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GABRIELE D'ANNUNZIO (1863-1938)

letteratura



Gabriele D'Annunzio 


D'Annunzio ha esercitato una vasta influenza nella letteratura italiana fra l'Ottocento e il Novecento, ma ha goduto di grande fama anche come uomo, per la sua vita densa di avventure, sia sul piano privato che su quello pubblico. In particolare, intere generazioni di lettori hanno tentato di rivivere, almeno con fantasia, la vita di alcuni personaggi di suoi romanzi che apparivano come dei miti lontani e fascinosi, come ad esempio l'Andrea Sperelli de "Il piacere", che rappresentò un tipo umano di larghissimo successo.

Molto precoce fu l'attività letteraria di D'Annunzio, che già nel 1879, appena sedicenne, pubblicò la raccolta "Primo vere", seguita nel 1882 dalla raccolta "Canto novo"; negli stessi anni D'annunzio si cimentò anche con opere in prosa rappresentate dalle novelle della raccolta "Terra vergine", ambientate nel natio Abruzzo. In queste sue prime prove D'Annunzio sembra rifarsi ai modelli allora dominanti, che erano rappresentati per la prosa dal Verga e per la poesia da Carducci. In realtà, l'ossequio ai modelli citati è solo apparente perché il giovane D'Annunzio sta già intraprendendo delle scelte poetiche autonome.



Se consideriamo, ad esempio, i racconti di "Terra vergine" (che, in seguito, insieme ad altre novelle scritte in anni successivi, confluirono nella raccolta complessiva "Le novelle della Pescara"), appare evidente che il modello verghiano è sostanzialmente estraneo all'ispirazione dannunziana. In comune fra i due scrittori c'è la rappresentazione di un mondo di primitivi, che per D'Annunzio coincide con un Abruzzo barbarico, selvaggio, abitato da una umanità ignorante e violenta. Ma, mentre in Verga si not 515j94f a una certa adesione umana nei confronti del ceto subalterno, in D'Annunzio vi è un distacco totale: egli, infatti, guarda ai cosiddetti umili come a un mondo inferiore, schiavo della superstizione e della miseria, un mondo che suscita ripulsa nello scrittore colto ed elegante. Non ha, dunque, senso parlare di verismo per il D'Annunzio di "Le novelle della Pescara", perché manca qualsiasi volontà di rappresentazione impersonale di un mondo primitivo: il verismo di D'Annunzio è tutto quanto apparente e superficiale.

Per quanto riguarda, poi, le raccolte poetiche, si può affermare che D'Annunzio muove da Carducci per quanto riguarda lo stile raffinato, la metrica barbara e la solarità cosiddetta carducciana, da intendersi come gioia di vivere; ma l'impronta personale di D'Annunzio già si manifesta nella sensualità sbrigliata e accesa di tanti suoi versi (si pensi a "Primo vere" e a "Canto Novo"), per cui D'Annunzio fin d'ora appare come un uomo disponibile ad ogni esperienza. Il critico Carlo Salinari, nel suo saggio "Miti e coscienza del Decadentismo italiano", definisce la sensualità di questi versi "il primo tempo della sensualità dannunziana".

La fama arriva a D'Annunzio nel 1889 con il romanzo "Il Piacere" (che conobbe moltissime edizioni), che viene considerato il manifesto dell'esteta. Andrea Sperelli, il protagonista, come D'Annunzio, vuole fare della sua vita un'opera d'arte, fatta di scelte eccezionali, di possibilità negate alla gente comune. Precisiamo subito che l'esteta dannunziano si colora di un'ideologia antidemocratica, perché il raffinato Sperelli detesta il ".diluvio democratico dei tempi moderni.".

Andrea Sperelli vive a Roma, in Piazza di Spagna, in un palazzo della Roma barocca, stile che egli ama particolarmente per la sua complessità, per la sua ricchezza, per la sua teatralità (disprezza, invece, la Roma classica delle terme). Andrea, come Gabriele, è un poeta, ed è convinto che ".il verso è tutto." cioè che la poesia sia in grado di rappresentare tutte le sfumature della complessa realtà in cui viviamo. L'esteta Andrea vive la vita come un'opera d'arte perfetta e anche nel campo dell'amore segue itinerari inconsueti: egli, infatti, ama due donne completamente diverse, antitetiche: una calda e sensuale, Elena (il cui nome è un esplicito richiamo alla bella Elena di Troia della tradizione classica), mentre l'altra è angelica e spirituale e si chiama Maria, come la Vergine. Ma l'eccezionalità sta nel fatto che nella seconda, Maria, egli ama anche la prima, Elena, nel senso che Andrea vive un rapporto d'amore estremamente torbido in cui fonde le due amate. Lo scioglimento dell'intrico spirituale avviene alla fine del romanzo, quando, durante un incontro con Maria, Andrea si tradisce e grida il nome di Elena. Maria comprende la torbida situazione e lo abbandona. Questo romanzo rappresenta, secondo il critico Carlo Salinari, "il secondo tempo della sensualità dannunziana", in cui il vitalismo di "Canto novo" si trasforma in sensualità accesa e corrotta.

