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Eschilo (tragedie) 'Persiani' (472 a.C.)

greco



Eschilo (tragedie)



"Persiani" (472 a.C.)

I protagonisti sono i vinti della battaglia di Salamina, avvenuta nel 480 a.C. L'azione tragica si svolge alla corte del re di Persia, a Susa. Serse e' partito per muovere guerra alla Grecia con 1200 navi ed un esercito immenso, e il coro dei vecchi persiani esprime la sua preoccupazione per la sorte di Serse, della cui spedizione non si hanno notizie. Essi consigliano ad Atossa, madre di Serse, la quale ha avuto in sogno funesti presagi, di fare sacrifici propiziatori agli dei. Mentre un triste presagio incombe s 525i81f ulla scena, giunge un messo, che narra nei particolari la disfatta di Salamina e la distruzione dell'esercito di Serse.
I vecchi persiani del coro e Atolla evocano lo spirito di Dario, padre di Serse, che individua i motivi di una cosi' grande sciagura nella smodata ambizione di Serse, che si e' meritato il castigo degli dei, e predice la successiva disfatta di Platea. Infine sulla scena giunge Serse, che, umiliato, unisce i suoi lamenti a quelli del coro.
Questa tragedia presenta una tecnica primitiva con un'azione scenica molto scarna. Il fato incombe sui fatti narrati sin dall'inizio della tragedia. L'uomo non e' che una pedina nelle mani degli dei, che governano il destino degli uomini in modo da affermare un'idea di giustizia, che punisce la loro presunzione. Nonostante Eschilo non rinunci ad esaltare il valore dei Greci, giganteggia nella tragedia il dramma dei Persiani vinti. Il dramma non e' visto come destino del singolo individuo, ma coinvolge tutta la sua stirpe, dagli antenati ai discendenti.




"Sette contro Tebe" (467 a.C.)
E' l'unica tragedia rimastaci (la terza) della trilogia tebana, di cui la prima era "Laio", la seconda "Edipo".
I protagonisti sono Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Essi lottano per la conquista del potere a Tebe. Eteocle esorta i suoi uomini piu' valorosi a difendere Tebe dall'imminente attacco del fratello Polinice.
Un messo comunica i nomi dei sette condottieri che Polinice mette in campo, a cui Eteocle contrappone altrettanti valorosi e riserva per se' il confronto con il fratello. Invano il coro lo scongiura di non combattere contro il fratello, egli sente che sulla sua stirpe pesa la maledizione degli dei, che fatalmente lo spinge allo scontro fratricida.
I due fratelli muoiono entrambi l'uno per mano dell'altro. Il coro intona il canto funebre insieme alle due sorelle degli scomparsi, Antigone e Ismene. Nonostante che il senato tebano abbia decretato che solo Eteocle sara' sepolto, mentre Polinice sara' dato in pasto ai cani, Antigone dichiara che seppellira' egualmente Polinice.
Questa tragedia si inserisce nella ereditarieta' della maledizione caduta su Edipo, perche' per errore uccise il padre Laio e sposo' la madre Giocasta. I suoi figli sono coinvolti in questa maledizione, espressione della giustizia divina. Eteocle e' consapevole del destino che incombe sulla sua stirpe, ma conserva intatta la sua fede negli dei e il suo amore per la patria ed in cio' sta la grandezza del suo personaggio, che domina tutta la tragedia.





"Supplici" (463 a.C.)
E' l'unica tragedia rimastaci (la prima) della trilogia di cui la seconda era gli " Egizi", la terza le "Danaidi"
Le cinquanta figlie di Danao, che si sono rifiutate di sposare i loro cinquanta cugini, figli del re d'Egitto, si rifugiano alla corte di Pelasgo, re di Argo, dove si svolge l'azione.
Il re, dopo qualche esitazione, accetta di accoglierle, e, quando giunge un messo degli Egiziani a ordinare alle fanciulle di tornare in patria, Pelasgo le rassicura e le salva, mentre gli Egiziani si allontanano adirati.
La tragedia si conclude con la preghiera delle fanciulle a Zeus, perche' le salvi dalle aborrite nozze, ma gli dei rispondono che il fato deve compiersi.
Delle altre due tragedie della trilogia conosciamo lo svolgimento dei fatti.
Le Danaidi, costrette a sposare i cugini egiziani, uccidono i mariti, tranne Ipermestra, che non ubbidisce all'ordine del padre.
Nelle "Danaidi" Ipermestra, accusata dal padre, e' difesa da Afrodite, perche' si e' conformata alla legge dell'amore, ed e' premiata da Zeus, che le fa dare origine ad una stirpe dalla quale discendera' Eracle.
Il dramma e' tutto impostato sulla contrapposizione tra l'incontrollabile religiosita' delle Danaidi e l'altrettanto incontrollabile volonta' divina, che ha deciso le fatali nozze.
Le fanciulle sono, dunque, colpevoli di voler ostacolare il corso del fato stabilito da una giustizia divina inappellabile, anche se incomprensibile agli occhi degli uomini.





