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Nel settembre del 1943, gli Ebrei nell'Italia centro-settentrionale erano ormai circa 33.000 tra cittadini italiani e profughi stranieri.
Già da qualche anno la situazione per gli ebrei locali era tragica dal punto di vista materiale e piena di disagio dal punto di vista morale. A partire dal settembre del 1938 infatti, quando da parte del governo fascista erano state emanate le leggi antriebraiche, regnava l'insicurezza e l'inquietudine: i bambini e gli adolescenti non avevano la possibilità di frequentare la scuola pubblica, i capofamiglia di prestare la loro opera negli uffici della pubblica amministrazione, nella scuola e nelle università, 757c28h erano impediti nelle loro attività, che fossero imprenditori o venditori ambulanti. Gli ebrei erano stati radiati dall'esercito, dagli albi professionali, dalle banche, dalle imprese di interesse pubblico. I matrimoni con cattolici erano proibiti. Tutto ciò avveniva nel quadro di una campagna di stampa diffamatoria e umiliante cui davano manforte anche ambienti colti e universitari.
La legislazione antiebraica, che non aveva certo molto da invidiare quanto a durezza e puntiglio a quella messa in atto dalla Germania nazista, fu accompagnata da una miriade di piccole ordinanze e circolari amministrative che rese difficile e umiliante anche la vita quotidiana, come quella che proibiva di pubblicare gli annunci funebri sui giornali, conservare il proprio nome nell'elenco telefonici, frequentare luoghi di villeggiatura, lavorare nel mondo dello spettacolo, operare in qualità di ostetrica o infermiera, per non fare che qualche esempio casuale. E, ancora, via dai libri scolastici testi scritti da ebrei, via dalle strade nomi di ebrei illustri, via dalle lapidi di ospedali o asili i nomi di benefattori ebrei.
I cittadini ebrei vennero anche accuratamente schedati, registrati, contati, da prefetture, questure, amministrazioni comunali, uffici locali del fascio.
Quanto ai profughi stranieri, furono sottoposti a decreto di espulsione e quando questo si dimostrò impossibile da realizzare per la chiusura delle vie marittime, il 10 giugno del 1940, furono sottomessi a provvedimento di internamento in appositi campi o luoghi di prigionia.
Insomma, il quadro fino alla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, era di una pesante persecuzione amministrativa, politica e civile da parte dello stato.
Con l'8 settembre del 1943, l'occupazione tedesca e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), la persecuzione antiebraica subì una decisa svolta verso l'assassinio. Le prime violenze antiebraiche furono messe in atto sul Lago Maggiore e a Merano a metà settembre, ma la vera e propria estensione, dopo gli altri paesi occupati, della politica della "soluzione finale della questione ebraica" fu praticata a partire dal 26 settembre 1943 a Roma.
In tale data, il comandante della Gestapo a Roma Herbert Kappler convocò il presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche, Dante Almansi e il Presidente della Comunità Israelitica di Roma Ugo Foà per comunicare loro l'imposizione di una taglia di 50 chili di oro da versare entro 36 ore, pena la deportazione di 200 membri della comunità stessa.
Dopo un'affannosa corsa contro il tempo per raccogliere il prezzo del riscatto, la somma fu consegnata, con la remota speranza per gli ebrei che nulla di peggio sarebbe accaduto loro. Invece, proprio il giorno dopo il pagamento del riscatto, il 29, i tedeschi irruppero nei locali della comunità portando via carte, schedari e denaro contante. II 13 ottobre successivo furono le due biblioteche, del Collegio rabbinico e della comunità, a ricevere una sgradita visita, culminata nella rapina di preziosi libri antichi.
Nell'ambito dello Stato nazista, il compito di affrontare e risolvere la cosiddetta questione ebraica fu affidato, in ogni paese occupato, alla Gestapo (Geheime Staatspolizei-Polizia Segreta di Stato) una delle sezioni dell'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA), e precisamene al suo Ufficio IVB4, capeggiato da Adolf Eichmann.
A Roma però, la polizia tedesca, da subito alle prese con una situazione precaria dal punto di vista dell'ordine, non era pronta a tali compiti. Sicchè da Berlino, all'inizio di ottobre, fu mandato in Italia uno speciale piccolo distaccamento di polizia all'ordine di uno specialista in retate di ebrei, Theodor Dannecker.
Egli scatenò il 16 ottobre 1943, con il suo distaccamento, coadiuvato da 365 uomini della polizia tedesca a Roma il grande rastrellamento che ebbe nel quartiere ebraico, l'antico ghetto, il suo epicentro. Gli arrestati furono 1.035, dopo il rilascio di alcuni prigionieri (perché non ebrei o perché coniugi o figli di matrimonio misto o perché titolari di nazionalità neutrale), alla fine rimasero nelle sue mani 1.022 ebrei. II 18 ottobre i prigionieri, stanchi e disperati, furono trasportati su autofurgoni a uno scalo ferroviario secondario di Roma (Stazione Tiburtina) e caricati su di un convoglio formato da 18 carri merci.
Per la prima volta, gli ebrei italiani venivano sottoposti al progetto di sterminio comunicato alle alte sfere naziste da Reinhard Heydrich a Gross Wansee (periferia di Berlino) il 20 gennaio 1942 e, dalla primavera precedente, operativo negli altri paesi occidentali. Nell'ottobre del 1943 infatti 56 convogli carichi di ebrei erano già partiti dalla Francia e 13 dal Belgio. La destinazione di tutti era il campo di sterminio di Auschwitz in Alta Slesia (Polonia) dove il regime nazista aveva sistemato impianti per l'assassinio di massa vieppiù sofisticati: a partire dal marzo 1942 erano state messe in funzione le camere a gas sistemate in due vecchie case agricole e dal marzo 1943 i grandi "moderni" edifici, appositamente costruiti che comprendevano sia locali per asfissiare quotidianamente i deportati, sia crematori per bruciarne i corpi.
Ad Auschwitz (sottocampo di Birkenau), la morte a ciclo continuo raggiunse una spaventosa scala industriale: si calcola che tra la primavera del 1942 e la sospensione dell'assassinio nel novembre del 1944, le vittime ebraiche furono circa un milione e centomila.
La determinazione del loro numero è molto difficoltosa perché il procedimento di sterminio era radicale e messo in atto in maniera da non lasciare nessuna traccia: i convogli pieni di famiglie deportate erano scaricati sulla rampa di arrivo (nei pressi del campo in un primo tempo e prolungata all'interno quando il ritmo frenetico degli arrivi lo richiese), le valigie, i fagotti, tutti gli averi portati in un settore dove venivano smistati per genere e riciclati: da una parte gli indumenti, da un'altra i giocattoli, gli occhiali, le scarpe, le protesi, perfino i capelli tagliati ai nuovi arrivati. Inoltre, documenti di identità venivano bruciati immediatamente.
I gruppi di ebrei giunti da tutta l'Europa occupata subivano una affrettata selezione: l'80-85% era avviato direttamente verso la morte tramite camere a gas, il restante spogliato e tatuato, introdotto nel campo come manodopera schiava. I corpi degli uccisi erano immediatamente cremati.
Il treno degli ebrei romani giunse sulla banchina dello scalo ferroviario secondario di Auschwitz la notte del 22 ottobre 1943; qui rimase fermo e sigillato fino all'alba del giorno dopo. I deportati, dopo un viaggio particolarmente penoso perché tra loro c'erano decine di bambini di tutte le età, tormentati dalla fame, dalla sete, dalla sporcizia, dal puzzo dei corpi rimasti in promiscuità per 5 giorni e 5 notti, subirono la selezione. I destinati al gas furono ben 839. Alla liberazione, solo 16 persone del convoglio di Roma furono trovate in vita.
La notizia del rastrellamento del 16 ottobre 1943 giunse immediatamente in Vaticano dove il giorno stesso il Segretario di Stato, Cardinale Luigi Maglione, convocò l'ambasciatore tedesco Ernst von Weiszaecker chiedendogli di "voler intervenire in favore di quei poveretti" e comunicandogli che "è doloroso oltre ogni dire che proprio a Roma, sotto gli occhi del Padre comune siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono ad una stirpe determinata...". Weizsaecker domandò allora: "Che cosa farebbe la Santa Sede se le cose dovessero continuare?", la risposta di Maglione fu: "la Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione". II giorno dopo, l'ambasciatore riferì ai suoi superiori nei seguenti termini la temuta reazione vaticana: "...Gli ambienti a noi ostili di Roma approfittano dell'accaduto per forzare il Vaticano ad uscire dal suo riserbo. E' noto che i vescovi delle città francesi dove si erano verificate azioni analoghe hanno preso nettamente posizione. II Papa nella sua qualità di pastore supremo della Chiesa e vescovo di Roma non potrà mostrarsi più discreto di loro..." Oltre ad una ferma lettera di protesta di Monsignor Alois Hudal, rettore della Chiesa tedesca a Roma, al Generale Stahel, però, l'unica reazione ufficiale fu il 25-26 ottobre uno sbiadito fondo su "L'Osservatore romano" con accenni quanto mai vaghi alla deportazione degli ebrei romani, in maggioranza già assassinati due giorni prima ad Auschwitz.
L'ambasciatore, il 28 ottobre inviò di conseguenza al Ministro degli Esteri tedesco un tranquillizzante messaggio nel quale diceva: "...si può ritenere che la questione spiacevole per il buon accordo tedesco-vaticano sia liquidata...".