Dopo "Il Piacere", seguono alcuni anni (1890-1893) che si sogliono definire come gli anni cui D'Annunzio pratica la "poetica della bontà", nel senso che, sazio di esperienze mondane e di lussuria, influenzato altresì dall'umanitarismo di tanta narrativa russa come i libri di Tolstoj e dal romanzo psicologico di Dostoievskij, "L'idiota", D'Annunzio vagheggia un ritorno all'innocenza, alla purezza dell'infanzia, egli immagina la sua casa natale e sereni colloqui con la madre: il figlio traviato dalla grande città ritorna nel grembo della fanciullezza per riconquistare l'abito incontaminato di un tempo. Nascono in questo periodo romanzi come "Giovanni Episcopo" o "L'innocente" e raccolte poetiche come "Poema paradisiaco". Questa fase della bontà, tuttavia, fu di breve durata perché non corrispondeva all'autentica natura di D'Annunzio: in molte liriche di questo periodo, infatti, si avverte qualcosa di dolciastro, si avvertono delle forzature, cosicché i buoni propositi del poeta sanno di falsità.

In effetti, quando D'Annunzio conosce il mito nietzcheano dell'oltre-uomo abbandona i suoi dolciastri propositi di bontà per rivolgersi ad altri miti poetici. Nel 1893, con il romanzo "Il trionfo della morte" ha inizio questo nuovo percorso di transizione, che serve ad avvicinare D'Annunzio alla figura del super-uomo (qui non ancora affrontato in modo completo, come, invece, sarà nel successivo romanzo "Le vergini delle rocce"). Giorgio Aurispa è un uomo che si sente dominato dalla donna che ama, Ippolita, la quale blocca con la sua sensualità il suo desiderio di affermazione. Questo romanzo rappresenta, sempre secondo Salinari, "il terzo momento della sensualità dannunziana". La donna diventa una super-femmina che tiene schiavo l'uomo con la forza della seduzione. Giorgio si libererà dalla schiavitù dei sensi uccidendosi insieme ad Ippolita e realizzando in questo modo singolare la sua volontà di potenza.



Tuttavia, è solamente nel 1895, con il romanzo "Le vergini delle rocce", che D'Annunzio scrive il manifesto del super-uomo (p.122), travisando, però, l'opera nietzcheana: mentre, infatti, per il filosofo l'oltre-uomo è un mito umano teoricamente conseguibile da tutti gli individui che sanno potenziare il loro spirito dionisiaco, il loro sfrenato vitalismo, la loro volontà di affermazione, mettendo da parte ogni pietà per i deboli e gli sconfitti, per D'Annunzio si tratta di mito antidemocratico, riservato a pochi uomini privilegiati dall'aristocrazia della propria nascita e dalla cultura ricevuta. Claudio Cantelmo, il protagonista di questo romanzo, è il prototipo del super-uomo, ma raccoglie in sé anche l'esteta. Egli si propone tre scopi assai elevati: portare se stesso alla perfezione del tipo latino, ricondurre Roma all'antica grandezza, e avere un figlio eccezionale che possa realizzare questo scopo divenendo un nuovo re di Roma. Tuttavia, nessuna delle sorelle della famiglia Montaga (famiglia nobile, nel cui stemma compaiono delle rocce, e che quindi spiega il titolo del romanzo) possiede, a suo parere, le qualità necessarie per sposarlo e dargli quel figlio in cui lui riponeva tante aspettative, per cui i citati propositi rimangono irrisolti. Da notare (pag. 94) il clima di decadenza e morte che aleggia nella famiglia Montaga, per cui si può affermare che la narrativa dannunziana ripropone un tema già comparso in passato, quello dell'attrazione morbosa per la malattia, lo sfinimento, la decadenza fisica (si pensi al romanzo "Fosca", di Tarchetti, che apparteneva alla letteratura scapigliata). p 804

Lo stesso tema ritorna nel romanzo "Il fuoco", in cui il protagonista, l'artista Stelio Effrena, nutre il vano proposito di scrivere una grande opera drammatica, vano proprio perché la sua volontà verrà bloccata dall'attrazione per una donna, Foscarina (sono evidenti i richiami all'appena citata Fosca), ex attrice ormai in declino per l'età e per la salute. La vicenda, inoltre, si svolge sullo sfondo di una città come Venezia che già di per sé è simbolo di decadenza e morte.

Si può quindi affermare che alla periferia del super-uomo dannunziano si muove un insistito velleitarismo: l'eroe, cioè, si propone fini troppo elevati, che non riesce poi a realizzare. In ogni caso, il mito poetico del super-uomo si accorda pienamente con il clima politico italiano di fine secolo, in particolare con l'autoritarismo crispino e con i tentativi di fine secolo di calpestare le libertà statutarie. Mito, poetica e vicende politiche si stringono dunque in un nesso univoco.

