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Giuseppe Parini (Bosisio, Como, 1729 - Milano, 1799)

letteratura



GIUSEPPE PARINI


Giuseppe Parini

(Bosisio, Como, 1729 - Milano, 1799)


Nello sviluppo dell'attività poetica di Parini ebbero molta importanza le prime esercitazioni e gli esperimenti condotti nell'ambito del gusto arcadico. Classicismo e razionalismo, eleganza e impegno civile si coniugarono progressivamente all'interno della forma tradizionale delle Odi, anch'essa di derivazione classica e arcadica, ma da Parini ricostruita con un forte intento moralistico fino dalla prima raccolta pubblicata nel 1752 con il titolo di Alcune poesie di Ripano Eupilino.

La formazione letteraria giovanile e la scelta di prendere gli ordini minori (nel 1754 Parini venne ordinato sacerdote) consentirono al poeta di intraprendere l'attività di precettore privato: dapprima al servizio della famiglia milanese dei Serbelloni, poi (dal 1762) in quella degli Imbonati come insegnante del giovane Carlo (futuro compagno di Giulia Beccaria e celebrato in un'ode da Alessandro Manzoni). Lo stretto contatto con la nobiltà milanese, la frequentazione quotidiana dei vizi e delle virtù dell'aristocrazia, le loro ipocrisie e piccolezze, entrarono a far parte del bagaglio dell'esperienza pariniana e generarono ora risentimento e rifiuto, ora un atteggiamento ambiguo di frustrazione e emarginazione. Nel Dialogo sopra la nobiltà, composto nel 1757, Parini contrappone il poeta al signore aristocratico: entrambi posti in una situazione di paradossale uguaglianza (i due personaggi sono morti e il dialogo è ambientato in un sepolcro), il poeta incalza il nobile con argomentazioni e accuse, riproponendo un'antica contrapposizione tra intellettuali e potere con un tono polemico e satirico. Ma anche in questo caso le accuse lanciate alla nobiltà non implicano la ricerca di un sovvertimento dei valori e delle gerarchie: semmai Parini pensa a una nobiltà illuminata, riformista, moderatamente aperta alle novità, ed egli stesso si pone come educatore di questa élite e mediatore di superiori valori di equilibrio, di senso civile.



Nella sensibilità degli scrittori del primo Ottocento, l'esperienza letteraria di Parini, grazie soprattutto al poemetto Il Giorno, fu recepita come emblematica di una situazione storica (il tramonto dell'aristocrazia, i valori civili, il taglio educativo dato alla letteratura) e fortemente modellizzante sul piano delle scelte linguistiche e stilistiche.


Giuseppe Parini nasce il 22 maggio 1729 a Bosisio, sul lago poi prosciugato di Pusiano presso Como, da una famiglia dedita al commercio della seta. A nove anni viene affidato ad una prozia paterna di Milano, e là frequenta le scuole di Sant'Alessandro, tenute dai Barnabiti. Alla morte di lei, nel 1741, il giovinetto potrebbe trovarsi erede di una modesta rendita qualora si facesse prete. Parenti e amici, considerando le precarie condizioni economiche della famiglia e la debole costituzione fisica del Parini, lo spingono ad accettare pur di continuare gli studi, portati a termine nel 1752.

Nello stesso anno esce la sua prima raccolta di rime, dal titolo Alcune poesie di Ripano Eupilino, il cui successo permette al poeta di entrare nell'Accademia dei Trasformati (1753), di indirizzo arcadico. L'anno seguente viene ordinato sacerdote e poi assunto dal duca Gabrio Serbelloni come precettore dei figli.

Risale forse al 1756 la composizione della prima tra le Odi, La vita rustica; e in quell'anno il Parini si impegna in un'accesa polemica letteraria contro il padre servita Alessandro Bandiera, alla quale segue quella contro il padre Paolo Onofrio Branda, suo antico maestro di retorica, sull'opportunità di usare i dialetti (1760). Nel 1757 scrive il Dialogo sopra la nobiltà, e probabilmente nel 1761 il Discorso sopra la poesia.

