Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)

letteratura



Giovanni Pascoli   (1855-1912)


Pascoli rappresenta la vera svolta della poesia italiana di fine secolo perché introduce tutta una serie di novità tematiche e stilistiche che influenzeranno i poeti di tutto il '900. Giustamente, quella di Pascoli è stata definita una "poesia verso il Novecento".

L'evento centrale della sua vita, che diverrà poi materia poetica, è certamente l'uccisione del padre (di cui non fu mai trovato l'assassino) con la conseguente distruzione del, così chiamato da Pascoli "nido" familiare. A seguito di questa vicenda, la famiglia si sgretola perché anche la madre morirà di crepacuore, di lì a qualche anno, e il poeta perde quell'ambiente caldo e protettivo (da cui il nome di "nido") che lo difendeva dalle insidie del mondo. Pascoli tentò di ricostruire il "nido" distrutto, insieme alle sorelle Ida e Maria, alle quali fu unito da un affetto morboso. Egli si ribella quando Ida si sposa, abbandonando lui e quel che restava del "nido", e si lega con un legame ancora più forte ed esclusivo a Maria (che egli chiamava Mariù).

Il tema del "nido" costituisce uno dei veri leitmotiv della poesia pascoliana: costantemente il poeta l 111i83b o ricorda, lo rimpiange, tanto che il critico Giorgio Barberi Squarotti parla di una vera e propria regressione pascoliana verso lo stadio natale, o, meglio ancora, verso lo stadio prenatale, cioè di una regressione nel grembo materno; tornare a prima della vita vuol dire tornare a prima della storia, e dunque vivere al di fuori di quel mondo che era tanto intriso di violenza e che spaventava tanto Pascoli.



Il tema del "nido" appartiene in pieno alla poetica decadente, e precisamente a quel filone chiamato "dell'uomo senza qualità" (dal titolo di un romanzo degli anni Venti, dell'austriaco Robert Müsil) che si contrappone ai miti dell'esteta e del super-uomo. Ma anche il "nido", come l'esteta possiede una carica violenta, una decisa dimensione antisociale: se l'esteta disprezza il mondo borghese perché inferiore, Pascoli si rifugia nel "nido" dell'infanzia e rifiuta il mondo perché questo gli fa paura. La stessa funzione del "nido" viene svolta in Pascoli dalla campagna, che è ben diversa da quella verghiana percorsa dalla malaria, dalla dura fatica, dalle imprecazioni dei lavoratori; la campagna, in Pascoli, diventa il rifugio dalle tempeste della vita: gli alberi e le siepi frequentemente evocati nelle sue poesie rinchiudono il suo fazzoletto di terra e lo difendono dai pericoli del mondo (poetica della siepe). E' stato notato, inoltre, come la campagna, intesa come luogo di protezione, possa essere interpretata anche come simbolo della patria.

Pascoli assunse, poi, nel corso della sua vita, delle posizioni ideologiche che appaiono in contrasto con il tema del "nido", ma che in realtà risultano coerenti con esso, e sono precisamente il cosiddetto socialismo pascoliano e il suo tardo nazionalismo. Con un discorso pronunciato a Barga nel 1911, "La grande proletaria si è mossa", egli prese posizione a favore della conquista coloniale della Libia, sostenendo che l'Italia, nazione povera e proletaria, aveva il diritto di conquistare terre dove mandare i suoi figli che morivano di fame, e nel mentre avrebbe anche portato civiltà in quei luoghi ancora rozzi. E' interessante come Pascoli utilizzi in una nuova chiave il termine "proletario" (dice "Italia proletaria") spostando la lotta di classe dagli uomini alle nazioni. Quanto al socialismo pascoliano, poi, esso è da intendersi non in chiave scientifico-politica, ma come umanitarismo, come desiderio di fratellanza universale. Tuttavia, sia il socialismo, sia il nazionalismo, non contrastano con il tema del "nido", in quanto tali ideologie non fanno che ampliare la dimensione del nido dall'ambito familiare a quello della nazione, e più ancora a quello dell'intera umanità. Tutti gli uomini, insomma, dovrebbero vivere uniti, solidali, immuni dall'odio e dalla violenza.

la poetica pascoliana

Nel 1897 Pascoli pubblica il testo fondamentale della sua poetica, che è la prosa "Il fanciullino" (pag. 240).