Legata al clima del super-uomo è altresì molta parte del teatro dannunziano, nel quale si celebrano imprese eroiche, si ricostruiscono favolosi momenti di un passato indefinito in cui vengono ambientate vicende di violenza, di sangue, di lussuria. Oltre a drammi oggi quasi abbandonati (di cui alcuni esempi sono "La Gioconda", "La città morta", "Più che l'amore", "La fiaccola sotto il moggio", "La nave"), bisogna ricordare l'opera teatrale dannunziana più famosa, "La figlia di Iorio", un dramma ambientato in un Abruzzo favoloso dove si coniugano violenza e superstizione (p.163). Questo dramma celebra la forza dell'amore di Mila di Codra (appunto, la figlia di Iorio), che si incolpa del delitto commesso da Aligi (il ragazzo che ella amava e che aveva ucciso il padre), affrontando con coraggio la fine atroce riservata a chi, come lei, era creduta una strega: essere bruciata sul rogo.

L'opera più alta di D'Annunzio è costituita dai libri delle "Laudi", il cui titolo completo è "Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi". Il progetto iniziale dell'autore prevedeva sette libri, contraddistinti dai nomi delle stelle della costellazione delle Pleiadi. Egli, però, ne ha scritti solamente cinque: Maia, Elettra, Alcyone, Mèrope (dove riporta le imprese della guerra di Libia) e Astèrope (dove canta le imprese eroiche della prima guerra mondiale). I due ultimi volumi (Mèrope e Astèrope) sono postumi.



Maia è il primo libro, ed è quindi ancora improntato ad un marcato superomismo; fu scritto dopo un viaggio in Grecia e c'è in esso un recupero della figura del dio Hermes (Mercurio, dio dei traffici, del commercio) che diventa in D'Annunzio il dio del denaro, della corruzione, dell'industria, della finanza. Per una singolare conversione, il D'Annunzio che nel romanzo "Le vergini delle rocce" guardava con disprezzo al mondo borghese mercantile (e ancor di più alle plebi, delle quali scrive che ".sono naturalmente schiave, purché ci sia qualcuno che sappia impugnare il bastone.") diventa ora in Maia (canto unico di centinaia di versi, il cui secondo titolo è "Laus Vitae") il celebratore della produzione, delle fabbriche, del mondo della finanza che prima disprezzava, degli stessi lavoratori che sono lo strumento del progresso. Si può avvertire in questa celebrazione della modernità, un preannunzio del Futurismo (v. il Manifesto di Marinetti).

Elettra prosegue la poetica superumana, e c'è in quest'opera un celebre nucleo di liriche definito "La città del silenzio". D'Annunzio canta alcune città come Ferrara, Pisa, Spello (in Umbria) che alla decadenza presente accompagnavano e contrapponevano un passato glorioso; egli afferma che la rinascita, per queste città, sarebbe stata possibile solo tornando all'eredità di un tempo, e perciò alla vitalità, all'eroismo che un tempo aveva animato i loro abitanti.

Alcyone, il terzo libro, è il capolavoro poetico di D'Annunzio, e rappresenta un momento di tregua nella poetica superomistica. Proprio "Tregua", infatti, è il titolo della lirica proemiale di questo libro. Alcyone è ambientata in Toscana, più precisamente in Versilia, in estate, in quella breve stagione dell'anno, cioè, che va dal "congedo lacrimoso" della primavera, agli "umidi preannunzi" dell'autunno. Questa è una lirica ricca di riferimenti paesaggistici (spiaggia, fiumi, colline,.), ma non sarebbe certo corretto definirla una poesia descrittiva: i dati descrittivi, infatti, si tramutano in echi sentimentali, mentre il dato realistico, il paesaggio, si smaterializza e pone in primo piano le sensazioni cromatiche, uditive, olfattive, tattili, di cui le poesie sono ricchissime. A tratti la parola si annulla per lasciare il posto ad una vera e propria onda di canto, fatta di pura musicalità.

In numerose liriche di Alcyone si fa strada poi il cosiddetto panismo, ovvero l'identificazione, la fusione dell'io lirico con la natura, atto che, in definitiva, è una manifestazione proprio di quel super-uomo che D'Annunzio aveva voluto escludere da questa raccolta. L'io lirico, infatti, finisce per identificarsi e fondersi con la natura, acquisendone la potenza e l'immortalità. (pag. 153).

Da segnalare, inoltre, sul piano stilistico, la studiata tessitura retorica unita ad una estrema ricercatezza del linguaggio. Proprio a proposito della lingua di D'Annunzio è illuminante il giudizio di Pirandello, che, in un discorso commemorativo, paragonò la lingua di D'Annunzio a quella di Verga. Egli disse che ".in Verga la parola pone la cosa, e in tanto vale come parola in quanto pone la cosa; in D'Annunzio la parola vale non tanto in sé, quanto per come è detta, e il poeta vuol sempre far vedere come è stato bravo a dircela.". In Verga, quindi, la parola è corposamente realistica, mentre in D'Annunzio, al contrario, la parola è aerea, ha valore, cioè per come l'autore è stato bravo a citarla. (pag. 158).






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