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POESIA DIDASCALICA IN ETA' ELLENISTICA - I FENOMENI DI ARATO

greco



POESIA DIDASCALICA IN ETA' ELLENISTICA


Da διδασκω, verbo che significa "insegnare", la poesia didascalica doveva insegnare qualcosa, dare informazioni. Non era un poema epico, ma un poema che al posto di trasmettere valori trasmetteva insegnamenti. Esiodo è tradizionalmente considerato il primo autore di poesia didascalica ("Le opere e i giorni"); il Rossi sostiene che qu 939d33j esto è un equivoco di periodo ellenistico: Esiodo non voleva insegnare a coltivare i campi, ma voleva fare un poema sapienziale (il Canfora è d'accordo). L'ellenismo però lascia perdere Omero e va a prendere Esiodo dandogli la definizione di poema didascalico: cioè un'opera di contenuto scientifico in versi. Anche la filosofia era nata in versi, ma per un motivo pratico, la memorizzazione (la diffusione non era per iscritto). In età ellenistica la diffusione non era più orale, l'uso del verso per favorire la memorizzazione non aveva più senso, però il periodo ellenistico produsse una notevole quantità di poesia didascalica, classificata in 3 filoni:

  1. TRADIZIONALE: presenta un argomento scientifico in versi per facilitarne la memorizzazione → non è destinata ad altri dotti, ma ha un fine didascalico (ne abbiamo un solo esempio).
  2. POESIA DIDASCALICA VERA E PROPRIA: all'argomento scientifico si sposa la capacità poetica (un esempio sono i Fenomeni di Arato).
  3. poesia in cui la VERSIFICAZIONE CONTRASTA CON L'ARGOMENTO che è apoetico. I versificatori erano indifferenti al contenuto, per dimostrare abilità tecnica, che era tanto più grande quanto meno il contenuto c'entrava con la poesia. Di questo filone abbiamo delle opere di Nicomandro:

   γεοργικά → trattato di agricoltura a cui si rifà Virgilio (abbiamo solo il titolo)



   θεριακά → descrizione di animali velenosi (soprattutto serpenti)

   αλεξιφαρμακα → trattato di farmacologia, rimedi.

Non hanno niente di poetico, sono solo sfoggio di abilità tecnica, sono terrificanti. È l'estremo approdo del tecnicismo ellenistico.



I FENOMENI DI ARATO


Arato è autore di varie opere, non si sa bene chi sia, probabilmente viene da Soci, in Cilicia. È autore dei Φαινομηνα, un trattato di astrologia (che gli antichi confondevano con l'astronomia). Si è rintracciato il testo. Arato non è un esperto della materia in sé, ma ha ripreso Eudosso di Cnido, che aveva scritto "Lo Specchio", che trattava di astronomia.

È un'opera non vasta, divisa in due parti; il titolo dovrebbe riguardare solo la prima parte, la descrizione dei corpi celesti. La seconda parte sono le προγνοσεις, previsioni → le indicazioni che si hanno, come il tempo, il clima, la luce. Dato che parla di segni premonitori del futuro, è più astrologica che astronomica. È un'opera che ebbe fortuna a Roma, sopravvisse fino al medioevo come il testo di astrologia. "Lo specchio" scompare e rimane solo l'opera di Arato. Ha anche qualcosa di filosofico. Ebbe tante traduzioni in latino, fatte nei momenti di maggiore incertezza, come per esempio:

   la prima traduzione fu fatta da Varrone Atacinio, uno dei neoteroi, che però non abbiamo. I neoteroi avevano interesse per la poesia ellenistica, grazie a loro la poesia di questo tipo entra in Roma.

   La seconda traduzione si deve a Cicerone, "Aratea" = cose di Arato; non è una traduzione letterale, la fa nel suo primo periodo di produzione, prima di accorgersi cosa la poesia comportava, e cioè il distacco dalla vita pubblica, e quindi se ne distacca. Non sappiamo se rinnega anche quest'opera come le altre di poesia. Cicerone scrive durante le guerre civili: è un periodo di insicurezza.

   C'è una traduzione di Germanico, che non abbiamo.

   Nello stesso periodo la traduce anche Manilio: due opere sullo stesso argomento scritte nello stesso periodo indicano che gli uomini cercano nelle stelle la sicurezza che non trovano sulla Terra.

   Ne fa un'altra traduzione Afieno, nel IV secolo, altro periodo di incertezza.


Ci sono alcuni punti interessanti nell'opera di Arato:

  Nel proemio c'è la professione di fede stoica → vede l'universo dominato dal logos, che coincide con Zeus → fa un inno a Zeus che secondo qualcuno assomiglia all'inno a Zeus di Cleante (successore di Zenone) → collegamento per lo stoicismo.

  Identifica la costellazione della Vergine con Δικη: non si sa se sia una versione diversa del mito usato da Esiodo, oppure un mito inventato da lui. Secondo Esiodo Δικη era prodotto di Zeus che mangia la moderazione. Esiodo sostenne che la situazione sulla terra sarebbe peggiorata quando se ne saranno andate le due divinità Αιδώ (verecondia: rispetto interno, vergogna nei confronti di se stesso), e Nεμεσις (vendetta storica, la storia che si corregge da sola). Arato identifica la vergine con Δικη, e sostiene che Δικη governava sulla terra durante le prime due età, l'età dell'oro e l'età dell'argento: viene sulla terra e impone agli uomini leggi civili e sociali di comportamento. Non dice quali età ci sono dopo, ma solo che Δικη abbandona la terra e si trasforma nella costellazione della vergine. Qui Arato fa vera e propria poesia: dice che Δικη non viene rispettata, gli uomini annullano quello che lei aveva insegnato loro. Probabilmente Arato conosceva oltre la versione di Esiodo anche un'altra e la preferisce, oppure è un'idea sua, prendendo spunto da Esiodo ha trasformato il mito. In Esiodo c'erano Αιδώ e Nεμεσις che abbandonano la terra dopo, nell'età del ferro; in Arato c'è Δικη che abbandona la terra, e prima. È un motivo eziologico: lo fa anche per altre costellazioni, però con riferimento a miti di cui non abbiamo antecedenti, non si riferiscono ad Esodo, sono rari, e la poesia è minore.





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