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ANDRIA
TRAMA
L'Andria (la ragazza di Andros), che
fonde insieme due opere di Menandro, l'Andria e
Il vecchio Cremete,padre di Filumena, una ragazza in età da marito, era venuto a proporre al suo carissimo amico Simone il matrimonio tra i loro figli e le nozze erano state concordate. Ma di lì a poco, in occasione del funerale di Criside, Simone aveva scoperto la relazione tra suo figlio e Glicerio, e che i due erano molto innamorati l'uno dell'altra. Quando la cosa era giunta all'orecchio di Cremete, costui aveva ovviamente ritirato il proprio consenso al matrimonio; ma Simone, sia perché teneva particolarmente a queste nozze, sia per costringere Panfilo all'obbedienza, finge di voler realizzare ad ogni costo la cerimonia nuziale e ne ordina i preparativi. Il servo di Panfilo,Davo, che rappresenta nella commedia il servus callidus, si accorge che le nozze sono una messa in scena: esorta perciò il padroncino ad accogliere il suo dovere di figlio, per mostrare così la sua devozione al padre e togliergli ogni motivo di risentimento. E Panfilo così agisce; ma la decisione si rivolta a suo danno perché Cremete, convinto da Simone della docilità del figlio e del fatto che tra lui e Glicerio c'è aria di litigio, dà nuovamente il suo consenso al matrimonio. Nel frattempo Glicerio partorisce, e Davo intende servirsi del bambino per impedire ad ogni costo le nozze annunciate; lo prende, lo fa esporre dinanzi alla casa di Simone e all'arrivo di Cremete, 111f59b Miside la serva di Glicerio, racconta al vecchio che il bimbo è figlio di Glicerio e di Panfilo, e che la ragazza è cittadina attica,quindi la legge costringerà Panfilo a sposarla. Cremete sdegnato ritira nuovamente il consenso alle nozze della figlia. A questo punto interviene Critone di Andros, che porta notizie su Glicerio: ella non è sorella di Criside, ma una cittadina ateniese che da bambina fece naufragio su un'isola mentre navigava con lo zio paterno, che si scopre essere il fratello di Cremete. Glicerio quindi è non solo cittadina ateniese, ma addirittura figlia di Cremete; egli non ha alcuna difficoltà a concederla in moglie a Panfilo, mentre l'altra figlia, di nome Filumena, verrà fatta sposare a Carino, un amico di Panfilo segretamente innamorato della ragazza.
Il suo primo testo teatrale fu Andria, messo in scena nel 166 a.C. Il prologo di Andria ha la funzione di respingere l'accusa di "contaminatio"di Luscio Lanuvino,secondo cui l'autore avrebbe utilizzato modelli greci già impiegati da altri autori latini,violando la normativa prevista al riguardo della legge romana.
Confrontando questa introduzione con i prologhi scritti da Tito Maccio Plauto, oltre a desumere che Terenzio rinuncia al tradizionale prologo espositivo, che aveva lo scopo di informare il pubblico sugli antefatti e sugli sviluppi della vicenda, possiamo notare che si disinteressa di divertire il pubblico con battute di spirito,come era solito fare il commediografo Plauto.
Venuta meno la funzione espositiva del prologo, egli è costretto a posticipare alle scene iniziali del primo atto il racconto degli antefatti.
L'autore afferma, in primo luogo, che sua unica preoccupazione è stata quella di rivolgere l'animo allo scrivere affinché le sue composizioni riuscissero gradite al popolo.
Come secondo punto fa riferimento a Menandro e a due sue opere, l'Andria e la Perizia:
".qui utramvis recte norit ambas noverit; non ita dissimili sunt argumento" ovvero fa notare come altri autori di fama utilizzino dei modelli preesistenti per la loro composizione. A circa metà del prologo compare l'unica parte ironica del componimento: "Factiunte intellegendo ut nihil intellegant?" ossia, "Dopo aver tanto compreso non agiscono forse in modo che invece non capiscono proprio niente?".
Nei versi successivi Terenzio indica come suoi maestri Nevio, Plauto ed Ennio, pertanto chi lo accusa, denuncia anche loro: ".Qui cum hunc accusant, Naevium, Plautum, Ennium accusant.".
