoro nello splendido isolamento della cittadella delle lettere.

La conclusione delle Occasioni annuncia Io scoppio della guerra (1939): Clizia si ritira in un sonno difensivo al quale vengono affidati i valori stessi della civiltà, minacciata dal conflitto.

La prima parte del terzo libro di Montale, La bufera e altro (che uscirà in volume nel 1956), rappresenta appunto questa condizione di catastrofe cosmica e di disperata difesa individuale.

La caduta del fascismo, la fine della guerra, il riscatto della resistenza partigiana all'occupazione tedesca (1943‑45) e l'ottimismo generale degli anni della ricostruzione determinano un clima  di fi­ducia e ottimismo, anche in Montale.

Ma presto Montale intuisce il fallimento delle speranze postbelliche e, a partire dal '48‑49, giudica nau­fragata non una particolare condizione della civiltà occidentale - come durante il fascismo ‑ ma quella civiltà in se stessa.

Si conferma in via definitiva che non solo il fascismo ma la società di massa sono per Montale i segni infernali del tramonto della civiltà, che coinvolge ora anche la fine della poesia.

Con la conclusione della Bufera, Montale non scrive più poesie.

Il ritorno alla poesia avviene, con Satura (197I), su basi in gran parte nuove.

Dal punto di vista dei contenuti, si assiste a una violenta critica dei mali della società di massa, ma la condanna del poeta si abbatte sulla condizione delluomo in quanto tale, in un pessimismo radicale e nel rifiuto di qualsiasi consolazione poetica.

Dal punto di vista dello stile è abbandonato il tono alto (e spesso impegnato) che caratterizza la poesia montaliana fino alla Bufera: il lessico si apre al finguaggi speciali e ai termini di moda, la metrica tradizionale è respinta e lo stile si rivolge al parlato della prosa.

Secondo una calzante metafo­ra deflo stesso autore, i primi tre libri sembrano scritti in frac, il quarto sembra scritto in pigiama.

Al mito femminile di Clizia è qui sosti­tuito quello, in formato domestico, della moglie morta, chiamata affettuo­samente Mosca per la reale somiglianza all'insetto. La sua visione delle cose scanzonata e pungente mette in ridicolo la tragedia di una sconfitta e dà il tono di una farsa alla crisi di tutta un'epoca.

E la poesia rimane nel suo inutile opporsi a un mondo ormai indecoroso.


w    Poesia: SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO.


Metro : due quartine composte da endecassillabi, ad eccezione del verso finale, che consta di due settenari, di cui il primo sdrucciolo. Le rime sono ABBA e CDDA.



Spesso il male di vivere ho incontrato :

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.


Bene non seppi, fuori del prodigio

Che schiude la divina Indifferenza :

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


Commento

La vita è dolore, e il dolore si rivela all'uomo anche negli aspetti più consueti della realtà.

Per non lacerarsi di pena non resta altra difese che l'indifferenza, la "divina indifferenza". Come sempre il pensiero di Montale si esprime attraverso immagini aride e tese, prive di ogni concessione al patetico e pur ricche di emozione interna.

Analisi del testo


Il testo può essere additato come esemplare del "correlativo oggettivo" montaliano, ossia del rapporto che la parola stabilisce con gli, oggetti da essa nominati. Il primo verso introduce un movimento che va dal soggetto alla realtà, dall'astratto al concreto. Il poeta, che interviene in prima persona, esprime il motivo di una tipica condizione esistenziale, il "male di vivere", ma usa un verbo ("ho incontrato") che materializza il concetto, presentandolo quasi come una presenza reale e fisicamente tangibile. Il "male di vivere" non viene evocato attraverso forme o componimenti di paragone, in un senso metaforico e analogico, ma si identifica direttamente ("era") con le cose che lo rappresentano, emblemi nei quali si incarnano e si rivelano il dolore e la sofferenza: "il rivo strozzato della gorgoglia", "l'incartocciarsi della foglia / riarsa", "il cavallo stramazzato". Il malessere esistenziale del poeta prende corpo nella realtà, che ne riproduce concretamente le espressioni, attraverso immagini di tormento soffocato e affannoso, di un'arsura che si sgretola, di un accasciamento pesante e mortale; rovesciando quindi le impressioni di gioia e di vita che, normalmente, suggeriscono le presenze evocate del ruscello, della foglia e del cavallo. Queste immagini sono rese più sensibili dal gioco delle allitterazioni e delle corrispondenze foniche ("strozzato" / "stramazzato", con ulteriore rima interna, come sbocco e destinazione semanticamente "forte" di "ho incontrato"; le allitterazioni delle liquide r e l, spesso unite ad altra consonante, a rendere più faticosa la pronuncia, oppure precedute dalle vocali e ed a, come in "era", "incartocciarsi", "riarsa").

In opposizione al "male di vivere" che si manifesta negli aspetti più comuni della natura, non vi può essere per Montale altro "bene" che l'atteggiamento di stoico distacco e di "indifferenza" assunto dalla divinità di fronte alla miseria del mondo. Ai tre emblemi del "male" si contrappongono così nella seconda strofa, con studiato parallelismo, tre correlativi oggettivi di questa specie di "bene": la statua, la nuvola e il falco. La tripartizione, ora, non è più scandita dalla triplice anafora di "era" ( il verbo compare solo una volta, v. 7), ma viene nettamente scandita dalle virgole e dal polisindeto ("e.e."). ricompare anche, ai vv. 6-7, la forma dell'enjambement, "sonnolenza/del meriggio" (ai vv. 3-4 "foglia/riarsa"). A segnare la contrapposizione tra le due terne di immagini, la rima "levato" del v.8, che indica un movimento dal basso verso l'alto, è antitetica rispetto a quella dell'ultimo verso della strofa precedente, "stramazzato", che presupponeva un movimento inverso. Alla "dimensione" orizzontale della prima parte, più in generale, si sostituisce nella seconda parte della verticalità; ma anche qui le immagini si collocano in specie di immobilità irreale, emblemi freddi e incombenti, ma sempre privi di vita (l'aridità del "meriggio" è, per Montale, la condizione in cui il tempo appare come sospeso).





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