Gli arresti a Roma continuarono, pur se in maniera meno sistematica e repentina, anche dopo la grande razzia.
II "distaccamento operativo" si spostò verso Firenze, entro la fine di novembre le maggiori città del Nord avevano subito una "judenaktion". Dannecker organizzò, dopo quello da Roma, altri due trasporti: per il convoglio partito il 9 novembre 1943, gli ebrei rastrellati furono portati dalle locali carceri alle stazioni ferroviarie, rispettivamente di Firenze e di Bologna; per il convoglio partito il 6 dicembre 1943, il carico avvenne a Milano, Verona e Trieste. Per tutto il periodo in cui fu lui a organizzare i carichi, di fatto, le carceri delle grandi città funzionarono come luoghi di transito per i deportandi.
Alla fine di dicembre del 1943 egli giunse con i suoi uomini a Verona dove terminò il suo compito di organizzatore esperto della <<caccia all'ebreo>>. Compito cui fu peraltro nuovamente chiamato di lì a poco, per continuare la sua carriera omicida, in Ungheria.
Quanto alle vicende della neo fondata Repubblica Sociale Italiana tra settembre e dicembre del 1943: Roma fu tolta a Mussolini che l'avrebbe voluta ancora come sua capitale, l'amministrazione fascista fu interamente spostata al nord, sulle rive del lago di Garda, secondo gli ordini impartiti da Hitler al Plenipotenziario del Reich, Rudolf Rahn. La stessa ambasciata tedesca prese stanza al nord nelle vicinanze del governo fascista.
Fin dall'inizio fu data pubblicità al progetto di un' Assemblea Costituente. In realtà, ci si limitò a convocare a Verona per il 14 novembre del 1943 i delegati delle organizzazioni del partito fascista dell'Italia settentrionale chiamati ad approvare un manifesto politico già predisposto. Tale manifesto, detto Carta di Verona, fu fatale per gli ebrei che erano già riusciti a sfuggire ai rastrellamenti degli uomini di Dannecker perché, di fatto, il governo della RSI ne reclamava ora la gestione. Consisteva in 18 punti regolanti materie istituzionali, giuridiche, sociali. Al punto 7 recitava "gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". Con questa dichiarazione la RSI legittimava sul piano formale la persecuzione antiebraica già avviata dai tedeschi, mentre sul piano sostanziale avrebbe, come si vedrà, impegnato la sua polizia a fornire i contingenti per la deportazione.
Fu dato immediato seguito al testo ideologico e programmatico della Carta di Verona con l'ordinanza del Capo della polizia n. 5 che disponeva l'arresto e l'internamento di tutti gli ebrei e il sequestro dei loro beni:
"1. Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili e immobili, devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell'interesse della RSI, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti, sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2. Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero in applicazione delle leggi razziali vigenti il riconoscimento di appartenenza a razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
3 . Siano pertanto concentrati gli ebrei in campo di concentramento provinciale, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati".
In virtù di questi gravissimi provvedimenti, tutti gli ebrei in circolazione erano passibili di arresto, questa volta, da parte delle autorità italiane che si assunsero il compito di mettere in atto le azioni preliminari volte a rintracciarli e arrestarli. In effetti nei mesi seguenti, i fermi vennero attuati direttamente dalle questure della RSI, dopo minuziose ricerche domiciliari.
Una successiva ordinanza del 10 dicembre 1943, firmata dal Capo della Polizia Tullio Tamburini, attenuava solo in parte la portata dell'ordine generale di arresto, esentandone gli anziani oltre i settant'anni e gli ammalati gravi.
Nell'attesa che venisse allestito un grande campo di concentramento, come prescritto dalla legge, ne furono istituiti di provvisori in edifici di fortuna come scuole, collegi, castelli abbandonati. Se ne costituì una fitta rete, di breve durata, ma ugualmente in grado di rifornire i tedeschi del contingente sufficiente a formare un nuovo grande convoglio verso Auschwitz-Birkenau, partito da Milano il 30 gennaio del 1944. I prigionieri erano affluiti nel carcere di San Vittore a Milano, dai campi provinciali di Calvari di Chiavari, di Bagno a Ripoli, di Bagni di Lucca, di Tonezza del Cimone, di Forlì ed altri.
La RSI scelse, per istituire il grande e definitivo campo di concentramento menzionato dalla legge, un terreno agricolo nella frazione di Fossoli, a 5 km dalla cittadina di Carpi. L'ordine relativo fu impartito dalla Prefettura di Modena al Podestà di Carpi il 2 dicembre 1943.
Nel frattempo, a Berlino, ci fu una nuova svolta nella gestione della "questione ebraica" in Italia. Nell'ambito dell'ufficio Eichmann, il 4 dicembre si valutò la nuova situazione venutasi a creare in Italia dopo l'ordine del governo della RSI di arrestare tutti gli ebrei e le possibilità che esso offriva "per un lavoro più proficuo che per il passato relativamente alla questione ebraica". Si decise che le funzioni del "distaccamento operativo" di Dannecker erano esaurite e che da allora in poi si sarebbe potuto affidare il compito di deportare gli ebrei a un ufficio stabile, incaricato di collaborare sistematicamente con la polizia italiana.
Per tale richiesta di collaborazione appunto alle autorità italiane fu delegata la normale via diplomatica, cioè l'ambasciata tedesca. L'ulteriore esecuzione della "soluzione finale" sarebbe stata affidata al nuovo funzionario addetto, Friedrich Bosshammer facente parte dell'Ufficio Eichmann a Berlino che sarebbe venuto in Italia in sostituzione di Dannecker. Bosshammer giunse dunque in Italia agli inizi di febbraio del 1944 creando un nuovo ufficio aggregato alla sede della Gestapo a Verona. Proprio nei primi giorni del suo incarico, si recò alla stazione ferroviaria di Verona per un sopralluogo al convoglio di deportati che era partito da Milano il 30 gennaio.
Con l'apertura dell'Ufficio IVB4, anche l'Italia si uniformava appieno alla procedura della "soluzione finale" messa in atto negli altri paesi europei: arresto, concentramento in apposito campo, organizzazione di una partenza verso Auschwitz una volta raggiunto un numero sufficiente di prigionieri da spedire. Occorreva dunque per i tedeschi reperire un luogo di transito da dove esplicare le operazioni di evacuazione in modo sistematico e ordinato. Giunse a proposito il fatto che il governo italiano, due mesi prima, avesse scelto Fossoli come campo di concentramento. Verso la fine di febbraio, la Gestapo-Italia decise di servirsene come campo di transito esautorando la direzione italiana e istituendone un'altra tedesca agli ordini di Karl Titho. Fino alla fine di luglio del 1944, Fossoli vide un incessante flusso di disgraziate famiglie arrestate dovunque. Regnava tra di esse il disorientamento, la rassegnazione, l'angoscia per le prossime partenze.
Friedrich Bosshammer organizzò tutte le partenze di ebrei da Fossoli: 5 per Auschwitz-Birkenau, due per Bergen Belsen di persone colà dirette in quanto titolari di cittadinanza inglese o turca.
Alla fine del luglio 1944 il fronte delle operazioni militari era notevolmente avvicinato alla zona di Modena, i ponti sul fiume Po erano stati bombardati dagli alleati.
La Gestapo decise allora di evacuare il campo di transito verso una zona più sicura e posta geograficamente più a nord. Un nuovo campo venne istituito nei pressi di Bolzano, in zona Gries dove fu trasferito il personale tedesco di Fossoli e i prigionieri politici, circa un centinaio. Viceversa, al momento della chiusura, il 1° agosto 1944, gli ultimi ebrei furono tutti frettolosamente deportati. Trasportati con automezzi fino al Po al di là del quale, in mancanza di ponti, furono traghettati con barche. Poichè con questo ultimo convoglio furono fatti partire anche gli ebrei considerati non deportabili ( protetti dal fatto di essere figli o coniugi di matrimonio misto), alla stazione ferroviaria di Verona le destinazioni furono suddivise tra i campi di Ravensbruck, Bergen Belsen, Buchenwald e Auschwitz.
Bosshammer, terminata con la liquidazione di Fossoli la sua opera di responsabile dell'azione antiebraica in Italia, passò ad altro servizio.
Auschwitz però continuò a ricevere ebrei italiani, provenienti dal campo di transito di Bolzano e dal luogo che fungeva da campo di transito per le regioni nord-orientali dell'ltalia chiamate Zona di Operazione Litorale Adriatico, il campo della Risiera di San Sabba presso Trieste. L'ultimo convoglio arrivato ad Auschwitz fu quello partito da Bolzano il 24 ottobre 1944. Con esso si chiude la storia della deportazione degli ebrei dall'ltalia verso lo sterminio, ma non si conclude la triste storia delle deportazioni poiché altre ve ne furono e fino al tardo febbraio del 1945, dirette verso il campo di concentramento di Ravensbrueck e Flossenburg geograficamente poste più lontano dalle linee di avanzata sovietica, rispetto ad Auschwitz liberato il 27 gennaio del 1945.
Il bilancio della politica antiebraica messa in atto in Italia e' di 6.806 persone arrestate e deportate (di cui 5.969 deceduti) e di 322 morti in patria per eccidi, maltrattamenti o suicidi.