Egli non si difende con considerazioni di carattere etico,anzi si dichiara orgoglioso di essere continuatori di questi autori latini.Altro tema posto dall'autore è il fatto che le "scene" da lui esposte non siano quelle che rappresentano la diligenza dei loro primi creatori, bensì possano far parte di quelle che ostentano la loro non curanza: ". quorum aemulari exoptat neglegentiam potius quam istorum obscuram diligentiam.".
Come detto all'inizio, Il commediografo prende spunto dall'Andria e dalla Perinthia di Menandro, però opera una modifica sostanziale, introducendo la figura del liberto Sosia, personaggio prostatico, che riveste semplicemente la funzione di interlocutore del vecchio padrone. In questo modo ha reso meno noioso il racconto rispetto al monologo dell'opera originale. Il ruolo di esporre i fatti lo assegna a Simone, per relegare il vecchio al tradizionale ruolo di senex iratus.
Terenzio presenta anche il tema dell'educazione dei giovani, di cui non ne condivide i metodi pedagogici romani tradizionali, che riservavano al padre un ruolo soffocante nella formazione del figlio, infatti nella commedia fa in modo che Simone conceda al giovane Panfilo maggiore libertà, permettendogli di seguire e fare emergere le proprie inclinazioni naturali.
Questa posizione risente delle tendenze liberali ed ellenizzanti affermatesi nel Circolo degli Scipioni.
PERSONAGGI:
SIMONE padre di Panfilo
CREMETE padre di Filumena, promessa sposa di Panfilo
CRITONE vecchio di Andro
CARINO amico di Panfilo
GLICERIO la ragazza di Andro
SOSIA liberto di Simone
DROMONE schiavo di Simone
BIRRIA schiavo di Carino
MISIDE schiava di Glicerio
ARCHILIDE schiava di Glicerio
LESBIA ostetrica
DAVO schiavo di Simone. Egli rappresenta il servus callidus, che cerca di aiutare il padrone con la propria astuzia però l'ingegno del servo non sembra avvere un'immediata efficacia, poiché fa cadere Panfilo nella sua stessa trappola. Perciò per risolvere la situazione escogita un altro piano, ma non lo espone a Miside, che dovrebbe aiutarlo nell'intento, ma preferisce agire secondo l'istinto. Questo invece non è presente in Plauto poiché i servi da lui creati prediligono organizzare il piano nei minimi dettagli insieme ai loro aiutanti, per far sì che la trappola segua il giusto percorso.
Per Davo è comunque l'astuzia a permettergli di risolvere la situazione e di prendersi gioco del senex Simone. Egli si presenta anche come servus currens, benché il suo affannarsi è creato dalla necessità di trovare il padrone. Egli però non è assolutamente il motore dell'azione, che invece è rappresentato da Simone.
PANFILO Egli è un giovane molto sensibile, rispettoso verso tutti. ("bonum ingenium narras adulescentis") è un personaggio coerente, che tratta con rispetto ogni persona indipendentemente dalla sua classe sociale.
L'unico momento in cui si lascia prendere dall'ira è quando Davo peggiora la sua situazione: deluso e amareggiato, si scaglia contro il servo che pur voleva solo aiutarlo ("Ubi illic est scelus qui perdidit me? [.] Sed inultum numquam id auferet"). Ma in generale i suoi rapporti con Davo sono molto buoni, tanto che non lo tratta come uno schiavo ma come un amico fidandosi di lui. È profondamente innamorato di Glicerio, le è molto fedele ("per omnis tibi adiuro deos numquam eam me deserturum, non si capiundos mihi sciam esse inimicos omnis homines. hanc mi expetivi: contigit; conveniunt mores: valeant qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet nemo"), anche se questo lo pone in contrasto col padre. Egli infatti stima e ammira molto Simone, ma allo stesso tempo è fermo nella propria decisone; soffre molto nel sapere che egli non è contento delle sue scelte. L'altra persona a cui è molto attaccato è l'amico Carino, infatti soffre molto nel procurargli un dispiacere; vorrebbe vederlo sposato con Filumena non solo per essere libero ma anche perché sa che lui ne sarebbe felice. In lui sorge un dissidio perché è combattuto da due amori, quello per il padre e quello per Glicerio; egli tuttavia dopo averci riflettuto decide che non abbandonerà mai la ragazza, anche perché lo ha promesso a Criside quando ella era in punto di morte ("quod ego per hanc te dexteram [oro] et genium tuom, per tuam fidem perque huius solitudinemte obtestor ne abs te hanc segreges neu deseras") e il mantenere la parola data è un principio in cui crede fermamente.