Si licenzia da casa Serbelloni nel 1762 per gravi disaccordi con la duchessa, e due anni dopo entra al servizio del conte Imbonati, anche in questo caso come precettore. Uno dei suoi allievi è Carlo, più tardi compagno della madre del Manzoni, Giulia Beccaria. A lui il Parini dedica l'ode L'educazione (1764). Nel frattempo viene 111e44b pubblicato Il Mattino (1763), che costituisce la prima parte del Giorno, il capolavoro pariniano, alla quale segue, due anni dopo, Il Mezzogiorno.

Mentre lavora alla terza parte del poemetto, La Sera, il poeta, nella vana speranza di ricevere un'offerta d'insegnamento dall'università di Milano, rifiuta un incarico presso quella di Parma. Finalmente, grazie all'interessamento del ministro plenipotenziario Carlo di Firmian, ottiene dall'amministrazione austriaca prima la direzione del giornale "La Gazzetta di Milano" (1768) e poco dopo la nomina a professore di belle lettere nelle Scuole Palatine (trasformate in Regio Ginnasio di Brera nel 1773).

Il lavoro impegnativo non lo distoglie dai suoi interessi poetici e da una feconda attività letteraria: compone un melodramma di grande successo, l'Ascanio in Alba, rappresentato alla corte di Vienna con musiche di Mozart (1771), e molte Odi, la cui stesura proseguirà fino al 1795. Viene accolto come socio anche nell'Arcadia di Roma con lo pseudonimo Darisbo Elidonio (1777). Non riesce invece a portare a compimento il proposito di completare Il Giorno entro il 1791: sarà infatti solo nel 1801, due anni dopo la morte del poeta, che usciranno Il Vespro e La Notte, le ultime due parti del poemetto che nel corso della redazione avevano sostituito La Sera del progetto originale. Nel 1787 lascia il Ginnasio per assumere l'incarico di sovrintendente delle scuole pubbliche di Brera.

Il Parini accoglie scetticamente l'ingresso dei Francesi a Milano nel 1796: egli ha seguito con favore l'affermazione delle idee rivoluzionarie, ma è di fatto un moderato che ha visto deluse le proprie aspettative e deplora gli eccessi del nuovo governo. Accetta perciò senza convinzione di partecipare ad alcune sedute della Municipalità di Milano, ma dopo poco preferisce dare le dimissioni. Intanto peggiorano le sue condizioni di salute, da sempre precarie.

Gli Austriaci rientrano al governo della città nell'aprile del 1799; il poeta muore il 15 agosto, poche ore dopo aver scritto un sonetto per dar loro il benvenuto, ma anche per esprimere tutti i suoi dubbi e le sue perplessità sul rischio che i vincitori si abbandonino a facili ritorsioni.

L'anno di stesura di molte opere del Parini è basato su ipotesi e ricostruzioni spesso attendibili, ma non certe. La prima raccolta di versi, Alcune poesie di Ripano Eupilino, pubblicata nel 1752, contiene novantaquattro testi divisi in due sezioni, le Poesie serie (cinquantaquattro) e le Poesie piacevoli (quaranta). Nella prima parte sono raccolti solo sonetti; la seconda comprende trentatré sonetti (alcuni dei quali caudati), tre capitoli, un'epistola e tre egloghe piscatorie.

Nella prima sezione il Parini riprende per temi e stile i modelli dei lirici greci e latini, della poesia cinquecentesca e in particolare dei petrarchisti; nella seconda ricalca l'esempio del Berni e nelle egloghe piscatorie si ispira a Berardino Rota. Gli argomenti sono per la maggior parte amorosi, pastorali e idillici.

