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LE ARGONAUTICHE - Apollonio Rodio

greco



LE ARGONAUTICHE


Apollonio Rodio

Poche e contraddittorie sono le notizie biografiche su Apollonio Rodio, il più grane poeta epico ellenistico. Secondo le notizie di due Vite preposte agli scolii delle Argonautiche, la nascita di Apollonio avvenne intorno al 295 a. C. ad Alessandria o a Naucrati. Il Papiro di Ossirinco 1241, che contiene l'elenco dei bibliotecari di Alessandria, ci fa sapere che Apollonio, detto "Rodio", successe a Zenodoto. Poiché la carica di bibliotecario comportava anche il compito di precettore del principe ereditario (in questo caso Tolomeo III Emergete), possiamo dedurre che Apollonio assunse l'incarico verso il 260 a. C. e lo mantenne fino al 247, quando l'Evergete salì al trono. In quell'anno, Apollo 555c25f nio fu sostituito da Eratostene; sembra che si possa far risalire a questa data anche l'abbandono di Alessandria ed il volontario esilio del poeta a Rodi, dove rimase fino alla morte, avvenuta forse intorno al 215 a. C. la notizia secondo la quale Apollonio avrebbe lasciato Alessandria a causa della polemica con Callimaco non ha basi di sorta, ance se certamente non si può escludere che fra i due i rapporti, favoriti sia dal clima culturale della città che dalla presenza di entrambi a corte, siano stati talvolta tesi: tuttavia la divergenza fra i due poterebbe anche essere un'invenzione dovuta alla profonda diversità fra i due poeti e alla convinzione che Apollonio, componendo le Agonautiche, avesse voluto ricreare il poema epico di stampo omerico e di vasta dimensione odiato da Callimaco.



Oltre al poema, che ci è giunto intatto, Apollonio scrisse varie altre opere in prosa e in versi, di cui, però, ci è rimasto assai poco. Fra queste possiamo ricordare il Canobo, in giambi scanzonati, che trattava la storia di questa città non lontana ad Alessandria, probabilmente intrecciandola con quella dell'eroe Canobo, suo fondatore e compagno di Menelao. L'interesse di Apollonio per i miti di fondazione è documentato anche da un gruppo di poemetti in esametri, in cui si narravano le origini di varie città; rimangono alcuni versi dei componimenti che riguardavano Naucrati (che fu creduta città natale del poeta), Rodi e Lesbo. Apollonio, come quasi tutti i suoi contemporanei, portò a termine anche numerose opere erudite, andate completamente distrutte: abbiamo notizia di un opuscolo Contro Zenodoto, spesso citato dai commentatori omerici e di analisi linguistiche condotte sui testi di Archiloco, Esiodo e Antimaco.



Le "Argonautiche"

Il testo della Argonautiche ci è giunto suddiviso in quattro libri corredato di note grammaticali, linguistiche e storiche (scolii), che ebbero origino, almeno in parte, dal commento di Teone di Alessandria. Grazie agli scolii antichi, abbiamo modo di renderci contro delle fasi progressive di limatura, perfezionamento a cui l'opera fu sottoposta, prima della stesura definitiva; infatti, in più luoghi, essi fanno riferimento ad un'edizione "preliminare" del poema. Questa constatazione ci permette di formulare l'ipotesi che Apollonio abbia iniziato il lavoro quando era bibliotecario di Alessandria e che, forse in quel periodo, leggendo alcuni brani appenda composti da Callimaco, sia entrato in polemica con lui, a causa del mancato apprezzamento per la sua opera. Certamente, il poema fu terminato e portato a perfezione a Rodi, anche se non è accettabile l'idea, avanzata da una fonte antica, che ne esistessero due edizione, una composta ad Alessandria ve letta a Callimaco, ed una, definitiva, a Rodi.

