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IL PRINCIPATO DI AUGUSTO (27 a.C. - 14 d.C.)

latino




IL PRINCIPATO DI AUGUSTO    (27 a.C. - 14 d.C.)


Con l'ascesa al potere di Ottaviano, la storia di Roma conobbe una svolta decisiva: pur nel rispetto formale dell'ordinamento repubblicano, il governo diventò sostanzialmente 535c22f monarchico, fu esercitato cioè da una sola persona che riuniva in sé più competenze. A questo risultato, Ottaviano arrivò attraverso graduali e prudenti innovazioni. Per evitare che si formasse un'opposizione alla sua linea politica diminuì il numero dei senatori, mantenendo in carica quelli che riteneva più fedeli: ai componenti del Senato e alla Nobilitas rimasero comunque riservate le massime magistrature e i più elevanti gradi militari. Ricostituì l'ordine equestre, decimato e rovinato dalle guerre civili, ma non come classe si potenti e pericolosi finanzieri, bensì come ceto dal quale poteva trarre funzionari docili ai suoi ordini.

I senatori riconobbero Ottaviano come Princeps, ossia come collega più autorevole per merito e dignità. Nel 27 a.C. Ottaviano ottenne il titolo di Augusto, titolo che gli conferiva un alone di sacralità e lo presentava al popolo come l'uomo scelto dagli dei per imporre al mondo la civiltà di Roma. Consapevole che la solidità del suo potere era garantita dal controllo delle forze armate, non rinunciò mai al titolo di Imperator che gli conferiva il comando supremo dell'esercito. Poco alla volta Ottaviano ebbe poteri sempre maggiori grazie ai quali potè realizzare un ambizioso progetto riformatore. Riordinò l'esercito riducendone fortemente il numero delle legioni e assegnando alla Stato l'onere di provvedere alle spese militari.



Assegnò il governo delle province già pacificate a funzionari scelti dal Senato e riservò a se stesso la nomina di quelli da mandare nelle province più inquiete o più esposte ad attacchi esterni. Ristrutturò l'apparato amministrativo e conferì ad esponenti dell'ordine equestre le principali cariche burocratiche.

La politica estera di Augusto fu molto prudente e mirò sostanzialmente al rafforzamento dei confini e al consolidamento della autorità romana. L'affermazione di un vasto impero con amministrazione e leggi omogenee, l'imposizione della pace, la costruzione di una vasta e d efficiente rete stradale, la creazione di un ampio mercato interno furono fattori che favorirono il miglioramento dell'economia specialmente nelle province.

Augusto si preoccupò anche dell'organizzazione del consenso: l'arte e la letteratura furono da lui concepiti come un prezioso strumento per propagandare gli ideali del principato. Come protettore delle arti, Augusto fu amico e mecenate dei poeti Ovidio, Orazio, Virgilio nonché dello storico Livio. Patrocinò l'architettura e promosse la costruzione di opere monumentali e civili. Notevole fu il suo impegno nella restaurazione dei valori etici e religiosi tradizionali, disconosciuti e dimenticati negli ultimi tempi della Repubblica ma le leggi e le iniziative rivolte ad ottenere questo risultato ebbero scarsa efficacia pratica, perché una fede non può rinascere per semplici imposizione dell'autorità politica.

Augusto si sposò tre volte; dalla seconda moglie, Clodia, ebbe una figlia, Giulia; la terza moglie fu Livia Drusilla, che aveva già due figli da un precedente matrimonio, Tiberio e Druso Maggiore. Morti Druso e Giulia, l'unico possibile successore rimase il figliastro Tiberio, che Augusto adottò nel 4 d.C.



I SUCCESSORI DI AUGUSTO: DINASTIA GIULIO-CLAUDIA E LA DINASTIA FLAVIA


Per grande parte del I secolo d.C. l'Impero fu governato dai componenti di due dinastie: quella Giulio-Claudia (dal 14 al 68 d.C.) e quella Flavia (dal 69 al 96 d.C.). La prima comprese quattro principi: Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone tutti esponenti dell'aristocrazia italica. Dopo il suicidio di Nerone, ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, si aprì un periodo di lotte per la successione, durante il quale gli eserciti acclamarono imperatori i propri rispettivi generali. La successione di ben quattro imperatori in due mesi determinata da questi disordini, si concluse però verso la fine del 69 d.C. con l'ascesa al potere della seconda dinastia, quella Flavia, appartenete al ceto equestre, iniziata da Vespasiano e proseguita dai figli Tito e Domiziano.

