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Euripide - Le troiane
Anapesti
Ecuba- Alzati sventurata: solleva da terra la testa e il collo; Troia non c'è più nè noi siamo più re di Troia. Sopporta il mutar del destino. Naviga seguendo la corrente, naviga seguendo il destino, non volgere contro corrente la prora della vita, naviga in 111f58b vece secondo la sorte. Oimè, oimè.
Perché infatti a me infelice non è possibile rammaricarmi?A me che ho perduto la patria,i figli, lo sposo? O supremo fastigio degli antenati che vieni meno, come niente tu eri, che cosa debbo tacere? Che devo non tacere? Che piangere? Oh me misera,o angosciosa posizione in cui giacciono le mie povere membra, su questo duro letto, coricata sul dorso. Ah, la mia testa, le mie tempie, i miei fianchi,quale brama avrei pur di girarmi d'intorno al mio dorso, d'intorno alle vertebre verso entrambe le costole, piangendo sempre sui miei lamenti. Anche questa e fonte di canto per i miseri, piangere le sventure a cui non si addicono le danze.
O prore delle navi, che con remi veloci attraverso il cupo mare e i porti della Grecia dai begli approdi volgendo, con voci soavi di zampogne, e peani di flauti
odïosi,giungendo a Ileo legaste le gomene
intrecciate egizie, ahimè nella rada di troia. Voi inseguivate la sposa
maledetta di Menelao, una vergogna per il fratello Castore e un'infamia per
l'Eurota che diede la morte a Priamo, seminatore di cinquanta figlioli, e me,
questa ecuba misera, ha fatto incagliare in questa rovina. Ahimè, su quale
seggio io siedo, presso
Come una madre lancia per i suoi piccoli alati il grido, io per voi darò inizio al canto, non lo stesso di una volta, quando mi appoggiavo allo scettro di Priamo e coi colpi sonori del piede davo inizio alle danze onorando gli dei della Frigia.
Perché, dite, non dovrei rammaricarmi nella mia infelicità? Ho perduto infatti la patria, ho perduto i figlioli e il marito.
O grandezza superba degli antenati che vien meno, come niente tu eri.
Cosa devo tacere? Cosa devo non tacere? Perché devo piangere? Me infelice per la penosa posizione delle mie membra, in quale stato mo trovo! Col dorso disteso su un duro giaciglio.
Ahimè, la mia testa! Le mie tempie, i miei fianchi! Come desidero volgere come in un rullio il mio dorso e la mia schiena ora sull'altra parte del corpo in accordo con l'eterno caso lamentoso dei miei lutti. Anche questa è fonte di canto per i miseri, piangere le sventure a cui non si addicono le danze.
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