La raccolta non ha caratteri di originalità e rivela con chiarezza i limiti di un esercizio accademico; essa è però una prova importante per il poeta, che fin dalle prime esperienze rivela la sua attitudine per una forma equilibrata ed elegante, estranea agli eccessi barocchi ma lontana anche dalle sdolcinature dell'Arcadia (alla quale pur tuttavia il Parini riconosce grandi meriti nella riaffermazione della misura e del gusto letterario); in questo senso le rime giovanili contengono le premesse stilistiche del Parini maturo.

Il Dialogo sopra la nobiltà, la cui composizione risale forse al 1757, è l'opera in prosa che si avvicina di più all'ideologia e allo spirito del Giorno. Il testo riprende l'antica tradizione del dialogo dimostrativo, nel quale un personaggio riesce a provare, conversando, la verità di una determinata tesi. Gli interlocutori sono un poeta onesto e un nobile arrogante, morti ed appena sepolti in una fossa comune. Il poeta usa argomentazioni incalzanti, attraverso le quali costringe il nobile ad ammettere che gli uomini nascono uguali e che solo le virtù, i meriti e le azioni compiute - e non certo il ceto sociale - li distinguono e li rendono degni di ricordo presso i posteri. Il poeta riconosce che in qualche caso anche i nobili hanno saputo guidare le sorti del mondo verso il bene. Questa concessione è un segno dell'atteggiamento moderato che caratterizza le idee del Parini, aperto al progresso e alle riforme sociali, ma istintivamente contrario alle posizioni estreme tipiche dell'Illuminismo radicale di cui egli non condivide le teorie rivoluzionarie.

Il Discorso sopra la poesia, che l'autore aveva letto ad una riunione dei Trasformati probabilmente nel 1761, compare postumo nell'edizione completa delle Opere, curata e pubblicata nel 1801 dal suo discepolo Francesco Reina. Il Parini riprende la tesi dei sensisti, secondo la quale "non dall'opinione degli uomini, ma da fisiche sorgenti deriva quel piacere che dal poeta ci viene ministrato": in altre parole, sostiene che il piacere poetico nasce dai sensi. Nello stesso Discorso, egli riafferma l'importanza di seguire l'insegnamento dei classici per il loro esemplare valore etico oltre che stilistico.

Sotto il titolo Poesie varie e frammenti in verso sono raccolti alcuni testi in rima, di argomento e metrica diversi, composti dal Parini nell'arco di tutta la vita. Essi comprendono le cicalate, versi scherzosi destinati alla lettura durante le riunioni dell'Accademia dei Trasformati, molti dei quali hanno per tema la povertà dei poeti e il disinteresse dei più per la poesia; vi sono inoltre testi in endecasillabi sciolti, tra i quali spiccano l'Auto da fé (1761), contro l'Inquisizione e ogni fanatismo religioso, e gli Sciolti sopra la guerra (1758), in cui il poeta trae spunto dalla guerra dei Sette anni per rimpiangere l'epoca d'oro durante la quale gli uomini, guidati dall'accordo di Natura e Ragione, vivevano in pace, senza avidità e senza odio. La raccolta comprende anche odi, sonetti e frammenti di contenuto vario; i più numerosi sono i sonetti, di argomento amoroso, morale o religioso: se ne ricordano uno dedicato all'Alfieri, altri alla famiglia imperiale. Concludono la raccolta canzonette e scherzi per ventole e per parafuoco, cioè versi concepiti per esser trascritti o su quegli strumenti simili a ventagli che, soprattutto un tempo, servivano per ravvivare il fuoco dei caminetti, o su quegli schermi che si usavano nei focolari contro il calore eccessivo e le faville.