Durante il I secolo il principato assunse in modo sempre più esplicito le caratteristiche strutturali cui tendeva implicitamente fin dalle origini: l'autorità dei sovrani si accentuò, l'apparato burocratico divenne più ampio, il Senato e l'ordine equestre furono ridotti a funzioni subalterne. Il processo di accentramento del potere trasformò gradualmente il volto del principato in quello di una monarchia assoluta. Dall'altra parte l'assenza di un ordinamento istituzionale preciso, permise ai singoli principi di governare in assoluta autonomia senza essere limitati da vincoli di legge e di scegliere il modello ideologico a cui ispirarsi. Si delinearono così due diverse concezioni del potere: la prima si richiamava alle tradizioni culturali dell'occidente ed era in sintonia con il disegno politico di Augusto (fu questo il caso di Tiberio, Claudio e Vespasiano); la seconda subì, invece, l'influsso dell'Oriente ellenistico, che aveva diffuso l'immagine di sovrano divinizzato (fu questo il caso di Caligola, Nerone e Domiziano).

Questo secondo modello di potere incontrò forti resistenze da parte della Nobilitas che voleva recuperare i privilegi del passato, e i principi che tentarono di realizzarlo rimasero vittime di congiure. Gli oppositori non riuscirono comunque ad arrestare l'evoluzione del regime monarchico che anzi si consolidò: l'amministrazione centralizzata e compatta fu in grado di soddisfare le esigenze no più dei soli ceti privilegiati italici, ma di tutte le classi ricche dell'Impero; la cittadinanza romana venne estesa a nuove popolazioni e permise ai provinciali l'accesso alle magistrature e al Senato; il sistema difensivo dei confini venne migliorato e potenziato; il processo di Romanizzazione delle province venne accelerato. L'Impero del I secolo, quindi, si dimostrò in grado di dare stabilità e sicurezza alla società nel suo complesso.



IL PRINCIPATO ADOTTIVO


Alla morte di Domiziano (96 d.C.) il Senato riuscì a riprendere brevemente il controllo della situazione imponendo come nuovo principe uno dei suoi più autorevoli esponenti: Marco Coceio Nerva. Questi, consapevole che per restare al potere si sarebbe dovuto garantire le fedeltà dell'esercito, adottò come successore un prestigioso generale: Traiano. IL metodo dell'adozione, condiviso dall'aristocrazia e dall'esercito e seguito da quasi tutti i principi del II secolo, che designarono i successori in base ai loro meriti personali e non per motivi puramente dinastici, assicurò una tranquilla trasmissione del potere e impedì che scoppiassero guerre civili per risolvere il problema della successione.

Traiano (98-117 d.C.) primo imperatore di origine provinciale (spagnola), attuò una politica estera aggressiva, volta alla conquista di territori potenzialmente ricchi: si impadronì della Dacia, attuale Romania, il cui sottosuolo ero ricco di miniere d'oro. Le legioni romane giunsero poi fino al golfo Persico e in Assiria, in Mesopotamia, in Armenia vennero costituite nuove province. In questo modo l'Impero raggiunse la sua massima espansione territoriale.

Nel 117 d.C. a Traiano succedette Adriano (117-138 d.C.) anch'egli di origine spagnola. Il nuovo Principe abbandonò la politica estera aggressiva del suo predecessore, rinunciò ad alcuni territori in Oriente difficilmente difendibili e impegnò le sue energie a rendere più sicuri i confini, costituendo imponenti opere difensive e curando l'addestramento delle truppe da stazionare nei punti strategici. Dedicò grande alla riorganizzazione amministrativa dell'Impero. Diede uniformità al sistema giuridico, ispezionò a ungo le province. Grazie al governo energico ed equilibrato di Traiano ed Adriano, l'Impero conobbe una fase di grande stabilità che si prolungò anche per tutto il principato di Antonino Pio (138-161 d.C.).

Le prime avvisaglie di crisi si fecero sentire con Marco Aurelio (161-180 d.C.), di origine spagnola. Travolgendo il sistema difensivo nell'area Danubiana, due popolazioni seminomadi i Quadi e i Marcomanni, penetrarono nel territorio romano giungendo fino ad Aquileia. Il principe riuscì però a ricacciarli oltre i confini; quando Marco Aurelio morì a Vindebona (attuale Vienna) era in corso una nuova campagna militare. Gli succedette il figlio Commodo, che preferì concludere frettolosamente la pace e tornare a Roma. Il nuovo principe non fece nulla per consolidare l'autorità dell'Impero: la sua politica dispendiosa danneggiò l'economia dello Stato; il suo governo dispotico gli attirò l'odio della classe dirigente romana. Commodo cadde vittima di una congiura di palazzo ne l 192 d.C. mentre l'Impero era in preda ad una crisi di vaste proporzioni.

Complessivamente nel corso del II secolo, l'Impero dimostrò di essere un organismo militarmente forte e socialmente stabile: l'importanza delle province aumentò notevolmente a livello politico ed economico; l'apparato amministrativo si rivelò efficiente.