Afferma Pascoli che il poeta coincide col fanciullo che ogni uomo ha dentro di sé, per cui il poeta-fanciullo è attratto da vive curiosità verso tutti gli aspetti della realtà; la poesia, allora, non si inventa, ma si scopre nella natura, anche nei suoi aspetti più modesti e trascurati. [Con Pascoli inizia quella poetica chiamata "delle piccole cose" che avrà largo seguito nel Novecento, dai Crepuscolari fino a Montale.]

Il poeta-fanciullo deve, inoltre, chiamare le cose con il loro nome preciso, gergale; il fanciullo è una sorta di novello-Adamo (primo uomo del mondo) che scopre via via le cose e le nomina (per la prima volta): definire una cosa con il suo nome preciso significa impossessarsene. Di qui deriva quella precisione del linguaggio pascoliano riguardo a flora e fauna, che fa pensare ad una volontà classificatoria di matrice positivistica, ma in realtà non ha nulla a che vedere con il verismo. Inoltre, il poeta-fanciullo, grazie alla sua ingegnosa curiosità è in grado di andare oltre l'apparenza e di cogliere i legami analogici, le relazioni segrete tra le cose. Di qui l'uso frequente di legami analogici, le sinestesie.

Infine, la poesia per Pascoli deve essere pura e non applicata, nel senso che non può tollerare sovrastrutture ideologiche o propagandistiche perché essa, solo per il fatto che è poesia, contiene già in sé un grande messaggio morale e sociale, che è l'invito alla fratellanza tra gli uomini. Questo motivo conduttore della fratellanza, presente in tutto Pascoli, deriva dall'aver sperimentato personalmente le conseguenze dell'odio attraverso l'uccisione del padre e la conseguente rottura del "nido".



[n.b. Per Croce la poesia non deve contenere messaggi, mentre per Pascoli la poesia non deve porsi come obiettivo il comunicare messaggi perché ne ha già di intrinsechi.]


Myricae

Nel 1891 Pascoli pubblica "Myricae", una raccolta con un titolo programmatico che si rifà alla IV egloga di Virgilio. Attraverso le tamerici il poeta intende alludere a tutti gli aspetti più semplici della natura, quelli che venivano generalmente trascurati dalla lirica di tono alto. Con Pascoli si completa la rivoluzione romantica e la realtà acquista cittadinanza poetica in tutte le sue componenti, anche le più prosaiche.

La raccolta "Myricae" è ricchissima di particolari naturalistici (fiori, piante, animali,.) citati da Pascoli con precisione manualistica, e tutto questo potrebbe far pensare ad una dimensione veristica della poesia, ma si tratterebbe di un giudizio fuori luogo perché un'analisi attenta rivela come questi particolari minuti del reale rimangano scoordinati fra loro. Non di verismo, dunque, si deve parlare, ma di impressionismo. Inoltre, al poeta non interessa per nulla dare una descrizione esaustiva della realtà, ma vuole cogliere il valore simbolico della cosa, il suo contenuto di problematicità. Il mondo di "Myricae" è denso di inquietudine, di voci misteriose, perché il poeta si sforza di andare oltre l'aspetto visibile, di andare oltre i fenomeni, per tentare di capire il mistero delle cose.

In "Myricae" sono prrsenti due temi dominanti: il mistero del mondo (presente in tutta l'opera) e il tema del "nido", il quale ora viene espresso in termini contenuti, ora con qualche bamboleggiamento o leziosaggine, limitando fortemente il valore di numerose poesie, che sono proprio quelle privilegiate dalla tradizione scolastica. D'altro canto lo stesso Pascoli era consapevole del rischio di una commozione eccessiva, tanto che nella prefazione a "Myricae" scrive che forse in quella raccolta c'era qualche lacrima di troppo, qualche singhiozzo che egli non era riuscito a frenare.


Nelle opere successive a "Myricae" permangono gli stessi temi già individuati, che sono i ricordi assillanti dell'infanzia e lo smarrimento dinanzi al mistero. Con i "Poemetti" e i "Nuovi Poemetti", Pascoli modifica in parte le proprie scelte stilistiche e si indirizza verso componimenti più ampi, nei quali passa in rassegna l'alternarsi delle stagioni in campagna, con le diverse attività svolte dai contadini. E' logico che qui la campagna non può essere per lui un rifugio di quiete, ma è un luogo nel quale il poeta proietta le sue inquietudini, per cui le apparenze familiari si caricano di significati inquietanti, misteriosi, indecifrabili. C'è un nucleo di liriche, nei Poemetti, in cui Pascoli si lancia nel cosmo infinito rimanendo angosciato di fronte all'incapacità di spiegare il senso di quei mondi, la loro origine. in Pascoli è sicuramente presente uno spirito religioso, che si dimostra con un tentativo di avvicinarsi alla fede, ma egli non riuscì mai a varcare il confine della fede, e questa situazione acuì la sua sofferenza.