È stato opportunamente notato che il numero delle Argonautiche corrisponde a quello dei drammi di cui era composta una tetralogia tragica; ciò dimostra l'adesione di Apollonio a quanto aveva detto Aristotele nella Poetica (1549 b), quando aveva proposto di ridurre la lunghezza del poema epico, in modo da permetter al lettore o all'ascoltatore di seguire l'intera azione, dal principio alla fine, come accadeva per gli spettatori dei quattro drammi, rappresentati in un giorno solo.


La trama

L'impresa affidata a Giasone, consiste ne riportare dalla Colchide in Grecia il vello d'oro del magico montone, che aveva posto in salvo dagli intrighi della matrigna Frisso, il figlio del re beota Atamante: per portarlo a termine, occorre vincere le insidie di un lunghissimo viaggio e la dura volontà negativa del re della Colchide, Eeta.

Il progetto non appartiene agli Argonauti: viene loro imposto dal re tessalo Pelia: è dichiaratamente un pretesto per allontanare l'uomo che porta un solo calzare, che un oracolo gli ha indicato come mortale pericolo, suo nipote Giasone.


Il mito degli Argonauti

Il mito degli argonauti, con le vicende dell'eroe Giasone e dei suoi compagni, di Medea e della nave Argo era già noto ai tempi di Omero, il quale ricorda la ben nota impresa nell'Odissea (XII, vv. 70 e segg.), e anche Esiodo ne aveva parlato nella Teogonia (vv. 992 e segg.). Inoltre, le avventure degli eroi inviati da Pelia, re di Iloco, a conquistare il vello d'oro, aveva offerto spunto per alcuni poemi ciclici attribuiti a Cracino, Eumelo ed Euripide; l'opera di quest'ultimo, databile al IV secolo a. C., è il più antico poema che si conosca sull'argomento. L'argomento, dunque, poteva vantare una ben consolidata tradizione poetica, ma probabilmente Apollonio attinse anche a opere in prosa, soprattutto quando si soffermò a descrivere aspetti inconsueti ed esotici del paesaggio o costumi strani e sconosciuti ai Greci, che sembrano derivare da qualcuna di quelle raccolte paradossografiche, tanto a care agli eruditi di quel periodo.


Il tempo

Nell'Iliade il tempo si snoda in maniera abbastanza uniforme, dal giorno della contesa fra Achille ed Agamennone fino a quello dei funerali di Ettore, con cui termina il poema; e benché non manchino procedimenti analettici e prolettici, si dipendono per lo più dal punto di vista dei personaggi,l come ricordi del passato (Nestore che rievoca la giovinezza), o come previsioni di un prossimo futuro (Achille che pregusta il rimpianto degli Achei avranno di lui, quando Ettore li massacrerà).

Nell'Odissea, che inizia quando il protagonista ha trascorso già lunghi e travagliasi anni sul mare, il discorso si distende in una lunga analessi, quando Odisseo, ospite di Alcinoo, racconta le sue avventure, per riallacciarsi poi ai fatti narrati all'inizio del poema. L'unica novità di questa struttura ad anello può essere la presenza di due piani temporali paralleli, sui quali si collocano le peripezie di Odisseo e ciò che contemporaneamente avviene ad Itaca.

Ma sia nell'Iliade che nell'Odissea, fino dai versi del proemio, la voce narrante dell'aedo ha già protetto tutti gli avvenimenti che canterà in una dimensione remota, che separa nettamente il tempo della storia dal tempo del cantore e dei suoi ascoltatori.

Nelle Argonautiche, la dimensione temporale si articola in maniera profondamente diversa, a causa dei numerosi interventi del poeta, ben lontano dall'impersonalità dell'aedo sempre pronto a violare a suo piacere la lineare sequenza del tempo. Così le analessi servono a informare il lettore su avvenimenti che non sono stati narrati direttamente o che sono noti solo per brevi accenni; a chiarire episodi secondari o a rievocare aspetti del mito che non trovano posto nel racconto, ma che hanno comunque qualche rapporto con esso. D'altro lato, le prolessi assumono talora importanza determinante nella delineazione e nell'analisi di un personaggio. Ciò risulta con particolare evidenza nella figura di Medea, che contiene, nel suo presenta, già molti accenni alla sua futura evoluzione. Talora, invece, l'uso di prolessi si ricollega al racconto di qualche aition, che, secondo un gusto tipico ella poesia ellenistica, instaura un saldo vincolo fra passato e attualità presentando la seconda come conseguenza del primo e permettendo che la voce narrante del poeta interferisca a suo piacere nel racconto.