LA DINASTIA DEI SEVERI


Alla soppressione di Commodo seguì una situazione di confusione determinata dai tentativi dei pretoriani (la guardia dell'imperatore) e dei legionari di impadronirsi del potere ricorrendo alla forza. Alla fine prevalse Settimio Severo (193-211 d.C.), nativo di Leptis Magna in Africa, capostipite di una dinastia che da lui prese il nome. La sua ascesa al vertice dello stato e la sua azione di governo evidenziarono due importanti aspetti: il maggior peso politico delle province orientali e la cresente importanza dell'esercito. Consapevole del fatto che il suo potere derivava dall'appoggio delle legioni, egli ne ricercò costantemente il consenso concedendo ai soldati paghe elevate e particolari privilegi. Attuò anche un'energica e dispendiosa politica estera, per estendere e consolidare i confini, che gravò pesantemente sulle finanze statali e quindi in ultima analisi sulle risorse economiche dei cittadini. Svalutazione della moneta, carovita, impoverimento dei ceti intermedi, decadenza delle città furono le inevitabili conseguenze di questa politica, che divorò i redditi dei produttori per mantenere le classi improduttive dei militari e dei funzionari. Alla sua morte gli succedette il figlio Caracalla (211-217 d.C.), il cui famoso provvedimento fu la "Constitutio Antoniana" (212 d.C.), con la quale concesse la cittadinanza ai provinciali di libera condizione. Con questo editto si concludeva il lungo processo di Romanizzazione assecondato e avviato da tempo da altri principi. Ad esso non era estranea una motivazione fiscale: tassando un maggior numero di cittadini gli introiti sarebbero aumentati e avrebbero contribuito ad arricchire le casse dello Stato per continuare la politica di prodigalità nei confronti dell'esercito.

Caracalla rimase vittima di una congiura militare. Dopo la breve parentesi rappresentata da Elagabolo, che cercò di imporre i culti orientali a Roma e per questo fu ucciso, salì al potere l'ultimo rappresentante della dinastia dei Severi: Alessandro. Egli si impegnò a contenere le offensive anti-romane in Oriente e in Occidente, intraprese dalla dinastia persiana dei Sassanidi e delle popolazioni barbariche.

Una rivolta di truppe fu la causa della sua morte nel 235 d.C.




ECONOMIA E RELIGIONE NELL'ALTO IMPERO


L'Impero integrò i paesi dell'area Mediterranea in un organismo militare entro il quale le merci circolavano liberamente e i traffici erano facilitati dall'uso di una sola moneta e di due sole lingue fondamentali: il latino in Occidente e il greco in Oriente. La pax romana costituì perciò un ottima premessa per l'espansione delle attività economiche, ma i difetti del sistema risultarono alla distanza letali per la civiltà romana: lo schiavismo ostacolò infatti il progresso tecnico; il latifondo coltivato estensivamente da schiavi aveva una resa molto bassa; la produzione artigianale italica era stata soverchiata dalla concorrenza delle province; la bilancia commerciale con l'estremo Oriente, donde si importavano merci di lusso era passiva; le attività produttive, considerate nel loro complesso, non erano orientate a soddisfare adeguatamente i bisogni delle grandi masse.

La vita religiosa dell'alto Impero fu travagliata da nuove ansie: alla religione ufficiale si sostituirono in larga misura antiche miti orientali, più adatti a suscitare l'attiva partecipazione dei fedeli; aumentò coloro che sfiduciati dalle sorti di questo modo, cercavano una speranza di salvezza in un più intimo e autentico contatto con la divinità. In questo contesto si inserì la diffusione del Cristianesimo; una religione che, sovvertendo i valori tradizionali, annuncia che le gerarchie saranno rovesciate, i poveri saranno consolati e saranno invece perduti i potenti della terra. L'Impero, in generale tollerante in materia religiosa, sottopose più volte i Cristiani a crudeli persecuzioni, perché li considerava avversari irriducibili: il cristianesimo, infatti, come religione dell'uomo e dello Stato, insegna bensì a "dare a Cesare quello che è di Cesare" ma nello stesso tempo rivendica la priorità dei doveri del fedele verso Dio. Il Cristianesimo, benché non mirasse ad una rivoluzione politico-sociale, considerava anche gli schiavi come figli di Dio, redenti dal sangue di Cristo; infine, poiché si diffondeva soprattutto tra le classi subalterne della città, suscitava la reazione delle classi dirigenti che lo tenevano come movimento virtuale sovversivo.





CRONOLOGIA SUCCESSIVA


235: inizio Anarchia Militare

285: Diocleziano al potere

305: Diocleziano si dimette

306: Costantino al potere

337: morte di Costantino; gli succede il figlio Teodosio

313: Editto di Milano

380: Editto di Tessalonica

395. morte di Teodosio

410: sacco di Roma

450: arrivo degli Unni

476: caduta dell'impero d'Occidente

527: Giustiniano imperatore d'Oriente

555: Pragmatica Santione (estensione all'Occidente del CORPUS IURIS CIVILIS)









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