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L'originalità di Saffo
Quasi nel medesimo periodo in cui, con Solone, la tradizione della lirica si
affermava nell'Attica, radicandosi nella realtà ateniese grazie all'impegno
etico e civile del grande legislatore, si assiste, nell'orientale isola di Lesbo,
al fiorire della lirica eolica con Alceo di Mitilene e Saffo, anch'essa di
Mitilene, o forse di Ereso, entrambi nati non molti decenni dopo la metà del
secolo VII. Grazie alla loro produzione poetica, una lingua fortemente
improntata alle caratteristiche dialettali eoliche, si innalza a dignità
letteraria, discostandosi dai mezzi espressivi sino ad allora utilizzati dalla
lirica monodica e rappresentati essenzialmente da una lingua, quale quella
omerica, con prevalente impianto ionico.
Sebbene siano giunti fino a noi resti di altri poeti minori, tuttavia la lirica
eolica era destinata a tramontare dopo la morte 424g66e della grande poetessa, fatto
che fece nascere, nel secolo scorso, il pregiudizio romantico di una poesia
"dialettale", individuale ed immediata, in antitesi alla tradizione
letteraria, rappresentata, nella Grecia antica, dall'epos omerico. Da ciò è
scaturito un ampliamento del campo d'analisi, attraverso la lettura dei
frammenti, alla personalità della poetessa.
Saffo, tuttavia, non è soltanto il nome di una poetessa: è un personaggio
poetico dei moderni ed inevitabilmente nell'animo dell'uomo odierno, per poco
colto che sia, il suo nome si associa con idee sentimentali, romantiche e
poetiche. L'antichità dinanzi ai suoi carmi rimane come sbigottita, nessuno
prima di lei, nessuno dopo di lei, né uomo né donna, né greco né romano, aveva
trovato mai ne mai trovò una formula più adeguata e più giusta, più nobile ed
elevata, più ardente e più pura del nobilissimo e più poetico tra i sentimenti
umani: l'amore.
Per comprendere la natura di tale sentimento non si può, però, prescindere
dalla vita che si svolgeva nel tiaso, che era una compagnia di donne e ragazze
nubili che si riunivano attorno alla poetessa, perché le istruisse nel canto,
nella danza, e in altre attività raffinate.
Di alcuni conosciamo i nomi: Attide, Anattoria, Arignata, Gongila, Dica e
Cirinno. Conosciamo anche il nome di sue rivali che avevano come lei, intorno a
sé, una compagnia di giovinette: Gorgo ed Andromeda.
Può parere strano ma la grandezza di Saffo è anche nella sua capacità di
accettare ogni tipo d'amore: quello istituzionalizzato, maschile e nuziale, e
la tenerezza tra fanciulle del tiaso che tale amore talvolta distrugge. Non c'è
distinzione né contrasto tra essi, né c'è gelosia, benché i due sentimenti
possano avere il medesimo nome e si chiamino amore ambedue. Su tutte le gioie
del tiaso prevale l'amore. In un'ode restituitaci da un papiro, Saffo, con
un'infinita libertà spirituale, esprime il suo ideale di vita: "Alcuni un
esercito di cavalieri, altri di fanti, altri uno stuolo di navi, dicono essere
sulla terra nera la cosa più bella; io invece ciò che uno ama". E conferma
tale convinzione citando l'esempio di Elena: ma nelle sue mani quella colpa
antica si trasforma in peccaminosa negligenza degli affetti più cari, e il
mito, lungi dall'esser stancamente ripetuto nei suoi tradizionali motivi, è
rivissuto modernamente in piena aderenza alla novità dello spunto iniziale.
Dell'amore, infatti, conosce bene Saffo la doppia natura: "Fiera e
irresistibile, dolce e amara" (Fr. 137) lo chiama una volta, che tutta la
"scuote sciogliendo le membra" o le "agita il cuore come vento
irrompendo tra le querce del monte" (Fr. 50), ma che pure le concede momenti
di abbandonata tenerezza "Dormi sul seno della delicata amica" (Fr.
134) o di esultante felicità: "Ti prego, o Gongila, fiore di rosa... nel
tuo mantello di latte: intorno a te vola, tanto sei bella, e Poto e Peito;
questa tua vesta a vederla mi fa tremare e gioire" (Fr. 36).