La composizione delle Odi avviene in un lungo arco di tempo, compreso fra il 1756 e il 1795. La prima edizione, del 1791, curata da Agostino Gambarelli, discepolo del Parini, ospita ventidue odi; la seconda, del 1795, anonima, ne contiene

venticinque. Quelle successive presentano diciannove, venti o ventuno testi, escludendo ora l'uno ora l'altro; ciò dimostra l'incertezza che è sempre regnata sul numero e sul carattere delle poesie che possono essere considerate Odi, e attesta il fatto che il Parini non ha mai curato direttamente la loro stampa. Infine un ammiratore del poeta, Giuseppe Bernardoni, cura l'edizione postuma del 1814.

L'autore, come abbiamo detto, non interviene di persona nella sistemazione delle odi, ma è ragionevole pensare che egli abbia fornito alcune direttive e indicazioni al Gambarelli, che dispone i testi non in ordine cronologico ma per temi. Il primo nucleo della raccolta è costituito da odi di impegno civile: L'innesto del vaiuolo (1765); La salubrità dell'aria (1759); La vita rustica (1756); Il bisogno (1765); La musica (1769). Del gruppo fanno parte anche alcuni testi di tipo celebrativo, come L'impostura (1761); La primavera (1765); Il piacere e la virtù (1771); L'educazione (1764), in cui è pure avvertibile un'esplicita presa di posizione ideologica che trasforma lo spunto occasionale in un pretesto per affrontare riflessioni morali o argomenti di attualità culturale e sociale. Esemplare in questo senso L'educazione, in cui il tema celebrativo (l'undicesimo compleanno di Carlo, figlio del conte Imbonati, dedicatario della poesia) si risolve in un'esortazione a vivere secondo princìpi ideali di alta moralità.

Dopo il 1770 l'ispirazione pariniana sembra affievolirsi: impegnato su più fronti (politico, giornalistico, didattico), il poeta per oltre un decennio abbandonerà quasi del tutto la produzione lirica, concedendosi un periodo di silenzio, interrotto solo occasionalmente da testi scritti su commissione (Il piacere e la virtù, 1774; La laurea, Il brindisi, Le nozze, tutte del 1777; La recita dei versi, 1783). Questo nucleo di odi, che possiamo considerare interlocutorio, è certamente quello più debole sotto l'aspetto dei risultati poetici: si avverte un'ispirazione stanca e forzata, che soffoca quel fresco slancio ideale da cui sono animate le odi del primo gruppo.

A partire dal 1785, il Parini lirico vive una terza fase in cui la creatività e la fantasia tornano ad accendersi, sollecitate stavolta da temi di carattere più personale e autobiografico: si vedano, per esempio, composizioni come La caduta (1785), Il pericolo (1787), La gratitudine (1791).

L'edizione Gambarelli si conclude con le composizioni poetiche Piramo e Tisbe e Alceste (del 1791 su temi mitologici), La magistratura (1788), In morte del maestro Sacchini (1787) e Il dono (1790).

Altre tre odi, Per l'inclita Nice (o Il messaggio, 1793), Alla Musa (1795) e A Silvia o sul vestire alla ghigliottina (1795), vengono pubblicate nell'edizione del 1795.