"Prometeo incatenato" (di incerta datazione)
E' l'unica tragedia rimastaci di una trilogia che comprendeva anche "Prometeo portatore di fuoco" e "Prometeo liberato". I protagonisti sono tutti dei. L'azione si svolge in una localita' della Scizia, dove Prometeo e' incatenato ad una rupe per ordine di Zeus, che vuole punirlo per aver donato il fuoco ai mortali. Il coro e' composto dalle ninfe, figlie di Oceano, che confortano Prometeo e lo invitano a sottomettersi a Zeus, ma egli non le ascolta e anzi non vuole che Oceano interceda per lui.
Sopraggiunge Io, perseguitata da Era, alla quale Prometeo predice il futuro, e le dice anche che Zeus avra' bisogno di lui. Il dio Ermes viene a chiedergli, in nome di Zeus, spiegazioni dell'oscura profezia.
Prometeo con atteggiamento beffardo si rifiuta di dare spiegazioni e Zeus lo inabissa colpendolo con la sua folgore.
Prometeo e' l'unico personaggio che giganteggia nella tragedia, di lui Eschilo esalta la generosita' verso gli uomini, nei confronti dei quali svolge una missione che lo condanna alla solitudine. Nella tragedia non si esalta la sua disobbedienza, ma la grandezza dell'umano ingegno contro le forze ostili, anche se queste sono rappresentate dalla divinita'.
Il modo in cui ci e' presentato Zeus sembra contraddire la grande religiosita' di Eschilo, ma nelle altre due tragedie della trilogia si avra' la riconciliazione tra il titano e Zeus e il trionfo della giustizia divina.





Agamennone (458 a.C.)
E' la prima tragedia dell'Orestea o 'Orestiade', l'unica trilogia di Eschilo che ci sia giunta completa; con questa trilogia egli vinse gli agoni tragici del 458 a.C. In essa Eschilo introduce il terzo attore.
L'azione si svolge ad Argo, nella reggia di Agamennone. Segnali luminosi hanno annunziato a Clitennestra, moglie di Agamennone, la presa della citta' di Troia e la fine della guerra. Giunge Agamennone su di un cocchio e reca con se' schiava Cassandra, figlia del re Priamo.
Clitennestra, apparentemente lieta, lo accoglie nella reggia, mentre Cassandra, rimasta sulla scena, profetizza l'imminente morte di se stessa e di Agamennone e la futura morte di Clitennestra per mano del figlio Oreste.
Il coro, turbato, ricorda il sacrificio di Ifigenia compiuto dal padre Agamennone per propiziare alle navi in partenza per Troia il vento favorevole. Dall'interno della reggia si odono urla disperate e compaiono sulla scena Clitennestra ed il suo amante Egisto, che hanno ucciso Agamennone e Cassandra. Clitennestra giustifichera' il suo gesto come vendetta per l'uccisione della figlia Ifigenia, Egisto come vendetta per le sofferenze che Atreo, padre di Agamennone, aveva inflitto a suo padre Tieste. Duri sono i commenti del coro.
Il motivo centrale del dramma e' la follia dell'uomo, che merita la punizione divina. Agamennone deve espiare l'uccisione della figlia, Clitennestra, anche se strumento della giustizia divina, deve espiare il suo tradimento e cio' avverra' nelle Coefore. La tragedia raggiunge altissimi livelli di pathos quando Agamennone muore sulla scena.





Coefore (458 a.C.)
E' la seconda tragedia della trilogia Orestea.
L'azione si svolge nella reggia di Argo. Clitennestra, turbata da un sogno, manda la figlia Elettra con alcune fanciulle a fare libagioni sulla tomba di Agamennone (coefore significa portatrici di libagioni). Sulla tomba del padre Elettra scorge una ciocca di capelli e intuisce che potrebbe essere del fratello Oreste, che, ancora bambino, era stato allontanato dalla reggia dopo l'uccisione di Agamennone. Oreste proviene dal santuario di Delfi, dove il dio Apollo gli ha ordinato di vendicare la morte del padre. Oreste, che si e' nascosto, si fa riconoscere dalla sorella e con lei concerta la punizione dei colpevoli. Oreste si presenta a Clitennestra fingendosi uno straniero giunto per annunciare la morte di Oreste. Clitennestra esulta e manda a chiamare Egisto, che al suo arrivo e' ucciso da Oreste.
Questi giunge sulla scena con la spada insanguinata e, dopo un attimo di esitazione, uccide la madre.
L'esitazione manifestata da Oreste fa di lui un personaggio tormentato, che non e' completamente strumento degli dei. Egli giunge con estrema sofferenza alla decisione finale e, dopo l'uccisione della madre, che e' dettata dalla razionalita', e' in preda alla disperazione ed e' perseguitato dalle Erinni. Si ripete, come nella trilogia tebana, il duplice ruolo di giustiziere e colpevole nello stesso tempo. La colpa del singolo prolifera nuove colpe nei discendenti e coinvolge l'intera stirpe.





Eumenidi (458 a.C.)
E' la terza tragedia della trilogia Orestea.
Oreste si reca al tempio di Apollo a Delfi per pregare il dio di liberarlo dalle Erinni, che lo perseguitano. Apollo lo conforta e lo manda ad Atene a supplicare la dea Atena. La scena si sposta ad Atene, dove la dea decide che Oreste sia giudicato dall'Aeropago, che assolve Oreste con il voto favorevole della stessa Atena. Le Erinni, placate da Atena, diventano Eumenidi (benevole) e saranno oggetto di culto.
Il dramma di Oreste ha una soluzione soltanto con l'intervento divino, infatti l'Aeropago e' di istituzione divina ed esso si fa interprete di leggi stabilite dagli dei. Le Erinni sono le tutrici dell'ordine sociale e come tali rappresentano la legge divina, che coinvolge l'intera stirpe nella sequela di colpe dei singoli e nella punizione.
L'assoluzione di Oreste riflette i cambiamenti politici e sociali intervenuti ad Atene, che nel pensiero religioso di Eschilo realizzano la riconciliazione dell'uomo con la divinita'.






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