I LAGER DELLO STERMINIO...DELL'UMANITÁ LAGER DELLO STERMINIO...DELL'UMANITÁ

I lager, campi di concentramento e sterminio nazisti (Konzentrationslager), furono utilizzati dal regime nazista dal 1933 per confinarvi dapprima gli oppositori politici, poi anche, e soprattutto, il popolo ebraico. Nel primo periodo (1933), con l'avvento al potere di Hitler, i lager avevano lo scopo di "rieducare" i tedeschi antinazisti: comunisti, socialdemocratici, obbiettori di coscienza. I campi di concentramento, solitamente (vedi i Glavnoye upravleniye lagerey, gulag russi aboliti dopo l'avvento di Gorbačėv) vengono costituiti per esercitare una stretta sorveglianza su un considerevole numero di individui sia nazionali che stranieri. Fu la Germania nazional-socialista, durante la seconda guerra mondiale, a dare ai campi di concentramento la sinistra fama che da allora conservano. Affidati direttamente al controllo delle SS, divennero, soprattutto negli anni della seconda guerra mondiale, sede della "soluzione finale" contro gli ebrei, oltre che di sperimentazioni pseudo-scientifiche su esseri umani. Le SS, coerenti con il "credo hitleriano", agivano quindi con brutalità e assuefacendosi a una completa insensibilità morale e a un perfetto automatismo dell'obbedienza. I lager più famigerati furono quelli di Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Mauthausen. In Italia funzionò il campo di concentramento di Fossoli, mentre l'unico campo di sterminio fu la Risiera di S.Sabba.