La divisione in tre gruppi, pur sommaria e schematica, consente tuttavia di seguire con sufficiente chiarezza l'evoluzione dell'ideologia e della poetica pariniane. Le prime odi sono segnate da un deciso impegno del poeta in campo civile, che coincide con la sua adesione all'Accademia dei Trasformati e ai fondamenti della cultura illuministica. L'autore assegna grande importanza al lavoro dei campi, che procura benessere all'intera società (La vita rustica), oppure auspica provvedimenti atti a migliorare la qualità dell'aria milanese (La salubrità dell'aria); si oppone ai pregiudizi contro le recenti scoperte della medicina (L'innesto del vaiuolo) o appoggia nuove idee sociali, come la necessità di prevenire i delitti (Il bisogno). Del secondo gruppo fanno parte prevalentemente componimenti d'occasione in cui l'impegno civile si affievolisce anche se non scompare mai del tutto (nella Laurea, per esempio, viene animosamente sostenuta l'uguaglianza fra i due sessi anche nel campo della cultura). Il terzo nucleo delle Odi ci propone una dimensione inedita della personalità pariniana, quella autobiografica, più raccolta e meditativa rispetto al fervore ideale della giovinezza. Al posto dei fiduciosi entusiasmi illuministici subentra qui un sempre più accentuato sentimento di amarezza e di delusione che il poeta prova di fronte al sostanziale fallimento dei suoi progetti di rigenerazione morale della società. Questo ripiegamento interiore determina d'altra parte un netto innalzamento dei valori poetici e dei risultati stilistici: abbandonato il tono declamatorio e a volte "propagandistico" che impacciava i componimenti giovanili, liberatosi dagli appesantimenti di temi celebrativi privi di autentica partecipazione, il Parini traduce in toni di commossa poesia la dolorosa riflessione sulla sua lunga e intensa esperienza di vita, sia sul versante sociale (La caduta, in cui è centrale il tema dei rapporti fra intellettuale e potere), sia su quello privato (Il pericolo, amara confessione, sotto un tono apparentemente leggero e galante, di una delusa aspirazione all'amore).

Un episodio a sé stante, ma significativo per comprendere l'evoluzione del pensiero pariniano, è La tempesta, del 1786. Un pescatore, rivolgendosi all'amico e discepolo del Parini, Febo D'Adda, lamenta che l'avidità di guadagno abbia spinto uomini inesperti ad affrontare i rischi del mare naufragando al primo impatto con le onde, e li esorta a tornare al lavoro dei campi. Gli incauti navigatori sembrano simboleggiare il governo austriaco, autore di un voltafaccia dopo la morte di Maria Teresa, quando il successore Giuseppe II ha abolito le importanti libertà costituzionali che la Lombardia aveva ottenuto; nella figura del pescatore, poi, il poeta adombra allegoricamente se stesso e i propri sentimenti di amarezza e di disappunto.

Il Giorno è un poemetto di circa 4000 versi, in endecasillabi sciolti, che in un primo tempo viene concepito in tre parti, Il Mattino, Il Mezzogiorno e La Sera. La prima parte viene pubblicata nel 1763, la seconda nel 1765 quando il progetto s'interrompe; piú tardi il Parini sostituisce la terza parte con Il Vespro e La Notte, e apporta notevoli correzioni stilistiche alle altre due (cambiando anche il titolo della seconda da Il Mezzogiorno in Il Meriggio), mentre Il Vespro e La Notte restano incomplete. Il testo esce infine postumo nell'edizione del Reina, il quale fa confluire nel Vespro una parte originariamente appartenente al Mezzogiorno. La critica contemporanea ritiene arbitraria tale operazione.

Il Giorno è un originale esempio di poemetto didascalico-satirico: infatti si presenta come una raccolta di precetti di comportamento, ma in realtà è una tagliente satira sociale. Essa è diretta contro la vita fatua dell'aristocrazia e denuncia con asprezza le ingiustizie e la miseria a cui sono costretti coloro che, con la loro fatica quotidiana, permettono ad una classe prepotente e altezzosa di dedicarsi ai suoi frivoli passatempi.

La letteratura minore del Settecento è ricca di simili esempi d'impegno sociale, al quale il comportamento della nobiltà offre un fertile terreno di ispirazione. Fra i numerosi testi di questo genere ci limitiamo a citare La conversazione delle Dame di Roma di Ludovico Sergardi (1660-1726), che affronta il tema del cicisbeismo, deriso con feroce sarcasmo anche nel Giorno, e Il Cicerone di Giancarlo Passeroni (1713-1803), che descrive in forma ironica le usanze e le mode dell'epoca. Sembra indiscutibile, inoltre, che il Parini abbia tratto ispirazione dal poeta inglese Alexander Pope (1688-1744), autore del raffinato poemetto The rape of the lock (Il ricciolo rapito, 1712), in cui la satira di costume è condotta con accenti di misurata ed elegante cordialità.