La poesia di Saffo quindi non è soltanto poesia di dolore e disperazione, come
sempre si è ritenuto, e con antiche leggende e fallaci interpretazioni e
figurazioni moderne, tra cui, celeberrima, "L'ultimo canto di Saffo"
di Giacomo Leopardi, sembrano suggerire e sostenere; né è poesia d'amore,
almeno nel senso che a questa parola si è soliti dare.
L'originalità di Saffo, infatti, risiede nella possibilità che noi moderni
abbiamo di interpretare in modo differente l'amore espresso nei suoi frammenti.
Nel vasto orizzonte interpretativo, infatti, ognuna di noi ha evidenziato il
proprio punto di vista: c'è chi rivive nel contrasto "dolce/amaro"
dell'amore saffico la scissione di tale sentimento che alcuni considerano
passione vera e propria , come scaturisce dall'"Ode della gelosia",
nella quale la descrizione dei sintomi della passione raggiunge il suo culmine
in un crescendo che sale dal petto al volto, dall'intimo sussurro del cuore al
pallore del viso, attraverso tutta una gamma di sensazioni che sono magistralmente
composte in una straordinaria unità di elementi fisici e di reazioni
sentimentali.
Altri, invece, vedono nell'amore di Saffo, semplicemente, tenerezza viva ed
aperta ad affetti, amicizia e fresca commozione, l'amore sacro e innocente che
una madre può provare verso una figlia. Al contrario, in Catullo, riscontriamo
queste due manifestazioni dell'amore; l'infelicità dell'autore infatti risiede
nell'incapacità di conciliare "amare" e "bene velle", cioè
ardente passione e sincero rispettoso affetto.
L'originalità di Saffo potrebbe risiedere anche nel fatto che il suo amore non
si esaurisce soltanto verso il genere umano, ma è anche contemplazione di cose
gaie e belle: spettacoli placidi della natura, notti stellate, fiori, colori. A
cieli foschi, a tempeste di mare, ad alberi che si spogliano delle loro fronde
- che sono motivi così comuni ad altri poeti come Alceo - ella ha gli occhi e
l'animo come chiusi. C'è, nella poetessa, un'anima quasi mattutina e
primaverile ed il tono dominante di alcuni suoi versi è di una beatitudine
facile ed obliosa.
Testimonianza della straordinaria sensibilità di Saffo alle voci della natura è
il frammento 16b, nel quale il silenzio dell'ora notturna, scandita dal
tramonto della luna e delle Pleiadi, rispecchia la solitudine della poetessa.
Tutta la natura per Saffo è solamente spettacolo di beltà e letizia; della
terra ella non vede che le cose inutili e belle; non conosce e non cura le
fatiche degli uomini, né i frutti di queste fatiche; né aratura, né
seminagione, né grano, né vite, né greggi, né bestie da lavoro. Ella conosce
soltanto gli uccelli leggeri che volano e cantano, gli usignoli, i passeri, le
erbe, i fiori, le rose soprattutto.
Infine altri sostengono che l'originalità di Saffo emerga con incisiva potenza
dall'"Inno ad Afrotide". In quest'ode la poetessa parla in proprio
nome e forse chiede di essere corrisposta da tale che la trascura, né più si
interessa di lei. Il contrasto che dà vita e luce di poesia a tale preghiera è
tutto nell'angoscia di lei, che invoca il divino intervento e nella fiduciosa
sua attesa che quell'angoscia si plachi al solo apparire della Dea. Dell'inno
conserva la movenza iniziale e qualche epiteto liturgico: "Immortale
Afrodite dal variopinto seggio, figlia di Zeus, tessitrice di inganni, ti
invoco...", ma il ricordo della divina epifania che sola può appagare
l'ardore del suo desiderio, esprime tal confidenza e così sicuro abbandono da
fare di questa preghiera un personalissimo frammento di poesia che, lungi dal
rimanere tale, diviene universale; in questo, secondo alcuni, risiede
l'originalità e l'attualità di Saffo: nella sua poesia ed in particolare
nell'Inno ad Afrodite", infatti, l'introspezione personale oltrepassa il
limite puramente soggettivo ed ambisce ad essere un'introspezione universale.
Charles R. Beye, Letteratura e pubblico nella
Grecia antica, vol. I,
New York 1975.
K.J. Dover, La letteratura della Grecia antica, Milano
1992.
G. Arrighetti, La cultura letteraria in Grecia, Roma 1989.
U. Albini, A. Luppino, Pagine critiche di letteratura greca, Firenze 1972.
F. Ballotto, Storia della letteratura greca, Milano 1967.
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