DALL'OSTILITÀ RELIGIOSA ALL'ODIO RAZZIALE


Storicamente l'antisemitismo, nella forma in cui si è espresso e si esprime, è il prodotto dell'ostilità religiosa (antigiudaismo) alimentata dai cristiani contro gli ebrei che sono stati accusati di essere tutti insieme, come popolo, i responsabili dell'uccisione di Gesù, ovvero del deicidio. Questo non significa, attenzione, che le autorità ecclesiastiche abbiano volontariamente e consapevolmente ispirato il razzismo antisemita, che spesso hanno invece duramente condannato. Ma ciò non toglie che questo razzismo si sia sviluppato nei paesi cristiani e, fino a questo secolo, solo in essi, nell'alveo di una condanna religiosa che è rimasta inalterata per quasi duemila anni, fino al concilio Ecumenico Vaticano II (1965). Al tempo di Cesare e Augusto, quando Roma estendeva il suo dominio sul mondo Mediterraneo gli ebrei, pur conservando ancora il loro centro territoriale e spirituale in Palestina, erano disseminati in tutto l'Impero Romano ed anche oltre le sue frontiere, dove professavano la credenza in un Dio unico. Ma fu dopo l'occupazione romana della Palestina che gli ebrei avevano dato vita a frequenti ribellioni. Le autorità imperiali, costrette spesso a intervenire militarmente per ricondurre all'ordine quella turbolenta provincia (il punto culminante della repressione fu la distruzione del tempio e della città di Gerusalemme nel 70 d.c.), nutrivano nei loro confronti sentimenti di ostilità e diffidenza che si indirizzavano anche verso le numerose comunità ebraiche della diaspora, quelle cioè che si trovavano sparse in diversi territori del bacino mediterraneo. Di questo atteggiamento furono vittime anche Gesù e i suoi seguaci cristiani che, per molto tempo, furono considerati a Roma come una setta ebraica. Ma per i cristiani, quando i discepoli originari di Gesù erano ormai scomparsi nella distruzione di Gerusalemme, era essenziale segnare la separazione fra la propria religione e quella da cui essa derivava. Nacquero così le principali accuse contro i giudei, di cui Giuda, il traditore di Cristo, diventa l'emblema stesso. Essi sono considerati colpevoli non solo di non aver voluto riconoscere la divinità di Cristo, ma addirittura di averlo messo a morte. E' appunto l'accusa di deicidio il marchio di infamia che nel mondo cristiano accompagnerà gli ebrei per quasi duemila anni. In ragione di questa accusa essi vennero emarginati dalla società, privati di molti diritti e costantemente guardati con diffidenza. Anche la violenta repressione di cui fu oggetto la loro rivolta contro i romani e il fatto stesso di vivere perseguitati, lontano dalla terra d'origine, vennero subito interpretati dai teologi cristiani come un segno della giusta punizione che essi avevano meritato con il loro delitto. Le masse cercarono di far ricadere le responsabilità delle proprie frustrazioni e delle proprie disgrazie su un "capro espiatorio": gli ebrei. Alla metà del 1300 si accusarono gli ebrei di avvelenare i pozzi e diffondere il morbo della peste, spinti dal loro odio per i cristiani senza curarsi del fatto che essi stessi ne sarebbero morti. E' da qui in poi che la storia degli ebrei cambiò tragicamente. Essi venivano ormai individuati come un gruppo etnico, con precisi connotati biologici, dal quale nessuna conversione religiosa consentiva di uscire. Questo fu evidente all'inizio del 1500 in Spagna, dove i re cattolici Ferdinando e Isabella decisero di cacciare dal loro regno tutti gli ebrei che vi abitavano. Furono cacciati 100.000 individui. La "nazione ebrea" restò così al bando delle comunità cristiane per molti secoli. Soltanto nel 1781 l'imperatore d'Austria Giuseppe II emanò una patente di tolleranza (Atto legislativo che concede la libertà di religione ai gruppi non cattolici tra cui gli ebrei) per gli israeliti, mentre la Rivoluzione francese pronunciò a sua volta la piena equiparazione degli ebrei agli altri cittadini nel 1791. L'"emancipazione" degli ebrei fu successivamente sancita nel corso dell'Ottocento dagli altri Stati europei, tra cui il Regno di Sardegna nel 1848, il Regno d'Italia nel 1861, la Gran Bretagna nel 1866, la Germania nel 1870. Assai dura per tutto l'Ottocento restò, invece, la condizione degli ebrei in Russia, in cui l'annessione delle province polacche aveva inserito più di un milione di israeliti; l'assassinio di Alessandro II (1881) provocò sanguinosi massacri di ebrei (pogrom), favoriti dal governo, che si ripeterono negli anni seguenti, provocando migliaia di morti. L'antisemitismo però non scomparve nei paesi in cui gli ebrei erano stati emancipati; esso continuò a serpeggiare virulento all'interno di circoli culturali e di gruppi politici di orientamento reazionario e nazionalista. Il razzismo antisemita prese poi nuovo vigore dopo la grande guerra, con manifestazioni particolarmente violente e irrazionali in Germania, dove il nazionalismo stimolato dalla disfatta addossò agli ebrei e ai socialisti la responsabilità della sconfitta, aprendo la strada alle farneticazioni di Hitler, che indicò negli ebrei la causa di tutte le disgrazie del paese. Gli ebrei, quindi, di nuovo, assunsero il "ruolo" di capro espiatorio...



STORIA DI UNO STERMINIO...

La distruzione degli ebrei non fu un'operazione centralizzata. Non venne creato un organismo incaricato degli affari ebraici e non fu stanziato un fondo per finanziare l'opera di distruzione. L'attività antiebraica fu svolta dalla pubblica amministrazione, dai militari, dall'industria e dal partito. Tutte le componenti della vita organizzata tedesca furono coinvolte in quest'impresa. Il processo di distruzione si basava su tre premesse: nessun ebreo doveva sfuggire alla rete; gli articolati rapporti tra ebrei e non ebrei dovevano essere interrotti col minimo danno possibile per i tedeschi; bisognava limitare al massimo le ripercussioni psicologiche tra le file dei carnefici, evitare agitazioni tra le vittime e scongiurare proteste tra la popolazione non ebrea.
Sul problema della progettazione della "Soluzione Finale" gli storici sono divisi: gli "intenzionalisti" dicono che ci fu un programma preciso già concepito da Hitler negli anni '20; gli storici "funzionalisti" dicono che un piano organico non esistette mai, ma il genocidio fu il risultato di una serie di operazioni che si delinearono di volta in volta.
L'Olocausto si consuma negli anni 1941-45, ma l'apice è il 1942. Sulle cifre oggi si conviene che furono almeno 6 milioni e mezzo di ebrei e mezzo milione di zingari. Hilberg individua quattro fasi nel processo devastante di distruzione:
1- definizione per decreto (chi è ebreo);
2- l'espropriazione (beni, imprese, lavoro, diritti) ed espulsione;
3- separazione dal resto della popolazione e concentramento;
4- annientamento.