La figura del narratore

Apollonio non si discostò molto dalla figura del narratore "onnisciente", tipica dei poemi omerici. Tuttavia, a proposito dei personaggi più significativi e nei momenti più drammatici, egli operò spesso degli "Scivolamenti del punto di vista", rinunciando alla propria ottica e calandosi in quella dei personaggi.

Questa efficace tecnica narratologica fu applicata da Apollonio con attenzione e sensibilità per evitare di renderla eccessivamente banale con un uso troppo frequente; al contrario, come si è già accennato, furono molto numerose ed insistite le deroghe all'impersonalità del narratore, regola fissa dell'epica tradizionale.


Le descrizioni

Apollonio rispettò l'uso omerico di interrompere la narrazione per offrire descrizioni di paesaggi, oggetti, personaggi; tuttavia anche qui egli interviene adattando questo espediente alle proprie esigenze poetiche e al gusto del suo tempo. A proposito della descrizione paesaggistica nelle Argonautiche, la caratteristica più evidente è l'assoluta mancanza di convenzionalità, unita all'intento di stabilire una relazione, per analogia o per contrasto, fra ambiente e psicologia dei personaggi.

Anche la descrizione di oggetti non è mai fine a se stessa, ma si ricollega al disegno globale del poema attraverso una rete di allusioni e di riferimenti spesso assai complessa. Ciò accade, ad esempio, nella descrizione del manto di Giasone, dono di Atena, alla quale Apollonio dedica ben quarantasette versi del I libro. Il modello del poeta fu evidentemente la descrizione dello scudo di Achille nel XVIII libro dell'Iliade, ma con alcuni significativi mutamenti. Nel poema omerico la descrizione, tanto ampia da occupare quali l'intero libro, era dedicata ad un oggetto da guerra e preparava il ritorna di Achille in battaglia. Apollonio, dopo la minuziosa descrizione del prezioso capo d'abbigliamento, accenna appena, in due soli versi, alla lancia impugnata da Giasone, dono della cacciatrice Atalanta. Così il poeta lascia chiaramente trasparire che l'impresa alla quale l'eroe sta per accingersi non è di guerra, ma d'amore, nel prossimo incontro con Ipsipile.


Le similitudini

Anche nell'uso della similitudine è evidente il distacco di Apollonio dal modello omerico. Per prima cosa le similitudini sono molto più irregolari come distribuzione; inoltre, la similitudine omerica contiene un riferimento diretto al racconto in uno solo dei termini che la compongono, mentre l'altro, che spesso trae ispirazione da scene di vita quotidiana o comunque da esperienze reali (caccia, guerra, agricoltura o pastorizia, fenomeni metereologici, aspetti della natura), tende ad ampliarsi in una descrizione autonoma, talora piuttosto estesa. In Apollonio, la similitudine mantiene invece una stretta corrispondenza fra i due termini di paragone, in una ricerca di compattezza e di omogeneità con l'intero contesto.

In Apollonio, per di più, la similitudine non si limita ad essere soltanto un modo per rendere più efficace l'enunciato descrittivo, evidenziandolo con i confronto fra due immagini: talvolta il paragone si connota anche di acuti approfondimenti psicologici.



Il distacco dal modello omerico

Sebbene Apollonio avesse sempre presente il modello omerico, egli lo utilizzò in realtà come materiale da rielaborare.

Nell'epos omerico il racconto si articola nell'opposizione fra narrazione e dialogo. In Apollonio, questa alternanza si arricchisce della funzione di sottolineare, attraverso l'uso del dialogo e del monologo (quest'ultimo quasi del tutto assente nei poemi omerici), i momenti più significativi del poema; essi risultano così "drammatizzati", mentre il racconto di tipo dietetico (narrativo - esplicativo) viene usato di preferenza per situazioni meno importanti ai fini dell'evoluzione dell'intreccio.

