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Dei sepolcri - (1806-1807)

italiano



Dei sepolcri

Il carme, dedicato ad Ippolito Pindemonte, prese occasione dall'editto di St. Cloud (1804), con il quale si ordinava che le sepolture fossero poste fuori dal centro abitato (prima erano accanto alle chiese) e con lapidi tutte uguali. Foscolo interpretò tale editto come una profanazione del culto antico degli antenati e del significato civile delle tombe. L'opera racchiude l'intera visione filosofica del 646e49g Foscolo e profonde meditazioni sulla storia, sulla vita e sulla morte. Idee, ricordi, immagini del passato si fondono in un lirismo venato di scetticismo, che prelude alla sconsolata negazione leopardiana, pur se corretta dall'ammirazione per la virtù e l'eroismo e dalla piena coscienza delle passate grandezze della Patria, nonché dalla speranza di un risveglio dell'Italia dal suo sonno secolare.

La concezione della vita in chiave materialistica e scettica, propria del Foscolo, nel carme diviene una lirica figurazione dell'umano destino e sono esaltate come realtà della vita quelle che la ragione chiama illusioni (la fede nell'aldilà, il culto dei sepolcri, la carità di patria, l'amore, la gloria), poiché, senza di esse, resterebbero solo la certezza della morte e il dubbio (tale concezione è la base filosofica del carme). Per Foscolo il sentimento è stimolo all'animo umano. Il poeta, non credente, dà un contenuto prettamente laico e civile al suo pensiero, che ha un preciso significato storico e politico.



L'Italia, culla della civiltà e del diritto, è ancora unita e potente nell'anima e nel pensiero dei suoi figli migliori e a ridarle la libertà, non sarà una potenza straniera (la Francia) bensì il risorgere delle più gloriose tradizioni di un superbo passato. Il poeta costruisce una religione laica delle illusioni in cui la poesia svolge una funzione purificatrice, eternatrice, immortalatrice.

Particolarmente importante è la funzione immortalatrice della poesia che consegna i posteri la memoria del poeta che in qualche modo continua a vivere nel loro ricordo; e` di conforto al poeta pensare che le proprie idee saranno condivise da altri, che gli scritti e le opere di una vita non andranno perduti ma saranno letti anche in futuro, e che qualcuno terra` memoria di noi. Anche il dubbio che questo avverra`, la sola illusione e` di conforto; percio` il poeta scrive "la tomba non serva al morto,serve al vivo per illudersi che quando sara` morto anche lui verra` ricordato".

"I Sepolcri" dunque nascono anche come risposta da parte del Foscolo ad una visione cristiana della sepoltura , che era propria di Pindemonte, il quale sosteneva l'importanza dell'inumazione individuale., e determinano il sigillo di una lunga meditazione sul valore tombale del trapasso che il poeta di Zante aveva espresso lungo il corso della propria carriera letteraria (dall'Ortis ai Sonetti). Il suo iter filosofico, innervato da una solida componente materialistica dell'esistenza, partiva da una considerazione indissolubile della morte che egli aveva cementato per anni nei suoi scritti, ovvero l'intendimento della fine come un annullamento eterno, e dunque la conseguente futilità del rito sepolcrale. Ma con questo carme egli torna leggermente sui propri passi, cercando di superare in particolar modo quel nichilismo, che la delusione storica aveva provocato, e in base al quale si generò l'esperienza letteraria dell'Ortis, per fare posto ad una meditazione più profonda e ponderata sul decesso, in stile anche con una maggiore maturità ideologica. Quel nulla eterno, ancora forte in tutta la sua ineluttabilità, si permette nei "Sepolcri" la presenza di un contraddittorio, ossia l'illusione di una sopravvivenza dopo la morte. Questo miraggio si edifica nell'artefatto tombale, il quale tende ad assumere non un ruolo per il defunto, ormai giacente nell'oblio della dipartita, ma per la civiltà dei vivi, per gli affetti che sono rimasti, capaci di rinverdire il ricordo solo attraverso il monumento materiale al defunto che la tomba raffigura. Il passaggio dal familiare al politico è breve, e Foscolo lì vuole giungere. Col sepolcro la storia dell'uomo diventa la storia dell'eroe, e la celebrazione eterna delle sue gesta tramite un mausoleo, diviene il principale input per l'emulazione degli atti virtuosi da parte dei posteri. Il patriota Ortis, quintessenza del giovane Foscolo combattente, si dà la morte per uno stato di impotenza politica nella propria contemporaneità biologica, ma si riscatta grazie alla tomba, come memoria eterna dei propri gesti verso le generazione che verranno. I sepolcri dunque evidenziano la mitizzazione dell'eroe di fronte alla storia, tanto che la riabilitazione memoriale dei grandi del passato che Foscolo disegna nel suo carme, non si limita ad essere un neoclassicismo fine a sé stesso, ma si manifesta in un travagliato quadro politico, come è appunto quello italiano dei primi dell'800, quale gesto di speranza e di lotta sempreviva. Queste tematiche, così forti e ben espresse, glissano pertanto su tutti quei critici, il francese Guillon in primis, che miravano a includere "I Sepolcri" nella tradizione della poesia sepolcrale, che aveva trovato la propria fortuna in Inghilterra grazie a letterati quali Young e Gray, riferendola dunque come mera riflessione sulla morte senza alcun riflesso politico e ideologico. A trarre in inganno Guillon e seguaci, sarà stata forse la particolare configurazione del carme foscoliano, che esprimeva la propria densa riflessione filosofica e politica non attraverso una forma argomentativa, bensì utilizzando una serie di figurazioni e di miti. Il modus operandi del Foscolo è frutto di un ben definito conflitto culturale che imperversa a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. L'Italia napoleonica infatti non ha fatto altro che facilitare l'esplosione del romanticismo, quale corrente artistica abile ad esprimere quel malessere storico provocato dal "reo tempo", filone a cui possono ascriversi l'Ortis e il Werther, e al tempo stesso ha permesso lo sviluppo delle tendenze neoclassiche di matrice romantica come tentativo di sostituire alla traumatica realtà del presente i fasti di un passato mitico ed ideale. Congiuntura che "I Sepolcri" esprimono al meglio, isolandosi da quella matrice esornativa ed ampollosa del Neoclassicismo di maniera.




Ippolito Pindemonte (Verona, 13 novembre - Verona, 18 novembre ) fu un letterato e poeta italiano.

In giovinezza viaggiò molto in Italia, Francia, Germania e Austria. Nel periodo della rivoluzione francese si trovava a Parigi con Vittorio Alfieri: pur apprezzando gli ideali rivoluzionari, alle violenze del Terrore contrappose sempre il desiderio di pace nell'abbandono alla contemplazione della natura. La sua poesia è di stampo neoclassico, anche se alcuni temi si avvicinano alla nuova sensibilità romantica. Ottenne un premio dall'Accademia della Crusca, di cui divenne membro. Morì nel , un anno dopo il suo caro amico Ugo Foscolo.

La sua opera più nota è sicuramente la traduzione dell'Odissea, che ebbe grandissimo successo e numerose edizioni e ristampe. Inoltre, le Poesie campestri (prima edizione del ), le Prose campestri ( ), le Epistole ( ) e i Sermoni poetici ( ). Fu anche autore di diverse tragedie, tra cui Arminio ( ), in cui si nota l'influenza della poesia ossianica. Il poemetto I cimiteri fu lasciato incompiuto dall'autore alla notizia che il Foscolo stava per dare alle stampe I sepolcri: questi dedicò il carme proprio al Pindemonte







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