La fase due inizia già nel 1933 e si prolungò fino alla Kristallnacht (9-10 nov. 1938). La fase 3 inizia nel '39 quando, con l'invasione della Polonia, i nazisti si accorgono che è impossibile espellere tutti gli ebrei. Riesumano il "ghetto" medievale. Lòdz, Varsavia, Lublino. Pensarono persino di ampliare il concetto stesso di deportazione trasferendo forzatamente in un luogo distante gli ebrei tedeschi. Un luogo distante, individuato nell'isola africana (allora in mano francese) del Madagascar. Ma la soluzione della "ghettizzazione" sembrava più realizzabile.
La fase 4 comincia nel 1941. Qui comincia il vero e proprio Olocausto: piccoli reparti mobili di SS e polizia, le famigerate Einsatzgruppen, al seguito dell'esercito tedesco, rastrellano i territori occupati per eliminare spie, commissari politici sovietici e tutta la popolazione ebraica. Si procede con fucilazioni di massa.
1942, gennaio: conferenza del Wansee: Heydrich, capo dell'ufficio centrale di sicurezza del Reich (RSHA) e braccio destro di Himmler, convoca 15 alti funzionari e comunica l'ordine di procedere alla Endlösung, alla "Soluzione Finale". Vengono ampliati e riadattati a campi di sterminio i campi di concentramento esistenti. Nella primavera del '42 entrano in funzione i primi campi creati esclusivamente per lo sterminio. Sono sei, tutti nel territorio o vicino ai confine del Governatorato Generale (la parte tedesca della Polonia occupata): Belzec, Sobibor, Treblinka, Lublino-Majdanek, Chelmno ed il tristemente famoso Auschwitz. In un anno circa 2 milioni di morti provenienti dai ghetti della Polonia. Il maggiore centro di sterminio era, per l'appunto, Auschwitz, predisposto per "liquidare" fino a 10.000 persone al giorno. Ne riuscì ad uccidere in totale 1.300.000 (Treblinka 900.000). In totale la Soluzione Finale distrusse i 2/3 della popolazione ebraica europea. Nel corso del '43 furono smantellate le strutture di Belzec, Sobibor e Treblinka, che ormai avevano esaurito il loro compito. Invece Auschwitz fu smantellato solo nel novembre del '44, ma i nazisti non fecero in tempo a distruggerlo, perché il 25 gennaio 1945 entrarono i sovietici.










GLI ALTRI "DISTINTIVI" ED IL PROGETTO T4


Durante i 12 anni del regime nazista milioni di persone vennero imprigionate nei campi di concentramento. Per distinguere le varie categorie di prigionieri i nazisti idearono un sistema di distintivi di diverso colore da portare sugli abiti. Ogni deportato aveva un triangolo colorato sulla sua uniforme. Gli ebrei portavano la stella gialla, i Politici un triangolo rosso, i delinquenti erano contrassegnati dal triangolo verde, gli Omosessuali da quello rosa, gli asociali da quello nero, gli zingari da quello marrone, i Testimoni di Geova da quello viola. Ma l'intolleranza razzista si esercitò anche verso i deboli: i malati di mente, gli incurabili, i disabili. Per queste persone venne varato il "Progetto T4", meglio noto come "Progetto Eutanasia" che condusse alla morte circa 70.000 cittadini tedeschi.

TRIANGOLO VIOLA

Testimonianza P III 569, Archivio Centro Documentazione Bibelforscher.
Anonimo, deportato politico Sachsenburg.
. . . I successivi due internati ad essere picchiati erano Bibelforscher i quali oggi sono chiamati Testimoni di Geova. Il loro "delitto" consisteva nel rifiuto di usare, per motivi religiosi, il saluto "Heil Hitler". La loro convinzione è che esiste un solo Dio, Geova, e che solo a lui, e a nessun altro potente, nemmeno a Hitler, spetta il nostro saluto.
Il primo Bibelforscher sopravvisse alla procedura in modo dignitoso, ma il secondo gridava terribilmente. Con una voce che faceva tremare tutti i detenuti gridava: "Geova aiutami! Geova abbi misericordia di me! Liberami da questi dolori, non posso sopportarli, salvami Geova, aiutami!". Le sue urla divennero alla fine un flebile sospiro e un rantolo inarticolato.
. . . La preghiera a Geova fatta dal Bibelforscher nella sua angoscia mortale divenne motivo di scherno sarcastico per le SS. Nei giorni seguenti le guardie si salutavano con "Heil Jehova" al posto di "Heil Hitler". A partire dall'8 maggio le cerimonie delle bastonate divennero all'ordine del giorno a Sachsenburg; ogni settimana ne avvenivano 2 o 3. E dal novembre del 1935 il detenuto non dovette più contare le bastonate bensì cantare l'inno tedesco.
. . . Una tale cerimonia di bastonate ebbe luogo il 12 settembre 1935 e fra i cinque internati vi era anche un bibelforscher trattato in maniera particolarmente crudele dal comandante del campo in persona, Schmidt. Dopo aver ricevuto 18 colpi, il bibelforscher gemeva dal dolore e il comandante gridava: "Maiale maledetto, chiedi al tuo Geova di aiutarti! Perchè non ti aiuta? Chiedigli di distruggerci affinché sia tu a maltrattarci!" Il bibelforscher svenne per i colpi, ma ricevette lo stesso altri 7 colpi. Dopo di che cadde dall'ecùleo senza vita. Schmidt, ancora rosso dalla rabbia, urlava: "Il maiale fa solo finta! Marsc. Alzati! Mi vuoi prendere in giro?" E poi cominciò a calpestare il cadavere. "Via!", comandava, "versategli dell'acqua in testa in modo che possa prendere altri 25 colpi". Le SS presero dei secchi d'acqua e li versarono sul morto. Il medico del lager, il dott. Gebhardt, comandò: "Portatelo via, marsc, nel bunker! Questo mascalzone finge soltanto". Due capi delle SS lo alzarono e lo trascinarono come un animale attraverso la piazza. . . .
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TRIANGOLO ROSSO - Deportati Politici

Nei lager nazisti furono rinchiusi dal 1933 circa 4.350.000 deportati politici (di cui 2.300.000 tedeschi). I deportati politici e razziali di nazionalità italiana nei KZ e Straflager/Gestapo furono in tutto circa 44.000, dei quali 8.900 ebrei e zingari (6.750 ebrei italiani, alcune centinaia di stranieri catturati in Italia e 1.900 ebrei del Dodecaneso), quasi 30.000 "oppositori" (inclusi dei partigiani arrestati senz'armi), alcune centinaia di ufficiali antifascisti rastrellati, 2200 carcerati militari di Peschiera. A questi si aggiungono 3000 coatti IMI transitati nei KZ e Straflager (con oltre 900 ufficiali, di cui 374 nello Straflager di Colonia), per lo più per resistenza ideologica, sabotaggi, tentata evasione, infrazioni gravi. Alla liberazione dei campi da parte degli Alleati e dell'Armata Rossa, i sopravvissuti erano circa 4.000 "politici" ed ex IMI, 830 ebrei italiani e 179 dell'Egeo.

L'AKTION T4: Il progetto di eutanasia nazista

Se sfogliassimo un vocabolario alla ricerca del significato della parola "eutanasia" troveremmo questa definizione:
"La morte non dolorosa, ossia il porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente in vita il paziente (eutanasia passiva), o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (eutanasia attiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente"

Quando oggi discutiamo di eutanasia parliamo di un "diritto" del paziente, ci riferiamo cioé alla "eutanasia volontaria". In altri termini privilegiamo la sfera della volontà umana. Nella Germania degli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale si parlava di eutanasia in modo molto differente.
Durante la Prima Guerra Mondiale si era assistito ad una impressionante impennata dei decessi dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi: 45.000 in Prussia e più di 7.000 in Sassonia. Con molta probabilità la scarsità di cibo causata dal conflitto aveva spinto molti medici ad affrettare la morte di una parte di queste cosiddette "bocche inutili".

Per certi versi si era creato in tal modo un terreno favorevole ad una sorta di "indifferenza" alla morte di individui definiti inguaribili. In questo clima trovò terreno fertile la teorizzazione di una "eutanasia di Stato". Nel 1920 apparve un libro dal titolo "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere vissute". Gli autori erano Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra e Karl Binding (1841-1920) un giurista.

Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Il malato incurabile, secondo i due, era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche. Da
un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e - dall'altro - sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato dunque - arbitro della distribuzione delle ricchezze - doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche.





LA SHOAH? UNA LEGGENDA

Ho deciso di riportare, sarò impopolare, un articolo di Arthur Butz che tende a considerare lo sterminio degli ebrei una grande ed assurda leggenda. Preferisco, per ovvie ragioni, evitare qualsiasi commento. Questo mio "silenzio", però, rappresenta e rappresenterà una forte risposta ad una voce fin troppo sterile che è utile ascoltare per capirne in breve tempo la pochezza.

di Arthur R.Butz
Esistono tre concrete ragioni per cui si dà generalmente credito alla leggenda, ampiamente diffusa, ma erronea, secondo la quale sarebbero stati milioni gli Ebrei uccisi dai Tedeschi durante la II guerra mondiale. Innanzi tutto vi è il rinvenimento, ad opera delle truppe inglesi e americane, di orripilanti pile di cadaveri ammassate all'interno dei campi della Germania occidentale (tra i quali Dachau e Belsen) liberarti nel '45. In secondo luogo si considera che in Polonia non sono più presenti consistenti comunità ebraiche. Il terzo motivo è che la quasi totalità degli storici e degli studiosi considerano verosimile questa leggenda.

Durante le due guerre mondiali, la Germania fu sempre impegnata a fronteggiare le epidemie di tifo che scoppiavano a causa dai pidocchi introdotti nei traffici commerciali con l'oriente. Ciò spiega il fatto che i prigionieri dei campi di concentramento tedeschi raccontino della rasatura dei capelli, delle docce frequenti e di altre procedure d'igiene quali il trattamento dei locali con un insetticida, lo Zyclon. Ciò spiega inoltre l'elevato tasso di mortalità nei campi e la presenza al loro interno dei forni crematori.

Quando, sul finire della guerra, la Germania entrò nel caos, tali misure cessarono e, di conseguenza, il tifo e altre malattie si diffusero rapidamente tanto da ridurre dei tre quarti la popolazione dei campi, per lo più composta da prigionieri politici, criminali comuni, omosessuali, obbiettori di coscienza, ed ebrei, tutti destinati ai lavori forzati. Di qui l'orrido spettacolo offerto ai soldati inglesi e americani, il quale, tuttavia, non aveva nulla a che vedere con lo "sterminio", né con nessun'altra deliberata politica persecutoria. Si consideri, inoltre, che i campi della Germania occidentale non sono additati come "campi di sterminio", definizione che, invece, si vorrebbe attribuire a quelli polacchi (ad es. Auschwitz e Treblinka). Questi ultimi furono tutti sgomberati e chiusi prima dell'arrivo dei Sovietici i quali, pertanto, non si imbatterono in tali drammatiche scene.

La "Soluzione Finale" di cui si parla nei documenti tedeschi era, in realtà, un programma di evacuazione, trasferimento e deportazione degli Ebrei, il cui fine ultimo doveva consistere nella loro espulsione dall'Europa. Durante la guerra, Ebrei di varie nazionalità vennero trasferiti verso est come primo passo di questa Soluzione Finale. La leggenda vorrebbe far credere che il motivo principale di questo trasferimento fosse lo sterminio. La maggioranza delle pretese vittime dell'Olocausto non sarebbero originarie né della Germania, né degli altri stati dell'Europa continentale, ma proverrebbero, invece, dall'Europa dell'est; per questo motivo, una ricostruzione del problema basata sugli studi statistici è da sempre risultata praticamente impossibile. Rimane comunque il fatto che in Polonia non esistono più comunità ebraiche numericamente consistenti. In realtà, i Tedeschi furono solo una delle parti coinvolte nel trasferimento e nello spostamento delle popolazioni ebraiche europee. Nel 1940 i Russi deportarono quasi tutti gli Ebrei della Polonia occidentale in Unione Sovietica. A guerra finita, mentre un gran numero di Ebrei polacchi e di altre nazionalità si muovevano dai paesi dell'est alla Germania occupata, i sionisti si adoperavano per il loro insediamento in Palestina. Molti altri emigrarono in America e in altri stati, in condizioni che, nella maggioranza dei casi, rendevano impossibile un censimento numericamente attendibile. A ciò si aggiunga il fatto che i confini polacchi furono drasticamente modificati: l'intero territorio fu letteralmente spostato ad est.

E' vero che gli storici danno credito alla leggenda, ma esistono numerosi precedenti di incredibile cecità, anche da parte di studiosi illustri. Per esempio, nel medio evo, perfino i nemici politici del Papa avallavano la sua falsa pretesa secondo la quale, il potere di governare l'impero d'occidente gli sarebbe stato conferito, nel quarto secolo, da Costantino; in realtà, tutti sapevano bene che alla morte di Costantino tale potere non era passato al Papa, ma ai suoi successori. La quasi totalità di studiosi, ricercatori e accademici diventa sospetta, soprattutto in presenza di forti pressioni politiche; in alcuni paesi gli storici revisionisti vengono perseguiti dalla legge.

E' semplice dimostrare che la leggenda relativa allo sterminio merita almeno di essere considerata con scetticismo. Anche il lettore occasionale della letteratura sull'Olocausto sa perfettamente che, durante la guerra, tutti risposero con l'indifferenza a ciò che stava accadendo. Di conseguenza, si cerca comunemente di addossare le colpe della generale inattività al Vaticano, alla Croce Rossa e agli alleati (in particolare ai servizi segreti) e di spiegare che gli Ebrei non opposero resistenza alla deportazione poiché non sapevano a cosa andavano incontro. Mettendo insieme tutto ciò, si giunge allo strano paradosso per cui per quasi tre anni i treni tedeschi avrebbero girato l'Europa portando regolarmente e sistematicamente milioni di Ebrei alla morte, senza che nessuno si accorgesse di niente, eccetto, forse, qualche leader ebraico che, all'epoca, parlò pubblicamente di "sterminio".

Ad un'osservazione più attenta, ci si accorge, però, che nemmeno queste poche persone agirono per contrastare ciò che a loro avviso stava accadendo. I normali canali di comunicazione tra paesi occupati e neutrali rimasero sempre aperti, quindi, se la leggenda fosse in qualche modo valida, chi sapeva avrebbe avuto la possibilità di diffondere la notizia.

Tale incredibile ignoranza deve poi essere attribuita anche al reparto di spionaggio militare comandato da Hans Oster, che in una recente pubblicazione è stato definito, a ragione, "la vera opposizione a Hitler all'interno dello stato maggiore".