Hecyra «La suocera».
Panfilo ama la meretrice Bacchide, ma, per volontà del padre Lachete, sposa Filumena. I primi tempi è freddo e duro con la moglie indesiderata, che tuttavia lo ricambia con dolcezza e remissività. In Panfilo comincia a farsi strada una rispettosa tenerezza nei confronti di Filumena, quando la morte di un parente lo costringe a recarsi ad Imbro, isola dell'Egeo nordorientale, per un'eredità. Partendo lascia sua madre Sostrata in casa con Filumena, ma al ritorno apprende che Filumena è tornata dai suoi: si sospetta, per colpa della suocera. Panfilo scopre che Filumena, di cui è ormai innamorato, sta per partorire: prima del matrimonio, una notte, uno sconosciuto l'ha violentata e le ha portato via un anello. Messo a parte del segreto, noto alla sola Mirrina, madre di Filumena, Panfilo promette di non svelarlo. Ma perché nulla trapeli, Filumena non può tornare col marito e questi è costretto a rompere definitivamente il matrimonio: il nascituro sarà esposto. Lachete, padre di Panfilo, e Fidippo, padre di Filumena, insistono invece perché il matrimonio si ricomponga. Panfilo adduce come scusa l'incompatibilità di carattere tra suocera e nuora, proclamando che, dovendo scegliere con chi vivere, sceglie la madre. Filumena partorisce un bambino, Fidippo crede che sia legittimo e decide comunque di tenerlo. Intanto Sostrata, generosa e intelligente, per allontanare da sé ogni sospetto, decide di andare a vivere in campagna. Mentre Lachete approva, Panfilo si oppone, quando arriva Fidippo con la notizia della nascita del piccolo: Lachete e Fidippo insistono più che mai per la riconciliazione. Credendo, infine, che causa dell'ostinato rifiuto di Panfilo sia il vecchio amore per Bacchide, Lachete prova a parlarne con la meretrice, ma questa svela che non c'è più nulla tra lei e Panfilo. A conferma di ciò, Bacchide si reca da Filumena per indurla a tornare con il marito. Qui Mirrina riconosce al dito della meretrice l'anello che aveva Filumena la notte della violenza. Poiché si tratta di un regalo di Panfilo, Panfilo deve essere lo sconosciuto violentatore. Tutto torna a posto.
Dall'omonima commedia di Apollodoro di Caristo (che forse a sua volta ha utilizzato Menandro). È la commedia terenziana più lontana dal vivace e improbabile mondo plautino: problemi e sentimenti appaiono molto interiorizzati, con grande finezza e verità di toni. Basata, in sostanza, su una gara di generosità tra i vari personaggi, sulla loro capacità di capire e perdonare.
Era una commedia difficile, che stentò infatti a farsi apprezzare.
PERSONAGGI:
LACHETE padre di Panfilo
FIDIPPO padre di Filumena, moglie di Panfilo
PANFILO è un personaggio comprensivo, riflessivo, spesso combattuto nell'animo. Il cuore è il suo campo di battaglia interiore; infatti due sono le donne legate al suo destino: la libertina Bacchide e la timida Filumena. Si delinea così questo innovativo personaggio, protagonista della commedia, che con estrema facilità riesce ad amicarsi il pubblico. I caratteri innovativi possono essere trovati nell'unicità del suo monologo, aspetto molto raro nel teatro Terenziano, e nel suo doppio ruolo di protagonista (in quanto viene messo in difficoltà da svariate complicazioni) e di antagonista (in quanto è lui stesso autore inconsapevole dei suoi imprevisti).