Ma il più significativo allontanamento dal codice omerico è rappresentato dall'uso della così detta "tecnica dello scorcio", che ha la funzione di accelerare fortemente il tempo del racconto rispetto a quello della storia. Apollonio lo impiega per sintetizzare al massimo le parti del poema i cui non compaiono eventi significativi, per evitare ripetizione, per poter riferire contemporaneamente le azione compiute da personaggi diversi o per il rapido resoconto di episodi non particolarmente funzionali allo sviluppo dell'azione. Tutto questo contribuisce ad evidenziare la tendenza, tipicamente ellenistiche,a creare un enunciato sintetico e compatto in contrapposizione al più ampio e disteso modo di narrare caratteristico dell'epos tradizionale.


La drammatizzazione

La volontà di Apollonio di avvicinare la sua epica al danna è evidente nei contenuti.

Il poeta da una spiccata connotazione psicologico - esistenziale all'intero poema, mostrando le incertezze dei personaggi, un diffuso tono di pessimismo che riduce l'agire umano ad una vicenda priva di senso, inutile e incomprensibile.

Nel IV libro, quando gli eroi vagano attraverso la Libia, in uno sconfinato deserto dal quale emana un lugubre e rarefatto incanto, finché ciascuno di loro si getta sulla sabbia, per aspettare la morte in una solitudine interiore prossima all'alienazione (Argonautiche, IV, vv. 1228-1307); quando lo spettro di Steselo, compagnoni Eracle nella spedizione contro le Amazzoni, al quale il poeta assegna qui il ruolo di malinconico esempio della caducità della vita, sorge dalla tomba nel fulgore delle sue splendide armi ormai inutili e, salito sulla cima del sepolcro, osserva da lontano, con rimpianto, la nave degli Argonauti, "e subito di nuovo discese nella tenebra oscura" (Argonautiche, II, vv. 911-929).


Medea e Giaccone

La vicenda d'amore fra Giasone e Medea, predominante nel III e IV delle Argonautiche, oltre a fornire validi elementi per approfondire i caratteri dei due protagonisti, rappresenta anche l'innovazione più originale di Apollonio nei confronti dell'epos tradizionale.

L'idea di unire la storia di un rapporto d'amore ad un intreccio avventuroso non era nuova; infatti, se nell'Iliade, come si è visto, l'amore trova poco spazio, nell'Odissea gli incontri di Odisseo con Calipso, Circe e Nausicaa costituivano tappe importanti del suo viaggio di ritorno, ma anche della sua avventura eroica e umana. Apollonio seppe interpretare questo antico motivo i modo personale, distaccandosi sia dal modello offerto dai cataloghi di stampo esiodeo, in cui si elencano le storie delle eroine innamorate di uomini o di dei sia dalla figura dell'eroe protagonista di lunghi viaggi, nel corso dei quali non disdegnava occasionali relazioni amorose. Ma, se il personaggio maschile può contare sull'illustre precedente di Odisseo, ci è invece impossibile ricostruire la figura di Medea nella poesia prima di Apollonio, perché tutte le opere che trattavano il mito degli Argonauti sono andate perdute. Non bisogna però dimenticare un illustre predecessore e cioè Euripide e la sua tragedia Medea. Nella rappresentazione teatrale Euripide mise in rilievo due temi: il primo, la lacerazione dell'unità amorosa e il suo esito, che non è il vuoto affettivo, ma il capovolgimento del desiderio amoroso in aggressività implacabile; il secondo, la subalternità maschile: la dipendenza di Giasone da Medea o meglio la capacità di Medea di determinare il destino di Giasone più ancora di quello proprio. Tutti questi due temi sono diventati parte viva del tessuto poetico di Apollonio: il secondo attraverso la rappresentazione senza riserve della passività dell'eroe, anche su questo versante; il primo, con una sapiente escavazione delle disarmonie che possono preludere al futuro euripideo.




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