Gli elementi che oggi sono indicati come prove, in realtà, emersero nei tribunali solo a guerra finita e si riducono, quasi unicamente, a testimonianze orali e "confessioni". Senza i processi, non si avrebbe quindi nessuna prova dello "sterminio". Questo punto va valutato con attenzione. Sono stati necessari i giudici per determinare che la battaglia di Waterloo è stata realmente combattuta? I bombardamenti di Amburgo e Dresda? Hiroshima e Nagasaki? I massacri in Cambogia? Invece, questo programma di genocidio di portata continentale, protrattosi per ben tre anni, che avrebbe provocato milioni di vittime, deve essere dimostrato in un aula di tribunale. Queste premesse non mi conducono a sostenere che i processi furono illeciti o parziali, ma solo a ribadire che una logica come questa, su cui la leggenda si basa, non deve essere favorita o sostenuta in alcun modo. Eventi di questa portata non possono aver luogo senza lasciarsi alle spalle una minima prova della loro esistenza, così come non è credibile che un grosso incendio possa divorare una foresta senza alzare un filo di fumo. Allo stesso modo si dovrebbe credere che New York sia stata rasa al suolo se solo si trovasse qualcuno disposto a confessare il gesto...

Considerazioni specifiche su ciascuna delle prove poste a sostegno della leggenda sono materia per la letteratura revisionista e non possono essere qui singolarmente analizzate, eccetto per un punto. La pretesa della leggenda è che non siano mai esistiti strumenti appositamente dedicati allo sterminio, ma che ve ne fossero altri, originariamente destinati a scopi diversi, che svolsero, per così dire, una doppia funzione. Insomma, gli Ebrei furono gassati con un insetticida, lo Zyclon, e i loro cadaveri vennero fatti sparire, assieme a quelli di persone morte per cause "ordinarie", nei forni crematori (se si desse credito a questa teoria, mancherebbero all'appello i resti o le ceneri di milioni di corpi mai ritrovati).






Volevo parlare di un gruppo che forse è stato più dimenticato di tutti gli altri, visto che parliamo di non dimenticare. Mi sembra importante aggiungere qualcosa sui contadini dell' Emilia che sono stati deportati in Germania nei campi di lavoro nell'estate '44. E'stato un gruppo consistente numericamente; non sappiamo esattamente quanto, perché è una storia dimenticata. Certamente si trattò di un gruppo di più di 20 mila persone che fu rastrellato dalle zone del fronte soprattutto dalla montagna e dalle colline e poi trasportato in Germania. I deportati furono là smistati in diversi campi di lavoro e uno di questi campi fu collocato a circa 40 chilometri da Buchenwald, a Kahla, in Turingia. Lì furono costretti a lavorare in un tunnel sotterraneo costruendo non V1 e V2 ma i caccia a reazione 262. Si trattò quindi di un lavoro abbastanza paragonabile dal punto di vista dell'industria bellica tedesca, a quello di Dora.
Anche lì le condizioni di vita furono estremamente cattive. Per questo gruppo di deportati il tasso di mortalità - non lo sappiamo esattamente sono però stime attendibili - raggiunse una cifra di un terzo. Il numero più consistente fu quello degli italiani, che nel '44 e '45 trovarono la morte lì in quei tunnel sotterranei di Kahla.

Questi rastrellamenti dell'estate '44 devono essere inseriti in un tentativo da parte nazista di colpevolizzare tutta la popolazione di quei territori dove furono presenti i partigiani. L'operazione anti-partigiana aveva anche lo scopo di rastrellare tutti i maschi presenti nella zona, sospettati di essere simpatizzanti con i partigiani, e di deportarli al lavoro in Germania, soprattutto dopo il '43, dopo Stalingrado, quando Hitler dovette mandare al fronte molti più uomini tedeschi e costruire nuove divisioni. La macchina della produzione bellica avevano bisogno di un alto numero di lavoratori. E' per questi motivi che a questo punto del conflitto viene cambiato anche il meccanismo dei rastrellamenti per il lavoro forzato.
Il cambiamento per l'Italia è proprio del luglio 1944, quando dopo che arriva l'ordine di Hitler di trasportare tutti i maschi abili al lavoro dai territori cosiddetti "infestati dalle bande" al lavoro in Germania. Si trattò quindi di una deportazione inerente a motivi politici del nazismo, non una deportazione per motivi provocati direttamente dai deportati.
Quando sono tornati, quelli che sono tornati, si sono messi di nuovo al loro lavoro. Non avevano molto a che fare con la politica, perché si trattava prevalentemente di contadini dell'Appennino.
Vorrei fare un esempio per spiegare in che modo secondo me deve essere ampliato il discorso su questo fenomeno: vorrei soltanto accennare alle Cave di Marzabotto, dove proprio in stretta connessione al massacro della popolazione civile - 780 civili massacrati dalle truppe di Reder, furono rastrellati e deportati in Germania ben 456 uomini. Questa deportazione è con ogni evidenza strettamente connessa alla strage di Marzabotto.

Il numero fu così consistente, nella sola provincia di Bologna furono deportate più di 5 mila persone, prevalentemente maschi, perché erano proprio le truppe impegnate al fronte ad avere il compito di rastrellare gli uomini da avviare al lavoro forzato.
Il rastrellamento dunque fu fatto con molto più zelo di prima, soprattutto da parte degli uomini al comando di Reder; loro hanno rastrellato nell'arco di un mese più di 10 mila persone che sono state poi smistate in alcuni campi. La maggior parte fu impiegata in Italia, ma un gruppo molto consistente fu deportato in Germania e smistato a Monaco verso diversi campi di lavoro.
Questa è fino ad oggi una storia del tutto dimenticata.





Primo Levi nacque a Torino 31 luglio del 1919, da un'agiata famiglia ebrea, egli si laureò in chimica nel 1941 (la chimica gli sembrava "la chiave" per comprendere l'universo). Nel 1943 Levi si unì ai partigiani della Val d'Aosta, militando in un  gruppo di "Giustizia e Libertà"; catturato dai fascisti, fu prima rinchiuso nel campo di concentramento di Carpi-Fossopoli, presso Modena, e, successivamente, internato dai tedeschi nel lager di Auschwitz-Birkenau.

Fu tra i pochi sopravvissuti alla sistematica operazione di sterminio attuata da Hitler e riuscì, con un viaggio avventuroso che descrisse più tardi in "La tregua"(1963) a rientrare a Torino, dove riprese il suo lavoro come chimico industriale nel 1946; ma si ritirò nel 1974, per dedicarsi interamente alla scrittura. I profondi strascichi psicologici dell'internamento nel campo di sterminio furono probabilmente la causa del suo suicidio, avvenuto nel 1987.

In particolare, Primo Levi affermò più volte di non poter sopportare il fatto che egli fosse riuscito a sopravvivere allo sterminio, mentre sei milioni di persone erano morte, e probabilmente fu anche questo che lo indusse a togliersi la vita.



Alice Lok Cahana



"C'erano rifugiati che arrivavano in Ungheria, in fuga dalla Polonia.  Venivano e ci raccontavano le loro storie e mi ricordo che molto spesso noi non ci credevamo".


"E poi ci fu il decreto successivo che ci ordinava di preparare una valigia di 25Kg al massimo. E all'inizio non riuscivamo a capire. Cosa portare? I cuscini, le coperte, i piatti?