MIRRINA moglie di Fidippo
SOSTRATA moglie di La chete, la "suocera"
SIRA vecchia prostituta
BACCHIDE prostituta amante di Panfilo
FILOTIDE prostituta
PARMENONE schiavo di La chete. Non presenta le caratteristiche del servus callidus, ma è anzi l'emblema della stupidità. Non ha un ruolo attivo nel risolvere la situazione, in cui il padrone si trova. Quindi in questo caso il servo non solo non provoca gli eventi ma li subisce pure. La sua capacità umoristica trova terreno fertile in rozze e grottesche battute, a cui si lascia andare fra una riflessione e l'altra dei personaggi principali, sminuendo così il pathos dell'azione.
SOSIA schiavo di Lachete
NUTRICE
All'autore interessa sottolineare che sensibilità e comprensione sono presenti in tutti gli esseri umani, a prescindere dalla loro identità professionale o anagrafica.
Possiamo notare lo scopo di Terenzio nel dimostrare l'infondatezza e l'inconsistenza dei pregiudizi umani, nella figura della prostituta Bacchide, che è la vera responsabile del ricongiungimento finale dei due sposi. "Se un uomo ti dà felicità, da lui devi accettare anche l'infelicità". Frase da lei pronunciata in conclusione al monologo e che dimostra la bontà di Bacchide nel lasciare Panfilo, di cui è innamorata, al suo destino senza interferire nella relazione tra lui e sua moglie. La sua humanitas è così disarmante che anche il burbero Lachete poi le chiede perdono per essersi fatto influenzare dai pregiudizi altrui.
Con questo l'autore vuole insegnare che prenderà soltanto abbagli chi nella vita si basa su pregiudizi infondati, senza rendersi conto che un essere umano è tale proprio perché è diverso da tutti gli altri, perché non può essere inserito in alcuna categoria stereotipa.
Le figure maschili presentano levatura morale e sfumature psicologiche molto meno raffinate rispetto a quelle femminili. A Terenzio importa più di ogni altra cosa sottolineare l'ottusità di La chete e di Fidippo, che sono fissati presuntuosamente di essere a conoscenza di qualsiasi cosa accada intorno a loro. In conclusione Terenzio propone l'agnitio risolutiva, sebbene avvenga fuori della scena.
TERENZIO E PLAUTO
Molta della comicità plautina è basata su giochi di parole, comicità assente nel modello greco. Plauto sottolinea continuamente nelle sue commedie l'aspetto fittizio e ludico dell'evento teatrale, vuole sottolineare che ciò che avviene sulla scena è solo finzione, solo gioco. Vuole così impedire che il pubblico si immedesimi negli eventi scenici, che si crei il Transfert (immedesimazione). Fra i procedimenti adottati per rompere l'illusione scenica, uno dei più praticati era il metateatro, il teatro che parla di se e si rappresenta. L'autocitazione ironica dimostra che il vero fine della commedia plautina è la realizzazione della beffa, ottenuta grazie alla creatività dell'autore e agli stratagemmi del suo "doppio" scenico, il servus callidus.
Un altro aspetto del teatro plautino, è l'atteggiamento nei confronti dei greci;è significativo a riguardo un passo del "Curculio". È chiaro che Plauto sfrutta a fini comici quel sentimento
di ostilità nei confronti dei greci, tipica di una parte della società romana e che aveva trovato portavoce in Catone. Plauto utilizza molto il rovesciamento burlesco della realtà ma con questo non vuole mettere in discussione i rapporti vigenti all'interno della società, vuole solo divertire.
Infatti offre ai suoi spettatori una rappresentazione carnevalesca del mondo. I suoi personaggi poi si esprimono con un linguaggio delineato dalle figure retoriche, assonanze, giochi verbali, neologismi e grecismi che non hanno nulla a che fare con la parlata corrente. I monologhi diventano spensierati e spassosi cantica, pur essendo le parti caratterizzate da sfoghi e da confessioni malinconiche.
Plauto presta molta attenzione alla psicologia dei personaggi infatti attribuisce comunque un carattere a ciascuno , sebbene siano dei modelli ripresi.
