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IL PENSIERO - UN EPOCA DI CRISI

latino



IL PENSIERO



UN EPOCA DI CRISI

La figura di Sallustio è segnata dalla crisi profonda che pervade la sua epoca e che prende corpo nella grave questione istituzionale che vede il passaggio dalla repubblica a principato. I dati anagrafici lo collocano adolescente negli anni che scontavano le conseguenze del regime sillano, un disegno razionale che aveva tentato di ripristinare l'a 616b16g utorità del senato ricorrendo a misure tanto drastiche nell'immediato quanto inefficaci o pericolose per l'avvenire.


LE CONSEGUENZE DEL REGIME SILLANO

Peraltro la costituzione di Silla non aveva fatto altro che tamponare le numerose falle del governo oligarchico, che si rifiutava di aprire il senato ai ceti emergenti. Sallustio non avrà vissuto che il ricordo degli anni sillani, ma di certo aveva ben presenti le conseguenze del regime, che ripetutamente nel De coniuratione Catilinae presenta come l'inizio del processo degenerativo della sua epoca. Proprio negli anni successivi al 70 a. C., quando Pompeo e Crasso smantellarono la riforma sillana e ripristinarono l'autorità dei tribuni. Sallustio attribuisce la radicalizzazione della lotta politica nello scatenarsi del regime dei partiti, il mos partitium et faccione, individuato come la principale causa del malessere della sua epoca.




UN VENTENNIO DI VIOLENZE POLITICHE

Sono note le vicende che seguirono, tra le quali: nel 63 a. C. la congiura di Catilina, nel 58 l'esilio di Cicerone, poi gli atti terroristici e gli scontri tra le bande di Milone e Clodio, fino all'uccisione di costui nel 52, in un crescendo di avvenimenti sempre più gravi, dalla marcia su Roma nel 49 alla battaglia di Farsalo nel 48 e alla successiva dittatura a vita di Cesare. Degli avvenimenti successivi alla morte di Cesare, Sallustio fu solo spettatore, rimasto privo di legami con un qualche gruppo politico dopo la dissoluzione del vecchio partito dei populares.


UN CONSERVATORE DALLA PARTE DEI POPULARES

Doveva essere davvero difficile per un uomo impegnato nell'attività pubblica concepire idee politiche originali in un momento in cui a un alto tasso di violenza politica faceva riscontro una scarsa differenziazione ideologica tra le fazioni in lotta. Oggi, infatti, la maggior parte degli storici considera la lotta politica nella tarda repubblica come uno scontro tra fazioni nobiliari per la conquista del potere. La stessa opposizione tra optimates e populares non va intesa come uno scontro tra due partiti, ciascuno con la propria ideologia: in realtà gli optimates non spiravano ad altro che a conservare i propri privilegi; i populares cercavano l'appoggio del popolo solo come strumento per la conquista del potere. All'interno di questo panorama politico, Sallustio scelse di schierarsi con i populares e con Cesare, in cui vedeva l'uomo in grado di salvare lo stato dal malgoverno del senato. Già nel Bellum Iugurthinum la corruzione e l'inadeguatezza del senato erano i principali motivi d'instabilità della res publica. Secondo il De coniuratione Catilinae, poi, l'antidoto allo strapotere del senato non andava cercato nella sovversione totale di cui si faceva promotore Catilina, ma nel moderatismo sociale della politica di Cesare, fondata sul rispetto della legalità e della proprietà privata. La fortuna di Sallustio seguì l'ascesa di Cesare.


LE ESPISTULAE AD CAESAREM: DALLA SPERANZA ALLA RASSEGNAZIONE

Non tutti sono convinti dell'autenticità delle due Epistulae ad Caesarem: certo è che esse combaciano alla perfezione con il ritratto politico di Sallustio che emerge dalle altre opere. Mentre, infatti, nella seconda delle due epistole Sallustio suggeriva a Cesare un programma di riforme inteso a restaurare i boni mores del passato e la libertas dell'antica repubblica, nell'altra lettera lo storico appare molto più freddo nei confronti del dittatore. Scritta dopo la battaglia di Tapso, la lettera fa riferimento all'immagine di un Cesare ormai padrone di Roma al quale si poteva solo chiedere clemenza.


LA "SOLITUDINE" DI SALLUSTIO

Ha così origine quella che Italo Lana chiama la "solitudine" di Sallustio. Ancora prima che la morte del dittatore lo inducesse a ritirarsi dall'attività pubblica, Sallustio aveva scelto di tenersi in disparte, assumendo una posizione che non aveva più nulla dell'uomo di parte. Nelle due monografie egli appare sempre più scettico sul futuro di Roma, uno stato le cui condizioni facevano temere - anche se non ancora prevedere - la fine per opera di un nemico esterno.





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