 Irene Zisblatt



"I nostri cosiddetti amici e i nostri vicini di casa erano in fila lungo la strada e urlavano: "Era ora! Fuori di qui!" e "Non abbiamo bisogno di ebrei nella nostra città!", "Dobbiamo liberarci di tutti voi ebrei!" e io ero li, e non credevo ai miei occhi. Eravamo amici, avevamo cose in comune. Perché erano così ostili, perché ci odiavano così all'improvviso?".


"Cercavano di cambiarci il colore degli occhi".


"Per ogni uomo che si buttava contro il filo spinato, prendevano cento prigionieri e li uccidevano davanti a tutti come esempio. Non ci lasciavano neanche morire quando volevamo noi".


"Presi i diamanti e li feci montare in un pendente a forma di lacrima, perché ogni volta che li avevo salvati avevo dovuto piangere tanto. Così ho pensato che le lacrime fossero adatte. E ho detto ai miei figli che questi diamanti dovranno passare alla primogenita della famiglia di generazione in generazione sino a. per sempre. E sono l'unica cosa che possiedo che aveva tenuto in mano mia madre".


(Irene)


Bill Basch



"Perché sono sopravvissuto? Perché Dio mi ha risparmiato?".


"Così, quando ci troviamo tutti insieme, siamo proprio un gruppo piuttosto grande. E la gioia di stare con la mia famiglia e vedere che. ero così vicino alla morte e ora sono qui, seduto a tavola e siamo in 11, in 12, a goderci la vita. Il piacere di essere vivo è meraviglioso".


(Bill


Tom Lantos



"Eri un animale braccato 24 ore al giorno".


"Il sadismo, la crudeltà, l'irrazionalità dei nazisti tedeschi e ungheresi. l'idea che avrebbero potuto guadagnare credito se si fossero comportati in modo più civile. non era presente in realtà perché il loro odio era così cieco".


"Non riesco a spiegare la Shoah né con la ragione né con le emozioni né con l'intelletto. Non riesco, non riesco a trovare una collocazione per un ente supremo in questo incubo".


(Tom)




Elie Wiesel nacque a Sighet, un piccolo paese dei Carpazi a lungo risparmiato dalla guerra, il 30 settembre del 1928; visse un'infanzia felice fino all'età di quindici anni quando nel 1944 venne deportato prima ad Auschwitz e poi a Birkenau, dove molti dei suoi famigliari persero la vita.

Liberato nel 1945 dalle truppe americane, rifiutò di fare ritorno nell'Europa centrale, e così trascorse una decina d'anni in Francia, seguendo con passione le vicende legate alla nascita dello Stato d'Israele.

Wiesel fece pratica come giornalista, poi intorno alla metà degli anni Cinquanta partì per gli Stati Uniti; all'età di trent'anni riuscì finalmente ad affidare alle pagine della NOTTE l'esperienza vissuta nell'inferno dei campi di concentramento. E' questo l'inizio di un'opera imponente, pervenuta a tutt'oggi a 27 volumi (romanzi, saggi, ritratti, testi teatrali) tutti votati al ricordo delle vittime, alla difesa dei sopravvissuti e di tutti gli oppressi.

Con le armi della pietà, dell'amore ma talvolta anche della collera, quest'opera e questa vita diventeranno una lotta tra dubbio e fede, disperazione e speranza, oblio e memoria.

Nel 1968, Wiesel ottiene il PRIX MÉDICIS per "Le mendiant de Jérusalem ", nel 1980 il PRIX DU LIVRE INTER e nel 1981 il PRIX DES BIBLIOTHÉCAIRES per "Il testamento di un poeta ebreo assassinato". Nel 1994 Wiesel pubblica il primo volume dei suoi "Mémories": "Tous les fleuves vont à la mer". Nel 1963, è titolare della cattedra di studi di scienze umane all'università di Boston e presidente della commisione presidenziale dell'Olocausto a Washington. Wiesel è stato insignito di numerosi premi internazionali, tra i quali spiccano, nel 1983, il PRIX INTERNATIONAL DE LA PAIX per "Il testamento di un poeta ebreo assassinato"(1980) ed il PREMIO NOBEL PER LA PACE, nel 1986, riconosciutogli all'unanimità.





Credo sia impensabile pensare che persone come siamo noi siano state capaci di programmare lucidamente un massacro, e credo che sia ancora più importante pensarci oggi per rendersi conto che non è una situazione così lontana dalla nostra: erano uomini quelli che hanno progettato i lager, proprio come noi.








Negli anni Trenta e Quaranta i nazisti organizzarono numerosi lager dove, oltre agli ebrei, furono reclusi zingari, omosessuali, comunisti, slavi e altri individui considerati indesiderabili. Alla fine della seconda guerra mondiale le vittime furono più di 11 milioni, di cui oltre 6 milioni di ebrei.







Auschwitz-Birkenau Il maggiore campo di concentramento nazista, assurto a simbolo della tragedia dell'olocausto. Situato nei pressi della cittadina di Auschwitz (polacco Oświęcim) a circa 32 km a sudovest di Cracovia nella Polonia meridionale, fu allestito nel 1940 per ordine del capo delle SS Heinrich Himmler per essere utilizzato come campo di sterminio. A partire dal 1942 vi trovò piena realizzazione la "soluzione finale della questione ebraica", ovvero il genocidio scientificamente pianificato ed efficientemente perseguito degli ebrei. Si calcola che almeno un terzo dei circa sei milioni di prigionieri eliminati dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale trovò qui la morte nelle camere a gas o perì di stenti, di sevizie, di malattia, di fame o a causa degli esperimenti del famigerato Josef Mengele, il medico nazista soprannominato "l'angelo della morte"; insieme agli ebrei subirono la stessa sorte polacchi, prigionieri di guerra sovietici, zingari e omosessuali.


Il complesso concentrazionario, che si estendeva su una superficie di 42 km2, comprendeva un campo base, Auschwitz I, costruito nel 1940 e destinato in un primo tempo ai prigionieri politici; il campo di Birkenau (Auschwitz II), edificato nell'inverno 1941-42, dove funzionavano a pieno ritmo quattro camere a gas e altrettanti forni crematori; vari campi satelliti denominati Auschwitz III (Buna-Monowitz), dove tra il 1940 e il 1945 furono internate circa 405.000 persone destinate ai lavori forzati: tra i pochi che riuscirono a sopravvivere vi furono circa un migliaio di ebrei polacchi, salvati dalle camere a gas per l'intervento dell'industriale tedesco Oskar Schindler.


Nel novembre del 1944, di fronte all'avanzata delle truppe sovietiche, Himmler ordinò di far cessare le esecuzioni e di distruggere camere a gas e forni crematori. Quando il 27 gennaio l'Armata Rossa varcò l'entrata del lager, su cui campeggiava la famosa scritta Arbeit macht frei (Il lavoro rende liberi), nel campo si trovavano circa 7600 sopravvissuti; circa 58.000 prigionieri erano già stati evacuati dai nazisti e in gran parte perirono nella marcia forzata verso la Germania. Tra i sopravvissuti vi fu lo scrittore torinese Primo Levi, che raccontò le condizioni di vita dei deportati ad Auschwitz nel suo capolavoro Se questo è un uomo.






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