Terenzio invece scrive commedie diverse da Plauto, e si ispira solo a Menandro. Infatti egli pùò sembrare più vicino all'antenato rispetto a Plauto,poiché aderisce in modo maggiore alla letteratura ellenica.Da questo ne deriva l'eliminazione degli elementi operistico-musicali. La comicità poi è molto meno accentuata; lo scopo delle sue commedie è di far meditare il pubblico sui problemi educativi. Per questo motivo Terenzio viene accusato di non avere una visione comica.
Infatti lui attua delle novità rispetto alla commedia plautina; abolisce il prologo narrativo, tipico del teatro comico e tragico; riduce i numeri dei monologhi e dei cantica; ha una più marcata tendenza alla contaminatio, sebbene cerchi di distogliere le accuse a lui rivolte;la predilezione di un intreccio duplice, anche se questo non è presente nell'Hecyra. Tutti i mutamenti introdotti da Terenzio sembrano dettati dal proposito di spostare la commedia romana da un tipo di teatro operistico, irreale e comico, verso uno spettacolo più realistico.
Un esempio lo abbiamo nell'Andria con la battuta di Davo ("Paulum interesse censes,ex animo omnia, ut fert natura, facies, an de industria?") che rivela la predilezione di Terenzio per la naturalezza.
Le commedie di Plauto sono costituite da azioni rocambolesche, colpi di scena, peripezie, situazioni ingarbugliate e assolutamente irreali, ritmi indiavolati. Al contrario le commedie di Terenzio sono povere d'azione, e le sporadiche peripezie e i colpi di scena in esse presenti non hanno luogo davanti al pubblico, ma si svolgono fuori dallo spazio scenico visibile, per poi essere riferiti dai personaggi in monologhi o in dialoghi. L'azione viene perciò sostituita dalla parola e il linguaggio dei suoi personaggi, che non si muovono secondo un copione precostituito, è assolutamente umano e reale, tale da essere considerato prosastico.
Però possiamo dire che le sue commedie non siano propriamente una rappresentazione della realtà, poiché le trame ricalcano quelle plautine, infatti compaiono tutti gli elementi convenzionali della Nea. A differenza di Plauto, Terenzio non tratteggia i caratteri dei personaggi e questo provoca negli spettatori un disorientamento per il mutato atteggiamento di uno dei personaggi.
Nella struttura che compare nelle sue commedie è presente l'agnizione finale, che viene usata come polemica contro la svolta risolutiva della commedia, infatti mentre utilizza questo espediente, ne deforma la struttura, prendendosene gioco, poiché nella realtà non accadono coincidenze di questo tipo. E' noto il desiderio del commediografo che gli spettatori seguino e assimilino il processo di purificazione dai pregiudizi, a cui i personaggi sono sottoposti. Perciò la commedia presenta un insegnamento morale.
Il servo Terenziano è diverso da quello platino infatti egli cessa di essere currens e perde la calliditas. Diviene perciò oggetto di studio di Terenzio per quanto riguarda l'humanitas e la sua dote principale non è più appunto l'astuzia, ma la bontà. Non tollerando la promiscuità tra finzione e reale, Terenzio fa in modo che lo schiavo non interloquisca con il pubblico e che non sia autore di quelle infrazioni dell'illusione scenica, elemento indispensabile nel teatro Platino, come la parabasi. Mentre Plauto può essere definito al riguardo padre del metadramma moderno, forma teatrale che riproduce se stesso tralasciando qualsiasi tipo di rottura tra il piano della rappresentazione e quello della realtà.
Nelle sei commedie di Terenzio è possibile individuare due parabasi con una profonda differenza rispetto a quelle tradizionali:
nell'Andria quando lo schiavo Davo nel suo monologo sembra rivolgersi direttamente al pubblico. "audireque eorum est operae pretium audaciam".
Nell'Hecyra "placet non fieri hoc ibidem ut in comoediis,omnia omnes ubi resciscunt;hic quos fuerat par resciscere sciunt;quos non autem aequomst scire, neque resciscent neque scient".
Ecco dunque il confronto tra Terenzio e Plauto sostenuto dalle due commedie terenziane Andria e Hecyra.
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