Il Parini finge di essere il precettore di un "Giovin Signore", un nobile ozioso e ignorante, e di educarlo alle attività mondane che dovrà affrontare nell'arco dell'intera giornata. L'opera si apre con una dedica in prosa alla Moda, "vezzosissima Dea", che guida e domina "la nostra brillante gioventú".

Il mattino del "Giovin Signore" comincia assai tardi, quando i comuni mortali sono già da tempo al lavoro, ed è occupato in imprese "impegnative" quali scegliere tra caffè e cioccolato, ricevere i maestri di canto, di ballo, di violino e di francese, e infine alzarsi. Poi l'"eroe" rivolge la mente alla sua donna; costei non è, si badi bene, sua moglie, ma la "pudica d'altrui sposa" alla quale il "giovine" fa da "cicisbeo". Dopo aver sfogliato i libri alla moda (tra cui quelli di Voltaire) e completato le cure mattutine assieme alla laboriosa operazione di vestirsi, il "Giovin Signore" corre in carrozza a casa della dama.

Nel Meriggio il quadro si allarga; durante il pranzo, attorno al giovane e alla sua dama molti fatui personaggi intrecciano gradevoli pettegolezzi; si parla di tutto, passando disinvoltamente dall'arte alla scienza e al commercio. Il marito della dama assiste indifferente agli scambi di tenerezze tra la moglie e il cicisbeo, senza provare alcuna gelosia, un sentimento fuori luogo tra gente cosí raffinata e moderna. Un accanito divoratore di cibo discute con il vicino vegetariano, tanto pietoso con gli animali quanto poco lo è con gli uomini; con raccapriccio la dama ricorda l'episodio di un servitore che osò reagire con un calcio al morso della "vergine cuccia", cioè della cagnolina. A ragione perse il posto e finí a mendicare per strada. La conversazione si anima; si trattano argomenti alla moda come i nuovi "sofi" francesi, Voltaire, Rousseau e gli enciclopedisti. Dopo il pranzo e il caffè, si passa al gioco di moda, il tric-trac; intanto cala la sera e una folla di disgraziati mendicanti annusa da lontano i profumi del pranzo, tuttavia non si avvicinino troppo, per non turbare gli occhi dei convitati con lo spettacolo della loro miseria.

Nel Vespro, il "Giovin Signore" e la dama si recano in carrozza a visitare gli amici. Poi cominciano a sfilare i cocchi: un'occasione colta dal Parini per osservare i "tipi" piú strani e diversi; vi è il bellimbusto fiero della carrozza che ha acquistato vendendo le terre paterne; i nuovi nobili che sfoggiano il titolo comprato di recente; le madri che esibiscono le figlie nella speranza di trovar loro un marito. La dama accetta nuove galanterie; il "Giovin Signore" rallegra le dame dai nomi altisonanti con i pettegolezzi della giornata. Il sopraggiungere della notte confonde per un attimo poveri e ricchi in una illusoria uguaglianza.

La notte, scintillante di luci, non somiglia certo a quelle lugubri del Medioevo; nel sontuoso palazzo, gli specchi dorati riflettono una miriade di colori. Anche qui c'è una sfilata di "tipi": il giovane che sta tutto il giorno al caffè, il giocatore incallito, il domatore di cavalli. Tra conversazioni e schermaglie galanti, giunge l'ora del gioco e si servono gelati, caffè, cioccolato.

A questo punto l'opera si interrompe.

Ricostruire con esattezza l'evoluzione del pensiero pariniano non è impresa facile e le incertezze sulla datazione delle opere contribuiscono a renderla ancora più complessa.