La raccolta "I canti di Castelvecchio" (Castelvecchio era la località toscana in cui Pascoli aveva la casa) è quella più vicina a "Myricae" perché anch'essa è costituita da liriche brevi, tramate da frequenti ricordi familiari. C'è, in particolare, un nucleo di liriche, dal titolo "Ritorno a San Mauro", che raccoglie i componimenti specificatamente dedicati al recupero memoriale: il poeta tenta di rientrare nel mondo dell'infanzia ma ne viene respinto: il suo Eden è perduto per sempre.



L'ultima raccolta di rilievo sono "I poemi conviviali", del 1904. Si tratta di poemetti in cui Pascoli rievoca figure celebri della classicità greco-romana, ma finisce per proiettare anche nel passato la stessa inquietudine del presente, per cui avviene che figure eroiche come Ulisse o Alessandro Magno divengano persone tormentate che si interrogano sul senso della vita (capovolgimento delle figure classiche).

Nelle opere successive, "Odi e Inni" e "Le canzoni di Renzo", Pascoli si atteggia a cantore delle glorie della patria, ma si inoltra per un sentiero estraneo alla poetica del fanciullino, che è quella per lui più autentica, e la poesia che ne risulta è densa di retorica e ha il solo valore di testimonianza culturale.

Da citare, poi, i numerosi "Poemetti latini" che gli permisero di vincere il primo premio al concorso di poesia in lingua latina ad Amsterdam.

Si può affermare, dunque, che non vi è una vera evoluzione nella poetica pascoliana, visto che i temi di "Myricae" ritornano in tutte le raccolte successive fino ai "Poemi conviviali". Al di là del valore non omogeneo dell'opera di Pascoli (nel senso che in molte poesie c'è un'eccessiva leziosaggine, ci sono dei bamboleggiamenti infantili), rimane l'importanza fondamentale di questo poeta sul piano stilistico, avendo egli accolto le novità più vive del Decadentismo europeo e avendole lasciate in eredità alla poesia del '900. [Ricordiamo che Pascoli non aveva un'ampia conoscenza del Decadentismo europeo, aveva una cultura prevalentemente classica, non era uno studioso della cultura europea, ma conosceva E. A. Poe, e in particolare lo influenzò il suo poemetto "Il corvo".]

Con Pascoli il verso si spezza in numerose pause, si dilata attraverso i molti enjambement, si carica di dolente musicalità. La sintassi diventa ellittica, grazie al frequente uso di proposizioni nominali; è netta la prevalenza della coordinazione: il periodo non ha una gerarchia sintattica (principali-dipendenti), così come il poeta non riesce a dare una gerarchia agli aspetti della realtà, perché questa è un magma caotico dal quale si possono cogliere solamente illuminazioni slegate (paratassi). Frequentissimo è l'uso delle analogie e delle sinestesie implicite nella poetica del poeta-fanciullo che consce la realtà in modo ingenuo e irrazionale, scoprendo legami che la ragione non riesce a cogliere; frequenti sono anche le figure di suono: onomatopee e fonosimbolismi (i fonosimbolismi sono parole che non si limitano a riprodurre un suono della realtà, ma acquistano un valore autonomo, che diventa emblema del mistero angoscioso che circonda l'uomo).

Infine, per quanto riguarda la lingua, abbiamo già nominato la precisione nomenclatoria di Pascoli, legata anch'essa alla poetica del fanciullino. Egli utilizza un ventaglio lessicale molto ampio, facendo anche ricorso al vernacolo, ad altre lingue speciali.

Ricordiamo, a questo proposito, il celebre giudizio di Gianfranco Contini (p.256), il quale parla di un triplice linguaggio pascoliano. Egli dice che Pascoli usa: 1) un linguaggio grammaticale, che è la lingua italiana normale; 2) un linguaggio pre-grammaticale, che è la lingua che viene prima della grammatica, quella costituita dalle onomatopee e dai fonosimbolismi; 3) un linguaggio post-grammaticale, quello che viene dopo la grammatica ed è costituito dalle lingue speciali, come i carmina o il vernacolo garfagnino (dialetto della Garfagnana, la regione in cui si trova Castelvecchio). Aggiunge, poi, Contini che l'uso di parecchi linguaggi è anch'esso spia dell'inquietudine del poeta, che non trova appagamento nell'utilizzo della normale lingua grammaticale.







Privacy




Articolo informazione


Hits: 3705
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024