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Hai certamente sentito parlare degli handicappati

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Hai certamente sentito parlare degli handicappati, li avrai incontrati, hai fatto delle letture in classe su di essi: come alleviare il loro dramma?

Il termine handicappato deriva dall'inglese handicap che significa "svantaggio". All'inizio veniva utilizzato nelle corse dei cavalli per decidere le posizioni di partenza. Ora è passato a significare uno svantaggio capitato fortuitamente oppure per destino, sfortuna. Definizione un po' curiosa: nata per indicare uno svantaggio in una corsa di tipo sportivo, viene usato attualmente per indicare uno svantaggio in una tragica corsa per la vita!

Usiamo il termine handicappato per indicare persone che presentano minorazioni fis 151e49b iche o psichiche. Hanno bisogno di assistenza, il Comune o la Provincia li aiutano con un contributo, ma oltre le provvidenze hanno bisogno di una persona "normale" accanto. A ben guardare, il termine handicap ha un significato molto generico: chiunque può essere considerato o sentirsi tale se il compito impostogli o il traguardo da raggiungere risulta superiore alle sue possibilità. Handicappato non è soltanto chi, avendo un disturbo motorio, viene costretto a svolgere attività sportive, o anche più "semplicemente" a scrivere, ma ciascuno di noi, direi, lo diviene se il divario tra capacità e risultato rimane incolmabile. Ciò che distingue uno handicappato da uno non, è il fatto che tutti i "normali" lo fanno sentire "diverso", che non rientra nel normale, ma è la definizione di normale a non essere giusta. A formare una persona vi sono capacità diverse: intellettive, percettive, motorie, affettive ed altre, siamo sicuri che ciò che intendiamo per norma includa tutte queste manifestazioni quando classifichiamo "normale" un individuo?



Sono considerati "diversi", vengono spesso rifiutati ed esclusi, abbandonati a loro stessi e costretti ad emarginarsi nell'indifferenza degli altri. Vengono trattati come le persone di un'altra razza, religione o cultura, vengono emarginati e trattati con egoismo. Senza rendercene conto, anche nelle azioni di tutti i giorni compiamo gesti di emarginazione e pochi di solidarietà.

Ma la cosa più brutta è che anche tra ragazzi c'è questo problema. L'inserimento degli handicappati nella scuola pubblica può essere una sensibilizzazione verso i coetanei, ne sto proprio vivendo un esempio. Da quest'anno, in classe mia c'è una nuova ragazza, Maria Grazia. Viene e torna da scuola con l'ambulanza. Non è in grado di far niente, non parla, non cammina. Vive in una carrozzina, ma anche se non parla si fa capire con il suo sorriso. Molti dicono che non capisce, ma quando sente le nostre voci sorride, ma bisogna stare attenti a non fare troppo chiasso perché si spaventa, ma in quanto a questo non è capitata nella classe giusta. Ha una prof. di sostegno che si occupa di lei, la cambia, la pulisce e le dà da mangiare, ma non è presente tutte le ore, quindi a volte tocca a noi badare a Maria Grazia. Ad essere sincera io non me ne occupo perché provo strane sensazioni, ma non perché è in una carrozzella, non ne sarei capace neanche con le persone "normali". Ammiro molto i miei compagni che ci parlano, ci scherzano e se ne occupano, ma io non ci riesco anche se mi sforzo molto!

Anche l'handicappato adulto ha bisogno di inserimento nel mondo del lavoro. Oltre ai vari brani a riguardo letti in classe, quest'estate ho letto un libro scritto da Alice Sturiale, una bambina in carrozzina, morta nel 1996 all'età di 12 anni. E' contagiosa la sua meraviglia. Riesce a far entrare nel libro i suoi lettori. Nonostante il suo handicap, Alice non si vergogna di nulla, siamo noi "normali" a non essere felici del mondo, a vergognarci di ridere, piangere, vivere e scrivere, siamo noi che non sopportiamo niente. Con la sua grazia e la sua ironia quasi impensabili, ci fa volare insieme a lei in quest'esperienza. Sono ricordi e pensieri di una creatura in carrozzella, ma mai disperata, poesie varie e racconti che esprimono gioia di vivere. Dovremmo fare come ha fatto Alice, seguire il suo esempio, non mollare, ma anzi, cercare la speranza e coltivare in noi e negli altri la gioia.

E' difficile l'accettazione da parte della società, cosa che invece è molto importante per loro.ma loro sono forti, hanno una forza maggiore, doppia della nostra, perché oltre ad accettarsi, cosa già non facile per i "normali", devono pure lottare per farsi accettare. Di questo argomento avrei ancora tanto da dire, ma non riesco, ci sto male dentro, boh, è un qualcosa di molto forte, un senso di repulsione, non per loro personalmente, ma per il mondo, per il fatto che possano esistere "cose" di questo tipo, forse il tutto accresciuto da un'esperienza vissuta abbastanza da vicino. Avevo appena 2anni quando una mia vicina era incinta e la mamma mi ripeteva sempre: "Dai Manu, quando nascerà il bimbo o la bomba poi ci giocherai insieme.", insomma avevo grandi aspettative e speravo tanto che nascesse una femmina per poterci meglio giocare e condividerci gran parte del tempo. La bimba nacque, con un nome lungo come il mio, sempre con la e.Eleonora.andammo subito a trovarla.ma fu difficile per mia madre spiegare ad una bimba di 2anni quale ero, che purtroppo non potevo giocarci come pensavo perché Eleonora non stava molto bene.ed io giustamente pensavo: "Va beh mamma, aspetterò quando guarirà".e così fin quando ho capito che era qualcosa di diverso da una semplice malattia. Eleonora non cammina, non parla, sta nella sua carrozzella che per quanto colorata possa essere è pur sempre una grande e triste costrizione. Ogni volta che andavo a casa sua stavo a guardarla, ma neanche tanto da vicino perché la nonna aveva paura che le facessi male, così stavo in silenzio, seduta vicino alla sua poltrona e guardavo i grandi che comunque le parlavano. Tutt'oggi non riesco a starle vicino, a toccarla anche solo per una carezza, né tantomeno mi viene d'istinto di dirle qualcosa, quando invece lei riconosce le voci che le hanno sempre parlato, tipo mia nonna, e suo modo, facendo muovere la linguina, tira i baci.è brutto da dire, ma provo una grande tristezza, non riesco proprio ad accettare queste persone che di diverso hanno avuto solo la sfortuna della natura. Riconosco che è brutto, ma sono sincera, è più forte di me, non ce la faccio, le evito, mi allontano, mi giro dall'altra parte.anche se riconosco che un genitore che magari vede questa repulsione per suo figlio sta male ancor di più, certo, poi dipende dal genere, tipo e gravità di handicap, ma non ci dovremmo lasciar coinvolgere dalla prima impressione, che per lo più è sempre negativa, ma bisognerebbe isolare il disturbo e cercare di conoscere l'individuo nei suoi aspetti più profondi.

Fermandomi a pensare a queste persone, riconosco che hanno una sensibilità di molto superiore alla normalità, vivono la vita in profondità e ne comprendono anche il senso, quando a noi, solo a vederli, ci vengono in mente i mille problemi, impedimenti, minorazioni che hanno. E' difficile da spiegare, ma sembra che il tempo che noi passiamo a confrontarci con gli altri, criticare tutto e tutti, loro lo vivino in profondità ascoltando se stessi, i loro desideri e il loro cuore, così da vivere in profondità quei pochi o tanti giorni tutti uguali senza lasciarsi prendere dalla noia e dalla futilità.




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