Alcuni dati certi emergono tuttavia da una lettura parallela delle Odi e del Giorno. I più importanti sono la profonda integrità morale dello scrittore e la sua coerenza ai princìpi sociali e civili che ne hanno sempre animato il pensiero, improntato allo spirito illuministico dell'epoca. Il Parini riesce a mantenere nel corso degli anni un atteggiamento moderato e mai preconcetto, basato sull'equilibrio e sul buonsenso, che lo induce a cercare un compromesso costante tra vecchio e nuovo. Non a caso, non risparmia qualche frecciata ai nuovi filosofi francesi e ai loro seguaci lombardi, che gli appaiono troppo indulgenti verso posizioni estreme.

Infatti, diversamente da molti illuministi italiani suoi contemporanei, tra i quali lo stesso Pietro Verri, il Parini privilegia la cultura nazionale e ne esalta la grandezza contro quella dei paesi stranieri; non discute i fondamenti della religione e non ritiene che la fede sia inconciliabile con la ragione. Soprattutto, egli non si propone mai di sconvolgere l'ordinamento esistente; favorevole alle riforme, rifiuta però ogni sovvertimento politico radicale. A suo giudizio, infatti, i mezzi più potenti per eliminare le ingiustizie e i mali sociali sono la coscienza e l'impegno del singolo individuo nonché la collaborazione tra gli uomini di cultura e i governanti.

Per questo la sua critica, anche nei momenti di maggiore sdegno, non vuole distruggere: mira invece a costruire e a ricostruire, e persino le parti del Giorno nelle quali il biasimo verso l'aristocrazia è più aperto e la satira più pungente, invitano alla riflessione piuttosto che a esprimere una condanna senza appello. Alla nobiltà, colpevole di un traviamento che dura da secoli, il Parini offre pur sempre "una via di riscatto e di salvazione, una sorta di curativa terapia" (L. Caretti). La degradazione di coloro che sperperano nell'ozio e nel lusso i beni degli antenati è motivo di fervida indignazione morale da parte dell'autore, ma egli, se si oppone ai privilegi ingiustificati dei nobili, non mette in discussione il loro diritto di mantenere il potere, e riconosce loro l'attitudine a governare rettamente. Non esclude insomma che, ammettendo i propri errori e impegnandosi ad essere attivi e operosi, essi tornino ad essere utili alla società tutta, come lo erano i loro antenati.

Il secondo elemento indispensabile per comprendere l'arte del Parini è il suo legame con i classici, dei quali fu sempre attento e appassionato studioso. Da essi il poeta ricava l'idea che l'arte debba essere imitazione della natura, e da Orazio in particolare deriva la nozione dell'utile miscere dulci, cioè "di mescolare l'utile al piacevole". Egli però reinterpreta questa antica teoria conciliandola con i nuovi princìpi dell'Illuminismo: a suo giudizio, la poesia può avere contenuti di immediato interesse sociale ed essere "d'un vantaggio considerevole alla società", può avere insomma un'utilità collettiva, grazie ai forti sentimenti morali che sa ispirare. Contemporaneamente, l'opera poetica deve proporsi di raggiungere il bello. Infatti, l'amore per il bello deriva direttamente dal legame che unisce l'uomo alla natura; e poiché l'arte è imitazione della natura, ogni argomento, anche il più profondo e impegnato, deve essere esposto in forma elegante e raffinata. Da questa concezione deriva, accanto alla varietà degli argomenti affrontati, l'infaticabile ricerca di uno stile e di una lingua in grado di combinare nel migliore dei modi l'utile e il bello, e quindi di trasmettere ai lettori un messaggio ideale, che li spinga alla riflessione e all'azione, offrendo insieme il mezzo per elevare la loro cultura e il loro spirito.

La fiducia che il Parini nutre nel valore civile ed estetico della poesia e la convinzione che essa sia uno strumento perfettamente adeguato ad esprimere le sue scelte di uomo e di scrittore sono già evidenti nelle prime odi, anche se in esse la risentita ispirazione morale con forti accentuazioni antiaristocratiche induce spesso l'autore ad usare uno stile troppo realistico.

D'altro canto, fin da quando, giovane abate, è entrato a far parte sia pure marginalmente dell'ambiente nobiliare, dal quale dipenderà in larga misura la sua vita, il Parini subisce il fascino di alcuni modelli di comportamento di quella classe. Dell'aristocrazia egli apprezza infatti la signorilità, l'educazione e il buongusto, e non sa e forse non vuole sottrarsi all'attrazione esercitata su di lui dalla raffinata atmosfera settecentesca in cui vive, anche se essa, talvolta, mal si concilia con la sua salda moralità. In certi casi, la contraddizione si nota con una particolare evidenza: specialmente in alcune delle prime odi di argomento galante, il gusto tipicamente settecentesco dell'eleganza finisce con il prevalere sul contenuto, e la grande ricercatezza formale sembra soffocare la sincerità dell'ispirazione, lasciando un'impressione di distacco e di freddezza, come se il poeta si fosse limitato ad un sia pur riuscito esercizio letterario. Al contrario, in altre odi, la raffinatezza dello stile si accompagna ad un'energica presa di posizione del poeta, che si vale anche di un esile spunto per affrontare esplicitamente i problemi che lo appassionano. Ciò accade, ad esempio, nella già ricordata ode L'educazione, o nella Tempesta, in cui il Parini registra turbato l'irrigidimento della situazione politica a Milano, seguìto alla morte di Maria Teresa d'Austria.

Una parte della critica moderna è propensa a ritenere che nel corso degli anni il Parini abbia subìto un'involuzione ideologica, che lo avrebbe portato a stemperare e a smorzare la sua ironia, per dedicarsi sempre più attentamente ed esclusivamente alla cura della forma. Senza dubbio, proprio dopo la morte di Maria Teresa, il Parini vede scomparire le condizioni per una collaborazione feconda tra gli intellettuali lombardi e il potere, e il mutare del clima politico indebolisce lo stimolo polemico e modifica l'attitudine psicologica del poeta, più combattiva nelle prime due parti del Giorno e nelle prime odi, più pensosa nel Vespro e nella Notte nonché nelle odi della vecchiaia.

Ciò non significa, tuttavia, che il rispetto per i nobili princìpi morali nei quali il Parini ha fermamente creduto si attenui o scompaia; piuttosto, nel corso degli anni, man mano che procede nella stesura del Giorno, il poeta conquista la capacità di controllare e fondere senza stonature i vari motivi che lo interessano. Egli riesce così a raggiungere un accordo perfetto tra le esigenze del contenuto e quelle dello stile, e in tal modo anche l'omaggio galante delle ultime odi e le raffinatezze descrittive della Notte non restano fini a se stesse, ma si intrecciano e si piegano ad esprimere l'ispirazione civile.

Il Parini della maturità approda così ad una concezione secondo la quale la poesia è la sintesi di un'esperienza che non si ferma alla letteratura, ma abbraccia e coinvolge la vita intera e rappresenta un altissimo strumento educativo; e in questo significato di educazione complessiva, che non ha per scopo solo l'immediato utile sociale, ma plasma il gusto e lo spirito degli uomini, la poesia si trasforma in un valore supremo che va oltre i limiti e la corrosione del tempo.

Perciò, la raffinatezza classica non è un passo all'indietro, ma al contrario il punto d'arrivo di quell'impegno di educatore che ha accompagnato tutta l'esistenza del poeta. Egli considera la sua missione educatrice valida come e ancor più di prima, ma sente di non poterla più svolgere attraverso un impegno diretto nella realtà quotidiana. All'intervento sugli aspetti contingenti della storia egli ne sostituisce ora uno meno incisivo nell'immediato, ma più alto e più nobile, attuato attraverso i valori eterni della poesia.




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